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Andrea Lamperti
Guida psichedelica ai tornei sudamericani degli anni '90
26 apr 2024
26 apr 2024
Necessaria per districarsi nel labirinto creato in quel decennio dalla CONMEBOL.
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Andrea Lamperti
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IMAGO / Latinphoto
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La storia delle competizioni per club sudamericane è piena di fantasmi. Lo mette in chiaro subito all’ingresso la pagina - o meglio, la categoria di pagine - dedicata su Wikipedia: Defunct CONMEBOL club competitions. All’interno, una ventina di tornei ideati e poi abbandonati dalla confederazione sudamericana, più gli altri sotto il cappello delle federazioni nazionali, nonché una curiosa classifica degli allenatori con più successi in queste ex competizioni. Il materiale non manca: dalla storica Coppa Intercontinentale, co-organizzata da CONMEBOL e UEFA, alla caotica spirale di titoli che hanno visto la luce negli Anni ‘90; un decennio in cui l’America Latina pare essersi appassionata, almeno nelle idee dei suoi vertici, a cervellotiche sfide tra i campioni di, i campioni tra i campioni di, e via dicendo.

La Copa de Oro, ad esempio, si è disputata tre sole volte, nel ‘93 (con quattro squadre), nel ‘95 (due) e nel ‘96 (ancora quattro), e probabilmente è stata dimenticata da tutti tranne che dai club che la espongono in bacheca: Boca Juniors, Cruzeiro e Flamengo. Il nome completo del torneo - Copa de Oro Nicolás Leoz (da non confondere con la Copa de Oro di Mar del Plata, argentina) - è un tributo al pluri-presidente paraguaiano della CONMEBOL: un'usanza non inedita nel contesto, come ricorda anche la Supercopa Libertadores João Havelange, dedicata al numero uno della FIFA dal ‘74 al ‘98 (e da non confondersi a sua volta con la Copa João Havelange, brasiliana). L’assoluta peculiarità del periodo, però, risiede nella formula: un mini-torneo a eliminazione diretta cui erano invitate le vincitrici di Copa Libertadores e Copa CONMEBOL - per intenderci, le “nostre” Champions League ed Europa League - ma non solo; anche i recenti campioni della Supercopa Libertadores e della Copa Máster de Supercopa, a loro volta contese tra le vincitrici di altre competizioni, in una specie di scatola cinese della coppa sudamericana.

A questa velocità districarsi nella giungla di tornei ufficiali concepiti in quel periodo è impossibile, salvo per chi ha un trascorso negli uffici della CONMEBOL e dunque ha superato i test di logica, i labirinti, i tetris e le matrioske che immaginiamo come colloquio di assunzione. Partiamo quindi dal fissare come stella polare la buona e vecchia Copa Libertadores, seguita negli anni ‘90 dalla Copa CONMEBOL, la seconda più prestigiosa nel panorama continentale, dalle cui ceneri è nata l’attuale Copa Sudamericana. Intorno, un contorto universo che ricorda quello ironicamente descritto da Lercio con l’istituzione di “nuovi trofei da far vincere a Cristiano Ronaldo” e “riempitivi del venerdì mattina”.

Se siete tra i detrattori delle varie supercoppe nazionali e continentali, e se magari considerate la Nations League e i calcoli sul Ranking UEFA una perdita di tempo, sappiate che attraversando l’Oceano potreste trovare chi ne ha sprecato, si può dire, molto di più.

L’inizio intercontinentale

L’ossessione della CONMEBOL per l’elezione di campioni e supercampioni d’ogni sorta ha toccato l’apice nell’ultimo decennio del secolo scorso, ma affonda le proprie radici all’inizio degli anni ‘60, con l’istituzione della Coppa Intercontinentale. Ovvero, il supposto scontro finale Europa contro Sudamerica, tra le vincitrici di Coppa dei Campioni e Copa Libertadores, in una folkloristica sfida per cui la FIFA aveva imposto la denominazione ufficiale Coppa Intercontinentale dei Club Campioni. Per motivi logistici il formato andata e ritorno delle prime edizioni verrà abbandonato nel 1980, e per ragioni di branding il nome diventerà Coppa Europeo-Sudamericana prima e Toyota Cup poi, fino a confluire nel Mondiale per Club inaugurato nel 2000 dalla FIFA. Resterà, invece, l’idea di fondo che il formato campioni-contro-campioni fosse il modo migliore per intasare i calendari dei club.

A posteriori, l’Intercontinentale è stata l’ultima interpretazione ben riuscita della CONMEBOL, e forse l’unica sensata, del concetto di crème de la crème applicato al calcio; ma non è stata sufficiente, per fortuna o purtroppo, a saziare la fame di nuove competizioni. Ad Asunción (Paraguay), nel quartier generale della confederazione, si è pensato allora ad una “versione espansa”, inaugurata nel 1968. Nasceva così la Supercopa de Campeones Intercontinentales, o Recopa Mundial, con inviti riservati ai club con almeno una Intercontinentale in bacheca.

Con il senno di poi, stupisce il giusto che l’esperimento supercoppa al quadrato non abbia riscosso particolare successo, e anzi che si sia concluso dopo due sole edizioni, elargendo ben mezzo titolo al Santos, dopo una finale giocata a metà e una nemmeno iniziata. Al momento della creazione del torneo, infatti, rispondevano all’identikit solo cinque squadre: tre sudamericane, Peñarol, Santos e Racing, e due europee, Inter e Real Madrid. Ecco quindi un triangolare andata e ritorno per decretare la rappresentante latina, e uno spareggio in 180 minuti per quella del vecchio continente. L’interesse per tutto ciò? Modesto a Montevideo, San Paolo e Buenos Aires; latente a Milano, con un’adesione, diciamo, poco convinta all’iniziativa; e del tutto inesistente a Madrid, dove non sono rimaste molte tracce della Recopa.

Ebbene, il Real si ritirava anzitempo dall’edizione di esordio del torneo, per via dell’incompatibilità - sorpresa, visto il periodo invernale - con il calendario del campionato spagnolo; spettava dunque all'Inter rappresentare per prima il vecchio continente: quale onore, anzi quale onere per il club, nel disinteresse dei suoi tifosi e del pubblico in generale. Così nel giugno ‘69 il Santos di Pelé - campione del triangolare sudamericano (quello sì, onorato) - scendeva in campo a San Siro per la gara di andata, atteso dai nerazzurri di Maino Neri in un’atmosfera piuttosto amichevole. “Santos 1, Inter 0, a ritmo cordiale”, titolava la Gazzetta dello Sport all’indomani della partita.

Il gol di Toninho Guerreiro (57’) dopo la ribattuta difettosa di Bordon su una punizione calciata da Pelé.

Eppure, quei novanta minuti a San Siro hanno rappresentato il momento più alto nella breve, brevissima vita del torneo. Il ritorno tra Santos e Inter, infatti, non verrà nemmeno giocato: i milanesi non si renderanno disponibili per andare in Sudamerica (altra sorpresa), e neppure a Napoli, dove i brasiliani si offriranno di giocare i 90’ rimanenti - in casa, teoricamente - a fine settembre. Risultato: titolo assegnato a tavolino al Santos, che celebrerà il successo e lo rivendicherà orgogliosamente per decenni, anche prima del riconoscimento ufficiale da parte della CONMEBOL nel 2005, a 36 anni di distanza. La stagione successiva andrà ancora peggio: delle tre europee invitate - nel frattempo si è aggiunto il Milan - non si vedrà neanche l’ombra, e la finalista sudamericana, il Peñarol, attenderà invano una sfidante fino alla cancellazione dell’evento. Capolinea, nonostante un ultimo tentativo nel ‘70 da parte della CONMEBOL, mossa da un misterioso ottimismo ma rimasta ormai sola sull’isola.

Una ventina d’anni più tardi si tornerà ad attraversare l’Oceano per una sfida di respiro intercontinentale, con la nascita nel 1994 della Copa Iberoamericana, co-organizzata dalla CONMEBOL con la federazione spagnola (RFEF): vincitori de La Liga spagnola contro quelli della Copa de Oro (altro evento di culto del periodo, ci torniamo tra poco). Del resto, perché non incoronare ogni anno i supercampioni di Spagna e Sudamerica? A mettere le mani sul trofeo, riconosciuto ufficialmente soltanto nel 2015, sarà il Real Madrid, battendo in finale il Boca Juniors: 3-1 al Bernabeu e 2-1 alla Bombonera, dopodiché, dopo una sola edizione, anche qui calerà il sipario.

Arriverà, infine, anche un’imitazione della Copa Iberoamericana, ma in versione orientale: la Copa J.League-Sudamericana. Detta anche Suruga Bank Cup, dal 2008 al 2019 - recente e relativamente longeva, sì - metterà di fronte i detentori del titolo nazionale giapponese e i campioni della ex Copa CONMEBOL, al secolo Copa Sudamericana. “Siamo noi, siamo noi, i campioni-di-Giappone-e-Sudamerica siamo noi, siamo noi…”.

“(Non) vogliamo più tornei estivi”

Alla fine degli anni ‘80 la UEFA soprintendeva a quattro distinte competizioni per club: la Coppa dei Campioni, che molto presto avrebbe vissuto il rebranding in Champions League, la storica Coppa delle Coppe, l’allora marginale Coppa UEFA e la Supercoppa Europea. La sua controparte amministrativa sudamericana, d’altro canto, non aveva mai dato l’impressione di voler seguire un percorso simile, accontentandosi di aprire una finestra continentale per appena due squadre per ognuna delle sue dieci federazioni costitutive. La Libertadores, giunta alla sua trentesima edizione, continuava a essere il sogno más grande de la vida, che pur soffrendo dello strapotere argentino, uruguaiano e brasiliano, accendeva e infervorava gli animi dei tifosi di tutto il continente; sia per coloro che bramavano le cocenti sfide con le leggende d’oltreoceano per salire sul tetto del mondo, sia per quelli per cui purtroppo “la Copa se mira y no se toca”.

Alla luce di ciò, non sorprende che in un primo momento la CONMEBOL abbia scelto di scommettere su questo formato vincente, inaugurando come seconda competizione continentale della sua storia un torneo che definire auto-celebrativo è riduttivo. Ebbene, nel 1988 il neo-presidente Nicolás Leoz (sì, lo stesso Leoz cacciato dalla FIFA per corruzione, riciclaggio, frode telematica e racket) ha così deciso di spezzare tale monotonia competitiva, che poco si confaceva a un continente universalmente noto per la sua vitalità, i suoi colori e i suoi campioni. La famiglia dei trofei sudamericani si arricchiva - e con essa, le casse della confederazione - con la nascita della Supercopa Libertadores, un evento annuale a eliminazione diretta aperto esclusivamente alle passate vincitrici del massimo torneo continentale, che alla prima edizione erano appena 13, metà argentine.

Per la natura stessa della competizione, ovviamente, a ogni nuova vincitrice della Copa Libertadores la Supercopa si sarebbe allargata, regola che ha portato a numerosi ritocchi del formato: è stato così che, tra nuovi arrivi, ritiri e squalifiche, la Supercopa si è giocata attraverso turni preliminari, spareggi e, negli anni finali del torneo (concluso nel 1997), anche una fase a gironi per accomodare le 17 partecipanti, un numero che tra l’altro si avvicinava sinistramente alle 21 della Copa Libertadores. Al termine delle dieci edizioni Cruzeiro e Independiente potevano vantare il record di vittorie, due a testa, mentre a livello nazionale l’Argentina dominava con sei trionfi, seguita dai tre del Brasile e dallo squillo dei paraguaiani dell’Olimpia, ai tempi l’unica formazione capace di interrompere il dominio tripartito della Copa Libertadores.

La Supercopa Libertadores, come avrete capito, era una supercoppa solo di nome; ma ciò non ha impedito alla CONMEBOL di portare in Sudamerica il corrispettivo della Supercoppa UEFA. L’anno stesso in cui fu presentato il torneo all-stars, il signor Leoz ha finalmente potuto approfittare della coesistenza di due tornei annuali per inaugurare la Recopa Sudamericana, cioè il confronto tra i due campioni continentali dell’anno solare. Sarete sorpresi, forse, apprendendo che in origine la Recopa vedeva affrontarsi le rappresentanti dei due tornei targati Libertadores, mentre oggi si dà per scontato che un posto sia riservato alla squadra campione della “loro” Europa League, la futura Copa Sudamericana.

Anche la Copa Sudamericana, nonostante le origini recenti, affonda anch’essa le radici nell’era di Leoz. Il presidente, bramoso di nuovi tornei, aveva dato uno sguardo oltreoceano in cerca di ispirazione ed era rimasto affascinato dall’esistenza dalla Coppa UEFA, un torneo dedicato alle migliori squadre d’Europa non qualificate alla Coppa dei Campioni. Aveva lasciato il palco a campioni e super-campioni, era giunta l’ora di dare nuove opportunità anche alle terze e quarte classificate del Sudamerica. Nel 1991 presentava quindi la Copa CONMEBOL, la terza per importanza del continente, che avrebbe avuto inizio nel 1992.

Il torneo, giocato nella seconda metà dell’anno, comprendeva 16 squadre e si svolgeva interamente a eliminazione diretta, con sfide andata e ritorno. Probabilmente si tratta della competizione più “normale” tra quelle nate in questo periodo, ma non per questo la storia della Copa CONMEBOL è estranea a momenti di culto. Il Boca si è rifiutato di giocare la prima edizione, oppresso dai numerosi impegni continentali e concentrato sul percorso domestico. «I tifosi vogliono il campionato, che non riusciamo a vincere da 11 anni, non vogliono più questi tornei estivi», si sfogava il presidente Antonio Alegre, che effettivamente quell’anno avrebbe visto la sua squadra tornare campione d’Argentina. Il River Plate nel ‘93 li seguiva a ruota per le stesse ragioni, e anche loro come i rivali trovavano pochi mesi più tardi il successo nazionale, a discapito delle macchinazioni di Leoz. Sempre quell’anno, i campioni del Botafogo giocavano a sorpresa la Recopa, dato che il San Paolo aveva conquistato sia la Libertadores sia la Supercopa. Nel ‘94 sempre il San Paolo, già impegnato tra campionato e Supercopa, a causa dell’ingolfamento del calendario giocava - e vinceva - la Copa con una squadra composta interamente da giovani e riserve, schiantando addirittura il Peñarol per 6-1 nell’andata della finale. Alcuni brasiliani sfrutteranno l’occasione per farsi un nome a livello internazionale: Juninho Paulista, Denilson, Caio, Bordon, Ronaldo Luiz e Rogério Ceni. Nonostante i continui rifiuti di Boca e River, comunque, diverse squadre argentine hanno avuto l’occasione (inedita) di vivere momenti di gloria: è toccato al Rosario Central nel ‘95, al Lanús nel ‘96 e al Talleres de Córdoba nell’edizione conclusiva del ‘99.

La Copa CONMEBOL successivamente è stata soppiantata dalle gemelle Copa Merconorte (giocata tra formazioni provenienti da Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia) e Copa Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Cile). Nel 2002, poi, i tornei sono stati fusi per dare vita alla Copa Sudamericana che oggi tutti conosciamo. Leoz, in evidente delirio di onnipotenza, non si è però fermato qui, anzi. La sua energia creativa faceva così ritorno, inevitabilmente, dove tutto era iniziato, dalla sua prima creatura: la Supercopa. Lo immaginiamo nel suo ufficio, girando inquieto attorno alla scrivania, ebbro di un potere che pochi al mondo possono avere l’onore di sfruttare. Fino ad arrivare a un'idea risolutiva: un torneo tra le vincitrici del torneo tra le vincitrici della Copa Libertadores. Con il ‘92 alle porte, il Sudamerica doveva fare i conti con una nuova folle realtà calcistica: la Copa Máster de Supercopa.

Dall’improbabile al surreale

Se la Supercopa Libertadores era una competizione esclusiva, la Copa Máster de Supercopa era il Berghain dell’America Latina. Probabilmente l’unico caso al mondo di un torneo che necessita di due distinte vittorie continentali per prendervi parte. La prima edizione ha coinvolto le vincitrici della Supercopa nel quadriennio 1988-1991 (Racing, Boca Juniors, Olimpia e Cruzeiro) e si è giocata nel maggio del 1992, a Buenos Aires: semifinali e finale a gara secca, trionfo del Boca.

C’è da dire che, alla luce di un panorama agonistico così inflazionato, il popolo blu e oro non era esattamente sceso in piazza per celebrare la vittoria. Anche "El Beto" Márcico, idolo di quel Boca di fine millennio, riconosceva che si trattasse di «un piccolo regalo per la gente, sapendo che i tifosi vogliono un campionato». L’entusiasmo per il torneo, anche ricordando le parole del presidente Alegre, era paragonabile per intenderci a un Trofeo TIM.

Tre anni dopo, delle sei vincitrici della Supercopa fino a quel momento, solo Olimpia e Cruzeiro accettavano l'invito all’edizione successiva, e in un doppio confronto tra Asunción e Belo Horizonte la sola rete di Marcelo Ramos faceva “esultare” i brasiliani. Trascorso un altro triennio, quella che sarebbe dovuta essere la sfida definitiva tra tutte le vincitrici della storia della Supercopa non si è nemmeno giocata. Avellaneda, la casa del Racing, ha atteso invano gli otto super-campioni del continente: dapprima il torneo veniva posticipato a dopo il Mondiale 1998, e in seguito cancellato per mancanza di sponsor.

Leoz, però, era interessato a tutto tranne che all’opinione di club e tifosi. Ormai proseguiva spedito come un Forrest Gump della burocrazia, creando nuovi tornei apparentemente per il gusto di farlo. Di fronte all’occasione di cavare almeno un dollaro dal buco, non si sarebbe fatto troppi scrupoli ad andare contro l’opinione pubblica. In un guizzo di raro genio offriva alla Copa CONMEBOL il medesimo trattamento della Libertadores. Nemmeno i campioni della terza coppa continentale potevano dirsi al sicuro dalle sue mani: così nel ‘96 i quattro campioni della Copa si sfidarono a Cuiabá, nel cuore dell’Amazzonia, per la Copa Máster de CONMEBOL. Degno di nota il 7-3 rifilato dal San Paolo al Botafogo in semifinale, che ha concluso poi la pratica con un 3-0 all’Atlético Mineiro. Oltre a questa cronaca essenziale, non resta molto da raccontare: purtroppo, o per fortuna, anche la storia di questo torneo è terminata con la sua prima edizione. Ad essere pignoli, però, non è l’ultima volta che sentiremo parlare di questo trofeo.

Facciamo un altro piccolo passo indietro, e addentriamoci per un’ultima volta nel dedalo pluviale che era la mente del numero uno della CONMEBOL. Nel periodo di un’Olimpiade, Leoz aveva ampliato da uno a cinque l’offerta di tornei continentali, inventandosi formule sempre più assurde e inspiegabili. Eppure non era ancora abbastanza. La varietà di coppe, supercoppe e super-supercoppe appariva strabordante agli occhi di un tifoso medio, ma non ai suoi. C’era ancora spazio per un ultimo titolo. L’anno era il 1993, e Leoz aveva ampiamente compreso che le coppe sono fatte per dare accesso ad altre coppe; valeva per l’Intercontinentale, per la Coppa Re Fahd (poi Confederations Cup) e anche per le sue stesse creazioni. Ed ecco la nascita del torneo definitivo: la Copa de Oro “Nicolás Leoz”. Esattamente: si era auto-intitolato il torneo.

La super-super-supercoppa era infine scesa in terra: quattro partecipanti - ovvero le vincitrici di Copa Libertadores, Supercopa Libertadores, Copa Máster de Supercopa e Copa CONMEBOL - da mettere una contro l’altra (andata e ritorno ovviamente) in una finestra di due settimane, nel mese di luglio. Con un’eccitante media gol complessiva di una rete a partita, la prima edizione del torneo si concludeva con la vittoria del Boca Juniors, detentore della Copa Máster de Supercopa. Piccola curiosità: la rete ai supplementi di Sergio Daniel Martínez che è valsa al Boca l’accesso alla finale è il primo golden gol della storia del calcio sudamericano. Il calvario del Boca non aveva quindi fine: la vittoria della Copa de Oro l’avrebbe qualificata alla Copa Iberoamericana dell’anno seguente.

I gol del Boca super-super-campione del Sudamerica 1993.

Il torneo è saltato nel ‘94 e ha fatto ritorno nel ‘95, dimezzato. Solo il Cruzeiro (campione della Copa Máster de Supercopa) e il San Paolo (campione della Copa CONMEBOL) accettavano infatti l’invito, al contrario delle disinteressate Vélez e Independiente. Il Cruzeiro perdeva 1-0 l’andata di una tranquilla finale con quattro giocatori espulsi, tre dei quali per proteste, ma la settimana seguente riusciva a portare la sfida ai supplementari e a ribaltarla ai rigori.

L’anno successivo tornava il formato a quattro squadre, ma con alcuni cambiamenti: il Flamengo, finalista della Supercopa, sostituiva i campioni dell’Independiente, e il posto riservato al campione della Copa Máster de Supercopa veniva assegnato a quello della Copa Máster de CONMEBOL, il San Paolo. Il torneo, questa volta giocato nello spazio di tre giorni, veniva infine alzato dal Flamengo. E così è calato il sipario, ed è giunta al termine anche la nostra “discesa agli inferi”.

Il breve ma intenso esperimento creativo (e remunerativo) di Leoz terminava così nell’indifferenza generale, lasciando tuttora curiosi segni del suo passaggio nei palmares di diverse squadre. Il calcio sudamericano, come quello europeo, ha attraversato successivamente un periodo di transizione, e con l’ingresso nel XXI secolo i sistemi europei e sudamericani possono sostanzialmente dirsi speculari: la trifecta coppa principale-coppa secondaria-supercoppa resta tuttora lo standard aureo dei calendari continentali, confermando il ritrovamento di una relativa stabilità da entrambe le sponde dell’Atlantico.

La psichedelica parentesi sudamericana degli anni ‘90 potrà essersi conclusa, ma ci piace pensare che lo spirito creativo di Nicolas Leoz abbia continuato a infestare i piani del calcio mondiale. Possiamo forse non pensare a lui, quando sentiamo Gianni Infantino annunciare lo sdoppiamento del Mondiale per Club? Quando alcuni retroscena ci informano dell’intenzione di includere le Nazionali sudamericane nella Nations League? E, soprattutto, quando leggiamo del memorandum d’intesa firmato nel 2020 tra UEFA e CONMEBOL, che ha dato origine a ben tre “finalissime” diverse (maschile, femminile e futsal), una Intercontinentale Under-20 e un confronto tra i campioni dell’Europa League e della Copa Sudamericana?

In ogni caso, la prossima volta in cui vi lamenterete della pausa per le Nazionali o delle improbabili sfide nei gironi di Conference League, pensate a questo: almeno non siete tifosi del Boca Juniors negli anni ‘90.

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