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Damiano Primativo
I 10 migliori terzini al mondo, oggi
28 mar 2024
28 mar 2024
Un ruolo sempre più importante nel calcio contemporaneo.
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Damiano Primativo
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IMAGO / Sports Press Photo
(foto) IMAGO / Sports Press Photo
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Gianluca Vialli diceva che il terzino destro è sempre il giocatore più scarso della squadra. La tesi seguiva questo ragionamento: se un giocatore mostrava qualità difensive e fisiche sopra la media, veniva usato come centrale; se era molto bravo col pallone tra i piedi veniva schierato dal centrocampo in su. Anche il terzino sinistro era migliore del destro, perché i mancini sono più rari e tendono a essere cresciuti in quel ruolo fin dal principio. La teoria trovava conferma nella consuetudine del calcio europeo degli anni ’70-’80, dove era normale che il terzino destro desse copertura e quello sinistro estro: Burgnich-Facchetti, Gentile-Cabrini, Bergomi-Brehme, sono coppie iconiche di un calcio in cui l’abilità del terzino destro col pallone era un dettaglio marginale, votato com’era più alla distruzione che alla creazione.

Il tempo ha sorpassato questo paradigma e oggi entrambi i terzini sono pedine fondamentali in ogni fase di gioco di una squadra. Devono entrambi assicurare uno standard alto di qualità. “Perché il terzino è la posizione più importante in campo?”, si domanda questo pezzo del 2009 di Jonathan Wilson. Il titolo è altisonante e provocatorio, ma non infondato se consideriamo che il calcio contemporaneo, con le evoluzioni degli ultimi 15 anni, ha responsabilizzato i terzini come mai prima d’ora.

In questo periodo due innovazioni principali hanno stravolto il calcio a tutti i livelli: il gioco di posizione e il pressing. Non è azzardato dire che il terzino è il ruolo che più è cambiato per adattarsi. Con gli spazi centrali sempre più congestionati dal pressing, e la necessità di costruire il gioco con la palla a terra fin dalle retrovie, è diventato indispensabile avere giocatori di qualità in difesa e ai lati del campo. I terzini sono diventati un ruolo chiave per giocare intorno alla pressione. Negli ultimi 15 anni giocatori come Dani Alves, Marcelo, Philipp Lahm hanno ridefinito cosa è e cosa fa un terzino. Hanno imposto un nuovo paradigma secondo cui il terzino è un playmaker, un cervello pensante che deve dare ordine alla manovra.

Da qui l’invenzione recente del “falso terzino”, un regista occulto che durante la fase di possesso entra dentro il campo per associarsi ai compagni. Ma questa non è l’unica interpretazione esistente del ruolo. Oggi il terzino è forse il ruolo più sfaccettato, quello con la gamma di interpretazioni più ampia. Esiste l’esterno coi polmoni da quattrocentometrista che ara l’intera fascia – la categoria più diffusa in Italia, dove il 3-5-2 è l’undicesimo comandamento. E poi esiste una terza categoria, quella del terzino bloccato che gioca con compiti difensivi vicino ai centrali – spesso centrale lui stesso adattato in fascia.

Davanti a un calcio dove non esistono più i ruoli ma solo funzioni – dove un terzino può giocare a piede invertito, oppure come marcatore aggiunto, oppure come esterno offensivo quasi privo di compiti difensivi – ha senso domandarsi: cos’è un terzino? Davide Calabria è più terzino di Denzel Dumfries, che forse non giocherà mai più in una difesa a quattro? E Dumfries è comunque più terzino di Jules Koundé, che è solo un “centrale adattato”? Forse la risposta è che tutti questi sono terzini. Alla fine la verità banale è sempre quella: terzino è chi nella posizione di terzino gioca.

Per questo in questa classifica troverete quinti che giocano a tutta fascia, terzini registi e anche terzini bloccati. Non troverete invece braccetti della difesa a tre. E non troverete nemmeno – ne sono sicuro – nomi che vi aspettavate di trovare e la cui assenza vi deluderà. Ma stilare una classifica è così: comporta scelte difficili e discutibili.

10. Pedro Porro, Tottenham

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Coi capelli scuri brillantinati e una smorfia di concentrazione sempre disegnata sul volto, Pedro Porro somiglia a un torero. È uno di quei giocatori che solo nella lotta sembrano contenti: ha una presenza in campo elettrica, vive ogni azione con disperazione e un’intensità da tarantolato che lo rendono perfetto per il gioco senza palla iper-aggressivo del Tottenham di Postecoglou. Nell’attuale Premier League, Porro è in assoluto il terzino che tenta più tackle nel terzo offensivo di campo, e quello che più volte va a contrasto contro l’avversario che tenta di dribblarlo.

Il gran gol di Porro contro il Burnley in FA Cup, nato proprio da un recupero in avanti.

Porro è probabilmente il giocatore rivelazione della squadra rivelazione di questa stagione. Il Tottenham di Postecoglou è diventato un caso di quest’annata calcistica non solo per i risultati che sta ottenendo, finalmente incoraggianti dopo anni di grigiore, ma soprattutto per la nuova ventata di ottimismo che il tecnico australiano, e la sua idea di calcio audace, hanno portato.

Porro con la sua freschezza contribuisce in modo decisivo all'energia che trasmette la squadra. I suoi movimenti, di Porro e anche dell’altro terzino Udogie, sono l’elemento tattico che più contraddistingue il Tottenham di Postecoglou, una squadra che parte dal 4-2-3-1 ma che poi nello sviluppo dell’azione richiede compiti del tutto anticonvenzionali ai due terzini: accentrarsi entrambi alle spalle del centravanti per occupare i due mezzispazi sulla trequarti, mentre le ali Son e Kulusevski fissano l’ampiezza. Così nelle partite del Tottenham può capitare di vedere situazioni come questa: Porro che conduce palla nella trequarti centrale, scambia con la punta e si lancia dietro la difesa per chiudere il triangolo, arrivando a tirare in porta da dentro l’area.

Di “falsi terzini” che si accentrano per fare da registi durante la costruzione se ne vedono ormai da anni, e pure di terzini che arrivano fino alla trequarti e riforniscono gli attaccanti di palloni deliziosi ne conosciamo parecchi (in questa lista ce ne sono diversi). Ma che etichetta dare a un terzino come Porro, che pur muovendosi prevalentemente nei corridoi centrali si occupa solo marginalmente della costruzione, per dedicare il grosso delle energie col pallone alla definizione e persino alla finalizzazione dell’azione?

È vero, forse Porro è uno di quei giocatori un po’ meccanici che brillano della luce riflessa della squadra in cui giocano, e bisogna vedere come evolverà quindi all'evolversi del Tottenham di Postecoglou. Ma non ci sono dubbi che oggi sia uno dei terzini più divertenti da veder giocare, e quindi godiamocelo finché dura.

9. Kyle Walker, Manchester City

Lo scorso luglio, dopo sei stagioni da pilastro del Manchester City, Kyle Walker era a un passo dal Bayern Monaco. I bavaresi si erano interessati a lui già in primavera, poi nei giorni successivi alla finale di Champions di Istanbul un incontro tra Walker e Tuchel aveva sciolto anche le ultime resistenze. Walker si sarebbe trasferito in Germania, un po’ sedotto dalla prospettiva di ricoprire ancora per qualche anno un ruolo di primo piano in un top club, un po’ per la delusione di essere stato tagliato fuori dall’undici titolare del City nella finale contro l’Inter. Per tutta la primavera la svolta di Stones “falso centrale” o “falso terzino” aveva messo in crisi Walker, lo aveva costretto in panchina in alcune partite fondamentali. Walker si sentiva fuori dal progetto del City?

Oggi Walker è nel pieno della sua settima stagione al City, è diventato il capitano dopo la partenza di Gundogan e gioca praticamente sempre. Il terzo giocatore con più minuti in Premier League dopo Foden e Ederson. Guardiola e i compagni lo hanno convinto a restare «facendogli sentire quanto è amato da tutti», scriveThe Athletic. Al netto delle scelte tattiche radicali per cui lo ha escluso nel finale della scorsa stagione, Guardiola ha sempre stimato molto Walker. «A 60 anni sarà ancora il giocatore più veloce in questa stanza», ha detto lo scorso aprile. Walker ha quasi 34 anni, ma la velocità, la resistenza fisica, l’esplosività muscolare, sono le sue armi migliori. Le grandi prestazioni difensive contro Mbappé al Mondiale 2022, o contro Vinicius nella semifinale di ritorno della scorsa Champions League, sono memorabili. Walker con il collo larghissimo, le spalle ampie come quelle dei giocatori di football bardati di imbottiture, che tiene il passo dei migliori prodigi atletici del calcio contemporaneo. Belve di potenza e rapidità di dieci anni più giovani di lui. Walker che nella Premier League 2022/23 ha toccato i 37,31 chilometri orari: la velocità più alta registrata nel torneo.

Walker non è certo un terzino prolifico per produzione offensiva. Col City non segna da due anni e mezzo, ha servito 7 assist nelle ultime quattro stagioni. Numeri imparagonabili a quelli delle macchine spara assist presenti in questa lista. Forse per qualcuno Walker non è che la versione aggiornata dell’archetipo del terzino, un giocatore che galleggia nella partita con ordinarietà da impiegato e che solo un esperimento bioingegneristico ha reso grosso, veloce e potente abbastanza per essere competitivo. Questa visione però non rende giustizia ai molti talenti di Walker. Un giocatore dalla sensibilità palla al piede sottovalutata, come dimostra questo delizioso assist servito a Kovacic, squisito per lettura ed esecuzione con l’esterno destro, nella semifinale dell’ultimo Mondiale per club contro gli Urawa Reds.

8. Oleksandr Zinchenko, Arsenal

All’inizio della scorsa stagione, quando Zinchenko era appena arrivato all’Arsenal dal Manchester City, Arteta lo ha descritto come «un centrocampista che gioca da terzino». E in effetti, oltre alla visione di gioco e alla tecnica nei passaggi, quando Zinchenko si accentra in mezzo al campo per tessere il gioco dell’Arsenal sfoggia una dote di cui la maggior parte dei “falsi terzini” è sprovvista, e che invece è propria delle mezzali di possesso (o almeno delle migliori): la tecnica nello stretto. La capacità cioè di destreggiarsi dentro la pressione avversaria col pallone tra i piedi. Di ricevere con uno o più uomini addosso, liberarsene con qualche sterzata, lavorare il pallone toccandolo molte volte in poco tempo e in imbuti di spazio affollatissimi.

Per la disinvoltura con cui abita gli spazi centrali del campo, Zinchenko con la Nazionale gioca stabilmente interno di centrocampo. All’inizio di questa stagione, un articolo di The Athletic si domandava se non convenisse anche all’Arsenal farlo giocare in quella posizione. Una soluzione che permetterebbe di colmare il vuoto lasciato dalla partenza di Xhaka – il sostituto dello svizzero, Kai Havertz, non ha funzionato finora nel ruolo di mezzala sinistra – ma anche di allontanare Zinchenko dalla difesa, dove non è sembrato sempre ineccepibile. Zinchenko ha un fisico gracile e non è particolarmente veloce, e soffre i duelli individuali difensivi contro le ali più esplosive. Ha anche problemi a difendere lo spazio alle sue spalle, e uno stile difensivo aggressivo che lo porta a tentare il contrasto impulsivamente e lasciare la profondità scoperta quando la pressione non riesce. Finora, comunque, Arteta ha sempre voluto usarlo come difensore, farlo arrivare nella mediana centrale dopo, nel corso dell’azione, e non farlo partire lì dall’inizio.

Tra i molti “falsi terzini” di questa lista, Zinchenko è forse quello dallo stile di gioco più essenziale, quello che fa le cose meno appariscenti. Durante la costruzione dell’azione si accentra accanto a Rice e da lì regola il tempo e la direzione del primo possesso dell’Arsenal. Certo, non ci si può aspettare da lui le verticalizzazioni spettacolari di Alexander-Arnold, i tagli profondi senza palla di Hakimi. Zinchenko brilla soprattutto nella ricezione e nella trasmissione del pallone: le abilità fondamentali di un grande passatore. Secondo i dati Fbref, nell’ultimo anno è stato il primo terzino d’Europa per passaggi progressivi e tra i migliori per passaggi filtranti (99esimo percentile), passaggi completati e distanza totale dei passaggi (97esimo percentile). Chissà che alla fine non evolva definitivamente in un centrocampista, come d'altra parte hanno già fatto molti altri terzini, come Lahm e Kimmich.

7. Giovanni Di Lorenzo, Napoli

Nel 2023 Giovanni Di Lorenzo è diventato il secondo capitano della storia del Napoli ad alzare lo Scudetto, dopo Diego Armando Maradona. Non è sufficiente questo traguardo – comunque invidiabile – per rientrare in questa classifica, ma nemmeno si può trascurare l’influenza emotiva che Di Lorenzo è stato capace di infondere al Napoli in un anno storico per gli "azzurri". Di Lorenzo che è stato votato capitano dallo spogliatoio nell’estate prima dello Scudetto, nonostante non fosse il più anziano in rosa, e che è continuamente elogiato per l’equilibrio caratteriale, l’educazione, la diligenza e la professionalità praticamente da tutti quelli che parlano di lui. Proprio quello che ci si aspetta da un terzino.

La leadership di Di Lorenzo sulle sue squadre, però, è anche e soprattutto tecnica. Di Lorenzo brilla per la pulizia tecnica col pallone tra i piedi, e per la capacità profonda di comprendere il gioco: è uno di quei giocatori che sanno leggere gli spazi e i momenti; che nuotano liberi per il campo e supportano il gioco della squadra ad altezze diverse e in corridoi diversi, dalla fase di costruzione a quella di rifinitura. Nel gioco relazionale del Napoli di Spalletti, in cui i giocatori ruotavano in modo apparentemente caotico per associarsi ma eppure con grande armonia, Di Lorenzo era un ingranaggio fondamentale per dare fluidità. Rispetto a molti “falsi terzini” che durante il possesso si accentrano accanto al regista per aggiungere linee di passaggio centrali, Di Lorenzo va ancora oltre: fa movimenti da mezzala vera. Si muove di continuo ovunque serva un appoggio, accompagna l’azione fin negli ultimi metri. Fa inserimenti profondi nel mezzo spazio destro, taglia in area. «È un calciatore moderno, senza ruoli. Di Lorenzo è un calciatore totale», ha detto recentemente Spalletti.

Di Lorenzo ha sempre mostrato una predisposizione per il gioco offensivo, fin dalla prima stagione in Serie A con la maglia dell’Empoli – il 2018/19, chiuso con 5 gol e 3 assist. Allora giocava esterno a tutta fascia nel 3-5-2. Difficilmente lo rivedremo in quel ruolo, visto il rendimento raggiunto poi come terzino di difesa a quattro – una sistemazione che gli permette meglio di accentrarsi e valorizzare le sue doti da playmaker. Raramente in Italia, dove i giocatori dalle doti più offensive vengono immediatamente spostati in avanti, un terzino di una difesa a quattro riesce a essere così influente negli ultimi metri. Di Lorenzo è un’eccezione, uno dei giocatori del nostro campionato col gioco dal respiro più internazionale.

6. Federico Dimarco, Inter

Il percorso che ha portato Dimarco a diventare esterno titolare dell’Inter è stato lungo e accidentato. Il terzino milanese ha cominciato a giocare a calcio come centravanti, nelle giovanili dell’Inter, poi ha progressivamente arretrato la sua posizione fino a ritagliarsi i primi momenti di gloria in Serie A come braccetto di una difesa a tre, nel Verona di Juric. Quando è arrivato all’Inter, nel 2021, Simone Inzaghi lo vedeva soprattutto in quella posizione. Dimarco ha un mancino delicato da trequartista, eccezionale nel gioco di passaggi sia lungo sia corto, ed è abbastanza intraprendente senza palla per smarcarsi di continuo e creare sempre nuove linee di passaggio che favoriscono la costruzione dal basso. In una squadra di rotazioni e dai meccanismi di uscita dal basso lussuriosi come la prima Inter di Inzaghi, le doti tecniche di Dimarco sembravano perfette per il ruolo di braccetto – sempre per quel discorso per cui oggi i giocatori tecnici tendono a spostarsi alla periferia del campo – come vice del regista difensivo titolare Alessandro Bastoni.

Solo nella scorsa stagione Dimarco si è preso la fascia sinistra, e da allora non l’ha più lasciata. È successo nella partita contro la Roma all’ottava giornata, che ha cominciato da esterno sinistro titolare del 3-5-2, e in cui ha segnato un gol tagliando in area sul lato debole come un attaccante ombra navigato. Prima di quella partita Dimarco era per Inzaghi un jolly dalla panchina; dopo quella partita non ha più abbandonato l’11 titolare né la posizione di esterno sinistro.

Dimarco funziona sul lato sinistro dell’Inter perché ha tecnica e visione col pallone: questo gli permette di associarsi bene agli altri giocatori fulcro del lato sinistro dell'Inter, che è quello che pensa per il resto della squadra. Al di là dell’abilità con la palla, che si conosceva fin dagli esordi, Dimarco ha sorpreso questa stagione più che altro per la predisposizione a lanciarsi nello spazio, anche in fase di riaggressione - una qualità che non gli riconoscevamo. Quando l’Inter perde palla in zone avanzate di campo, Dimarco invece di rientrare si lancia alla riconquista del pallone con intensità da Bundesliga. In questa Serie A è tra i terzini che tentano più tackle nell’ultimo terzo di campo (91esimo percentile secondo Fbref).

Il suo 2023 è stato un anno memorabile. In primavera è stato tra i protagonisti della campagna europea dell’Inter: nell’andata della semifinale di Champions contro il Milan è stato tra i migliori in campo, entrando in tutte le azioni pericolose con cui l’Inter nel primo tempo ha inclinato a proprio favore l’inerzia della partita e della qualificazione. In finale contro il Manchester City si è visto togliere un gol già fatto dal calcagno di Lukaku a un metro dalla porta.

C’è un dubbio, però: quanto le sue prestazioni sono il frutto del puro talento, e quanto invece spinte dal sistema estremamente oliato dell’Inter? Dimarco sembra il prototipo del giocatore di sistema, quello che dentro un modello di gioco finemente codificato alza il livello del rendimento. Il suo modo stesso di stare in campo è lontano dall’immagine di calma autorità che trasmettono i giocatori più qualitativi. Il suo stile di gioco adrenalinico ricorda le parole longobarde snocciolate da Alessandro Barbero in un famoso video: spranga, zuffa, guerra, trappola, spaccare, arraffare. L’aneddoto su di lui che meglio racconta la sua stravaganza da invasato l’ha raccontato Marco Silvestri, compagno di Dimarco al Verona: «Ci ha chiesto lui di essere chiamato “Whisky”, non so perché».

5. Alphonso Davies, Bayern Monaco

È strano pensare che Davies ha solo 23 anni e 4 mesi, quando invece ci sembra di conoscerlo da sempre. È una condizione comune a quei calciatori dal talento straordinario che debuttano giovanissimi e vivono tutte le fasi di una carriera concentrate in pochi anni: l’ascesa, l’esplosione, il calo, la stasi.

Quando Davies si è affacciato sul calcio d'élite, ha sfondato la finestra rompendo tutti i vetri. A partire dal 2019, in pochissime partite da titolare al Bayern Monaco, Davies ha fatto capire di essere uno di quei giocatori che rivoluzionano il proprio ruolo. Ha messo gli analisti davanti a una domanda: è Davies il terzino del futuro? Un giocatore cioè che può permettersi di non brillare particolarmente nelle letture difensive e di interpretare il ruolo in modo spregiudicato, perché tanto la sua velocità e la sua forza fisica fuori dal comune gli permettono di recuperare qualsiasi situazione?

In quel periodo non passava partita di Davies senza che diventasse virale il video di qualche suo recupero in cui aveva bruciato il campo sotto i suoi piedi. Questo contro Haaland, ad esempio, o questo contro l’Arminia Bielefeld sotto la neve, affascinante soprattutto perché lo scenario post-apocalittico fa sembrare l’accelerazione di Davies ancora più mostruosa, frutto di qualche esperimento transumanista.

Negli ultimi due anni questi video sono diventati sempre più rari, e le prestazioni di Davies hanno smesso di fare notizia. È vero che il canadese pare essersi ingrigito, avvitato nella stessa involuzione che ha infiacchito tutto il Bayern Monaco. Ma dire che il suo gioco ha subito un vero calo sarebbe improprio. Ancora oggi, pochi terzini influenzano il gioco della propria squadra come Alphonso Davies nel Bayern: coi suoi strappi, la sua fisicità esplosiva, la sua capacità di percorrere il campo a grandi falcate senza perdere in precisione tecnica. Le sue statistiche sulle conduzioni, la distanza percorsa palla al piede e i dribbling tentati e riusciti – tra le altre statistiche – lo mettono ancora oggi tra i migliori terzini d’Europa. E se il suo calo fosse dovuto semplicemente al fatto che ci siamo abituati alla sua eccezionalità?

4. Achraf Hakimi, PSG

Avevamo lasciato Hakimi come un giocatore dalla presenza in campo straripante. Attaccante ombra nell’Inter di Conte con le sue accelerazioni sul lato debole, imprendibile per i difensori che si muovevano a piedi mentre lui pareva spostarsi su un monopattino truccato. Lo ritroviamo oggi con uno stile più minimale, in una squadra come il PSG in cui non è affatto il giocatore con più riflettori addosso, e dove Hakimi trasmette un’aura di terzino terzino come mai in carriera – per il calcio con meno picchi che adesso gli è richiesto, per l’aria vagamente impiegatizia che di conseguenza pare circondarlo.

Non che Hakimi abbia perso qualità rispetto al passato, anzi: è come se avesse ceduto parte del suo stile debordante per cominciare a occuparsi anche di questioni più essenziali: aiutare la prima costruzione, offrire appoggi sicuri per favorire l’avanzata del possesso, tenere una soglia d’attenzione più alta per la fase difensiva. La ragione è prima di tutto tattica: col passaggio al PSG, Hakimi si è trovato per la prima volta a fare l’esterno di una difesa a quattro, mentre al Dortmund e all’Inter aveva giocato prevalentemente come “quinto” di centrocampo con compiti soprattutto offensivi.

Quest’anno, con l’arrivo al PSG di Dembélé, lo scenario è ulteriormente cambiato per Hakimi, che si è trovato davanti un’ala che resta spesso isolata in fascia per cercare l’uno contro uno. Forse per la prima volta in carriera, Hakimi ha smesso di essere il riferimento in ampiezza per la sua squadra, e si è riadattato in altri compiti di supporto e di manovra. Lo ha fatto con ottimi risultati: rispetto al passato, in cui veniva coinvolto soprattutto nella parte finale dell’azione, Hakimi è oggi un terzino che partecipa attivamente alla risalita della palla, sia con un gioco di passaggi più corto e minimale (nei dati Fbref, nell’ultimo anno è il primo terzino per passaggi corti tentati e riusciti nelle principali competizioni europee, e nel 99esimo percentile per passaggi progressivi), sia con le sue classiche conduzioni. È ancora il terzino in Europa che più conduce palla e più distanza progressiva percorre col pallone tra i piedi.

Quando intravede lo spazio per inserirsi in area senza palla, però, il suo vecchio istinto da attaccante occulto ritorna a galla con intatta brutalità; solo i suoi tagli non avvengono più sull’esterno come prima, ma nel mezzo spazio, dando una sovrapposizione interna a Dembélé. Ne è un esempio questo gol segnato di testa al Rennes a ottobre, in cui Hakimi prima conduce fisicamente il pallone nella trequarti centrale, poi scarica e attacca l’area nel mezzo spazio chiamando la verticalizzazione a Zaire-Emery.

3. Theo Hernandez, Milan

Se chiudete gli occhi e pensate a Theo Hernandez probabilmente lo visualizzerete così: lui con la testa alta che scruta il campo, nella sua trequarti sinistra; passa la palla in diagonale a un compagno libero; si lancia nello spazio per chiudere il triangolo; riceve dietro la linea (o due-tre linee) di pressione e continua a portare palla fino a trovarsi faccia a faccia col portiere, oppure a servire un compagno sulla trequarti, dopo aver capovolto da solo il fronte di gioco col suo strappo. Un intero set di movimenti che può considerarsi la signature move di Theo Hernandez. Con quella ha segnato contro il Napoli e contro la Roma e servito l’assist a Loftus-Cheek contro l’Udinese, solo nell’ultimo mese di Serie A.

Quando comincia a correre, Hernandez si solleva a qualche centimetro da terra in una nuvola di potenza, perfetto per il calcio versione Mad Max di questi anni. Théo Hernandez ha proprio l'aspetto della macchina, i calzettoni tirati fino al ginocchio attutiscono i movimenti e rendono i suoi passi felpati.

Hernandez nel Milan non è un mero esecutore di piani decisi in altre caselle di campo, ma uno dei giocatori con più responsabilità decisionali. Il gioco della squadra, di fatto, finisce spesso per assumere la forma del suo talento tecnico, della sua forza fisica e del suo carisma. Anche del suo stato di forma, che nell’ultimo anno è stato altalenante a dire il vero. Tra metà dicembre e metà febbraio il Milan ha ritrovato continuità e si è tirato fuori dall’acquitrino in cui sembrava essersi ficcato insieme al ciclo di Pioli. Theo, termometro ideale della salute del Milan, ha contestualmente alzato il livello delle prestazioni, dopo un 2023 più di ombre che di luci. Nelle ultime 10 partite in tutte le competizioni ha accumulato 2 gol e 4 assist.

Anche quando è stato schierato da difensore centrale, una mezza dozzina di partite tra dicembre e gennaio, Théo non ha smesso di essere influente nella trequarti offensiva. Di infilarsi negli spazi liberi, chiamare palla dietro la pressione, condurla molto vicino alla porta avversaria. L’esperimento ha funzionato solo in parte, e ha svelato soprattutto le difficoltà del francese nelle letture difensive. Ma a parte questo Theo ha continuato a essere utile offensivamente come lo era giocando in fascia. Ha dimostrato una volta di più che le sue iniziative sono tra i principali trigger della pericolosità offensiva del Milan, indipendentemente da quale posizione parta.

2. Alex Grimaldo, Leverkusen

Alejandro detto “Alex” Grimaldo García ha 28 anni e una carriera trascorsa fin qui incomprensibilmente alla periferia del calcio d’élite. Incomprensibilmente perché è da anni che le sue statistiche sono senza senso per un terzino. Cresciuto nella Masía – dove è stato trasformato da centrocampista centrale a terzino sinistro – non ha mai debuttato nella prima squadra del Barcellona e nel 2016 è stato comprato dal Benfica. Questi alcuni numeri di Grimaldo a Lisbona, comprensivi di tutte le competizioni: 5 gol e 13 assist nel 2018/19; 9 assist nel 19/20; 2 gol e 10 assist nel 20/21; 6 gol e 9 assist nel 21/22; 8 gol e 16 assist nel 22/23. Dopo l’ultima straordinaria stagione al Benfica, giocata con il contratto in scadenza, c’era da aspettarsi che le migliori squadre europee si sarebbero sfidate senza pietà per assicurarsi Grimaldo. E invece alla fine si è trasferito a parametro zero al Bayer Leverkusen, dove sta continuando a macinare numeri assurdi: 11 gol e 15 assist fin qui.

Per qualche motivo, Grimaldo è stato snobbato finora anche dalla Nazionale spagnola. Ha esordito in prima squadra solo lo scorso novembre, contro Cipro, in una partita giocata dalla Spagna con le seconde linee e in cui Grimaldo, accumulatore avido di contribuzioni al gol, ci ha messo 22 minuti per servire il primo assist.

Forse Grimaldo è stato ignorato perché troppo piccolo – è alto solo 1 metro e 70 e pesa 69 kg –, ma è anche vero che ha già dimostrato di essere più che affidabile nel lavoro difensivo, e di poter compensare con velocità e senso della posizione le lacune fisiche. E poi la sua tecnica col pallone e la sua

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