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40 giovani da seguire nel 2019
08 gen 2019
08 gen 2019
I talenti di cui seguiremo la crescita nell'anno appena cominciato.
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62 min
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Il 2019 sarà un altro anno in cui scoprire nuovi talenti e restare innamorarti di quelli più giovani. In questo articolo abbiamo raccolto i 40 giovani che quest’anno terremo d’occhio perché magari faranno un ulteriore salto di qualità, perché rappresentano un’interpretazione interessante di un ruolo in particolare o magari anche solo perché abbiamo un debole per loro.

Abbiamo scelto giocatori nati nel 1998 o dopo. Non abbiamo inserito quei giovani davvero prodigiosi che hanno bruciato già tutte le tappe nel calcio dei grandi: per questo non troverete talenti fenomenali come Jadon Sancho, Christian Pulisic, Kylian Mbappé, Gianluigi Donnarumma. Abbiamo anche cercato di non ripetere troppi nomi già scritti nel pezzo del 2018, riprendendo però quelli che hanno davanti un 2019 particolarmente significativo.

Come sempre, le scelte si basano su criteri soggettivi, se manca qualcuno dei vostri pupilli segnalatecelo nei commenti e ve ne saremo grati.

Buona lettura!

1. Ryan Sessegnon, 2000 (Inghilterra, Fulham)

di Alfredo Giacobbe

Dopo le vittorie ai Mondiali Under 17, agli Europei U19 e ai Mondiali U20, tutti stanno aspettando al varco la Next Gen inglese. Ad esempio, a un anno e mezzo di distanza dal trionfo mondiale Under 20, meno della metà dei componenti della rosa giocano in un campionato di prima fascia, e ancora meno lo stanno facendo con un minutaggio rilevante. Alcuni esempi sono sorprendenti: l’eroe della finale Calvert-Lewin ha ridotto il suo minutaggio rispetto all’anno scorso, rimanendo più spesso dalla panchina. Il centravanti con le stimmate del predestinato Solanke non ha ancora giocato la sua prima partita ufficiale in stagione, e forse non lo farà con la maglia del Liverpool (forse lo farà con quella del Bournemouth che lo ha appena acquistato per 10 milioni di sterline). D’altra parte, anche prima del baby boom degli ultimi due anni, l’Inghilterra è nota per bruciare i propri talenti migliori in pochi mesi: l’ultimo di questa corposa lista è Saido Berahino, relegato in Championship con lo Stoke City.

Di Ryan Sessegnon, invece, potete fidarvi, della sua ascesa nel calcio inglese non c’è niente di normale o di già visto. I 16 gol segnati e gli 8 assist serviti lo scorso anno nel Championship hanno fatto molto rumore, accoppiati ovviamente alla sua carta d’identità: Sessegnon ha compiuto 18 anni solo lo scorso maggio. Era quasi scontato che i grandi club inglesi puntassero questo ragazzo e costringessero il Fulham ad una lunga e costosa trattativa, iniziata lo scorso agosto e terminata pochi giorni fa, per un rinnovo di contratto multimilionario.

Sessegnon è un giocatore totale: nell’ultimo anno e mezzo ha giocato da terzino sinistro in una linea a quattro, da esterno a tutta fascia nel 3-5-2, da laterale mancino nel 4-4-2 e nel 4-2-3-1, da attaccante esterno sia destro che sinistro nel 4-3-3. Sa cavarsela in ogni zona del campo ma dà il meglio di sé nella metà campo offensiva. Quello che stupisce di Sessegnon non è solo l’ottima tecnica individuale (dribbla gli avversari brillantemente utilizzando entrambi i piedi), né la velocità in campo aperto. È qualcosa di più intangibile che sta nel saper stare in campo, nella qualità delle cose che fa, nel tempismo degli inserimenti senza palla, e nel modo efficace con cui serve gli assist. Sessegnon fa scelte intelligenti già a 18 anni e in questo c’è tutta la sua straordinarietà.

2. Paulinho, 2000 (Brasile, Leverkusen)

di Emanuele Atturo

In Brasile esistono due scuole di pensiero per la formazione dei talenti locali ai massimi livelli del calcio. Ci sono giocatori che preferiscono rimanere in patria fino alla piena maturazione, come ad esempio Neymar che è il caso più conosciuto; altri invece partono appena hanno l’età per poterlo fare, come Marquinhos, comprato dalla Roma quando aveva appena 14 presenze tra i professionisti.

Partendo appena maggiorenni, i calciatori trascorrono gli anni cruciali per la propria formazione già in Europa perdendo i propri tratti più brasiliani. Paulinho è, insieme a Vinicious Jr., il più promettente classe 2000 nato in Brasile. Come il suo connazionale è stato acquistato da una squadra europea nemmeno maggiorenne, per 18 milioni e mezzo di euro.

Il Bayer Leverkusen sta inserendo Paulinho gradualmente, facendolo partire da titolare soprattutto nelle partite di Europa League, dove ha trovato il suo primo gol nella vittoria per 5 a 1 contro l’AEK Larnaca. Per inquadrare di che tipo di giocatore stiamo parlando vi bastano sapere poche cose: è alto un metro e 75, ha una certa esplosività sui primi passi e in patria è stato paragonato a Robinho.

Come molti altri connazionali, è cresciuto giocando sul parquet del Futsal, dove ha affinato una grande tecnica nello stretto. Da sinistra ama accentrarsi in dribbling e cercare il tiro, con l’interno a giro ma anche con dei colli-esterni potenti sul secondo palo.

È però difficile ancora capire che giocatore è Paulinho, che è arrivato in Bundesliga con 24 presenze e 3 gol nel Vasco da Gama (i primi due arrivati alla sua seconda partita da titolare). In queste prime uscite Paulinho sta mostrando una praticità nelle scelte senza palla che sembrano promettere un’evoluzione nel suo stile di gioco. D’altronde, a differenza di molti connazionali, non ha indicato Neymar, Robinho o Kakà ma Cristiano Ronaldo, per il solito discorso dell’etica lavorativa: «Cristiano Ronaldo è un esempio - lavora davvero duro sul proprio gioco. È qualcosa che rivedo nel mio carattere».

Sarà interessante quindi seguirlo in questo 2019, in una delle squadre senz’altro da tenere d’occhio come il Bayer Leverkusen, che insieme al brasiliano ha altri giovani eccitanti come Kai Havertz o Leon Bailey. Sarà interessante capire se la tecnica da Futsal di Paulinho e il suo istinto alla giocata spettacolare verrà represso all’interno della cultura europea della praticità e dei risultati.

3. Yann Karamoh, 1998 (Francia, Bordeaux)

di Francesco Lisanti

Dove ci eravamo lasciati: Karamoh entra negli ultimi 25 minuti contro la Lazio con l’Inter sotto 2-1, da una sua azione folle in qualche modo nasce il gol del vantaggio decisivo. Spalletti per descriverlo ricorre al suo vocabolario oracolare: un giocatore forte, che dal punto di vista dell’estro ti lascia lì, ma che diventa difficile trovare dentro alla squadra sotto l’aspetto dell’equilibrio e del ragionamento. Quindi Karamoh è ripartito in direzione Bordeaux, nel campionato che lo ha lanciato, per ritrovare continuità in un contesto tatticamente più rilassato, e per questo più adatto a conciliare l’estro con il ragionamento.

In questa stagione il Bordeaux non sta andando bene. Karamoh viene utilizzato spesso dalla panchina (è soltanto il sedicesimo della rosa per minuti giocati tra tutte le competizioni), ma con continuità (da quando ha esordito a fine settembre è sceso in campo sempre, 18 presenze di cui 8 da titolare). Unica assenza contro il Caen per motivi contrattuali. Gioca ala destra in un attacco a tre, in teoria il suo ruolo naturale, posizione che all’Inter sarebbe rimasta scoperta, se Politano non si fosse rivelato una felice sorpresa. Ha segnato un gol all’esordio, un gol clamoroso contro il Nantes, un gol annullato contro il Lione, servito un assist contro il PSG.

È ancora un giocatore “di lampi”. Al raffinato tocco di palla unisce una consapevolezza nei movimenti che ne riflette la modernità: entra dentro al campo, dialoga a testa alta, sa cambiare il ritmo della giocata e aggredire il possesso avversario. Non è però ancora un giocatore di cui i compagni si fidano. Quando si lancia contro un muro di avversari (e lo fa ancora troppo spesso), non trasmette la sicurezza di poterne uscirne vincitore. Di sicuro è un giocatore bello da vedere, quanto basta per continuare a seguirlo anche durante il 2019, l’anno del probabile ritorno a Milano.

4. Amadou Haidara, 1998 (Mali, RB Lipsia)

di Daniele Manusia

Da qualche giorno è ufficiale il passaggio di Haidara dalla squadra di Salisburgo della Red Bull a quella di Lipsia e l’allenatore Ralf Ragnick lo ha accolto dicendo che potrebbe raccogliere l’eredità di Naby Keita. Il confronto è fuorviante, visto che si tratta di due giocatori molto diversi fisicamente e con stili diversi. Haidara è filiforme anche se non altissimo e non ha il controllo di palla in corsa di Keita (ma ce l’hanno pochi centrocampisti di formazione), ogni sua giocata deve essere svolta nel contesto giusto, con dei compagni che parlano la sua stessa lingua.

Haidara è molto aggressivo, con un volume di gioco davvero fuori dal normale, ma è anche molto pulito nelle giocate con la palla, con filtranti ambiziosi e cambi di campo un po’ scolastici ma efficaci. Indipendentemente dalla casella che occupa a centrocampo (mezzala o centrale in una coppia) Haidara è un giocatore verticale e per quanto sia dotato tecnicamente, gettato nella burrasca di un centrocampo statico rischia di affogare.

Insomma, per capirci, è un giocatore perfetto per la Bundesliga che, invece, rischierebbe di appassire in un campionato come quello italiano. Ha già qualche presenza con la Nazionale maggiore e il 2019 potrebbe essere ricco di belle sorprese (non tornerà disponibile prima di marzo, però, per un infortunio ai legamenti del ginocchio).

5. Diogo Dalot, 1999 (Portogallo, Manchester United)

di Alfredo Giacobbe

Chissà cosa sarà passato per la testa di Diogo Dalot all’annuncio dell’esonero di José Mourinho, l’uomo che lo ha fortemente voluto al Manchester United. Dalot è stato prelevato la scorsa estate dal Porto dietro il pagamento di 22 milioni di euro, nonostante il ragazzo avesse all’attivo solo 6 presenze e 408 minuti nella massima serie portoghese (conditi però da 2 assist). Superati i postumi di un infortunio al ginocchio, Dalot si stava gradualmente inserendo nelle rotazioni dello United: nelle ultime quattro partite di Premier League è stato sempre utilizzato da Mourinho, partente da titolare in tre occasioni.

Dalot è un terzino destro dalle buone attitudini offensive: ha corsa, è bravo a saltare l’uomo quando può buttare la palla in avanti nello spazio, ha una buona precisione nel cross. Il problema nasce se consideriamo che nel calcio moderno quello del terzino è un ruolo estremamente complesso: oltre alle caratteristiche difensive, al terzino sono richiesti fisicità, visione di gioco, tecnica. Dalot deve correggere gli errori di posizionamento in area e deve migliorare la gestione della palla quando è messo sotto pressione lungo la linea laterale. Basta riguardare i 45 minuti giocati contro il Liverpool per capire quanto gli scotti avere il pallone tra i piedi quando rivolge le spalle alla metà campo avversaria.

Dalot ha fatto parte della squadra nazionale campione d’Europa Under 17 e in quella vicecampione d’Europa Under 19. È uno dei migliori prospetti nel ruolo considerata la sua età, ed è cresciuto in una scuola che vanta già numerosi esempi di successo: Joao Cancelo, Nelson Semedo, Cedric Soares e Ricardo Pereira sono tutti terzini destri che si sono imposti in squadre di prima fascia. Mourinho vedeva in lui l’erede di Antonio Valencia, che ci avesse preso?

6. Gedson Fernandes, 1999 (Portogallo, Benfica)

di Dario Saltari

Dopo una veloce ascesa nel fiorente vivaio del Benfica, il talento di Gedson Fernandes sembra aver iniziato la sua prima fioritura. Con il lungo rinnovo firmato in estate, che lo lega al club lusitano fino al 2023, in questa stagione è arrivata anche la titolarità nella squadra di Rui Vitoria, che non ha avuto paura di schierarlo anche in Champions League (dove ha trovato anche il suo primo gol nella competizione, all’Allianz Arena contro il Bayern Monaco), e l’esordio in Nazionale maggiore.

In questo primo assaggio del mondo professionistico, Gedson Fernandes ha dimostrato grandi potenzialità. Con le gambe lunghe e secche da gru, e il corpo slanciato e filiforme, Fernandes interpreta il ruolo di mezzala in maniera peculiare, con una spiccata indole associativa e verticale che finisce per portarlo in area molto spesso. È lui stesso a forzare spesso la scelta per andare verso la porta, magari anche con soluzioni complesse o addirittura barocche, e infatti già adesso è il primo tra i centrocampisti del campionato portoghese sia per dribbling tentati (2.5 per 90 minuti) che per quelli riusciti (1.5 per 90 minuti), ad esclusione delle ali. Nonostante sia molto alto (184 centimetri), il centrocampista del Benfica è molto veloce nel lungo, aiutandosi con le ampie falcate in spazi aperti, e con l’intelligenza e il tempismo nei movimenti senza palla. Seppur non dotato di un controllo del pallone sempre perfetto, Fernandes sembra poter arrivare ovunque con le gambe lunghe, con cui aggiusta continuamente la conduzione in verticale e utilizza per poter recuperare il pallone in fase di uno contro uno difensivo (2.4 tackle riusciti per 90 minuti).

Gedson Fernandes sembra insomma avere grandi prospettive, anche perché il suo percorso di crescita è solo all’inizio. Possiamo scommettere, però, che già quest’estate i principali club europei faranno a gara per accaparrarselo.

7. Ismaila Sarr, 1998 (Senegal, Rennes)

di Emanuele Atturo

Nonostante stiamo imparando a conoscere Sarr solo quest’anno, e specie per le sue grandi partite d’Europa League, per acquistarlo in estate il Rennes ha dovuto pagare 17 milioni di euro al Metz. Sarr, ancora minorenne, aveva disputato una buona stagione 2016/17 con la maglia del Metz, facendo soprattutto vedere delle doti atletiche che definire “non comuni” sarebbe riduttivo.

Sarr è quel tipo di cavallo di fascia capace di correre metà campo a velocità irreale per poi alzare la testa in perfetto controllo dello spazio-tempo circostante. Non abbiamo ancora dati sulla sua velocità, ma non è assurdo immaginare che Sarr abbia dei tempi da qualificazione alle Olimpiadi.

Per esaltare questa sua potenza in progressione nello spazio, Sarr viene spesso schierato esterno a destra di una specie di 4-4-2. Ma ha giocato anche esterno alto di un 4-3-3 o attaccante centrale. Per la vicinanza di ruolo e squadra di provenienza Sarr è stato paragonato ad Ousmane Dembele, ma non ne possiede la qualità tecnica, né nel controllo palla né nella balistica. Ultimamente Sarr però sta trovando la rete con una certa continuità e delle conclusioni impressionanti, come dimostrano i gol allegati segnati in Europa League.

Per il suo gioco tutta velocità e potenza, Sarr è già un’esperienza unica tra i giovani talenti. Un anno fa ha rifiutato il trasferimento al Barcellona, preferendo una crescita più graduale. Chissà che la prossima tappa della sua carriera non sia un passaggio intermedio. Sulle sue tracce pare ci siano Inter e Arsenal, ma il costo del suo acquisto ne gonfia di certo la valutazione per il prossimo trasferimento.

8. Callum Hudson-Odoi, 2000 (Inghilterra, Chelsea)

di Marco D’Ottavi

Maurizio Sarri ha detto che Hudson-Odoi diventerà un riferimento «non solo per il calcio inglese, ma anche per tutto il calcio europeo». Allo stesso tempo ha però evidenziato come il Chelsea abbia come priorità quella di vincere piuttosto che di formare i giovani dell'Academy.

Eppure è stato proprio Sarri, un allenatore non particolarmente propenso a lavorare con i giovani, ad aggregarlo in prima squadra - invece magari di inserirlo nella girandola di prestiti tipica dei giovani del Chelsea - e a concedergli un po’ di spazio. In questa prima parte di stagione Hudson-Odoi ha collezionato 7 presenze, anche se solo una di queste in Premier. Sarri lo sta impiegando nelle coppe (FA Cup ed Europa League) dove il calciatore classe 2000 sta mostrando il suo talento.

Hudson-Odoi è un esterno offensivo che può giocare indifferentemente su entrambe le fasce. La sua velocità e i suoi strappi gli permettono di essere pericoloso anche partendo da lontano, in progressione; un fisico importante gli permette di non soccombere nei duelli fisici con i difensori - e chissà che in futuro non possa sfruttare queste doti fisiche nel ruolo di prima punta. Quando ha il pallone tra i piedi non ha paura di essere aggressivo, puntare l’uomo per guadagnare un vantaggio, in fase di non possesso deve ancora migliorare le scelte. Il suo dribbling è un po’ caotico, ma efficace, soprattutto quando parte da fermo (come nei due assist nella partita contro il Nottingham Forest).

I tifosi del Chelsea sono pazzi di lui, ma Sarri ha fatto capire che avrà uno spazio ridotto in questa stagione. Hudson-Odoi sembra impaziente, come in campo, e vuole minuti in campo già da questa stagione. Il Bayern Monaco sembra veramente interessato a lui, che il club inglese valuta almeno 40 milioni, e proverà a prenderlo già in questo mercato di gennaio.

9. João Félix, 1999 (Portogallo, Benfica)

di Daniele V. Morrone

Scartato dal Porto dopo sette anni con le giovanili per via del mancato sviluppo fisico, João Felix è stato ripescato dai grandi rivali del Benfica, che hanno puntato molto su di lui, fino al debutto con la seconda squadra appena sedicenne nel 2016 e al primo contratto da professionista con clausola rescissoria da 60 milioni. Da inizio stagione Felix è aggregato con la prima squadra, con cui sta giocando i finali delle partite in attesa di trovare più spazio nell’anno in arrivo.

Per il ruolo, la pulizia tecnica e per la squadra in cui gioca è stato paragonato con poca fantasia prima a Rui Costa e poi in modo ancora più pragmatico a Bernardo Silva. Va detto che però la figura a cui sembra ambire è quella di Kakà, suo idolo dichiarato e punto di riferimento anche stilistico (visto anche il taglio di capelli che porta). Infatti più che al controllo magnetico tra scarpino e pallone di Bernardo Silva o alla visione di gioco di Rui Costa, di João Félix stupisce l’eleganza della conduzione del pallone in corsa e la capacità di sfruttare la propria tecnica e i tempi di gioco per creare per sé e per i compagni, proprio quello che era il punto di forza di Kakà.

Nei pochi minuti in campo João Félix regala sempre una gemma, che sia un assist o un’occasione da gol grazie alla sua tecnica e alle sue letture con la palla. L’azione più famosa della sua giovane carriera fino ad ora è sicuramente il gol segnato nel derby contro lo Sporting CP, in cui, entrato a 15 minuti dalla fine con la squadra in svantaggio, è andato a trovare la perfetta incursione in area per segnare di testa il gol del pareggio a pochi minuti dal termine della partita. Il suo primo gol tra i professionisti.

10. Moise Kean, 2000 (Italia, Juventus)

di Marco D’Ottavi

Le ultime notizie danno la Juventus intenzionata a trattenere Moise Kean anche in questo mercato di gennaio. Se da una parte questa eventualità ridurrebbe di molto i suoi minuti in campo nel 2019, dall’altra potrebbe essere il più grande attestato di stima nei confronti del suo talento, confermata dalle belle parole spese da Allegri su di lui in diverse occasioni.

Perché il talento Kean ce l’ha. Guardando le sue statistiche della scorsa stagione, giocata a Verona, Flavio Fusi aveva notato una capacità di creare occasioni da gol superiore alla media, non supportata però da una capacità di finalizzazione sufficiente a questi livelli. In effetti la facilità fisica e tecnica con cui Kean riesce a creare gioco in attacco anche partendo da fermo - grazie soprattutto alla sua velocità - è la sua caratteristica distintiva, più delle reali abilità da centravanti che sono ancora acerbe (e che potrebbero portarlo in futuro a giocare sulla fascia, almeno per un periodo formativo).

Se dovesse rimanere a Torino, il posto dove troverà più spazio nel 2019 sarà la Nazionale, dove ha giocato benissimo in tutte le categorie. In estate è stato tra i migliori agli Europei under 19, con 4 gol in 5 partite e una superiorità piuttosto evidente nonostante fosse più giovane della maggior parte degli avversari. In tre partite con l’U21 ha segnato due gol, giocando una grande partita contro l’Inghilterra, una delle migliori nazionali giovanili al mondo, e guadagnandosi anche una convocazione da Mancini. Nel poco spazio avuto a disposizione in questi ultimi mesi del 2018, Kean sembra aver dimostrato anche un netto miglioramento nelle scelte, cosa che gli era mancata a Verona.

In estate ci saranno gli Europei U-21 in Italia e San Marino, il momento perfetto per valutare a che punto sia il suo sviluppo. Ad ogni modo già oggi possiamo dire che Kean potrebbe essere il futuro della nostra Nazionale, un motivo in più per seguirlo in questo 2019.

11. Phil Foden, 2000 (Inghilterra, Manchester City)

di Daniele Manusia

In questa stagione di Premier League, Phil Foden ha giocato poco più dell’equivalente di una partita intera, una novantina di minuti spalmati in otto presenza. Ha giocato tutte e tre le partite di League Cup e, proprio pochi giorni fa, è sceso in campo in FA Cup, andando anche in gol (nel 7-0 contro il Rotherham, squadra di Championship). Ha una presenza da titolare anche nell’ultima partita del girone di Champions League, ormai inutile ai fini della classifica, con l’Hoffenheim, e nel Community Shield di agosto, con il Chelsea. Troppo poco? Abbastanza? È difficile dirlo, trattandosi di uno dei tre giovani talenti più cristallini finiti nelle mani di Guardiola nel suo periodo al Manchester City; l’unico, dei tre, ad essere rimasto in squadra: Jadon Sancho sta facendo le fiamme al Dortmund, mentre Brahim Diaz ha appena firmato con il Real Madrid.

Nonostante lo scarso minutaggio, Phil Foden ha appena firmato un contratto che scade il prossimo 2024 e Guardiola ha escluso qualsiasi prestito a gennaio. Foden sta continuando l’apprendistato con maestri come i due Silva, David e Bernardo, e Kevin De Bruyne: anche se un po’ della nostra curiosità potrebbe soffrirne, probabilmente è la cosa per lui migliore. Foden resta uno dei fenomeni naturali più interessanti di una generazione che sta cominciando a venire allo scoperto adesso, con una sensibilità nel piede sinistro e un’abilità nel dribbling che gli avrebbe permesso di giocare anche sulla trequarti, ma un fisico che non gli avrebbe permesso gli strappi in velocità su molti metri di campo, come richiesto nel calcio di alto livello agli esterni (ruolo in cui ha vinto il Mondiale U-17). In mezzo al campo, come mezzala, Foden si muove molto bene in verticale, per ricevere palla dietro il centrocampo avversario o anche in area di rigore se si è aperto lo spazio dietro l’attaccante.

Foden sta affinando gli strumenti per diventare una mezzala associativa di alto livello e non gli manca l’intensità per adattarsi al calcio d’élite, anche perché è meno fragile di quello che lascia immaginare la sua corporatura. Basta che non cambi niente, e magari che le contingenze spingano Guardiola a fargli giocare qualche altra partita importante. Diciamo che se non diventa titolare a 19 anni non è proprio gravissimo.

12. Alphonso Davies, 2000 (Canada, Bayern Monaco)

di Fabrizio Gabrielli

In un pezzo di qualche settimana fa sui giovani più entusiasmanti dell’ultima MLS ho scritto di Alphonso Davies come di un giocatore eminentemente verticale, dotato di grandi potenzialità fisiche e tecniche. Un giocatore che nonostante la leggiadria in conduzione e i primi tocchi di seta non ha l’aura dell’entertainer, ma la maturità di chi gioca il pallone senza la frenesia dello stallone imbizzarrito, con la testa alta e la freddezza di chi conosce la giocata che può inclinare una gara.

Subito dopo la fine della Regular Season di MLS, in attesa di aggregarsi alla squadra a gennaio, Davies si è allenato per una settimana agli ordini di Nico Kovac, che ha intravisto in lui caratteristiche tali da permettergli di lottare subito per un posto in prima squadra. «Non dobbiamo sovraesporlo», ha detto il tecnico «ma non si prendono giocatori così per mandarli tra le riserve».

La sua velocità, la rapidità degli strappi e la predisposizione innata al dribbling di Davies (nella scorsa MLS 4.2 per partita, il migliore del campionato) sembrano essere la naturale prosecuzione della tradizione inaugurata in Baviera da Robben e Ribéry, e la risposta - a livello di hype - a Jadon Sancho o Reiss Nelson, due dei migliori giocatori in Bundesliga (e contingentemente anglosassoni) nell’affrontare l’1vs1 senza timori reverenziali. Con il vantaggio, per Davies, di una fisicità dominante già bella e formata, nonostante abbia appena diciotto anni.

13. Alessandro Bastoni, 1999 (Italia, Parma)

di Alfredo Giacobbe

Il nome di Bastoni è sui taccuini degli addetti ai lavori già da un po’, al punto che non ha fatto in tempo a sostituire all’Atalanta Mattia Caldara che su di lui è piombata immediatamente l’Inter, con un’offerta irrinunciabile da 22 milioni di euro.

Di Bastoni se n’era occupato anche L’Ultimo Uomo: Flavio Fusi lo aveva intervistato nell’ottobre 2017, mentre il capo dei match analysts delle Nazionali Antonio Gagliardi lo aveva citato come esempio virtuoso. Il ritratto di Bastoni che ne emergeva è quello del prototipo del professionista moderno, dedito con cura a tutti gli aspetti del suo lavoro, anche quelli considerati insignificanti da altri giocatori della sua età.

La carriera di Bastoni sembrava aver subito una sospensione. Dopo l’acquisto del suo cartellino, l’Inter ha sottoscritto un accordo di prestito biennale per lasciare il giocatore all’Atalanta, dove si è formato. Lo scorso anno però Bastoni ha accumulato solo 5 presenze e 177 minuti tra campionato e Coppa Italia. Forse l’Atalanta ha solo deciso di dare priorità agli altri talenti dal suo vivaio (Gianluca Mancini nello stesso periodo ha giocato 850 minuti), e di fatto Bastoni ha perso una stagione nel suo percorso di sviluppo. L’Inter ha così forzato la mano, rompendo l’accordo biennale con l’Atalanta e girandolo il prestito al Parma.

Di primo acchito, il Parma sembrava una soluzione controintuitiva per Bastoni. Era descritto da tutti come un difensore moderno, abile nella gestione della palla, bravo a leggere lo schieramento avversario e a piazzare un passaggio verticale taglia-linee. Il Parma di D’Aversa richiede ai suoi giocatori tutt’altro tipo di gioco: è attualmente la squadra con la minor percentuale di possesso palla della Serie A, i cui difensori passano la maggior parte del tempo a presidiare l’area di rigore, attenti in marcatura e impegnati per lo più nei duelli aerei che con il pallone a terra.

In questo ambiente tattico che si supponeva ostile per lui, Bastoni sta invece fiorendo. Titolare ormai da 8 partite consecutive, Bastoni sta facendo valere le sue buone doti di lettura del gioco, alternando interventi in avanti in chiusura e copertura della profondità. Senza dimenticare il gusto, quando può, del lancio in avanti direttamente sulle punte del tridente del Parma.

14. Ritsu Doan, 1998 (Giappone, Groningen)

di Daniele V. Morrone

Doan ha deciso di bruciare le tappe quando diciannovenne non era ancora neanche arrivato a 20 partite con il Gamba Osaka e ha deciso di trasferirsi nei Paesi Bassi. In un anno e mezzo Doan è diventato la stella del Groningen, dando ragione alla sua scelta. Quello che ha fatto funzionare subito Doan nei Paesi Bassi è l’accoppiata di doti tecniche e fisico compatto, un baricentro basso e delle gambe potenti, che gli garantiscono un ottimo controllo del pallone e soprattutto un calcio fuori categoria: può calciare da qualunque posizione del campo e riesce ad armare il sinistro senza il minimo preavviso. Per dire, solo nel 2018 ha segnato 4 gol da fuori area e ha già raggiunto i 15 gol totali in Eredivisie pur partendo come esterno.

Le prestazioni da protagonista con una squadra in zona retrocessione, hanno messo in allerta le squadre che si trovano sopra al Groningen nella catena alimentare: dall’Ajax al Newcastle e si parla perfino della Juventus, dell’Atlético e del Manchester City. Il presidente del Groningen ha già sventolato bandiera bianca a riguardo:«abbiamo notato un crescente interesse in lui da altre squadre, una cosa logica ovviamente, arriverà il momento in cui non potremo più trattenerlo». Intanto nel 2018 Doan ha già debuttato in Nazionale (con cui è già andato in gol contro l’Uruguay) ed è stato convocato per giocare anche la Coppa d’Asia 2019. Sarò uno dei volti nuovi del Giappone candidato al titolo continentale.

15. Carles Aleñá, 1998 (Spagna, Barcellona)

Di Daniele V. Morrone

Dopo anni di strane gestioni con i giovani della Masia, con Aleñá (o Alenya, se preferite il catalano) il Barcellona sembra non aver sbagliato nulla e ora ne sta raccogliendo i frutti. A 20 anni Aleñá, complice il brutto infortunio di Rafinha, è la mezzala destra di riserva del Barcellona, con cui ha giocato già da titolare nella Coppa del Re e in Champions League ed è entrato più volte a partita in corso nella Liga (in cui ha segnato già il suo primo gol, su assist di Messi). Dopo un percorso di crescita costante il suo 2019 sarà quindi l’anno più importante della sua carriera fino ad ora, perché sarà l’anno in cui bisognerà capire se si tratta veramente di un giocatore che può far parte delle rotazioni di una squadra che ambisce a vincere tutto ogni anno.

Più verticale e aggressivo di quanto possa sembrare a prima vista, e decisamente più strutturato fisicamente rispetto al prototipo della mezzala cresciuta nella Masia, Aleñá è un giocatore elettrico, che sembra potersi sempre accendere in un attimo. Un giocatore diverso rispetto a quelli a disposizione di Valverde nel modo di sfruttare la tecnica e di leggere il gioco. Aleñá è sempre proattivo in qualsiasi cosa faccia e sa trovare la posizione giusta in cui confluirà il gioco. Soprattutto, non ha paura di sbagliare.

Aleñá è uno di quei giocatori che sembrano già adulti, anche quando sbagliano le scelte o mancano di precisione nel gesto, e che sembrano comunque essere al passo con il ritmo dei grandi, vogliosi di prendersi responsabilità in campo.

16. Francisco Trincão, 1999 (Portogallo, Braga)

di Daniele Manusia

La generazione di calciatori nati nel 1999 in Portogallo è particolarmente ricca di talento offensivo. L’Europeo U-19 vinto in finale con l’Italia la scorsa estate è sembrato la giusta conferma su un percorso che, per giocatori come Francisco Trincão, è ancora tutto da tracciare. Nonostante si tratti di un giocatore ovviamente molto giovane, che deve ancora esordire in prima squadra con il Braga, Trincão sembra un giocatore maturo tecnicamente e tatticamente. Di solito gioca a piede invertito sull’esterno destro, ma può giocare in tutti i ruoli offensivi. Con il piede sinistro può fare praticamente qualsiasi cosa, portare palla con l’interno o con l’esterno, rientrare o andare lungolinea. All’occorrenza può usare anche il destro, per proteggere la palla con il corpo mentre corre o per crossare.

Anche sul piano fisico parte da un’ottima base (è alto un metro e 84), può fare a spallate un attimo prima e poi andarsene in dribbling quello dopo, e magari in futuro potrà giocare anche in zone più centrali di campo. Gli manca l’esplosività muscolare delle ali di primissima fascia ma (a parte che senz’altro crescerà muscolarmente) ma ha già un dinamismo e un istinto nei movimenti senza palla sviluppatissimo. Insieme a Jota, è stato tra i protagonisti dell’Europeo, e non solo per i 5 gol segnati (capocannoniere a pari merito con Jota, appunto, e diciamo che la candidatura di Trincão vale per tutti e due). Di Trincão si sta già parlando per le squadre europee più grandi (Juventus, che sembra la più vicina, Inter, Chelsea) e sarà interessante scoprire quale sarà la sua prossima tappa e come si evolverà il suo talento.

17. Pietro Pellegri, 2001 (Italia, Monaco)

di Emanuele Atturo

Non ancora maggiorenne, Pellegri ha già un lungo curriculum di infortuni alle sue spalle. Lo scorso anno, appena arrivato al Monaco per l’assurda cifra di 31 milioni di euro, ha saltato quasi tutto il girone di ritorno per un problema di pubalgia che sembra portarsi dietro anche in questa stagione, dove Pellegri si è infortunato a fine settembre, dopo aver segnato il suo primo gol con la maglia del Monaco.

La rete, segnata al Bordeaux all’ora di gioco, racchiude alcuni dei motivi per cui Pellegri è da considerare come uno dei giovani più interessanti del calcio mondiale. In pressing ruba palla al difensore, lo tiene a distanza con il corpo e, in caduta, tira di sinistro - il piede debole - all’incrocio opposto.

Se Pellegri finora è stato un prodigio di precocità - è il calciatore più giovane ad aver esordito in Serie A, e il più giovane autore di una doppietta - è soprattutto per uno strapotere fisico che lo metteva fuori scala a livello giovanile, e che riesce a fare la differenza anche tra i grandi. Ricordate il suo primo gol in Serie A? Una fuga in contropiede resistendo alla pressione e alla velocità di Manolas, uno dei centrali di difesa più veloci al mondo.

Se avete nostalgia di un’epoca in cui i numeri 9 della Nazionale asfaltavano le difese avversarie - Bobo Vieri, Riva, Luca Toni - dovete assolutamente seguire l’evoluzione di Pietro Pellegri anche in questo 2019, l’anno in cui diventerà maggiorenne.

18. Reiss Nelson, 1999 (Inghilterra, Hoffenheim)

di Emanuele Mongiardo

È impossibile restare indifferenti di fronte al talento di Ress Nelson. Come Sancho, con cui è cresciuto, un altro giocatore inglese che ha deciso di farsi le ossa in Bundesliga. Nelson è uno dei migliori prodotti del calcio inglese, un calciatore con una sensibilità tecnica ad alti ritmi speciale, che gli ha permesso di emergere anche in un contesto competitivo come l'Hoffenheim.

Le qualità di Nelson sono evidenti già al primo contatto col pallone, dal modo con cui lo accarezza per mettersi in ritmo e preparare l'uno contro uno, il vero tratto distintivo del suo gioco. Salta l'uomo con facilità e il suo dribbling è efficace in contesti diversi. Data la sua straordinaria velocità si potrebbe pensare a una classica ala inglese, in grado di superare l'avversario soprattutto in campo aperto. Invece il tocco di Nelson è morbido anche in spazi stretti. Il controllo di palla gli permette di reagire al meglio alle scelte dei difensori anche in situazioni di attacco posizionale. Ecco perché non ha paura di condurre palla verso zone di campo presidiate da due o tre difensori. Per rendere idea della facilità con cui Nelson riesce a saltare l'uomo, si pensi che nei tredici minuti giocati durante Hoffenheim-Shakhtar ha completato ben quattro dribbling, migliore in questa statistica insieme a Demirbay che però aveva giocato tutti i novanta minuti.

Nelson insomma è un giocatore elettrico, che Nagelsmann per ora cerca di sfruttare soprattutto a partita in corso. Ha giocato sia da trequartista nel 3-4-2-1, su entrambi i lati, sia da mezzala nel 3-5-2. Ama ricevere soprattutto a sinistra. Da lì può convergere per puntare la porta o in prima persona, grazie ai dribbling, o con rapide combinazioni a ridosso dell'area. In alternativa, la velocità e la buona sensibilità del piede debole, il sinistro, gli permettono di condurre verso il fondo per crossare.

La fiducia nei suoi mezzi, giustificata da un talento nel dribbling fuori dal comune, lo porta a volte a tenere troppo palla; cercare il duello individuale come prima opzione spesso gli preclude altre possibilità di gioco più semplici ma più funzionali. In rosa è terzo per palloni persi ogni novanta minuti, ben 2,2.

Di contro, questo dato dice molto della volontà di Nelson di incidere sulla partita. Un atteggiamento che ha effetti positivi anche senza palla. Ad esempio quando c'è da correre in verticale per dettare il passaggio al compagno; in questo modo spesso si ritrova in area e così si spiegano alcuni dei sei gol realizzati in Bundes. O ancora in fase difensiva, sia quando c'è da pressare alto, sia, soprattutto, quando c'è da rientrare.

Nelson non si risparmia se deve correre all'indietro e la sua generosità lascia intuire un'attitudine al gioco di squadra che magari, in futuro, potrà portarlo a migliorare alcuni aspetti della sua fase offensiva. In ogni caso, se amate i dribblomani Nelson è un giocatore appagante da vedere già adesso.

19. Éder Militão, 1998 (Brasile, Porto)

di Emanuele Atturo

Se state un minimo dietro alle voci di calciomercato saprete che uno dei difensori più desiderati degli ultimi giorni si chiama Eder Militão: 20 anni, brasiliano, attualmente al Porto.

Sulle sue tracce c’è una lista di club fittissima e quasi non ricostruibile, ne cito una manciata: Liverpool, Borussia Dortmund, Roma, Tottenham, Inter. Il motivo di tanta attenzione è davanti ai nostri occhi: Militao gioca in difesa ma ha la tecnica e la visione di gioco di un regista avanzato. Nel Porto gioca centrale di sinistra; quando il portiere rinvia dal fondo si allarga fin quasi alla linea laterale e quando riceve ama alzare la testa e vedere se c’è un compagno libero dal lato opposto del campo. I suoi cambi di gioco di quaranta metri - precisissimi sui piedi, calciati con rilassatezza golfistica - sono senz’altro la sua signature move. In Brasile, con la maglia del San Paolo, Militao giocava invece sulla fascia destra, dove poteva dare sfogo a tutti i suoi istinti offensivi e a una velocità, specie in allungo, che ora lo aiuta nella copertura della profondità.

In fase difensiva Militao è ancora poco decifrabile. I blandi ritmi del campionato portoghese gli permettono uno stile di gioco compassato, che al momento sembra il suo principale limite in un calcio che costringe i difensori a scannerizzare ciò che li circonda in brevissimo tempo. Per essere un difensore dall’aria moderna, Militão non ha un fisico in grado di dominare gli avversari - è alto un metro e 86 e non è particolarmente esplosivo - e non neanche troppo tecnico nell’uno contro uno - vista anche la sua formazione non da difensore centrale. I suoi limiti difensivi, insomma, sono ancora tutti da testare. Nel campionato portoghese raramente ci sono punte molto atletiche da fronteggiare e Militao può limitarsi ad aspettare che i suoi avversari facciano la prima mossa per accompagnarli.

Militão sembra un ottimo progetto di difensore moderno, ma ancora non se ne capisce lo spessore. Non è detto poi che non possa tornare a giocare sulla fascia. Ne sapremo di più in questo 2019.

20. Kai Havertz, 1999 (Germania, Bayer Leverkusen)

di Dario Saltari

Kai Havertz è il grande predestinato del calcio tedesco. Dopo appena due stagioni di maturazione al Bayer Leverkusen, il 19enne tedesco sembra già pronto per il salto in una grande squadra: ora che siamo entrati nella sessione invernale di mercato, i rumor si stanno sprecando (Bayern Monaco, ovviamente, ma anche PSG, Real Madrid, Barcellona e Inter, tra gli altri). D’altra parte, questa prima parte di stagione è servita ad Havertz a dimostrare che le aspettative erano ben riposte: il centrocampista del Leverkusen è già a quota 9 gol e 6 assist tra Bundesliga e Europa League, e a settembre ha esordito in Nazionale maggiore.

Dando per scontato un suo trasferimento, magari in estate, il 2019 ci darà delle prime indicazioni su quanto il tedesco sia pronto per il calcio d’élite. Havertz è un centrocampista atipico, con una qualità unica nel trovare i compagni dietro le linee e una grande qualità negli inserimenti in area. Nonostante la qualità eterea del suo tocco di palla, però, non è molto particolarmente veloce o fisico, e potrebbe avere più di una difficoltà al restringersi dei tempi e degli spazi per eseguire una giocata. In ogni caso, l’anno che ha di fronte a sé sarà solo il primo gradino del processo di adattamento del suo gioco a richieste ed aspettative sempre più alte, e ci potrebbe voler del tempo prima che si completi del tutto.

21. Giorgi Chakvetadze, 1999 (Georgia, Gent)

di Marco D’Ottavi

Se avete amato i bassifondi della Nations League, avrete sicuramente visto Giorgi Chakvetadze prendere in mano la Georgia e guidarla alla promozione con 4 gol e 3 assist in 6 partite. Un’esplosione tanto fragorosa quanto inaspettata, avendo Chakvetadze solo diciannove anni.

Giorgi Chakvetadze unisce il talento un po’ pazzo e smaliziato dei migliori prospetti dell’est Europa ad una praticità e risolutezza che lo rende adatto al miglior calcio europeo. Nel Gent gioca indifferentemente come trequartista o esterno sinistro, avendo una predisposizione naturale ad occupare più zone di campo.

Molto abile nel dribbling e nell’ultimo passaggio, ha un piede destro molto preciso anche se discontinuo. Con la sua velocità è in grado di attaccare bene gli spazi o tagliare dall’esterno verso l’interno. Ma soprattutto Chakvetadze ha la capacità di sorprendere con le sue giocate, una qualità rara.

Nel Gent sembra di un altro livello rispetto ai suoi compagni e nel campionato belga riesce ad essere incisivo anche in fase di copertura, interpretando il suo ruolo con una ricchezza ed una varietà che promettono uno sviluppo non solo interessante, ma anche molto versatile (in questo somiglia un po’ a Golovin). Il suo trasferimento in un campionato più probante è solo questione di tempo e in questo 2019 potrebbe fare il definitivo salto di qualità per meritarselo.

22. Ferrán Torres, 2000 (Spagna, Valencia)

di Emiliano Battazzi

Nessuno ha ancora capito il segreto calcistico della provincia valenciana: ma qualcosa deve esserci, se continuano ad emergere talenti cristallini come quello di Ferrán Torres. Nato a Foios, paese di settemila abitanti a pochi chilometri da Valencia, Torres è entrato nelle giovanili della squadra del cuore all’età di 7 anni: gliene sono bastati altri 10 per esordire in prima squadra, nel novembre del 2017 in Coppa del Re. Due settimane dopo, a dicembre 2017, entra a pochi minuti dalla fine nella trasferta contro l’Eibar: il primo nato nel 2000 a giocare nella Liga. Ferrán non era lì per caso: aveva già una dozzina di presenze nella seconda squadra, ed era stato uno dei cardini della Nazionale Under 17 spagnola campione d’Europa e vice-campione del mondo, giocando da ala destra in un classico 4-3-3.

Nel calcio giovanile le qualità di Ferrán Torres erano troppo evidenti: grandissima velocità sia nello scatto che in progressione; grande abilità nello stretto; capacità di giocare con entrambi i piedi; totale imprevedibilità con il pallone. I video in cui umilia giovani terzini francesi, italiani, inglesi sono impressionanti ma ormai poco significativi: in appena un anno, Torres ha già raccolto 30 presenze nella prima squadra, confermando alcuni pregi ed evidenziando alcune debolezze.

Dopo i primi 6 mesi molto positivi, in cui Marcelino gli ha concesso scampoli di gioco ma anche due partite da titolare nella Liga - in una squadra che si giocava il posto in Champions - Torres è adesso alla prova decisiva per un ragazzo: confermarsi. Questa prima metà di stagione, però, non è andata benissimo: ha esordito in Champions League, ma ha giocato solo 515 minuti in tutto, a volte con poca convinzione, cominciando a sollevare i mormorii dei tifosi - sempre i più esigenti con i prodotti della cantera.

Un prestito sembrava dietro l’angolo, ma la moria di centrocampisti ha spinto Marcelino a puntare di nuovo su Ferrán, che nel 4-4-2 valencianista può davvero sviluppare tutti gli aspetti: migliorare la visione del gioco e la tecnica di tiro, oltre ad irrobustirsi fisicamente.

Il Valencia sembra essersi bloccato, e così lo sviluppo di Torres, ma l’una ha bisogno dell’altro. Per meritare la clausola rescissoria da 100 milioni, l’ala destra dovrà confermare le sue qualità: il buon primo controllo, la capacità di saltare sempre l’uomo anche grazie agli improvvisi cambi di direzione, i tagli esterno-interno. Così giovane, è già al momento giusto per un salto di qualità: deve sviluppare il suo gioco meno per istinto, darsi più pausa per capire come creare superiorità, per poter diventare una grande ala destra rapida e dribblomane, ma creativa - come forse non se ne vedono in Liga dai tempi del primo Joaquín al Betis.

23. Boubacar Kamara, 1999 (Francia, Marsiglia)

di Dario Saltari

Dentro quel caos drammatico che è la stagione del Marsiglia di Rudi Garcia, sta faticosamente emergendo il talento di Boubacar Kamara, difensore francese con origini in Mauritania. Dopo una stagione di apprendistato (12 presenze tra Ligue1 e Europa League nella stagione 2017/18), quest’anno Kamara si è imposto da titolare, e questa è già una notizia vista le difficoltà, soprattutto difensive, che sta attualmente affrontando il Marsiglia (la squadra di Rudi Garcia ha subito 26 gol in campionato ed è la settima peggior difesa in Francia).

Al netto di qualche sbavatura dovuta in parte all’inesperienza e in parte alla disorganizzazione del Marsiglia (come, ad esempio, l’ultimo gol subito contro il Nantes nella penultima giornata di campionato), Kamara ha un talento eclettico, che si riflette in una flessibilità tattica spiccata, che lo ha portato a giocare sia al centro della difesa, sia da terzino sinistro (e secondo Rudi Garcia, potrebbe giocare anche da mediano). Il difensore del Marsiglia è quasi ambidestro, ma è con il suo piede naturale (il destro) che esprime al massimo la sua grande visione di gioco, con una sensibilità tecnica che è raro vedere in zone di campo così arretrate. Anche senza il pallone Kamara ha un’interpretazione molto tecnica del suo ruolo, prediligendo il tempismo degli interventi sul pallone e il posizionamento alla fisicità pura e i tackle, nonostante sia molto veloce sui primi passi e sia molto aggressivo quando c’è da difendere in avanti.

Una scelta coraggiosa per un difensore della sua età, e che non sempre paga, ma che quantomeno mette in luce una fiducia nei propri mezzi che potrebbe farlo crescere ulteriormente. Sarà interessante vederlo evolversi ulteriormente nel 2019, magari in una squadra che non lo costringa ogni volta a prendere decisioni difficili e fare interventi eccezionali.

24. Riqui Puig, 1999 (Spagna, Barcellona)

di Daniele V. Morrone

Il primo anno post Iniesta nel Barcellona è coinciso con il primo anno in cui Puig, il giocatore della Masia che più sembra ispirarsi a lui, si è affacciato alla prima squadra. A Barcellona ci credono tantissimo in lui ed è facile capire il perché quando lo si vede giocare, basta un’azione di Riqui Puig per capire come sembra nato per giocare mezzala nel Barça: come orienta il corpo prima di ricevere il pallone, come si libera con facilità della pressione avversaria palla al piede, le scelte che prende nel liberarsi del pallone e come si muove dopo il passaggio. Il suo calcio è un compendio di anni e anni di dettami della scuola calcio catalana. Volendo usare le parole con cui Gennaro Gattuso ha parlato di lui nel post partita di un’amichevole estiva quando l’ha visto giocare dal vivo per la prima volta: «È uno spettacolo vedere come tratta il pallone, una meraviglia, sembra poesia».

Non è da escludere però la possibilità che Riqui Puig non diventi mai un giocatore di altissimo livello. Questo perché per quanto paradossalmente il suo cognome in catalano significa “montagna”, il suo fisico non sembra al momento quello di un giocatore in grado di reggere ad alti livelli. Intendiamoci, il Barcellona ha già un piano per farlo piano piano strutturare fisicamente, ma a vederlo ora ancora con il suo fisico da ragazzino delle medie - due gambe magrissime e la faccia da bambino - non si può non pensare che tutto quel talento potrebbe non bastare per reggere i contrasti più duri e le partite ogni tre giorni che aspettano chi gioca con la maglia del Barça. Purtroppo è necessario mettere le mani avanti quando si parla di Puig, perché nonostante tutto il talento dimostrato, quello dello sviluppo fisico è il tema centrale del suo 2019.

25. Timothy Weah, 2000 (USA, PSG)

di Fabrizio Gabrielli

Per un certo periodo - analizzandolo col senno di poi, forse fin troppo ristretto- , nelle primissime battute della stagione, la carriera di Timothy Weah è sembrata l’incarnazione del suo modo di stare in campo. Con un’accelerazione bruciante si è affacciato tra i professionisti rubandoci il cuore.

I 143 minuti in cui è sceso in campo, se da una parte fanno di Tim l’attaccante con la migliore media reti dell’intero attacco del PSG (due reti in poco più di una partita e mezza), dall’altra non sono bastati per sovvertire le gerarchie di Tuchel (a rendergli il compito più difficile c’è stato anche l’ingaggio sul filo di lana di Choupo-Mouting, che forse era di per sé eloquente della fiducia che il tecnico nutrisse nei suoi confronti): a conti fatti, nel 2018 Timothy Weah ha collezionato più minuti con la Nazionale USA che con il suo club.

Per questo, il giorno di Natale, con un post su Instagram, ha annunciato di voler lasciare il PSG a gennaio, e trascorrere in prestito il semestre che dovrebbe portarlo a lottare per un posto in Nazionale in vista della Gold Cup. «Non puoi attendere i tuoi sogni: bisogna andarseli a cercare», aveva detto solo poche settimane fa in un’intervista a Hypebeasts.

Tra le destinazioni possibili, la più plausibile sembra essere i Celtic di Brendan Rodgers: un contesto che non ridimensiona le ambizioni di Weah jr (stiamo pur sempre parlando di una squadra gloriosa, quasi senza rivali in patria e che giocherà le fasi finali dell’Europa League), semmai gli conferisce sfumature nuove. E poi quanto sarà cool Tim con la maglia a strisce orizzontali dei Bhoys?

26. Justin Kluivert, 1999 (Olanda, Roma)

di Dario Saltari

Dopo l’ultima vittoria di campionato, conseguita dalla Roma sul campo del Parma, Justin Kluivert ha rilasciato un’intervista al sito olandese Elfvoetbal.nl. «I primi sei mesi sono stati personalmente buoni e penso che potrò mostrare ancora di più sia a livello personale che a livello di squadra nel 2019», ha dichiarato Kluivert «Il meglio deve ancora venire». Effettivamente, per essere un giocatore di 19 anni con appena due stagioni tra i professionisti, Kluivert ha avuto un impatto per certi versi sorprendente, soprattutto se consideriamo i primi sei problematicissimi mesi della nuova stagione giallorossa.

La giovane ala olandese ovviamente non ha avuto un rendimento costante e anche il suo minutaggio in fin dei conti è stato limitato, ma abbiamo comunque potuto apprezzare sprazzi delle sue potenzialità, e non era affatto scontato. La sua stagione è iniziata alla grande, con la fulminante azione personale conclusa da assist con cui ha spaccato la partita contro il Torino (vinta dalla Roma per 0-1 grazie al gran gol di Dzeko), che però non è stata un preludio ad un cammino da predestinato. Nonostante ciò, Kluivert ha comunque concluso il girone d’andata con 2 gol e 3 assist in tutte le competizioni, 1.5 dribbling riusciti (solo El Shaarawy nella Roma fa meglio) e soprattutto 2.9 passaggi chiave per 90 minuti (in questo caso è Pellegrini l’unico della squadra di Di Francesco a superarlo). Insomma, Kluivert sembra avere un grosso potenziale creativo e sarà interessante vederlo maturare nel corso del 2019.

27. Sandro Tonali, 2000 (Italia, Brescia)

di Dario Saltari

Con l’unica eccezione di Nicolò Zaniolo, che gode però dei riflettori della Serie A e della Champions League, Sandro Tonali è di gran lunga il giovane talento italiano intorno a cui si è raccolto più hype nel 2018. L’anno di Tonali è stato eccezionale da tanti punti di vista: ha prima disputato un buon Europeo Under 19, che lo ha portato fino alla finale (persa ai supplementari contro il Portogallo), poi è stato convocato da Mancini per la Nazionale maggiore e infine è stato incoronato come miglior giovane della Serie B durante il Gran Galà del calcio AIC. Con i rumor che lo vorrebbero sempre più vicino ad una squadra italiana di prima fascia (soprattutto Juventus, Inter e Roma sembrano vicine), al momento sembra quasi inevitabile che Tonali faccia il salto di qualità nel 2019, magari anche solo passando in Serie A (chissà, forse anche rimanendo al Brescia, che al momento sembra avere buone possibilità di essere promosso nella massima serie).

Tonali è un giocatore peculiare, un regista con un tocco di palla raffinatissimo e una grande visione di gioco. Il centrocampista del Brescia sembra essere nato per il ruolo, almeno con il pallone, con un ottimo gioco spalle alla porta e un tiro potente sia di destro (il suo piede naturale) che di sinistro. I suoi limiti cominciano quando la squadra non è più in possesso: Tonali ha il baricentro alto ed è particolarmente lento, caratteristiche che lo rendono vulnerabile quando è costretto a difendere su campo lungo e nei momenti immediatamente successivi alla perdita del pallone. Il suo è in un certo senso un talento vintage, che non si può fare a meno di accostare a quello di Pirlo (nonostante lui abbia detto di ispirarsi a Gattuso), ed è naturale chiedersi se possa fiorire anche nel calcio fisico e frenetico dei nostri giorni. Il 2019 ci darà delle prime risposte, ma essendo Tonali addirittura un classe 2000, è inevitabile che la strada sia ancora molto lunga.

28. Fedor Chalov, 1998 (Russia, CSKA)

di Daniele V. Morrone

Il ricambio generazionale orchestrato dal CSKA sotto Goncharenko ha portato ad un carrellata di nuovi nomi con tantissime responsabilità in una squadra che lotta per il titolo e ha partecipato ai gironi di Champions League. Tra i tanti nomi quello che più di tutti sta sfruttando l’occasione è la punta Fedor Chalov, che nell’arco di pochi mesi è passato da giovane promessa in rampa di lancio ad attuale capocannoniere del campionato russo con 9 reti in 17 partite giocate. E tra i tanti talenti dell’est Europa forse è quello che ha già in dote qualità che potrebbero essere testate nei grandi campionati occidentali.

Chalov è un giocatore in grado di crearsi da solo l’occasione da gol, che quando si tratta di finalizzare la manovra è in grado di tirare in porta da ogni zona dell’area di rigore, grazie anche al fatto di essere praticamente ambidestro. Ma è soprattutto una di quelle punte moderne, in grado di partecipare alla manovra della squadra lontano dall’area andando oltre la spizzata sui lanci, in grado poi di dare profondità con i movimenti senza palla e di portare pressione sui centrali avversari. Forse proprio il fisico non molto strutturato (181 centimetri d’altezza), che non lo avvantaggia nella protezione del pallone spalle alla porta sui lanci della difesa e in generale nei contrasti aerei, lo ha portato a sviluppare un gioco che lo spinge alla ricezione in zone lontane dall’area, per potersi associare subito con il compagno vicino e arrivare in un secondo momento in area per arrivare alla conclusione.

Molto bravo nelle letture lontano dall’area è quindi utile non soltanto come finalizzatore, ma anche nella rifinitura della manovra (in campionato effettua 2,3 passaggi chiave per 90 minuti; già 4 assist). Per questo può giocare indifferentemente da riferimento unico o in coppia con funzioni da seconda punta. Più in generale, dà il meglio quando ha accanto giocatori in grado di assecondarne i movimenti, mentre va in difficoltà quando finisce a battagliare da solo contro i centrali avversari. Vedremo se il 2019 gli riserverà un passaggio nel Vecchio Continente.

29. Yacine Adli, 2000 (Francia, PSG)

di Emanuele Atturo

Alla fine della scorsa estate il contratto di Yacine Adli era in scadenza e su di lui c’erano squadre come Barcellona, Arsenal, Bayern Monaco, Manchester City e Juventus. Il 2 luglio Adli ha però firmato un prolungamento di contratto fino al 2021, con la promessa di trovare un po’ di spazio in più nel PSG.

Adli è un centrocampista alto un metro e 86 con in testa un grosso casco di capelli. Col PSG gioca mezzala, soprattutto a sinistra. In campo si muove con una rara lentezza, per poi accendersi all’improvviso con percussioni centrali o cambi di gioco o lanci in profondità che mettono in mostra una sensibilità speciale nel suo piede destro, oltre che una visione di gioco sempre ambiziosa.

Con la Francia giovanile ha spesso giocato anche da esterno d’attacco. Sembra un ruolo inadatto a un giocatore all’apparenza lento, ma Adli è capace di accelerazioni improvvise, dove comincia a correre con la palla attaccata al piede e un’andatura ciondolante da giocatore anni ’70. Negli spazi stretti Adli ha una tecnica da strapparsi gli occhi, con un controllo di suola - destra e sinistra - che nel calcio francese davvero non si vedeva dai tempi di Zidane. La sua dote migliore rimane però una visione di gioco da vero rifinitore, che in questo 2019 dovrà capire come affinare per essere efficace anche nel calcio ad alti livelli.

Adli, che ha comunque appena 18 anni, finora ha giocato quasi esclusivamente a livello giovanile, dove i suoi mezzi tecnici gli permettono di cercare giocati individuali senza soluzione di continuità. Tra i professionisti dovrà provare a dosare il proprio repertorio, specie giocando in un ruolo delicato come quello della mezzala. Tuchel ha comunque dimostrato di avere una grande fiducia nelle giovanili del PSG e non è detto che Adli non possa trovare il suo spazio già in questo nuovo anno.

30. Vinícius Júnior, 2000 (Brasile, Real Madrid)

di Daniele V. Morrone

L’arrivo in prima squadra di Solari come allenatore del Madrid ha accelerato la carriera di Vinícius, che è passato dal fare su e giù tra allenamenti con la prima e giocare con la seconda squadra, ad entrare pienamente nella rotazione della prima squadra. Se con Lopetegui erano arrivati solo una manciata di minuti giocati nei finali, con Solari Vinicius è diventato ufficialmente la prima riserva come attaccante esterno a sinistra e ha giocato da titolare nella Liga, in Copa del Re e in Champions League. Senza un sistema ben calibrato, il Madrid si affida esclusivamente al talento dei suoi giocatori in campo e, in quanto, a talento è innegabile che Vinícius vale il Madrid.

Stiamo parlando di un giocatore ultra motivato, che prova forse anche più del necessario nei minuti in cui è in campo, risultando anche troppo ambizioso, a volte varca il confine e diventa lezioso. Va detto che con la palla non è troppo egocentrico, per quanto un diciottenne con gli 80mila occhi addosso del Bernabeu possa non esserlo. Riesce insomma ad alternare bene passaggi per i compagni con i tempi giusti a tentativi di trick da FIFA (che gli riescono a giorni alterni). Già maturo tecnicamente nel tocco del pallone, è imprevedibile nella giocata e nella posizione in cui riceve, ma vuole incidere sempre e ha già un bagaglio tecnico sopra la media per il ruolo.

Certo, per il momento si intravedono soltanto le letture necessarie a sfruttarlo appieno ma, grazie a una grande creatività, sembrano esserci tutti i margini per avere un giocatore in grado di decidere quando e come essere determinante in una partita. In questo, e in generale nel calcio che propone, sembra una versione 2.0 del primo Robinho sbarcato a Madrid. Un giocatore dalla sensibilità tecnica sopraffina, in grado di trovare modi per sfruttarla lungo tutto il campo. Una versione però aggiornata perché non solo è mentalmente già pronto, ma soprattutto ha un fisico già sviluppato nonostante l’età, già elastico nella muscolatura e potente quando serve. Il 2019 sarà un altro anno in cui sarà interessante seguire da vicino la scalata di quello che somiglia a un predestinato.

31. Exequiel Palacios, 1998 (Argentina, River Plate)

di Fabrizio Gabrielli

Se paragonassimo il 2018 di Exequiel Palacios a un fuoco d’artificio ci accorgeremmo che la scia luminosa tracciata nel cielo, carica di aspettative, non è corrisposta a una di quelle deflagrazioni variopinte, ma più allo stupore pirotecnico, regale e silenzioso, dei razzi che terminano in una pioggia brillante, in una cupola da salice piangente, affascinante e malinconica allo stesso tempo.

Il ventenne del River Plate, che ha anche già esordito in Albiceleste con Scaloni, è ora in quello status classico per i giovani argentini in bilico tra “futuro crack” e “progetto di bolla speculativa”: il Real Madrid sembra averlo segnato sul suo taccuino come primo rinforzo per il mercato di gennaio, anche se a onor del vero andrebbe rimarcato come nelle grandi occasioni di ribalta che l’hanno visto protagonista nell’ultimo mese, la finale di Libertadores e il Mondiale per Club, Palacios non ha poi brillato, né tecnicamente né in termini di personalità, quanto ci saremmo potuti aspettare, e quanto fosse lecito farlo.

Mezzala che viene spesso impiegato a piede invertito (è destro, e sia nel River che nell'Argentina viene impiegato a sinistra), di lui stupisce la tendenza innata alla verticalità, lo stile minimalista e associativo, un gioco che si avvicina molto a quello dell’ultimo Giovani Lo Celso, del quale nell’Albiceleste rappresenta il doppelganger. Palacios, alla classe sopraffina, unisce però anche un sentimento assai radicato da box-to-box tradizionale: aggredisce il portatore di palla avversario, gli sradica la sfera, ma poi è anche capace di sfatare ogni cliché sull’impetuosità ammaestrando le sponde con un controllo orientato, nascondendo il pallone agli occhi avversari.

Il 2019 ci dirà che tipo di giocatore può diventare Exequiel Palacios: e chissà che - nonostante sembri che la trattativa con il Real Madrid per l’acquisto sia praticamente cosa fatta - rimanere ancora un semestre nei Millonarios, dove potrebbe continuare a padroneggiare il centrocampo con l’arroganza dei ventenni, non sia davvero la soluzione migliore per portarne a compimento il processo di affinamento.

32. Nicolò Zaniolo, 1999 (Italia, Roma)

di Emanuele Atturo

A luglio nessuno sapeva chi fosse Nicolò Zaniolo, che in 6 mesi ha esordito al Santiago Bernabeu, è arrivato in finale dell’Europeo Under 19, ha segnato il suo primo gol in Serie A e, più in generale, si è affermato come uno dei talenti più eccitanti del calcio europeo.

Zaniolo è alto un metro e 90, ha un fisico da giocatore di football, con spalle larghe e quadricipiti possenti. Ma ha anche un sinistro piuttosto delicato e un’intelligenza nelle scelte incredibile se messa in rapporto alla sua età. È ancora una massa di talento grezzo, lontano dal trovare una sua forma definitiva.

In questo senso, nel 2019 dovremo capire diverse cose di Zaniolo:

- Se, come lui stesso dice, può trovare una consacrazione nel ruolo di mezzala, reprimendo in parte i suoi istinti offensivi; oppure se continuerà ad esprimersi da trequartista, che al momento sembra l’unica casella aperta per lui nel 4-2-3-1 con cui gioca la Roma.

- Se troverà una continuità come titolare in una squadra da Champions League come la Roma.

- Se Roberto Mancini lo considererà un elemento utile per la Nazionale maggiore.

- Se riuscirà a reggere le pressioni che continuano a circondarlo senza mezze misure.

Il talento di Zaniolo non ha ancora preso una direzione precisa, ed è forse questa la cosa che lo rende più eccitante.

33. Juan Foyth, 1998 (Argentina, Tottenham)

di Alfredo Giacobbe

A vederlo su un campo da calcio attraverso la TV, Juan Foyth sembra davvero un giocatore strano. Mi è stato difficile capire persino quale fosse la sua altezza, paragonandolo agli altri giocatori, ma anche sui siti specializzati non c’è concordanza sul dato: per Wyscout ad esempio Foyth è alto 182 centimetri, mentre per Transfermarkt arriva al metro e 89. Come se Foyth fosse cresciuto da un giorno all’altro, e non si fosse fatto in tempo a registrarne i progressi. E forse è stato davvero così: Foyth ha gambe lunghe ma esili, se ne va in giro per il campo tenendo le ginocchia piegate, e i piedi distanti, ortogonalmente alla riga di centrocampo, pronto a scattare in avanti per chiudere un avversario o all’indietro verso la propria porta. La prima volta che l’ho visto ho ripensato ad una vecchia foto di Stefan Edberg, acquattato come un gatto ad un metro dalla rete, seduto su un invisibile sgabello. Foyth sembra un anatroccolo di atleta nel corso della sua trasformazione.

Pare che Pochettino lo abbia visionato personalmente quando era all’Estudiantes e ne abbia caldeggiato l’acquisto nell’estate del 2017. Lo ha fatto esordire presto sia in Premier League che in Champions League, ha aspettato che recuperasse da un brutto infortunio e lo ha subito gettato di nuovo nella mischia. Chissà se Pochettino rivede sé stesso e il suo percorso da calciatore in questo ragazzo. Sicuramente Foyth ha messo un asso in più nel mazzo del suo allenatore nella trattativa per il rinnovo di Toby Alderweireld, sfociato poi in uno scontro frontale tra l’allenatore argentino e il centrale belga, che la prossima estate cambierà aria dopo 4 stagioni con la maglia degli Spurs.

Foyth dovrà anche completare la sua crescita sul piano fisico, ma su quello del gioco con la palla ha già mostrato le sue qualità, peraltro molto simili a quelle di Alderweireld. Come il belga, Foyth è preciso nei suoi passaggi (85% di media finora in stagione, 88% per Alderweireld); ha la stessa attitudine nel cercare il passaggio in avanti (35% contro 32%) e la stessa precisione nel consegnare la palla a un compagno nella metà campo avversaria (77% a 76%). Certo è che i volumi di gioco tra i due sono diversi, Alderweireld gioca una quindicina di passaggi a partita in più di media, ma questo fa parte di una crescita di responsabilità che il ragazzo dovrà avere se vorrà imporsi a questi livelli.

Foyth ha già pagato lo scotto del noviziato: l’errore nel derby con l’Arsenal ha posto un marchio negativo, non solo su quella partita, ma su tutta la sua stagione. Ma un singolo evento negativo, per quanto importante, non riuscirà a modificare la traiettoria della sua parabola, al momento ancora del tutto impredicibile. È questa indeterminatezza che fa di Foyth un giocatore da seguire.

34. Federico Valverde, 1998 (Uruguay, Real Madrid)

di Marco D’Ottavi

A quattro anni Federico Valverde sognò di giocare in uno stadio gremito di gente indossando una maglia bianca. Sogno che sta realizzando pochi anni dopo, vestendo la maglia più bianca di tutte, quella del Real Madrid. Dopo aver accumulato esperienza al Deportivo La Coruña nella scorsa stagione, infatti, Valverde è tornato alla base (il Real lo aveva comprato dal Peñarol nel 2016) per studiare alla corte di Kroos e Modric.

Valverde è un centrocampista completo, in grado di giocare sia nella propria metà campo che in quella avversaria. La sua fisicità gli permette di spezzare le linee in conduzione, mentre la sua intelligenza lo rende un ottimo difensore sulle linee di passaggio. Ha un tiro molto potente, anche se ancora non molto preciso, e una buona visione di gioco che gli permette di rischiare quando si tratta di cercare il passaggio. Valverde è quindi un centrocampista completo, con pochi punti deboli. Nel centrocampo a tre del Real viene impiegato come mezzala, il ruolo che gli sembra più congeniale, anche se nel Depor ha giocato anche come trequartista.

Valverde non sta giocando molto, vista la qualità del centrocampo del Real Madrid, anche se da quando è arrivato Solari il suo minutaggio è aumentato. All’interno di una stagione complicata, il centrocampista uruguaiano potrebbe ritagliarsi uno spazio nei prossimi mesi e magari diventare una futura alternativa credibile a Kroos e Modric. Cioè il motivo per cui il Real ha investito su di lui.

35. Lee Kang-in, 2001 (Corea del Sud, Valencia)

di Daniele V. Morrone

Lee Kang-in arriva al Valencia a 10 anni nel 2011, seguendo il percorso parallelo che l’altro ragazzo prodigio del calcio asiatico, Takefusa Kubo, fa verso il Barcellona. Entrambi condividono l’altezza esigua, le doti tecniche nel controllo del pallone e sono già famosi in patria con i classici video da bambini, in cui dribblano tutti con una palla che gli arriva al ginocchio e sembrano gli unici in campo ad avere la forza di calciare un pallone dandogli una direzione. Lui addirittura è già apparso in televisione come protagonista di un reality show sul calcio quando ancora aveva 6 anni.

Ora che ha 17 anni, Lee Kang-in sta già muovendo i primi passi nel professionismo: pur iniziando la stagione nella squadra B in estate è stato portato in ritiro con la prima squadra e ha giocato tutte le amichevoli, è stato convocato nel girone in Champions League, ha già esordito in Coppa del Re (il più giovane non spagnolo a debuttare col Valencia) e firmato un contratto con una clausola da 80 milioni. Nelle giovanili del Valencia è stato provato in ogni ruolo offensivo, vuoi per la statura, vuoi per le caratteristiche tecniche fondate sul dribbling, sulla capacità di calcio e sulla visione di gioco. Il giovane coreano sembra insomma destinato a muoversi sulla trequarti, magari anche partendo dall’esterno.

Può sembrare incredibile, ma Lee Kang-in viene considerato una scommessa talmente sicura in Spagna, che anche la federazione si è informata per provare a convocarlo con le nazionali giovanili. Vedremo se nel 2019 troverà finalmente il suo posto nel mondo dei professionisti.

36. Martin Odegaard (Norvegia, Vitesse)

di Daniele Manusia

Eccoci all’annuale aggiornamento su Martin Odegaard. Alla fine della passata stagione, scaduto il prestito con l’Heerenveen, il Real Madrid ha deciso di lasciarlo ancora un anno in Olanda, stavolta al Vitesse. Da ottobre, Odegaard è titolare e non ha saltato neanche un minuto, ha giocato un po’ da trequartista centrale e un po’ sull’esterno destro, da dove può rientrare e tirare con il sinistro (ha segnato 3 gol in queste prime 14 partite). Sul suo talento vale quanto detto già lo scorso anno: “Con il piede sinistro può mettere la palla in un punto del campo qualsiasi a sua scelta nel raggio di trenta-quaranta metri. Sarebbe capace di far entrare la palla in una finestra aperta a metà al quarto piano di un palazzo, calciando dal marciapiede di fronte; di metterla sul piede di un compagno che corre bendato verso la porta avversaria in modo che la palla si stoppi da sé”.

Ma l’impressione è anche che Odegaard si stia formando su un livello che è separato rispetto a quello a cui sembrava destinato e che possa fermarsi. Le sue scelte sono spesso le più logiche, ma anche quelle più facili; si trova benissimo a giocare in campo aperto con la palla al piede, meno quando gli spazi o i tempi si riducono. Atleticamente, e persino tecnicamente, per quanto sia dotato nella tecnica di passaggio, non è un giocatore capace di fare la differenza con costanza neanche in Olanda. Se gioca al centro non sopporta la marcatura alle spalle, e finisce per abbassarsi molto; se gioca a destra stringe per venire a prendere palla tra le linee ma non spesso è prevedibile nella giocata successiva. Ha bisogno di giocatori che si muovano sulla linea oltre la sua, che gli creino spazi e opzioni di gioco, per questo sarebbe bello vederlo magari in un contesto più competitivo ma in una posizioni più di responsabilità, come la mezzala.

Ad ogni modo, Odegaard ha compiuto vent’anni ed è arrivato il momento di fargli fare il salto: a fine stagione, ancora una volta, il Real Madrid dovrà decidere se portarlo in Spagna e farlo allenare con dei campioni, sperando che diventi un campione, oppure… forse a quel punto, se non lo ritenesse capace di quel salto, sarebbe meglio se Florentino Perez decidesse di venderlo, per quanto doloroso, e lasciasse che sia il mercato a decidere il reale valore di Odegaard.

37. Diego Lainez, 2000 (Messico, Club América)

di Fabrizio Gabrielli

Il talentificio messicano sembra essersi specializzato nella produzione di un tipo preciso di giocatore: l’esterno d’attacco talentuoso e dribblaholico. Un’idea di giocatore coerente con quella di “scuola messicana” improntata dall’ex tecnico della Nazionale messicana - il colombiano Osorio - e seguita dalle principali squadre della LigaMX, tra cui Pachuca, América e Tigres. Diego Lainez Leyva, però, più che a Hirving Lozano o Jurgen Damm, e in maniera diversa dal “Tecatito” Corona, sembra fedele alla tradizione di Carlos Vela o Gio Dos Santos: giocatori, cioè, che non si limitano a schizzare come Shinkansen giapponesi sulla monorotaia della linea laterale, abbandonandola solo per convergere al tiro, ma che spesso si ritrovano a fluttuare tra le linee avversarie, al limite dell’area, per inventare la giocata a sensazione o cercare la conclusione.

A settembre il “Tuca” Ferretti, , allenatore ad interim della Nazionale messicana in attesa che venga nominato il successore di Osorio, lo ha fatto esordire, quinto più giovane della storia, nel Tri: quattro giorni più tardi è rimasto in campo 75’ in una sfida molto sentita, quella contro gli Stati Uniti, in cui ha fatto impazzire Matt Miazga, portandolo alla reazione esasperata che costituisce una delle scene più buffe dell’anno.

L’Ajax sembra essere pronto a portarlo in Europa, sempre che l’América lo lasci partire. L’Eredivisie, dopotutto, ha già dimostrato con l’esperienza Hirving Lozano di essere il contesto giusto in cui giocatori con le sue caratteristiche possano esaltarsi. Il Messico sembra aver deciso che la faccia del futuro debba essere la sua: non a caso, alla cerimonia d’assegnazione dei Mondiali 2026, in rappresentanza del Tri - e al fianco di Alphonso Davies, per il Canada - c’era proprio Diego Lainez Leyva.

38. Dennis Man, 1998 (Romania, FCSB)

di Emanuele Atturo

Dennis Man ha vent’anni, gioca nella Steaua Bucarest e ha una faccia da schiaffi che in qualche modo ne annuncia il talento. In Romania non si vedeva un giocatore toccare così la palla dai tempi di Adrian Mutu; il presidente della Steaua, George Becali, di certo non noto per la sua sobrietà, ha dichiarato che in estate ha ricevuto un’offerta da 10 milioni di euro, ma che lui per meno di 30 non si siede neanche al tavolo.

Man è rimasto quindi in Romania, dove partendo dalla fascia sinistra sta dribblando tutti i giocatori che si frappongono fra lui e la porta, prima di lasciar partire dei tiri di sinistro che fanno innamorare per la loro dolcezza. Man è alto poco più di un metro e 80 ma ha un fisico leggero che lo fa sembrare più basso di quanto non sia in realtà. Non è rapidissimo ma muove i piedi a una gran velocità, che poi è la cosa che conta quando si tratta di spostare il pallone dalla disponibilità degli avversari all’ultimo secondo. Essendo un mancino con una grande tecnica e un istinto nel dribbling di prim’ordine, Man in Romania è stato paragonato a Messi, guadagnandosi, non ve lo sto neanche a dire, la patetica etichetta di “Messi rumeno”.

Non c’è neanche una possibilità che Man non si muova dalla Steaua in estate. Sarà interessante quindi vedere se questo giocatore dalle grandi doti tecniche ma dall’istinto di gioco un po’ meccanico riuscirà ad esprimersi a livelli davvero alti o se invece sul suo sinistro si limiterà a costruire un culto esoterico da venerare nei giovedì sera di Europa League.

39. Rodrygo Goes, 2001 (Brasile, Santos)

di Emanuele Atturo

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Forse dopo aver vissuto il rimpianto di aver lasciato comprare l’originale ai rivali del Barcellona, il Real Madrid sta cercando di mettere le mani su ogni potenziale “Nuovo Neymar” che esce dal Brasile. Così, dopo l’acquisto di Vinicius Jr. per 46 milioni di euro, la Casablanca si è assicurata anche Rodrygo per altri 40 milioni.

Rodrygo condivide con Neymar alcune cose banali: la squadra di provenienza, il Santos, il ruolo, esterno sinistro; ma anche cose non banali, come una certa leggerezza mercuriale nella corsa e nel dribbling.

Rimane da capire qual è la strategia del Real Madrid, che ora si ritrova due giocatori con caratteristiche simili nello stesso ruolo, che hanno appena un anno di differenza l’uno con l’altra. Il confronto con Vinicius Jr. può essere comunque interessante per capire il talento di Rodrygo. A differenza di Vinicius Jr., un’ala esplosiva e dal baricentro basso, Rodrygo è rapido e leggero e, pur avendo un controllo palla notevole, ha uno stile di gioco più essenziale e persino disciplinato nel lavoro difensivo. Per quanto disciplinato possa essere un’ala brasiliana di vent’anni fatta d’aria. Rodrygo sa fare meno cose di Vinicious Jr. ma se vi piacciono i giocatori eleganti e fragili non dovreste avere dubbi per chi tifare.

40. Matias Zaracho, 1998 (Argentina, Racing Avellaneda)

di Fabrizio Gabrielli

Nonostante abbia appena vent’anni, Matias Zaracho è già un simbolo dell’Academia, al pari di Licha Lopez: dopo la partenza di Lautaro Martinez il “Negrito”, che è cresciuto nelle giovanili del Racing fino all’esordio in prima squadra avvenuto già due stagioni fa, è diventato la faccia giovane del club, e il progetto di campione che Eduardo Coudet sembra aver abbracciato con più entusiasmo.

Il tecnico ha allenato la versatilità di Zaracho fino a farne un centrocampista polivalente, estremamente adattabile a ogni contesto, che oltre da trequartista - il suo ruolo originale - può disimpegnarsi da ala destra, mezzala in un centrocampo a tre, esterno alto su ambo le fasce ma soprattutto, contesto tattico in cui sembra aver trovato la sua consacrazione, e il luogo dell’anima, da volante difensivo, cinco non marcatamente propositivo, ma neppure solo addetto all’interdizione.

Coudet gli ha affidato infatti non solo compiti di rottura dei tempi di gioco avversari, ma soprattutto di prima impostazione in fase di ripartenza, grazie all’ottimo controllo orientato che usa per eludere gli avversari che lo pressano dalle spalle. «Un trattore di 60 chili», lo ha definito Coudet: Zaracho, a un’instancabilità innata, nell’ultimo anno ha anche affiancato un lavoro ad hoc per aumentare la massa muscolare.

Simeone sembra essersene innamorato, ed è convinto di volerlo portare all’Atlético. Se così fosse, con Zaracho, Palacios e Lo Celso, nel 2019 La Liga potrebbe godersi i frutti migliori del nuovo corso di volantes argentini, fatta di giocatori di classe ma non necessariamente fragili, eppure aggressivi, ma senza irruenza. Forse la migliore degli ultimi cinque anni.

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