40 giovani da seguire nel 2018
Abbiamo messo insieme i giovani talenti che più ci interesserà seguire nell’anno appena cominciato.
Alexander Isak, ‘99, Borussia Dortmund
di Emanuele Atturo
Se è vero che l’appellativo di “Nuovo Ibra” affibbiato a un centravanti alto e tecnico suona sempre ridicolo, bisogna ammettere che non era sembrato tanto promettente come per Aleksandr Isak. È un centravanti svedese di origini eritree di un metro e novanta incredibilmente filiforme. I dati di Wikipedia riportano che pesa 70 kg ma l’impressione dalla tv è che sia persino più magro. È un giocatore buffo da vedersi, con le leve lunghe, sempre sul punto di inciampare. Isak fa parte di quella categoria di giocatori che si distingue nel calcio contemporaneo per un fisico che non corrisponde allo stile di gioco. Pur essendo un centravanti, Isak ama accorciare all’indietro in zona palla e dialogare con i compagni. Il modo in cui tocca il pallone, effettua dei cambi di gioco, rifinisce l’ultimo passaggio, sembra sempre un po’ istintivo e improvvisato, e per questo lascia immaginare enormi margini di miglioramento. Idealmente, Isak sembra poter diventare un centravanti moderno, bravo a finalizzare (ha una freddezza impressionante davanti alla porta) ma anche ad aiutare la squadra metri indietro.
Tutte queste cose Isak le aveva fatte vedere ormai più di un anno e mezzo fa, quando giocava ancora con il Malmoe (l’ex squadra di Ibra, tanto per alimentare la mistica) e aveva messo insieme 10 gol in 24 partite ad appena 17 anni, oltre che una bella serie di giocate da compila di YouTube.
Sembrava essere “il” giovane da seguire anche a inizio 2017, quando – proprio di questi tempi – si era appena permesso di rifiutare il trasferimento al Real Madrid preferendo il Borussia Dortmund, che gli avrebbe permesso di crescere con meno riflettori addosso (almeno in teoria). Il suo inserimento è stato però più graduale del previsto: nel contesto caotico del Borussia Dortmund dell’ultimo periodo, Isak è stato preservato nelle squadre giovanili, e ha giocato in totale appena 6 partite (segnando 1 gol). Quest’anno capiremo di più su Isak, se si tratta solo di un attaccante giraffa – strano e deperito – o di un nuovo prototipo di centravanti.
Trent Alexander-Arnold, ‘98, Liverpool
di Emanuele Atturo
Il calcio rimane uno sport in cui conta più di tutto come si calcia. E pochi giovani calciano meglio il pallone di Trent Alexander-Arnold, ultima invenzione di Jurgen Klopp da terzino destro del Liverpool. Lo avrete visto anche voi, quel passaggio allucinante che ha fatto qualche settimana fa, con la palla che ha attraversato le linee avversarie con la fredda precisione di un drone telecomandato. Arnold aveva preso la palla con un mezzo taglio d’esterno e aveva mandato in porta, 50 metri più avanti, Roberto Firmino. Ad ottobre, nei preliminari di Champions League contro l’Hoffenheim, aveva segnato al suo debutto con un calcio di punizione a giro sopra la barriera. Arnold è molto grezzo e non si capisce fino a dove possono essere limati i suoi limiti, offensivi e soprattutto difensivi. Come tutti i giovani inglesi, ha addosso una quantità di occhi spropositata, e Klopp ha già avuto modo di lamentarsi: «È un grande talento ma si parla troppo di lui!».
Carles Aleñá, ‘98, Barcellona
di Daniele V. Morrone
Carles Aleñá ha iniziato il 2018 allenandosi con la prima squadra e in conferenza stampa Valverde ne parla come di un giocatore che vuole mantenere all’interno di questo gruppo. L’idea del tecnico è evidente: fino a fine stagione vuole farlo allenare con i grandi il più possibile, e poi nel fine settimana farlo giocare con il Barcellona B in Segunda. Nella prossima estate capirà se promuoverlo in prima squadra o mandarlo in prestito una stagione ad una squadra della Liga, per farlo giocare sempre.
Nel futuro a medio termine di Aleñá c’è la maglia da titolare del Barcellona: da anni studia per questo. Cresciuto nella Masia e riconosciuto da subito come il talento più grande a centrocampo dai tempi di Thiago Alcantara, è stato inserito in una corsia preferenziale che lo aiuti nell’apprendimento, ma che al contempo lo protegga dalla pressione dell’ambiente. Come da dettame di Cruyff, viene fatto giocare in più ruoli, anche per metterlo a disagio: per forzarlo ad imparare cose nuove in un contesto meno favorevole. Mezzala sinistra, destra, regista, addirittura esterno. Ogni anno impara qualcosa, pulisce qualcosa del suo gioco.
La novità più recente è un controllo orientato di una pulizia tecnica impressionante, raggiunto forse grazie proprio all’allenamento vicino ad un maestro del fondamentale come Iniesta. Aleñá è al contempo l’erede della grande tradizione di centrocampisti della Masia e l’evoluzione della specie: il fisico è già bello strutturato su 180cm, le gambe gli danno una reattività nel breve inedita e quindi una conduzione palla al piede e una potenza di calcio senza paragoni con i suoi illustri predecessori (per dire al suo esordio con la prima squadra ha segnato da fuori area). Il Barcellona ha in casa un tesoro e il 2018 sarà l’anno in cui la seconda squadra comincerà ad andargli stretta.
Ezequiel Barco, ‘99, Independiente
di Fabrizio Gabrielli
Gli ultimi sei mesi della vita di Ezequiel Barco equivalgono a quello che nella normalità corrispondono all’intera carriera di un calciatore. Pochi altri classe ‘99 possono vantare un’escursione termica elevata come quella che ha vissuto lui, tra la nottata glaciale di fine giugno, quando sbagliando un rigore decisivo contro il Lanús ha impedito all’Independiente di tornare a giocare la Libertadores; e il trionfo torrido del Maracanã, dove è andato a calciare – caricandosi sulle spalle la responsabilità come solo i predestinati o i pazzi – un rigore che ha spalancato ai “Diablos Rojos” la strada verso la conquista della Copa Sudamericana. Ma quando si parla di calciatori così giovani la consacrazione si scosta dal bruciarsi solo di qualche centimetro.
E proprio in virtù di questo semestre vissuto come in un acceleratore atomico di particelle emozionali, forse scegliere la MLS (perché mentre scrivo è chiaro che la volontà di Barco sia trasferirsi ad Atlanta, a prescindere da quando, come e a quali condizioni, lo cederà l’Independiente) potrebbe rivelarsi una mossa non è del tutto sbagliata, anzi potrebbe essere davvero la più sensata. La franchigia georgiana è un laboratorio interessante, dove gli esperimenti li guida il “Tata” Martino e le componenti chimiche hanno i nomi di Miguel Almirón, Josef Martínez e Héctor Villalba: vale a dire prospetti sudamericani che nella Big Peach non cercano un buen retiro anticipato e rinunciatario, ma un ambiente rilassato in cui affinarsi prima di approdare, perché inevitabilmente avverrà, in Europa. Oltre a un luogo in cui “scappare” dall’Argentina per costruire un futuro anche economicamente solido (dopotutto Barco è uno di quelli cresciuti nelle case col tetto di paglia).
Barco è un trequartista molto dinamico, appariscente nella misura in cui sembra avere il pallone attaccato ai piedi mentre si muove per il centrocampo; ha una tecnica di passaggio sopraffina, un buon lancio lungo e soprattutto carisma, che nel suo ruolo non guasta per niente. Ricorda per certi versi Charlie Aránguiz: per la tenacia nei contrasti, la visione limpida delle linee di passaggio e la propensione al turbodinamismo. Non sarei sorpreso se tra un anno esatto ce lo trovassimo in Bundesliga. Solo il 2018, in cui molto probabilmente avrà imparato l’americano, saprà confermare o disattendere le aspettative.
Phil Foden, 2000, Manchester City
di Flavio Fusi
Dopo aver vinto il Mondiale Under 17 da protagonista, con una doppietta in finale e il titolo di miglior giocatore della manifestazione, il 21 novembre scorso Phil Foden ha finalmente fatto anche il suo esordio in prima squadra, diventando il più giovane debuttante in Champions League nella storia del Manchester City.
Mancino naturale diventato praticamente ambidestro, dotato di un controllo di palla eccezionale, gioca sempre a testa alta e ha una consapevolezza tecnica tale con entrambi i piedi che gli permette di essere tanto bravo nel passaggio quanto nel dribbling e che gli permette di essere costantemente un passo avanti ai propri avversari. Può giocare esterno, come ha fatto in Nazionale, o a centrocampo, come ha fatto da quando indossa la maglia del club che lo ha cresciuto dai tempi dell’Under 9-, e indipendentemente dal ruolo, ha segnato praticamente quanto un attaccante e servito assist al ritmo di un trequartista (almeno a livello giovanile).
La taglia minuta, la consapevolezza posizionale e lo stile di passaggio lo fanno assomigliare ad un prodotto della Masia, ma il pupillo di Guardiola è il simbolo di una generazione di calciatori inglesi che ha vinto praticamente tutto a livello giovanile è ha fatto parlare qualcuno di “new Golden Generation”. Il 2017 è stato per Foden un anno da predestinato, ma il 2018 sarà ancora di più importante per la sua carriera: dovrà gradualmente guadagnarsi il suo spazio nel calcio professionistico senza perdersi per strada come hanno fatto tanti giovani prodigi suoi connazionali.
Dominik Szoboszlai, 2000, FC Liefering
di Flavio Fusi
L’Ungheria, un tempo patria dell’Aranycsapat, la celebre “squadra d’oro” degli anni ‘50, sta producendo sempre meno giocatori di talento, ma è difficile non intravedere un bagliore di speranza di fronte alle qualità di Dominik Szoboszlai. Formatosi tra Főnix Gold FC, l’ambiziosa academy del padre e MTK Budapest, il classe 2000, inseguito dalle principali squadre europee, è stato infine prelevato dal RB Salisburgo nella passata stagione.
Il 2017 è stato già un anno eccezionale per Szoboszlai: anche se non ha preso parte al trionfo in Youth League del Salisburgo, si è ampiamente rifatto in campo internazionale portando l’Under 17 ungherese al suo primo Europeo dal 2006, segnando tutti e tre gol dei magiari nelle ultime due gare di qualificazione, compresi i due gol all’ultimo minuto valsi la vittoria contro Russia e Norvegia. Dopo un tale exploit, a 17 anni da compiere (è nato il 25 ottobre) è stato promosso in Under 19 e a giugno è persino arrivata la convocazione in Nazionale maggiore.
Regista o trequartista, ma all’occorrenza anche mezzala o esterno, Szoboszlai ha un QI calcistico fuori norma. Può dettare i tempi della manovra, ma ha nei piedi anche l’ultimo passaggio e nel vederlo giocare sia ha sempre una sensazione di controllo. Tratta il pallone come pochi, ha un gran tiro dalla distanza ed è letale sui calci piazzati. Pur non essendo rapidissimo, dribbla gli avversari quasi con nonchalance. Alto 1 e 85, è dotato di grande resistenza ed è sempre in movimento quando la palla ce l’hanno gli avversari o i compagni.
All’inizio di questa stagione è stato aggregato al Liefering, la seconda squadra del Salisburgo che milita nella seconda divisione austriaca e si è imposto immediatamente, chiudendo il 2017 con 6 gol e 3 assist nelle ultime otto partite dell’anno, oltre ad altre 3 assistenze in quattro presenze di Youth League. Se continua così, nel 2018 potrebbe saltare il passaggio quasi obbligato in prima squadra e trasferirsi direttamente al Lipsia.
Wuilker Fariñez, ‘99, Caracas FC
di Fabrizio Gabrielli
Wuilker Fariñez è stato uno dei (tanti) fantasmi che l’Argentina ha dovuto schivare, cercando di non farsi terrorizzare a morte, prima di qualificarsi ai prossimi Mondiali. Volto fresco e sprezzante, atteggiamento in campo di chi è sicuro dei propri mezzi ma senza spocchia, Wuilker è un portiere atipico per il contesto sudamericano: più basso della media, bravo coi piedi ma disciplinato nelle uscite, esplosivo nell’uso dei riflessi. Un portiere dotato di un nervosismo misurato. Dudamel – ex storico portiere della nazionale venezuelana – a inizio 2017 ha deciso di affidargli i pali della Vinotinto, e in sei partite di qualificazione ai Mondiali, Wuilker ha subito solo 6 reti (nelle prime 12 erano state 29): il Venezuela era già eliminato ma lui si è comportato così bene (ha parato un rigore ad Alexis e fermato Falcao) che ha rischiato di tirarsi dietro, con una serie di parate assurde al Monumental di Buenos Aires, anche l’Albiceleste.
La promozione tra i titolari in nazionale è stata la glassa sulla torta di una stagione perfetta, in cui ha trascinato il Venezuela alla sua prima finale di un torneo FIFA, il Mondiale U20 (in cui ha segnato anche, primo portiere a farlo, un gol su rigore) poi perso contro l’Inghilterra. Ma è stata anche il coronamento di un percorso che lo vede nel giro della Nazionale da almeno due anni, cioè quando era ancora minorenne. E dire che solo a 14 anni ha scelto di fare il portiere e non l’attaccante. Nel 2015 è rimasto 689 minuti senza subire reti, aveva diciassette anni (e più o meno in quel periodo ha provato a sfondare in Europa: quando il Real Madrid gli fece fare un provino insieme a Peñaranda, non se ne fece nulla). Bisognerebbe chiedergli di rifarlo oggi, su un palcoscenico più provante della Serie A venezuelana. Non è detto che non possa riuscirci.
Moise Kean, 2000, Juventus/Verona
di Marco d’Ottavi
Foto di Marco Luzzani / Getty Images.
Il 2018 sarà il primo anno di Kean speso interamente tra i professionisti, dopo aver messo sottosopra il campionato Primavera ed essersi guadagnato un posto nella rosa del Verona. Nonostante sia ancora giovanissimo (è nato nel 2000), nella prima parte di stagione ha accumulato minuti importanti, dimostrando che il suo percorso di crescita è più avanti rispetto a quasi tutti i suoi pari età. È infatti molto raro vedere una punta di neanche 18 anni giocare così tanto (tra gli under 20 in Serie A solo Donnarumma ha giocato di più), soprattutto in una squadra che lotta per non retrocedere.
Pecchia lo usa spesso come un’arma per sfiancare i difensori avversari nei primi 60’ di gioco. Kean è infatti già molto fisico per la sua età e non si fa problemi nel duellare con avversari molto più grandi (di età) ed esperti di lui. Molto rapido in progressione e con una spiccata propensione al dribbling (ne prova quasi 4 ogni novanta minuti, riuscendo in circa il 50% dei casi) sarà interessante seguire la sua evoluzione quest’anno. Ad oggi è ancora un po’ acerbo, tende ad intestardirsi nella soluzione personale, ed è ancora poco propenso ad un gioco associativo come richiesto oramai a tutti i centravanti.
Ma le qualità fisiche e tecniche sono evidenti. Proprio per questa sua velocità e capacità nel saltare l’uomo, il futuro di Kean potrebbe vederlo muoversi dal centro dell’attacco all’esterno, dove potrebbe diventare un giocatore determinante. La Juventus, che detiene il suo cartellino, non ha fretta: nel 2018 saranno in molti alla finestra per controllare la crescita di uno dei talenti italiani migliori della sua generazione.
Panagiotis Retsos, ‘98, Bayer Leverkusen
di Flavio Fusi
Il calciatore greco più costoso della storia ha origini sudafricane, fa il difensore ed è passato in estate dall’Olympiakos al Bayer Leverkusen. Retsos può giocare sia da centrale che da terzino, ma all’occorrenza può essere schierato davanti alla difesa. È alto 1,85, fatto che lo rende efficace nei colpi di testa, ma allo stesso tempo è anche rapido e scattante oltre che molto aggressivo nell’uscire in pressione, caratteristica che in patria gli è valsa più di un paragone con Kostas Manolas. Non ha paura di lanciarsi in qualsiasi tipo di contrasto e il suo coraggio è supportato da un forse fisica non indifferente.
Nonostante i 20 anni da compiere ha già ottime letture che lo rendono particolarmente efficace negli anticipi, sia che giochi al centro della difesa o sull’esterno. Ma la sua comprensione dello sviluppo del gioco non si limita alla fase difensiva: Retsos si fa apprezzare anche con la palla tra i piedi. Gli piace molto portare la palla, fondamentale in cui è lucido e calmo e dispone di un lancio lungo considerevole, oltre che preciso. La sua versatilità lo rende importante anche quando gioca sulla fascia: il suo atletismo e l’ottima resistenza che gli permettono di percorrere la fascia avanti e indietro.
Al Leverkusen Retsos sta confermando tutte le sue doti naturali, oltre che una poliedricità notevole, elemento sempre più ricercato nel calcio di oggi. Deve ancora limare alcuni aspetti del suo gioco (a volte è aggressivo ai limiti del falloso e troppo sicuro di sé con la palla), ma potrebbe essere pronto a fare un altro grande salto già nel 2018.
Martin Ødegaard, ‘98, Real Madrid/Heerenveen
di Daniele Manusia
Sembra incredibile a dirsi ma sono passati già tre anni da quando Martin Ødegaard è stato acquistato dal Real Madrid. Zinedine Zidane all’epoca non era neanche l’allenatore della prima squadra e Ødegaard aveva già tutti gli occhi puntati addosso. Non si è adattato a Madrid (anche perché, da contratto, si allenava con Cristiano Ronaldo e co. anche se il week-end giocava con il Castilla) e dallo scorso gennaio è in Olanda, in prestito all’Heerenveen dove ha finalmente ripreso un normale percorso di crescita. Ne sentiamo parlare da quando ha quindici anni ed è difficile avere la giusta prospettiva su di lui, ma è comunque nato nel dicembre ‘98 ed è uno dei più giovani in questo elenco.
Per chi nel frattempo si fosse dimenticato cosa aveva Ødegaard di tanto speciale, mettiamola così: con il piede sinistro può mettere la palla in un punto del campo qualsiasi a sua scelta nel raggio di trenta-quaranta metri. Sarebbe capace di far entrare la palla in una finestra aperta a metà al quarto piano di un palazzo, calciando dal marciapiede di fronte; di metterla sul piede di un compagno che corre bendato verso la porta avversaria in modo che la palla si stoppi da sé. Il suo piede sinistro equivale al miglior braccio del miglior quarterback di NFL; il suo occhio a quello di un pesce volante capace di calcolare, sotto la superficie dell’acqua, la velocità, l’altitudine e la traiettoria degli uccelli che caccia… Potrei andare avanti tutto il giorno elogiando il piede sinistro e la visione di Martin Ødegaard, perché ne ho visti davvero pochi di giocatori con quella qualità.
Foto di Trond Tandberg/Getty Images.
Ovviamente ha ancora molto da migliorare, tecnicamente e fisicamente. Ma se non è ancora un giocatore da Real Madrid, oggi Ødegaard è di sicuro già un giocatore vero. È un numero 10 abituato a muoversi partendo da destra, perché in protezione non è molto sicuro ed è meglio non riceva con l’uomo alle spalle, ma che una volta giratosi verso l’interno del campo può entrare in relazione con qualsiasi compagno, nel breve come nel lungo. Con quel piede i compagni gli dettano spesso passaggi nello spazio e lui serve meglio i compagni sul movimento che sul piede, per questo il contesto ideale per lui è una squadra verticale e dinamica. Ha un buon dribbling ma non ha la potenza per essere sicuro di non venire recuperato. Ha sviluppato anche una fase difensiva attiva, tagliando le linee, andando in pressione e provando a recuperare la palla. Insomma, Ødegaard sta diventando un giocatore completo e il limite più grande sembra quello fisico (infortuni compresi). A giugno scade il prestito con l’Heerenveen e starà al Real Madrid, e a Florentino Perez, decidere cosa fare di lui, anche se un altro prestito non può che fargli bene.
Patrick Cutrone, ‘98, Milan
di Federico Aquè
La rivoluzione estiva ha aperto per qualche settimana un vuoto di potere al centro dell’attacco del Milan, riempito con una naturalezza sorprendente da Patrick Cutrone. Dopo aver attraversato tutte le categorie del settore giovanile rossonero, Cutrone aveva assaggiato la Serie A alla fine della scorsa stagione, per pochi minuti contro il Bologna, e sembrava destinato a una cessione in prestito. E invece i gol segnati in estate, tra le amichevoli e le prime partite stagionali, hanno convinto la società a trattenerlo e a rinnovargli il contratto, nonostante gli acquisti di André Silva e di Kalinic.
Vincenzo Montella, che lo ha lanciato e ha avuto un ruolo fondamentale nella scelta di non mandarlo in prestito, aveva detto che Cutrone gli somiglia nella ricerca continua del gol. È in effetti il tratto che meglio definisce il suo stile di gioco, con e senza palla. Gran parte della sua partita si riduce alla scelta del modo migliore per attaccare la porta, è veloce a coordinarsi e a trovare la soluzione più adatta per calciare. Questo tipo di sensibilità gli ha permesso di costruirsi in fretta un’ottima reputazione come finalizzatore: ha segnato 9 gol in tutte le competizioni ed è il capocannoniere stagionale del Milan. Cutrone riempie comunque le sue partite con tanti dettagli che piacciono agli allenatori e ai tifosi: duelli fisici con i difensori, corse all’indietro per seguire un avversario, pressioni ostinate su chi ha la palla. Fuori dall’area non ha qualità particolari, ma sa farsi valere sia palla al piede che negli scambi veloci che solitamente coinvolgono gli attaccanti, tanto che in alcune partite è stato schierato da esterno sinistro, più che altro per dargli la possibilità di entrare in area in corsa tagliando dalla fascia.
Dopo l’exploit iniziale, la sua stagione si è comunque normalizzata: Kalinic si è imposto come centravanti titolare e Cutrone ha trovato spazio soprattutto in Europa League. Il gol decisivo segnato nel derby di Coppa Italia ha però fatto impennare di nuovo le sue quotazioni e gli ha garantito il posto da titolare anche in campionato. Ancora una volta le sue prestazioni potrebbero riscrivere i piani della società (si parla ad esempio della cessione di André Silva) e stravolgere le gerarchie dell’attacco milanista, com’era già capitato la scorsa estate. Nell’incertezza generale, la sola cosa sicura è che, in un modo o in un altro, il 2018 sarà l’anno in cui Cutrone dovrà confermare quanto di buono fatto fin qui.