40 giovani da seguire nel 2019
I talenti di cui seguiremo la crescita nell’anno appena cominciato.
31. Exequiel Palacios, 1998 (Argentina, River Plate)
di Fabrizio Gabrielli
Se paragonassimo il 2018 di Exequiel Palacios a un fuoco d’artificio ci accorgeremmo che la scia luminosa tracciata nel cielo, carica di aspettative, non è corrisposta a una di quelle deflagrazioni variopinte, ma più allo stupore pirotecnico, regale e silenzioso, dei razzi che terminano in una pioggia brillante, in una cupola da salice piangente, affascinante e malinconica allo stesso tempo.
Il ventenne del River Plate, che ha anche già esordito in Albiceleste con Scaloni, è ora in quello status classico per i giovani argentini in bilico tra “futuro crack” e “progetto di bolla speculativa”: il Real Madrid sembra averlo segnato sul suo taccuino come primo rinforzo per il mercato di gennaio, anche se a onor del vero andrebbe rimarcato come nelle grandi occasioni di ribalta che l’hanno visto protagonista nell’ultimo mese, la finale di Libertadores e il Mondiale per Club, Palacios non ha poi brillato, né tecnicamente né in termini di personalità, quanto ci saremmo potuti aspettare, e quanto fosse lecito farlo.
Mezzala che viene spesso impiegato a piede invertito (è destro, e sia nel River che nell’Argentina viene impiegato a sinistra), di lui stupisce la tendenza innata alla verticalità, lo stile minimalista e associativo, un gioco che si avvicina molto a quello dell’ultimo Giovani Lo Celso, del quale nell’Albiceleste rappresenta il doppelganger. Palacios, alla classe sopraffina, unisce però anche un sentimento assai radicato da box-to-box tradizionale: aggredisce il portatore di palla avversario, gli sradica la sfera, ma poi è anche capace di sfatare ogni cliché sull’impetuosità ammaestrando le sponde con un controllo orientato, nascondendo il pallone agli occhi avversari.
Il 2019 ci dirà che tipo di giocatore può diventare Exequiel Palacios: e chissà che – nonostante sembri che la trattativa con il Real Madrid per l’acquisto sia praticamente cosa fatta – rimanere ancora un semestre nei Millonarios, dove potrebbe continuare a padroneggiare il centrocampo con l’arroganza dei ventenni, non sia davvero la soluzione migliore per portarne a compimento il processo di affinamento.
32. Nicolò Zaniolo, 1999 (Italia, Roma)
di Emanuele Atturo
A luglio nessuno sapeva chi fosse Nicolò Zaniolo, che in 6 mesi ha esordito al Santiago Bernabeu, è arrivato in finale dell’Europeo Under 19, ha segnato il suo primo gol in Serie A e, più in generale, si è affermato come uno dei talenti più eccitanti del calcio europeo.
Zaniolo è alto un metro e 90, ha un fisico da giocatore di football, con spalle larghe e quadricipiti possenti. Ma ha anche un sinistro piuttosto delicato e un’intelligenza nelle scelte incredibile se messa in rapporto alla sua età. È ancora una massa di talento grezzo, lontano dal trovare una sua forma definitiva.
In questo senso, nel 2019 dovremo capire diverse cose di Zaniolo:
– Se, come lui stesso dice, può trovare una consacrazione nel ruolo di mezzala, reprimendo in parte i suoi istinti offensivi; oppure se continuerà ad esprimersi da trequartista, che al momento sembra l’unica casella aperta per lui nel 4-2-3-1 con cui gioca la Roma.
– Se troverà una continuità come titolare in una squadra da Champions League come la Roma.
– Se Roberto Mancini lo considererà un elemento utile per la Nazionale maggiore.
– Se riuscirà a reggere le pressioni che continuano a circondarlo senza mezze misure.
Il talento di Zaniolo non ha ancora preso una direzione precisa, ed è forse questa la cosa che lo rende più eccitante.
33. Juan Foyth, 1998 (Argentina, Tottenham)
di Alfredo Giacobbe
A vederlo su un campo da calcio attraverso la TV, Juan Foyth sembra davvero un giocatore strano. Mi è stato difficile capire persino quale fosse la sua altezza, paragonandolo agli altri giocatori, ma anche sui siti specializzati non c’è concordanza sul dato: per Wyscout ad esempio Foyth è alto 182 centimetri, mentre per Transfermarkt arriva al metro e 89. Come se Foyth fosse cresciuto da un giorno all’altro, e non si fosse fatto in tempo a registrarne i progressi. E forse è stato davvero così: Foyth ha gambe lunghe ma esili, se ne va in giro per il campo tenendo le ginocchia piegate, e i piedi distanti, ortogonalmente alla riga di centrocampo, pronto a scattare in avanti per chiudere un avversario o all’indietro verso la propria porta. La prima volta che l’ho visto ho ripensato ad una vecchia foto di Stefan Edberg, acquattato come un gatto ad un metro dalla rete, seduto su un invisibile sgabello. Foyth sembra un anatroccolo di atleta nel corso della sua trasformazione.
Pare che Pochettino lo abbia visionato personalmente quando era all’Estudiantes e ne abbia caldeggiato l’acquisto nell’estate del 2017. Lo ha fatto esordire presto sia in Premier League che in Champions League, ha aspettato che recuperasse da un brutto infortunio e lo ha subito gettato di nuovo nella mischia. Chissà se Pochettino rivede sé stesso e il suo percorso da calciatore in questo ragazzo. Sicuramente Foyth ha messo un asso in più nel mazzo del suo allenatore nella trattativa per il rinnovo di Toby Alderweireld, sfociato poi in uno scontro frontale tra l’allenatore argentino e il centrale belga, che la prossima estate cambierà aria dopo 4 stagioni con la maglia degli Spurs.
Foyth dovrà anche completare la sua crescita sul piano fisico, ma su quello del gioco con la palla ha già mostrato le sue qualità, peraltro molto simili a quelle di Alderweireld. Come il belga, Foyth è preciso nei suoi passaggi (85% di media finora in stagione, 88% per Alderweireld); ha la stessa attitudine nel cercare il passaggio in avanti (35% contro 32%) e la stessa precisione nel consegnare la palla a un compagno nella metà campo avversaria (77% a 76%). Certo è che i volumi di gioco tra i due sono diversi, Alderweireld gioca una quindicina di passaggi a partita in più di media, ma questo fa parte di una crescita di responsabilità che il ragazzo dovrà avere se vorrà imporsi a questi livelli.
Foyth ha già pagato lo scotto del noviziato: l’errore nel derby con l’Arsenal ha posto un marchio negativo, non solo su quella partita, ma su tutta la sua stagione. Ma un singolo evento negativo, per quanto importante, non riuscirà a modificare la traiettoria della sua parabola, al momento ancora del tutto impredicibile. È questa indeterminatezza che fa di Foyth un giocatore da seguire.
34. Federico Valverde, 1998 (Uruguay, Real Madrid)
di Marco D’Ottavi
A quattro anni Federico Valverde sognò di giocare in uno stadio gremito di gente indossando una maglia bianca. Sogno che sta realizzando pochi anni dopo, vestendo la maglia più bianca di tutte, quella del Real Madrid. Dopo aver accumulato esperienza al Deportivo La Coruña nella scorsa stagione, infatti, Valverde è tornato alla base (il Real lo aveva comprato dal Peñarol nel 2016) per studiare alla corte di Kroos e Modric.
Valverde è un centrocampista completo, in grado di giocare sia nella propria metà campo che in quella avversaria. La sua fisicità gli permette di spezzare le linee in conduzione, mentre la sua intelligenza lo rende un ottimo difensore sulle linee di passaggio. Ha un tiro molto potente, anche se ancora non molto preciso, e una buona visione di gioco che gli permette di rischiare quando si tratta di cercare il passaggio. Valverde è quindi un centrocampista completo, con pochi punti deboli. Nel centrocampo a tre del Real viene impiegato come mezzala, il ruolo che gli sembra più congeniale, anche se nel Depor ha giocato anche come trequartista.
Valverde non sta giocando molto, vista la qualità del centrocampo del Real Madrid, anche se da quando è arrivato Solari il suo minutaggio è aumentato. All’interno di una stagione complicata, il centrocampista uruguaiano potrebbe ritagliarsi uno spazio nei prossimi mesi e magari diventare una futura alternativa credibile a Kroos e Modric. Cioè il motivo per cui il Real ha investito su di lui.
35. Lee Kang-in, 2001 (Corea del Sud, Valencia)
di Daniele V. Morrone
📹 Un gol de Kang In en el descuento le da un punto al #VCFMestalla 🆚 @OntinyentCF (2-2)
Resumen completo 👉🏼 https://t.co/ZxqINS6jAr
👉🏼 APP @valenciacf pic.twitter.com/6ZyEqAEEh7— Academia Valencia CF 🦇 💯 (@Academia_VCF) 17 dicembre 2018
Lee Kang-in arriva al Valencia a 10 anni nel 2011, seguendo il percorso parallelo che l’altro ragazzo prodigio del calcio asiatico, Takefusa Kubo, fa verso il Barcellona. Entrambi condividono l’altezza esigua, le doti tecniche nel controllo del pallone e sono già famosi in patria con i classici video da bambini, in cui dribblano tutti con una palla che gli arriva al ginocchio e sembrano gli unici in campo ad avere la forza di calciare un pallone dandogli una direzione. Lui addirittura è già apparso in televisione come protagonista di un reality show sul calcio quando ancora aveva 6 anni.
Ora che ha 17 anni, Lee Kang-in sta già muovendo i primi passi nel professionismo: pur iniziando la stagione nella squadra B in estate è stato portato in ritiro con la prima squadra e ha giocato tutte le amichevoli, è stato convocato nel girone in Champions League, ha già esordito in Coppa del Re (il più giovane non spagnolo a debuttare col Valencia) e firmato un contratto con una clausola da 80 milioni. Nelle giovanili del Valencia è stato provato in ogni ruolo offensivo, vuoi per la statura, vuoi per le caratteristiche tecniche fondate sul dribbling, sulla capacità di calcio e sulla visione di gioco. Il giovane coreano sembra insomma destinato a muoversi sulla trequarti, magari anche partendo dall’esterno.
Può sembrare incredibile, ma Lee Kang-in viene considerato una scommessa talmente sicura in Spagna, che anche la federazione si è informata per provare a convocarlo con le nazionali giovanili. Vedremo se nel 2019 troverà finalmente il suo posto nel mondo dei professionisti.
36. Martin Odegaard (Norvegia, Vitesse)
di Daniele Manusia
Eccoci all’annuale aggiornamento su Martin Odegaard. Alla fine della passata stagione, scaduto il prestito con l’Heerenveen, il Real Madrid ha deciso di lasciarlo ancora un anno in Olanda, stavolta al Vitesse. Da ottobre, Odegaard è titolare e non ha saltato neanche un minuto, ha giocato un po’ da trequartista centrale e un po’ sull’esterno destro, da dove può rientrare e tirare con il sinistro (ha segnato 3 gol in queste prime 14 partite). Sul suo talento vale quanto detto già lo scorso anno: “Con il piede sinistro può mettere la palla in un punto del campo qualsiasi a sua scelta nel raggio di trenta-quaranta metri. Sarebbe capace di far entrare la palla in una finestra aperta a metà al quarto piano di un palazzo, calciando dal marciapiede di fronte; di metterla sul piede di un compagno che corre bendato verso la porta avversaria in modo che la palla si stoppi da sé”.
Ma l’impressione è anche che Odegaard si stia formando su un livello che è separato rispetto a quello a cui sembrava destinato e che possa fermarsi. Le sue scelte sono spesso le più logiche, ma anche quelle più facili; si trova benissimo a giocare in campo aperto con la palla al piede, meno quando gli spazi o i tempi si riducono. Atleticamente, e persino tecnicamente, per quanto sia dotato nella tecnica di passaggio, non è un giocatore capace di fare la differenza con costanza neanche in Olanda. Se gioca al centro non sopporta la marcatura alle spalle, e finisce per abbassarsi molto; se gioca a destra stringe per venire a prendere palla tra le linee ma non spesso è prevedibile nella giocata successiva. Ha bisogno di giocatori che si muovano sulla linea oltre la sua, che gli creino spazi e opzioni di gioco, per questo sarebbe bello vederlo magari in un contesto più competitivo ma in una posizioni più di responsabilità, come la mezzala.
Ad ogni modo, Odegaard ha compiuto vent’anni ed è arrivato il momento di fargli fare il salto: a fine stagione, ancora una volta, il Real Madrid dovrà decidere se portarlo in Spagna e farlo allenare con dei campioni, sperando che diventi un campione, oppure… forse a quel punto, se non lo ritenesse capace di quel salto, sarebbe meglio se Florentino Perez decidesse di venderlo, per quanto doloroso, e lasciasse che sia il mercato a decidere il reale valore di Odegaard.
37. Diego Lainez, 2000 (Messico, Club América)
di Fabrizio Gabrielli
Il talentificio messicano sembra essersi specializzato nella produzione di un tipo preciso di giocatore: l’esterno d’attacco talentuoso e dribblaholico. Un’idea di giocatore coerente con quella di “scuola messicana” improntata dall’ex tecnico della Nazionale messicana – il colombiano Osorio – e seguita dalle principali squadre della LigaMX, tra cui Pachuca, América e Tigres. Diego Lainez Leyva, però, più che a Hirving Lozano o Jurgen Damm, e in maniera diversa dal “Tecatito” Corona, sembra fedele alla tradizione di Carlos Vela o Gio Dos Santos: giocatori, cioè, che non si limitano a schizzare come Shinkansen giapponesi sulla monorotaia della linea laterale, abbandonandola solo per convergere al tiro, ma che spesso si ritrovano a fluttuare tra le linee avversarie, al limite dell’area, per inventare la giocata a sensazione o cercare la conclusione.
#1T 36’ USA 0-0 MEX
¡Qué cerca! 😯
Tremendo desborde de @DiegoLainez10, quien mandó diagonal matona pero la defensa estadounidense estuvo atenta. #ElFútbolEsNuestro pic.twitter.com/BopA7uNRTs— Selección Nacional (@miseleccionmx) 12 settembre 2018
A settembre il “Tuca” Ferretti, , allenatore ad interim della Nazionale messicana in attesa che venga nominato il successore di Osorio, lo ha fatto esordire, quinto più giovane della storia, nel Tri: quattro giorni più tardi è rimasto in campo 75’ in una sfida molto sentita, quella contro gli Stati Uniti, in cui ha fatto impazzire Matt Miazga, portandolo alla reazione esasperata che costituisce una delle scene più buffe dell’anno.
L’Ajax sembra essere pronto a portarlo in Europa, sempre che l’América lo lasci partire. L’Eredivisie, dopotutto, ha già dimostrato con l’esperienza Hirving Lozano di essere il contesto giusto in cui giocatori con le sue caratteristiche possano esaltarsi. Il Messico sembra aver deciso che la faccia del futuro debba essere la sua: non a caso, alla cerimonia d’assegnazione dei Mondiali 2026, in rappresentanza del Tri – e al fianco di Alphonso Davies, per il Canada – c’era proprio Diego Lainez Leyva.
38. Dennis Man, 1998 (Romania, FCSB)
di Emanuele Atturo
Dennis Man ha vent’anni, gioca nella Steaua Bucarest e ha una faccia da schiaffi che in qualche modo ne annuncia il talento. In Romania non si vedeva un giocatore toccare così la palla dai tempi di Adrian Mutu; il presidente della Steaua, George Becali, di certo non noto per la sua sobrietà, ha dichiarato che in estate ha ricevuto un’offerta da 10 milioni di euro, ma che lui per meno di 30 non si siede neanche al tavolo.
Man è rimasto quindi in Romania, dove partendo dalla fascia sinistra sta dribblando tutti i giocatori che si frappongono fra lui e la porta, prima di lasciar partire dei tiri di sinistro che fanno innamorare per la loro dolcezza. Man è alto poco più di un metro e 80 ma ha un fisico leggero che lo fa sembrare più basso di quanto non sia in realtà. Non è rapidissimo ma muove i piedi a una gran velocità, che poi è la cosa che conta quando si tratta di spostare il pallone dalla disponibilità degli avversari all’ultimo secondo. Essendo un mancino con una grande tecnica e un istinto nel dribbling di prim’ordine, Man in Romania è stato paragonato a Messi, guadagnandosi, non ve lo sto neanche a dire, la patetica etichetta di “Messi rumeno”.
Non c’è neanche una possibilità che Man non si muova dalla Steaua in estate. Sarà interessante quindi vedere se questo giocatore dalle grandi doti tecniche ma dall’istinto di gioco un po’ meccanico riuscirà ad esprimersi a livelli davvero alti o se invece sul suo sinistro si limiterà a costruire un culto esoterico da venerare nei giovedì sera di Europa League.
39. Rodrygo Goes, 2001 (Brasile, Santos)
di Emanuele Atturo
Forse dopo aver vissuto il rimpianto di aver lasciato comprare l’originale ai rivali del Barcellona, il Real Madrid sta cercando di mettere le mani su ogni potenziale “Nuovo Neymar” che esce dal Brasile. Così, dopo l’acquisto di Vinicius Jr. per 46 milioni di euro, la Casablanca si è assicurata anche Rodrygo per altri 40 milioni.
Rodrygo condivide con Neymar alcune cose banali: la squadra di provenienza, il Santos, il ruolo, esterno sinistro; ma anche cose non banali, come una certa leggerezza mercuriale nella corsa e nel dribbling.
Rimane da capire qual è la strategia del Real Madrid, che ora si ritrova due giocatori con caratteristiche simili nello stesso ruolo, che hanno appena un anno di differenza l’uno con l’altra. Il confronto con Vinicius Jr. può essere comunque interessante per capire il talento di Rodrygo. A differenza di Vinicius Jr., un’ala esplosiva e dal baricentro basso, Rodrygo è rapido e leggero e, pur avendo un controllo palla notevole, ha uno stile di gioco più essenziale e persino disciplinato nel lavoro difensivo. Per quanto disciplinato possa essere un’ala brasiliana di vent’anni fatta d’aria. Rodrygo sa fare meno cose di Vinicious Jr. ma se vi piacciono i giocatori eleganti e fragili non dovreste avere dubbi per chi tifare.
40. Matias Zaracho, 1998 (Argentina, Racing Avellaneda)
di Fabrizio Gabrielli
Nonostante abbia appena vent’anni, Matias Zaracho è già un simbolo dell’Academia, al pari di Licha Lopez: dopo la partenza di Lautaro Martinez il “Negrito”, che è cresciuto nelle giovanili del Racing fino all’esordio in prima squadra avvenuto già due stagioni fa, è diventato la faccia giovane del club, e il progetto di campione che Eduardo Coudet sembra aver abbracciato con più entusiasmo.
Il tecnico ha allenato la versatilità di Zaracho fino a farne un centrocampista polivalente, estremamente adattabile a ogni contesto, che oltre da trequartista – il suo ruolo originale – può disimpegnarsi da ala destra, mezzala in un centrocampo a tre, esterno alto su ambo le fasce ma soprattutto, contesto tattico in cui sembra aver trovato la sua consacrazione, e il luogo dell’anima, da volante difensivo, cinco non marcatamente propositivo, ma neppure solo addetto all’interdizione.
Coudet gli ha affidato infatti non solo compiti di rottura dei tempi di gioco avversari, ma soprattutto di prima impostazione in fase di ripartenza, grazie all’ottimo controllo orientato che usa per eludere gli avversari che lo pressano dalle spalle. «Un trattore di 60 chili», lo ha definito Coudet: Zaracho, a un’instancabilità innata, nell’ultimo anno ha anche affiancato un lavoro ad hoc per aumentare la massa muscolare.
Simeone sembra essersene innamorato, ed è convinto di volerlo portare all’Atlético. Se così fosse, con Zaracho, Palacios e Lo Celso, nel 2019 La Liga potrebbe godersi i frutti migliori del nuovo corso di volantes argentini, fatta di giocatori di classe ma non necessariamente fragili, eppure aggressivi, ma senza irruenza. Forse la migliore degli ultimi cinque anni.