Tre gol, tre assist, un’invidiabile intesa con i nuovi compagni e il premio come miglior giocatore di settembre della Premier League. È evidente anche a uno sguardo superficiale che Sadio Mané si è integrato nel Liverpool con la stessa velocità con cui sfreccia lungo le fasce laterali, soprattutto sembra passato molto più di qualche mese da quando i 41,2 milioni di euro spesi per lui (solo Benteke è costato di più) aveva attirato le ire di una buona parte della tifoseria “Reds”, che non solo accusava il club di avere strapagato il senegalese, ma anche di aver acquistato per l’ennesima volta dal Southampthon (dopo Lambert, Lallana, Lovren e Clyne, Mané è il quinto giocatore che dai “Saints” si trasferisce sulla sponda rossa del Merseyside negli ultimi tre anni).
A dir la verità è bastata una sola partita, il pirotecnico 4-3 ai danni dell’Arsenal, per far cambiare idea a tutti quei tifosi che avevano schernito il club al momento dell’annuncio del suo trasferimento. Contro i “Gunners”, Mané si è messo in mostra con un dribbling dopo l’altro, dando a volte un senso di vera onnipotenza con il pallone tra i piedi.
Come in occasione del gol, quando dopo aver raccolto un passaggio a ridosso della linea laterale destra si è prepotentemente fatto strada verso l’area di rigore, facendo fare a Chambers e Monreal la figura dei manichini, prima di scagliare il pallone all’angolino con una gran conclusione di sinistro.
Dakar, Metz, Roger Schmidt
Ormai tutti si sono resi conto delle qualità di Mané, ma pur avendo solo 24 anni (è nato il 10 aprile del 1992), sono almeno quattro stagioni che fa vedere cose straordinarie. Manè cresciuto nell’AS Génération Foot di Dakar, il vivaio di giocatori africani fondato dall’ex calciatore Amady Touré, dalle cui fila sono usciti giocatori quali Papis Cissé, Diafra Sakho e soprattutto Emmanuel Adebayor. Dal trasferimento del togolese in poi, Touré riuscì a mettere in piedi una collaborazione con il Metz, squadra francese dove tutti gli anni sbarcavano i migliori ragazzi dell’accademia. Il tempo e i successivi investimenti sulle strutture ne hanno fatto uno dei punti di riferimento per la formazione dei giovani calciatori dell’Africa Occidentale, che di norma non possono trasferirsi in Europa prima di aver compiuto il 18.esimo anno di età, proprio come accaduto a Mané.
Completata la formazione in Patria, e messosi in luce come uno dei migliori elementi dell’accademia, il suo passaggio al Metz è stato naturale, anche se una volta arrivato in Europa, non ha esordito prima del gennaio 2012. La sua prima stagione da professionista, chiusa con 22 presenze e 3 gol, è stata decisamente amara, concludendosi con la retrocessione del club in terza serie, ma le buone prestazioni gli valsero comunque la convocazione nella rappresentativa olimpica del suo Paese quando fino ad allora le altre nazionali giovanili lo avevano di fatto ignorato.
Il Senegal arrivò al Torneo Olimpico di Londra da comparsa, ma fu la più grande sorpresa, uscendo solo ai quarti contro i campioni del Messico. Mané sfruttò al meglio al sua occasione e si guadagnò la chiamata del RB Salisburgo, facendo anche la fortuna del Metz che incassò la cifra record di 4 milioni di euro.
In Austria Mané incrociò il suo percorso calcistico con quello di Roger Schmidt, anch’egli appena approdato al Salisburgo dal Paderborn. Il tecnico tedesco lo collocò a sinistra del suo 4-2-2-2 ultra-cinetico, facendone subito uno dei cardini della squadra. Quell’anno la squadra mancò la vittoria del titolo piazzandosi alle spalle dell’Austria Vienna, ma l’intensità del loro stile di gioco e i dettami tattici di Schmidt esaltavano le doti di Mané che alla sua prima stagione realizzò 16 gol e firmò 9 assist, cioè segnò o fece segnare più di un gol ogni 90 minuti giocati in campionato.
Poste le fondamenta nel primo anno di lavoro, nel secondo la squadra emerse come una delle più spettacolari dell’intero panorama europeo oltre a vincere entrambi i titoli nazionali con Mané nuovamente sugli scudi con 13 gol e 13 assist in campionato e altre 5 reti e 3 assist in Europa League, oltre a 5 più 2 in Coppa d’Austria.
Le sue prestazioni, specie in campo europeo (fu letteralmente devastante nell’annientamento dell’Ajax ai sedicesimi di finale) accesero su di lui i fari delle squadre di Premier e della Bundesliga tedesca. Schmidt, che intanto aveva preso le redini del Bayer Leverkusen, non riuscì a portarlo con sé in Germania, ma Mané decise comunque di trasferirsi, arrivando a forzare la mano del club, non presentandosi per la gara del preliminare di Champions con il Malmö. Preso atto della sua decisione, Ralf Ragnick fu costretto a cederlo al Southampthon, la squadra che lo accolse il primo settembre del 2014, sborsando circa 15 milioni di euro.
I due anni con Koeman
Mané ha avuto la fortuna di trovare sulla panchina dei “Saints” Ronald Koeman, un’altra figura molto importante per la sua crescita e valorizzazione come calciatore. L’olandese faceva grande affidamento sulle proprie ali e, dopo un periodo di adattamento che determinò un rendimento altalenante, Mané cominciò a far vedere di cos’era capace. La fase offensiva del Southampthon si basava su catene di giocatori che esaltavano le qualità combinative del senegalese e che lo isolavano spesso sulla fascia dove poteva far valere le sue doti nell’uno contro uno e nel cross. Inoltre si è dimostrato un giocatore duttile, capace di giocare sia al centro che su entrambe le fasce.
Nei suoi due anni al St. Mary’s Stadium, Mané ha fornito un assist ogni 23 cross, un dato nettamente sopra la media. Certo, aveva un bersaglio “importante” come Graziano Pellé da poter servire in area di rigore, ma ha dimostrato anche una naturale predisposizione a pescare i compagni con cross rasoterra che hanno decisamente maggiori probabilità di essere convertiti: in due stagioni ha servito 9 assist a fronte di 7,69 expected assist generati.
Pur partendo largo, non ha fatto mancare il suo contributo in fase conclusiva, con quasi tre tiri ogni 90 minuti (2,75), un dato decisamente alto per un’ala, sempre mantenendo una buona qualità media con 0,13 xG generati per tiro. Il volume e la qualità delle sue conclusioni gli hanno permesso di andare in doppia cifra in entrambe le stagioni con la maglia dei “Saints”, con rispettivamente 10 ed 11 gol realizzati.
A volte gli è stata rimproverata qualche pausa di rendimento, ma Mané ha fatto grandissime cose con il Southampthon che probabilmente non era nemmeno la squadra più adatta a lui. Nonostante gli impressionanti numeri dei suoi primi due anni di Premier, infatti, l’impressione era che Mané sarebbe potuto essere valorizzato ulteriormente in una squadra con un ritmo più veloce e che non disdegnasse un approccio più diretto alla fase offensiva.
In questo senso il suo trasferimento al Liverpool è stato uno dei trasferimenti più coerenti del calciomercato degli ultimi anni. Ai “Reds” mancava un’ala di ruolo in grado di saltare l’uomo con regolarità: la qualità media dei giocatori offensivi a disposizione di Klopp era decisamente alta, ma nessuno di essi possedeva neanche lontanamente la velocità del senegalese o il suo straordinario dribbling.
Chi è davvero
Mané è un calciatore di questo tipo perché è prima di tutto un grande atleta. Possiede una velocità di punta impressionante con gambe potenti ed esplosive che gli permettono di accelerare enormemente già con il primo passo. Alto 1,75 per 69 chili di peso, ha il baricentro basso e di conseguenza un grande controllo sulla sfera. Queste sue qualità gli consentono di dribblare cambiando velocità, bruciando avversari non altrettanto esplosivi quanto lui. Molto spesso lo si vede accelerare, fermarsi e poi ripartire con grande rapidità lasciando sul posto il suo diretto marcatore. Ha un fisico asciutto ma sviluppato a livello muscolare, soprattutto salendo verso il torso e le spalle, cosa che gli conferisce equilibrio e la forza necessaria per resistere ai contrasti.
Il suo approccio diretto e la frequenza con cui viene isolato sulla fascia in situazioni di uno contro uno lo rendono un frequente bersaglio dei falli: al Southampthon ne subiva 2,8 ogni 90 minuti (2,5 finora al Liverpool), ma a volte era lui stesso a cercare il contatto, cosa di certo non apprezzata dagli arbitri. Nonostante ciò, le sue percentuali di dribbling riusciti con la maglia dei Saints, con cui completava oltre 2,6 dribbling ogni 90 minuti, sono nettamente superiori al 50% (nella sua stagione d’esordio in Premier ha toccato il 59% a cui è seguito il 55% del 2015/2016). Come era prevedibile, giocare con la maglia del Liverpool lo ha messo in condizione di puntare l’avversario ancora di più, tanto che nelle sue prime sei partite di campionato con la maglia dei “Reds” ha messo a referto 3,8 dribbling riusciti per 90 minuti con una percentuale di successo del 63,8%.
Nonostante l’incredibile rapidità e la naturale tendenza a cercare il duello individuale, il suo calcio è meno frenetico di quanto si pensi. L’ottima tecnica individuale di cui dispone gli permette di condurre palla a testa alta, consentendogli di tenere sempre d’occhio i movimenti dei compagni in cerca di un’opzione di passaggio. Certo, in passato si è lasciato andare a qualche dribbling di troppo, ma è difficile mettere in discussione quanto fatto con il Liverpool finora, anche perché di solito le opzioni di passaggio e i compagni volenterosi di cominciare una combinazione offensiva abbondano.
Nominalmente è destro di piede, ma è difficile definire come “piede debole” il suo sinistro (si veda il gol contro l’Arsenal). Klopp lo schiera largo a destra nel suo 4-3-3 fluido ma sovente lo si trova al centro del campo sulla trequarti, se non sulla fascia opposta. Quando si porta in mezzo al campo tende a rallentare il ritmo di gioco in cerca di un compagno che attacchi la profondità da servire con un filtrante o comunque un lob alle spalle della difesa, cosa che spesso gli riesce e che si è abituato a fare giocando prima a cavallo tra la fascia e il centro nel 4-2-2-2 di Schmidt e poi da trequartista puro con Koeman (in generale, quando è al centro Mané cerca l’ultimo passaggio come fosse un trequartista).
Senza un punto di riferimento come Pellé in mezzo all’area di rigore, Mané ha finora tentato solo 8 cross, cercando piuttosto di collaborare con i compagni palla a terra, giocando ad uno o due tocchi. Galleggiando tra la fascia e il centro riesce a togliere punti di riferimento alle difese avversarie e le sue qualità senza palla vengono esaltate. Continua a generare circa 2,7 tiri ogni 90 minuti, peraltro praticamente senza calciare mai da fuori area (finora 2 tentativi su 16).
L’essersi formato in una squadra di Schmidt ne fa poi un elemento ideale a contribuire al pressing e al gegenpressing della formazione di Klopp. Anche al Southampthon, che pur difendeva in maniera e ad altezze di campo diverse a seconda dell’avversario, si era fatto apprezzare per il suo contributo in fase di non possesso, esaltato dalla rapidità con cui si fionda verso il pallone. Oltre a dimostrare applicazione e a scegliere angoli di pressing molto interessanti, Mané è molto bravo ad usare il proprio corpo. Sa come frapporsi tra la palla e l’avversario e molto spesso anche a vincere contrasti ai limiti del fallo, sbilanciando il portatore con furbizia grazie al suo equilibrio superiore. Oltre al difendere in avanti si applica anche nella difesa organizzata quando si allinea diligentemente con i centrocampisti.
Le sue doti fisiche lo rendono il giocatore ideale per le transizioni dove può far valere la sua disarmante velocità in spazi aperti, risultando spesso inarrestabile. A gambe e decisioni veloci unisce un cervello in grado di processare altrettanto rapidamente i passaggi tra le varie situazioni di gioco, cosa che può fare la differenza nella riuscita di un contropiede.
Pur ricalcando alla perfezione il raro profilo del dribblatore moderno in grado di scardinare le difese arroccate del terzo millennio, le qualità uniche di Mané ne fanno un calciatore unico, fondamentale in tutte le fasi di gioco e che non può che essere esaltato in un sistema di gioco come quello di Klopp, in cui intensità e velocità di esecuzione la fanno da padrone.
Se Mané continuerà ad esprimersi su questi livelli, senza i cali di rendimento patiti con i Saints (a dirla tutta però non è mai stato a digiuno di assist o gol per più di tre partite), i 41,2 milioni che avevano fatto gridare allo scandalo stampa e tifosi, rischiano di essere persino pochi. E con Sadio Mané il calcio africano potrebbe aver ritrovato, dopo Drogba e Yaya Touré, un rappresentante di altissimo livello.