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Il bello del giovedì sera 2024 vol. 12
19 apr 2024
19 apr 2024
Tutto il meglio da due coppe che anche ieri hanno dato il fritto.
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Conosci la tua squadra del giovedì sera: Aston Villa

Nel 1874 quattro uomini fondarono una squadra di calcio con uno scopo diverso da quello che potreste immaginare: restare in forma per il cricket durante la stagione invernale. Così trovarono una squadra di rugby da sfidare. Le condizioni del match erano strane ma affascinanti: metà partita con le regole del calcio, metà con le regole del rugby. Nell’ottocento erano molto più creativi e audaci di noi. La partita venne vinta dall’Aston Villa con gol di Jack Hughes. La squadra, dunque, si aggiudicò una coppa minuscola che cento anni dopo venne reclamata dal nipote di Jack Hughes stesso, che scoprì per caso che suo nonno era stato un membro fondatore dell’Aston Villa, e l’autore del primo gol della storia del club. Rimane la domanda: perché all’epoca si facevano coppe così piccole? Forse erano molto piccoli anche gli esseri umani che dovevano sollevarle? Come avrete capito, stiamo parlando degli albori dell’Aston Villa ma in realtà parliamo degli albori del calcio. E quindi parliamo di come gli scozzesi hanno insegnato il calcio agli inglesi. Un giorno si presenta al campo del Villa questo George Ramsay e non sembra un granché, di bassa statura, senza muscoli. Poi però gli arriva un pallone tra i piedi e inizia a fare cose magiche. Non avevano mai nessuno muovere il pallone in quel modo. I giocatori dell’Aston Villa sono in estasi e lo rendono il loro capitano e il loro allenatore. La squadra diventa un’attrazione. Le persone riempiono lo stadio di Birmingham per guardar giocare “Scotty”. Nel 1876 Ramsay fa venire dalla Scozia un altro genio, il centravanti Archie Hunter, e insieme fanno proselitismo su un nuovo approccio al calcio: il passing game. In Scozia avevano capito qualcosa di essenziale sul calcio che agli inglesi continuava a sfuggire, ovvero che passarsi la palla è più redditizio che provare a correre davanti a sé credendo che il calcio fosse sostanzialmente rugby. In una linea evolutiva immaginaria del calcio attraverso il possesso palla, mettiamo l’Aston Villa di Ramsay nel punto iniziale e la Fluminense di Diniz in quello finale. Forse ancora prima ci andrebbe il Queen’s Park, la squadra di Glasgow che ha formalmente “inventato” il passing game. Nel 1882 Ramsay si ritira per un infortunio, nel 1886 viene nominato allenatore della squadra. È il primo manager della storia. Ramsay non si occupava solo di allenare la squadra ma, col supporto di un professore di educazione fisica, sceglieva anche gli acquisti e costruiva la rosa. Col tempo si è formato un “comitato” che aveva il compito di decidere sui nuovi acquisti. Manterrà la posizione fino al 1926. «L’Aston Villa è sempre stato il mio amore. Ho piantato il seme e ho visto nascere una quercia».Ramsay ha contribuito a formare l’idea dell’Aston Villa come squadra che non non si batte con la forza ma con l’intelligenza, non col vigore ma con l’eleganza. Uno dei primi club al mondo ad avere un approccio più o meno scientifico, o comunque rigoroso, non basato su valori astratti (tipo l’amicizia tra uomini ricchi). Howard Spencer descrive questo stile Aston Villa - mes que un club - in una citazione sul lavaggio del cervello che facevano ai nuovi arrivati: «Ci piace prendere i giovani e insegnargli un particolare stile. Uno stile difficile da descrivere, ma diciamo che preferiamo giocatore bravi a controllare il pallone e nel gioco di squadra».L’Aston Villa è la migliore squadra dell’epoca Vittoriana. La Banter Era, però, arriva per tutti, e ha tratti comuni a ogni angolo del pianeta. Nel 1936 l’Aston Villa retrocede per la prima volta in Seconda Divisione. Quando ha iniziato a giocare il club non esisteva nemmeno, la seconda divisione. Il motivo della retrocessione una fase difensiva allucinante, con 110 gol subiti in 42 partite.A restituire l’Aston Villa al calcio ai massimi livelli è stato il grande allenatore Jimmy Hogan, che paragonava il calcio al Valzer Viennese: «Un, due, tre, passaggio, movimento, passaggio movimento». Stupendo. Tutta questa leggerezza viene spazzata via dalla Seconda Guerra Mondiale. Inizia una nuova Banter Era, che si interromperà solo negli anni ’80. L’ultima vittoria del campionato dell’Aston Villa risale al 1980/81. Se avete un’oretta e mezzo da perdere ecco una ricostruzione di quella vittoria.

L’Aston Villa resta una delle squadre più titolate del calcio inglese, e questo nonostante abbia vinto un solo campionato nell’ultimo secolo. E tuttavia non è sparito come altri club. Continua a essere una squadra importante per l’ecosistema britannico, quasi sempre in Premier League, e che oggi sta vivendo un nuovo periodo d’oro con Emery in panchina. Stiamo parlando di uno dei club più importanti per la nascita del calcio, anche se oggi abbiamo la sensazione che rappresenti una specie di intrusa nelle competizioni europee. Una situazione che dovrebbe farci interrogare sulle nostre prospettive storiche sul calcio, quando parliamo di club “storici”, “tradizionali” e altri invece che si sono comprati la gloria col denaro. Tutte distinzioni contraddittorie.5 modi per distinguere l’Aston Villa dal West Ham Cercate un animale sulle divise. L’Aston Villa ha un leone nello stemma; il West Ham dei martelli.L’Aston Villa: Castore; West Ham: UmbroCercate il calciatore più muscoloso che ci sia mai capitato osservare. È Michail Antonio, se lo trovate allora è il West HamAllenatore moro ingelatinato: Aston Villa; allenatore rugoso, slavato e scozzese: West HamLanciano lungo: West Ham; non lanciano lungo: Aston Villa4-4-2 difensivo disegnato col goniometro: Aston Villa; cross per Soucek: West Ham. Che giocatore del Viktoria Plzen sei Matej VydraQuella mattina cerchi di fare quello che fai ogni mattina. Ti alzi, fai pipì, ti sciacqui la faccia. Riempi la moka, attento a non pressare il caffè. Metti il burro e la marmellata di fragole su due fette di pane moscio. Allacci i bottoni della camicia con la rassegnazione del condannato a morte, e ogni bottone è una piccola puntura di spillo sulla tua stanchezza cronica. Sono 9 bottoni ogni mattina, più le scarpe da allacciare, la giacca da infilare, la borsa da riempiere e da mettere a tracolla. Ciascuna operazione ogni si carica di una fatica profonda che ti scava dentro. Ma quella mattina non senti niente, le mani vanno in automatico, infili i bottoni senza esitazioni, non pensi a niente. Ti senti leggero, anzi, vuoto, ed è una sensazione che ti dà alla testa. Provi a non pensarci, a non spezzare l’incantesimo. Scendi i gradini del condominio uno a uno e non un solo pensiero ti attraversa. Devi rimanere puro e incontaminato. Sono 40 minuti di camminata fino all’ospedale, andando a passo svelto. Per la strada troverai qualcosa di aperto, per comprare gli ultimi fiori per papà.Pavel SulcNon hai avuto scelta. Sentivi che quella era la tua unica possibilità per non perderla. Non hai nemmeno pensato alle conseguenze. Una coppia aperta. Non ci avevi mai pensato. Che significa davvero? Come farla funzionare? Sapevi che lei voleva esplorare relazioni, rapporti e momenti; tu invece volevi solo stare con lei. Ti era sembrata una soluzione logica, e lei l’aveva trovata nobile, comprensiva. Siete tornati insieme, hai ottenuto quello che volevi. Ora però non sai davvero cosa fare, come dovresti comportanti. Senti nascere in te un sentimento nuovo, che non avevi davvero mai provato: la gelosia. Sai che è un sentimento tossico, di possesso, legato alla società patriarcale dentro cui sei nato e cresciuto. Eppure non sai come reprimerlo, ora che avete quella specie di accordo, fatto per di più su tua richiesta. Potresti usarlo anche a tuo vantaggio, farti le tue storie, è vero, ma in realtà non ci pensi nemmeno. Non è proprio nei tuoi pensieri. E così ti ritrovi invischiato in questo conflitto fra la parte più sana e razionale di te, e quella più oscura e paludosa. Dipende dai momenti. A volte porti questo peso con grazia, in quel momento non sai come fare. Come si controllano i pensieri? Forse dovresti leggere qualche filosofo orientale. Hai il culo appiccicato al divano, ci sono 35 gradi alle dieci di sera e stai bevendo una Peroni da 33. Hai messo un film ma lo hai messo in pausa per scrollare, e hai visto una storia di lei con un tipo. È al mare e tu sei rimasto in città a lavorare. Sai più o meno chi è quel tipo; non lo conosci, ma sai chi è. Inizi a visualizzare le scene più crude ed estreme perché c’è una parte di te che vuole farti del male. In quel momento la odi. La odi per qualcosa che esiste solo nella tua testa. Dai un sorso di birra, ti accendi una sigaretta, ti ributti sul divano, rimetti la storia. È il giardino di una casa al mare, ci sono altre persone, l’ha ripostata venti minuti fa. È una festa, vi siete scritti in giornata ma non ti aveva parlato di questa festa. Ha qualcosa da nascondere. Rimetti la storia, cerchi dettagli. Due tizi che flirtano dietro, lei ride, lui la spinge via. Si diverte. La guardi, la riguardi, infine metti like.Vieni a giocare il gioco del DibuProprio quando pensavamo che il giovedì sera non avesse più niente da dare, ecco qui: Emiliano Martinez, my man. La sua esuberanza nella lotteria dei rigori era diventata un tema dopo Francia-Argentina, finale del Mondiale, ma - paragonato a ciò che ha fatto ieri - è stato niente. Questa è la realtà in cui viviamo: un quarto di finale di Conference League che oscura il singolo evento più importante di questo sport (più o meno dai), tra insulti, balletti e sconosciute postille del regolamento. Ma partiamo dall’inizio, perché le cose sono tutte connesse, come piccolissimi atomi a forma di pallone. I tifosi del Lille hanno fischiato e insultato il Dibu per tutta la partita, proprio perché francesi, e per i francesi il Dibu è un nemico, come una dieta povera di burro e i tedeschi. E lui non ha fatto nulla per non farsi insultare: al 39’ si è fatto ammonire per perdita di tempo (ricordatevelo), qui e lì è stato autore di grandi parate che hanno spinto l’Aston Villa fino ai rigori, mentre i francesi - indefessi - continuavano a insultarlo. Ignoravano però che il portiere argentino di questo odio si ciba come se fossero proteine per un palestrato, lo brama, lo fa crescere.

Poi sono arrivati i rigori. Per il Dibu, quella che è universalmente riconosciuta come una sfida tra rigorista e portiere, è invece una sfida tra sé stesso e il resto del mondo, una guerra sporca che si gioca con la psicologia. Guardate come costringe Bentaleb a correre per prendere il pallone, ma comunque ci arriva prima lui. È lui a possedere il pallone, e - sempre lui - a darlo all’avversario. Sembra che per lui ci sia qualcosa di sessuale qui, una specie di gioco tra dominatore e dominato.

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Non è una psicologia raffinata la sua, ma forse - invece - lo è. Col suo fisico tarchiato, la faccia da bullo, Martinez si sputa sopra i guanti, saltella sulle punte, scruta Bentaleb in cerca della sua anima e la trova nell’angolo in basso alla sua sinistra. Non una parata banale. Ma è quello che fa dopo la parata, il vero gioco del Dibu. Come se il mondo fosse la sua ostrica si gira verso i tifosi del Lille e, dito al naso, li invita a stare zitti. Questo è il mio spettacolo, gli dice, li sfida, per secondi interminabili.

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Poi però succede una cosa che ci ricorda che non siamo in una finale dei mondiali, ma in un normalissimo e surreale giovedì sera. Martinez fa un gesto che le telecamere non riprendono, forse continua a zittire il pubblico, forse balla, forse calcia via un pallone. Fatto sta che arriva l’arbitro e lo ammonisce. A rivederlo è un momento obiettivamente incredibile. Watkins che sta andando a calciare il suo rigore è incredulo, il Dibu perde tutta la sua spavalderia, Douglas Luiz già si immagina costretto a parare lui. Questo perché - tecnicamente - sarebbe il secondo giallo. Si apre una prospettiva in cui l'Aston Villa deve affrontare i rigori senza il portiere.

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Cosa succede ora? Entra il secondo portiere? Un giocatore si infila i guanti? Tirano in una porta vuota? L’arbitro però fa un cenno con le braccia. In diretta sembra si sia rimangiato la sua decisione, una cosa semplicemente mai vista. Martinez fa il vago, ha la faccia di chi ha ricevuto una seconda possibilità direttamente dal padreterno, si allontana. La realtà, forse, è ancora più incredibile: la ifab law 10 nella sua postilla 3 dice che, prima dei rigori, i gialli si azzerano. È proprio vero che non si finisce mai di imparare (rimane da scoprire se, almeno, sarà squalificato per la prossima, ma questa è una rubrica del cazzo, non Forum).I tifosi tornano a fischiare, vediamo un replay: l’arbitro lo ha ammonito pensando che Martinez continuasse con la sua sceneggiata, ma in realtà stava solo chiedendo un pallone. Esiste una giustizia divina e si manifesta il giovedì sera? Watkins segna, invece di esultare va dal suo portiere a dirgli di starsene buono, che obiettivamente non si può far buttare fuori proprio ora. Effettivamente aver visto il baratro davanti ai propri occhi spegne Martinez, che perde molta della sua tracotanza. Continua a saltellare, ma tiene la sua energia da malvagio dentro di sé, non si esprime, non parla, non complotta. Subisce inerme i tiri di David, Gomes e Cabella. Si arriva all’ultimo rigore di Benjamin André. Se para l’Aston Villa passa, se subisce gol si va a oltranza. L’importanza del momento riaccende il Dibu, che guarda André come fosse un bambino, lo indica, forse dice qualcosa. Poi para. A quel punto capiamo chi è il suo nemico, non una squadra ma una Nazione: la Francia. Martinez si gira, mostra il suo corpo ai tifosi, accenna un balletto sfacciato, rompe la quarta parte.

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Uno strano fischio dell’arbitro, lo riporta alla realtà. Martinez si gira, il dubbio torna ad attanagliarlo. E se ora glielo fa ripetere? E se mi espelle? E se, alla fine, la mia snervante spavalderia mi si è ritorta contro? Il tutto dura però solo qualche secondo, il mondo torna al suo posto, il Dibu può tornare il Dibu, il miglior portiere al mondo nel fare la cosa peggiore al mondo.Organizza la tua trasferta: Leverkusen Insomma, diciamoci la verità: se non andate a Leverkusen ora, non lo farete mai più. E forse sarebbe meglio così: Leverkusen ha circa gli abitanti di Perugia, ma è molto, molto, molto, molto più brutta. Non c’è neanche una sfumatura ironica nella sua bruttezza, da architettura brutalista sovietica o da borgo kitsch. No, è brutta in maniera diretta, netta, come possono essere brutte le città cresciute intorno a una fabbrica di aspirine (in realtà saresti a due passi da Colonia, quindi vatti a vedere Colonia, però la rubrica è questa, neanche posso far finta che sia la Lonely Planet e non il bello del giovedì). Comunque, andiamo.Un’insegna pubblicitaria: Bayer-Kreuz

Semplicemente la più grande insegna luminosa pubblicitaria al mondo. È una specie di bat-segnale, ma per le aspirine, una luce che rompe la monotonia delle notti nella Renania Settentrionale-Vestfalia. Quando gli abitanti di Leverkusen la scorgono, sanno di essere a casa. Realizzata nel 1958, la sua peculiarità - oltre al fatto di essere enorme e di svettare sopra una fabbrica di chimica farmaceutica - è di non essere un’insegna fissa, ma è composta da lampade legate su delle corde, a loro volta legate a degli alberi. Questo dà all’insegna una certa mobilità e quando c’è vento, di notte, potrebbe sembravi di vedere la scritta a croce Bayer fluttuare nell’aria. Per illuminare il display sono necessarie 1.712 lampadine da 40 Watt. Costo della bolletta: non pervenuto. Un po’ d’Asia: il giardino giapponese di Leverkusen

Solitamente tra i consigli di cosa vedere a Leverkusen ci sono due cose: lo stadio e questo giardino, dove si può trovare un angolo di Giappone. Questo, secondo me, dice molto di questa città, ma comunque: il Giappone è lontano e, se vi ha detto male e siete a Leverkusen e non effettivamente in Giappone, magari fateci un salto. È stato realizzato nel 1912, su iniziativa del direttore generale della Bayer, per dare un posto dove passeggiare ai suoi impiegati: il capitalismo nella sua versione più paternalistica. Ancora oggi è molto usato per le pause pranzo dei dipendenti. Non è molto grande, ma è ben curato e, come tutti i giardini, i colori cambiano in base alle stagioni. C’è una pagoda, un sacco di statue dal gusto orientale e piante esotiche: questo, credo, è più di quello che si può dire della maggior parte dei giardini della vostra città. Una statua: Paulinchen

Pauline Pohnke, detta "Paulinchen", arrivò a Wiesdorf - il vecchio borgo da dove sorge Leverkusen nel 1907. Da quel giorno, ogni mattina, fino a quasi la sua morte, avvenuta nel 1980, Pauline portava a spasso per il paese le sue mucche. Tutti la conoscevano e scherzavano con lei, soprattutto i bambini di Leverkusen. Durante il nazionalsocialismo fu una dissidente, una delle poche. La sua statua non è solo un omaggio a una figura storica, ma anche un simbolico ponte tra l’antica anima rurale di queste terre e l’odierno spirito industriale portato dalla Bayer. Un museo: Industriemuseum Freudenthaler Sensenhamm

Cos’è? Un museo delle falci. Anzi, più nel dettaglio, un museo sul processo di produzione industriale di una falce. Vi siete mai chiesti come si fa una falce? A Leverkusen potete scoprirlo. Sembra un oggetto banale, ma - pensateci - fa parte del simbolismo di due delle cose più importanti della nostra storia: il comunismo e la morte, due cose inevitabili. Come sarebbe il nostro mondo senza falci? Io credo un posto peggiore, per questo è giusto omaggiare la falce con una visita a questo museo. I migliori gol sbagliati dalla Fiorentina42 tiri, di cui 26 in area e 10 nello specchio, 4.07 xG creati, 3 legni, 19 calci d’angolo, 73% di possesso palla: contro il Viktoria Plzen era la classica partita che la Fiorentina non poteva far altro che perdere. A ogni tiro mandato sul palo contro qualsiasi legge della fisica, a ogni riflesso del Gordon Banks mittleuropeo, Martin Jedlička, la squadra di Italiano sembrava avvicinarsi inesorabilmente alla sua eliminazione. Il gran gol d’esterno in area di Nico Gonzalez per una volta ha evitato una profezia che sembrava dovesse autoavverarsi, ma oggi rimane lo sforzo titanico della Fiorentina per non segnare; quella sottile, inconscia voglia di farsi del male nel più subdolo e masochistico dei modi. Per celebrare questa opera d’arte dedicata all’inefficienza, eccovi le migliori occasioni in cui la Fiorentina è riuscita a non segnare.Inizia la lotta contro la porta del GalloPassano cinque minuti e ci stiamo già chiedendo come ha fatto Belotti a non mettere la palla in porta. Su una grande progressione di Kouamé a sinistra, il Gallo allunga la gamba e ha anche la fortuna di far rimbalzare il pallone a terra, ma Jedlička si allunga all’altezza perfetta per respingerlo, come se fosse una stecchetta di Pong. «In passato mi è riuscito spesso di mandare tanto in gol le punte, oggi c'è qualche maledizione o macumba che dobbiamo togliere», aveva detto Italiano nella conferenza pre-partita. Ma non è questo il giorno, Vincenzo.

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Pochi secondi dopo Kouamé si librerà in aria per colpire il pallone di testa e mandarlo sul secondo palo ma un difensore del Viktoria lo salverà praticamente sulla linea.Che cos’è un gol sbagliato?Il confine tra un’occasione in cui, con un po’ di fortuna e bravura, si poteva segnare e una in cui non si poteva non segnare è più sottile di quello che pensiamo. Al 55esimo arriva una palla alta verso l’area del Viktoria che non sembra avere pretese, una di quelle palle che è impossibile che entri in porta. Viene spizzata verso il centro da Belotti, poi rimbalza maldestramente sulla coscia di Mandragora. È una di quelle occasioni in cui nessun tifoso di buon senso spreca energie mentali sperando che entri. Ma nessuna persona di buon senso potrebbe mai tifare Fiorentina. Mandragora riesce in qualche modo a controllare quel pallone, se lo alza un po’ casualmente sopra la testa e in qualsiasi universo finisce in tribuna, o a terra, sbucciato da una caviglia lanciata in aria a caso. L’universo della Fiorentina di Italiano non è però un universo qualsiasi: è l’universo in cui Mandragora si coordina alla perfezione, colpisce di collo pieno e manda il pallone a pochi centimetri dalla traversa. L’universo in cui anche questa occasione ti fa sperare che si trasformi in gol solo per deluderti.

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Un’altra parata senza senso di JedličkaAzione in verticale a velocità supersonica. Una slavina che scende minacciosa verso la porta avversaria. Nico Gonzalez allarga per Beltran, che chiude il triangolo. Il 10 della Fiorentina allarga per Dodò, che di prima mette un passaggio basso velenosissimo al centro dell’area. È gol? Ma no che non è gol.

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Palo di BelottiÈ passato un minuto da quest’ultima occasione, il telecronista internazionale non ha nemmeno finito di dire che Kouamé non può crederci che la palla non è entrata, che la Fiorentina ha già preso il suo primo legno della serata. Chi ha fatto palo? Già lo sapete.

Belotti ha segnato 7 gol in stagione: non una performance disastrosa. È il contrasto tra l’impegno che ci mette nel portare la palla verso la porta e i modi sempre nuovi con cui non riesce a metterla dentro la porta ad essere irresistibile. In campionato ha segnato un solo gol da 2.39 xG, secondo StatsBomb. In Europa League non abbiamo i dati ma possiamo solo immaginare. «Tutti ci aspettavamo qualche gol in più da parte sua, dobbiamo essere sinceri», ha ammesso Italiano nella conferenza stampa pre-partita. Lui si è dannato l’anima per provare a ripagarlo ma niente. All’82esimo, pochi secondi prima di uscire dal campo, Dodò gli aveva messo una palla perfetta per lo stacco vincente in area ma come Aldo Baglio da sotto la sabbia è spuntato Nico Gonzalez per anticiparlo e mandare la palla sul fondo. Il destino ha guardato il Gallo coi suoi occhi.

Perché rovinare una bella azione con un gol?Filtrante visionario di Mandragora, primo controllo che si vede raramente anche in Champions League: ci sono azioni talmente belle che sarebbe di cattivo gusto rovinarle con un gol.

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La Fiorentina di Italiano sembra ripetersi questa frase in testa quando gioca. Altrimenti come spiegarsi anche questo:

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Con quale parte del corpo ha deciso di colpire Nico Gonzalez? Cosa gli è passato per la testa in quella frazione di secondo? È questa quindi la famigerata macumba di cui parla Vincenzo Italiano? La perfezione non è di questo mondo, sembra urlarci la Fiorentina, ricordatevi che tutto nasce solo per morire. Mondo uguale ma Win Butler degli Arcade Fire concepisce My Body is a Cage guardando Veretout attanagliato dai crampi nei supplementari di Marsiglia-Benfica

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My body is a cageThat keeps me from dancing with the one I loveBut my mind holds the keyI'm standing on a stageOf fear and self-doubtIt's a hollow playBut they'll clap anywayCosa ha detto Gasperini a Klopp?Subito dopo il fischio finale di Atalanta-Liverpool, Gasperini si è avvicinato a Klopp. Sono seduti allo stesso tavolo ora, da pari. L’allenatore dell’Atalanta lo abbraccia, con quella prossemica a favore di telecamera. Con la mano gli batte il petto e gli dice qualcosa di solenne. Klopp annuisce, gli tocca la testa. La mimica degli allenatori è sempre teatrale.

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«Napoleone stesso diceva: in genere un piano di battaglia non sopravvive all'incontro con il nemico»Il momento più giovedì seraVirilità: 100 Assurdità: 100 Anti-epicità: 100 Paura della morte: 100E se Leonardo Bonucci fosse sempre stato uno di noi? Se cioè tutta quella storia - il sciacquatevi la bocca, il mental coach, le caramelle all’aglio, vincere è l’unica cosa che conta, spostare gli equilibri, mangiare la pastasciutta, eccetera eccetera - fosse solo il modo in cui il difensore per tutta la carriera ha cercato di smarcarsi dalla verità? Da quando nasciamo siamo tutti soli e ognuno sceglie come combattere la propria guerra, anche Leonardo Bonucci. Il giovedì sera, la sua vera essenza, è proprio questa: siamo tutti sulla stessa barca, siamo tutti figli di questo stato d’animo, questa perenne sensazione nello stomaco di quarti di Conference League e paura di morire (tranne Cristiano Ronaldo). Per tutti quei motivi qui sopra, pur rispettandolo, Bonucci non mi è stato mai simpatico, per quel che vale. Quando però l’ho visto entrare al 121esimo di un surreale Fenerbache-Olympiacos che si stava trascinando ai rigori ho capito: avevamo sbagliato noi, lui è uno di noi. Che avrebbe sbagliato il suo rigore, a quel punto era certo. Esistono delle regole implicite nel calcio, c

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