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Chi ha perso il 2016?
24 dic 2016
24 dic 2016
Arrivati alla fine, chi è stato il peggiore dell'anno sportivo?
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Più che di flop stagionale dovremmo parlare di incubo. Perdere il secondo derby in finale di Champions League, e trasformare la possibilità di una rivincita storica, che avrebbe addolcito persino il ricordo della prima finale persa, nel contrario esatto. Perdere subendo gol che era qualcosa di più di una

, ancora Sergio Ramos di testa, sbagliando un rigore prima di pareggiare a pochi minuti dal termine, e poi, proprio quando sarebbe il momento per la fortuna di pareggiare i conti pari per ripagare il dolore passato, no: altro dolore. Dal punto di vista dei tifosi il 2016 dell’Atlético Madrid (3° in campionato a 3 punti dal Barcellona) anche se non privo di soddisfazioni sarà purtroppo ricordato, soprattutto, come l’anno della seconda finale di Champions League persa contro il Real Madrid. Quella che ha tolto senso alla parola

e che ha trasformato un evento sportivamente tanto drammatico quanto eccezionale in una strana abitudine.
(DM)

 

https://www.youtube.com/watch?v=OIdmueK-2r0

 

 



 

Se il calcio trovasse la sua realizzazione nella ricerca del miglior contratto possibile, potremmo di certo mettere Oscar tra i top del 2016. Il suo passaggio allo Shangai SIPG gli frutterà quella che, in mancanza di numeri chiari, deve essere letteralmente

. Questa scelta invece è proprio quella che lo mette tra i flop del 2016: l’idea che a soli 25 anni abbia rinunciato a trovare il suo spazio all’interno del calcio europeo è deprimente non solo per lui, ma anche per tutto il movimento.

 

Nel 2016 Oscar ha perso il posto nella selezione brasiliana, ha iniziato ad essere messo in discussione da Hiddink, ha litigato con Diego Costa e infine si è ritrovato ai margini del progetto tecnico di Conte. Tutti eventi spiacevoli, ma non irrimediabili. Le sue qualità non si scontrano con quelle richieste dal calcio europeo, anzi, Oscar aveva tutte le carte in regola per essere importante in qualunque club di livello, e anche se nel 3-4-3 di Conte non trova collocazione, l’idea di rinunciare così è semplicemente stupida. Come

lo stesso allenatore del Chelsea riferendosi ad Oscar, «Credo che la cosa più importante per noi deve essere la passione. Va bene? La passione per il calcio. Se non ce l’hai, non va bene. Non va bene». Il 2016 è l’anno in cui abbiamo scoperto che Oscar questa passione non ce l’ha.
(MDO)

 

 


 

Il ciclismo è uno sport che vive di tempi lunghi per questo non è mai facile prevedere la crescita di un corridore, come avviene in altre discipline. Detto questo erano in molti a guardare al 2016 come l’anno della definitiva consacrazione di Fabio Aru, liberatosi dalle catene del gregariato, ma così non è stato. Dopo due giri d’Italia da podio e una vittoria alla Vuelta, il 2016 del sardo era tutto incentrato sul Tour de France coi gradi di capitano dell’Astana.

 

Investito di grandi responsabilità Aru ha fornito una prova anonima, mostrandosi ancora carente nei suoi punti deboli e mai in grado di fare la differenza in salita, quello che dovrebbe essere il suo più grande pregio. Forse Aru ha sofferto l’idea di essere uno dei favoriti nella corsa a tappe più competitiva del mondo, messo a confronto con corridori che hanno una maggiore esperienza di lui e che probabilmente oggi sono anche più forti. La crisi dell’ultima tappa gli ha tolto anche la consolazione di un sesto posto, con la speranza che in futuro non possa mai essere una consolazione per lui, relegandolo fuori dai primi 10.

 

La caduta di Nibali nella discesa finale della gara olimpica gli ha poi impedito anche il possibile riscatto

, in una giornata in cui Aru aveva dimostrato di essere ancora una volta il miglior gregario possibile per il messinese.

 

Il 2016 è stato quindi un anno sicuramente negativo per Aru e per noi che pendiamo dalle labbra degli italiani che volano in salita, ma come detto il ciclismo ha tempi lunghi e spesso dai fallimenti partono le grandi carriere. Per questo sono pronto a riporre ancora grandi aspettative nel 2017 di Aru, convinto di trovarlo presto nella classifica dei migliori sportivi.

(MDO)

 

 



 

Inserire Valentino Rossi nella categoria dei flop poteva essere un esercizio ambiguo. A fine 2015, per colpa soprattutto di Marc Márquez, Rossi aveva perso un’opportunità di vincere il decimo titolo nel motomondiale che molti consideravano irripetibile. Eppure alle soglie dei 37 anni si è nuovamente presentato in una versione smagliante, soprattutto dopo l’utilizzo delle alette sulla carena implementate inizialmente solo dalla Ducati. Lo stesso Márquez lo ha definito come il miglior Rossi contro cui mai avesse battagliato.

 

Eppure restano grandissimi rimpianti. Ad Assen il pesarese nella prima parte di gara aveva fatto il vuoto su tutti gli altri rivali del Mondiale, rimanendo in lotta per la vittoria soltanto contro le Ducati di Petrucci, Redding e Dovizioso, con il quartetto minacciato solo dal feroce rientro di Pedrosa. La bandiera rossa ha azzerato tutto, facendo ripartire la corsa e creando una gara-sprint nella quale Rossi è caduto mentre era in testa, consegnando a Márquez un regalo di 20 punti guadagnati che lo spagnolo non aveva minimamente messo in preventivo. Al Sachsenring, la gara dopo, i famosi 5 giri di ritardo nel cambio di moto disobbedendo all’ordine dai box, mentre lo stesso Márquez si ritrovava in testa e vinceva dopo essere stato uno dei primi ad effettuare il cambio di moto.

 


Motore in fumo, Mondiale in fumo.


 

A tutto questo si sono aggiunte cadute in Texas e a Motegi, anche se in Giappone il Mondiale era ormai compromesso, e la dolorosissima rottura del motore al Mugello che a Lorenzo era toccata nel warm up della domenica mattina, con molta più fortuna. Valentino Rossi forse non avrebbe vinto lo stesso il titolo, anche perché rimangono ancora troppo indigeste alcune piste come Aragón e Valencia, ma di certo ha contribuito fortemente a ritardare al 2017 le ultime, forse, speranze per il tanto sospirato decimo Mondiale.
(FP)

 

 



 

Nel 2016 la Fiorentina ha racimolato 56 punti, finendo al settimo posto della classifica di serie A dell’anno solare. Oggettivamente un grosso rallentamento dal secondo posto occupato alla fine del 2015, figlio di ben 75 punti in 39 partite, a soli 6 punti dalla Juventus capolista di questa particolare classifica.

 

L’ottimo risultato del 2015 era il frutto del campionato 2014/15 terminato da Montella al quarto posto e dell’incredibile girone di andata del 2015/16 giocato alla guida di Paulo Sousa, concluso con 38 punti in 19 partite e in piena lotta scudetto.

 

La squadra di Sousa aveva mostrato per distacco il calcio migliore e più interessante della serie A. La Fiorentina metteva in mostra principi di gioco e sperimentazioni tattiche originali, basate principalmente, ma non esclusivamente, sul 3-4-2-1 estremamente fluido che in fase difensiva si trasformava in 4-4-1-1.

 

https://www.youtube.com/watch?v=6QKons_s2zM

 

Proprio all’inizio dell’anno e in coincidenza col mercato invernale, da cui Paulo Sousa si aspettava un allungamento quantitativo di una rosa oggettivamente corta, qualcosa nel giocattolo viola si è rotto. L’allenatore non aveva fatto mistero della sua delusione e i perenni dubbi sulla sua permanenza in panchina, continuati in estate a fronte in un mercato altrettanto deludente, sembrano aver privato il tecnico e la squadra dell’entusiasmo necessario ad andare oltre ai propri limiti e continuare ad esprimere efficacemente un calcio altamente rischioso e dispendioso come quello pensato da Sousa.

 

La Serie A è una macchina tattica terribile e senza pietà. Tutte le squadre hanno preso le misure all’avanguardistica Fiorentina e giocato sui suoi difetti come solo le squadre italiane sanno fare. Questo ha sicuramente influito sul rendimento dei “viola” e, in effetti, il suo allenatore, tenendo comunque saldi i suoi principi di gioco, non si è mai fermato nel cercare sempre soluzioni nuove per sorprendere ancora gli avversari.

 

Se confrontato con il 2015 questo è certamente un anno flop per la Fiorentina, incapace di mantenersi ai livelli dell’anno precedente. Ma per rispetto del lavoro di un allenatore onesto e coraggioso è bene sottolineare come la squadra di Sousa sia stata all’avanguardia in Serie A in alcune soluzioni tattiche, una su tutte: la fluidità dei moduli nelle due fasi, adottati in seguito da tante altre squadre. La Fiorentina, al di là dei risultati e della qualità della propria rosa, sviluppa quasi sempre un calcio propositivo e tatticamente ricercato e rimane forse la più interessante squadra di Serie A per chi ama vedere in campo idee chiare e originali.
(FB)

 

 



 

Come detto nel pezzo di ieri nella parte su Steph Curry, ci sarebbe la tentazione di inserire gli interi Golden State Warriors tra i flop dell’anno. Perché nonostante lo storico record di vittorie e l’essere andati a tanto così dal titolo, è inevitabile che la loro sconfitta da un vantaggio di 3-1 nella serie sia stato il crollo più clamoroso di tutto l’anno. Tra tutti gli Warriors, però, ce n’è uno che spicca in particolare — perché se c’è

per tutti i peccati di Golden State, quello non può che essere Draymond Green. Di lui abbiamo parlato a lungo in

, ma lasciate che vi riassuma rapidamente i termini della sua candidatura: i suoi

di colpire

, culminato nel

che gli è valso la squalifica in gara-5 delle Finali, lo hanno reso il principale colpevole della disfatta di Golden State — sebbene sia stato l’unico a giocare sopra le proprie possibilità in gara-7. Se a questo aggiungiamo

dopo una zuffa in un ristorante nel Michigan,

delle

parti basse spedite su Snapchat e il ruolo a dir poco marginale avuto nella spedizione olimpica di Team USA, ci sono abbastanza motivi per considerarlo il vero perdente del 2016 della NBA. Solo tenete bene in mente che tra dodici mesi potremmo ritrovarcelo tra i top, perché il ragazzo tende ad affrontare la vita come un continuo giro sulle montagne russe.
(DV)

 




 

Il 2016 per Jeff Fisher e i suoi Rams sembrava l’anno della definitiva consacrazione, o quantomeno l’anno che avrebbe sancito l’uscita dalle sabbie mobili della mediocrità che aveva accompagnato il binomio negli ultimi 4 anni. Il trasferimento dalla piccola e innocua St.Louis alle luci della ribalta di Los Angeles, un nuovo giovane quarterback californiano draftato alla #1, un’estensione del contratto fino al 2018: c’erano tutti gli elementi per evitare

. Ma appena raggiunta la nona sconfitta stagionale (dopo appena 13 partite), e raggiunta la matematicità dell’ennesima stagione da 7-9 (o ben peggio come si stava avviando ad essere), la spada di Damocle sulla sua testa è caduta.

 

La discutibile scelta di far accomodare in panchina la prima scelta assoluta per metà stagione e la completa involuzione di quel poco che aveva funzionato offensivamente nel 2015 (con un Todd Gurley completamente asettico) sono stati, insieme alla carenza di risultati, i due punti focali per suo licenziamento.

 

Fisher lascia così i Rams dopo 5 stagioni negative, dopo aver raccolto appena 31 vittorie e dopo aver raggiunto Dan Reeves come allenatore con più sconfitte della storia della NFL (centosessantacinque). E deve ringraziare i Rams per il licenziamento anticipato: gli hanno evitato il primato solitario.
(MT)

 

 



 

In realtà attualmente Nick Kyrgios ha il miglior ranking della sua carriera. È tredicesimo della classifica ATP e nel 2016 ha vinto i suoi primi tre titoli: Marsiglia, Atlanta e Tokyo. Il punto è che dovremmo accettare certe vittorie di Kyrgios come una conseguenza naturale del talento più debordante del circuito e tutte le sue sconfitte - a parte rare eccezioni (Murray a Wimbledon) - come occasioni perse. Stiamo tutti aspettando che Kyrgios risolva i suoi problemi di mitomania, bipolarismo e arroganza, e il 2016 è stato l’anno in cui, in questo senso, ha toccato il fondo. È l’anno delle

; è l’anno dello sbrocco contro la musica agli Australian Open

. Soprattutto è l’anno in cui ha mancato di rispetto al pubblico, al suo avversario e al tennis in generale nell’incontro con Mischa Zverev:

 

https://www.youtube.com/watch?v=KZjRyYLc0zE

 

Dopo questa incredibile sceneggiata Kyrgios è stato

, finendo in anticipo la stagione. Ha dichiarato che si servirà delle cure di uno psicologo per rimettersi a posto.
(EA)

 

 



 

Per la santa trinità calcistica lusitana Mourinho-Cristiano Ronaldo-Mendes (rispettivamente padre, figlio e spirito santo) il 2016 potrebbe essere stato l’anno del canto del cigno. È vero: il Portogallo ha vinto gli Europei per la prima volta nella sua storia, CR7 è tornato a mettere le sue mani sul Pallone d’Oro e Mourinho, alla fine, rimane l’allenatore di una delle squadre più importanti al mondo.

 

Ma se ci spostiamo dall’attualità alla futuribilità, questo affresco rappresenta davvero un successo o nasconde in realtà un sorriso malinconico à-la-Monna Lisa? Non possiamo avere certezze oggi, ovviamente, ma se Mourinho e Cristiano Ronaldo avessero davvero iniziato la discesa verso il declino sportivo cosa ne rimarrebbe dello spirito santo Mendes?

 

Già oggi l’agente portoghese non se la passa benissimo. Mendes nell’immaginario collettivo è passato da essere il più vincente, ricco e invidiato agente calcistico ad essere un’entità oscura, losca e poco raccomandabile. Football Leaks ha messo ancora di più in luce la sua torbida relazione con le TPO e col concetto di elusione fiscale, che sono state il vero e proprio bersaglio della indignazione calcistica globale dopo lo scandalo Allardyce.

 

Sportivamente, anche al di là delle situazioni Mourinho e CR7, Mendes sembra non riuscire più a trasformare tutto ciò che tocca in oro: James Rodriguez è in rotta di collisione da mesi con il Real, Di Maria non riesce più a ritrovare se stesso da quando ha abbandonato la Casa Blanca, e anche le stelline, Renato Sanches e Bernardo Silva, non sono finite in rampa di lancio come ci si aspettava. Mendes in estate è passato dalla mirabolante possibilità di acquistare il Milan alla triste realtà di controllare il mercato del Middlesbrough, il tutto condito con alcune operazioni surreali come quella che ha portato Negredo in Premier.

 

La trinità non esiste senza unità. Venendo meno padre e figlio, anche lo spirito santo potrebbe presto dissolversi.
(DS)

 

 



 

«Ah, ma è come Kondogbia!». Può darsi che in fondo il 2016 sia solo l’anno in cui sono diventato vecchio, e ho iniziato a scambiare le metafore pallonare per raffinata forma di umorismo, ma quando un amico, qualche giorno fa, mi ha introdotto il concetto di «credito deteriorato», io non ho potuto fare a meno di figurarmi il numero 7 in maglia neroazzurra. Non che fosse un concetto particolarmente complesso, ma è un concetto che torna utile per spiegare l’unicità dell’operazione Kondogbia, ciò che la rende autenticamente speciale.

 

I crediti deteriorati sono crediti che le banche non riescono a liquidare parzialmente o completamente per insolvenza del debitore, e rimangono lì ad appesantire il bilancio fin quando un investitore decide di acquistare quel credito, indicativamente per una cifra tra il 20% e il 40% del valore lordo. Molte banche conservano a bilancio questi crediti, di conseguenza la Banca d’Italia registra una presenza di crediti deteriorati che è quattro,

superiore rispetto alle altre potenze europee.

 



 

Nel 2016, Kondogbia ha giocato 22 partite, e in queste l’Inter ha raccolto 34 punti, ovvero una media inferiore dell’1,86% (poco, a dire il vero) alla media punti complessiva nell’anno solare, 61 punti in 39 partite. Ha ricoperto tutti i ruoli possibili, mezzala sinistra, mezzala destra, vertice basso, all’interno di un centrocampo a tre o di un centrocampo a due. Sicuramente

«un giocatore fuori posto, nella squadra e nel campionato sbagliato», ma le sue caratteristiche peculiari, ovvero la protezione della palla, praticamente l’unico fondamentale del gioco del calcio in cui eccelle, non sono sufficienti a spiegare la sensazione di amarezza che si prova nel vedergli passare il pallone, che dai suoi piedi esce sempre un po’ più sporco, un po’ più lento, un po’ più impreciso. È una sensazione simile a quella che si prova quando deve difendere in campo aperto, quando deve coprire una linea di passaggio, quando deve attaccare uno spazio vuoto.

 

Con ogni probabilità, nel 2017 Kondogbia rimarrà all’Inter. Io credo possa rimanerci anche nel 2018. Il quadriennale che ha firmato è vincolante: all’Inter non conviene cederlo per non andare incontro a minusvalenza certa, al mercato estero non conviene accettare le cifre dell’Inter finché Kondogbia non dimostrerà di poter valere l’investimento. È il differenziale domanda-offerta che provavano a spiegarmi, quello che ha intasato il sistema bancario italiano contemporaneamente alla rosa dell’Inter (di quelli che vale la pena cedere, quindi certamente non Icardi e Brozovic, quanti in questo momento hanno un vero mercato?). In questo momento, Kondogbia trova più spazio sui quotidiani

saltate fuori da Football Leaks che nelle rotazioni del centrocampo di Pioli: quando si dice che le etichette ti si incollano addosso, ecco, a Kondogbia è rimasto incollato il cartellino del prezzo.
(FL)

 

 



 

In realtà il 2016 di Ronda Rousey è ancora il 2015 di Ronda Rousey, quello della

in carriera, dei

che un essere umano possa avere e della

che si è abbattuta su di lei. Ronda in realtà combatterà il 30 dicembre contro Amanda Nunes e potrebbe uscire all’ultimo momento da questa classifica riprendendosi la sua cintura. Ma il 2016 passato nell’ombra a covare rancore e allenarsi - a giudicare dal suo atteggiamento il giorno della presenza stampa dell’incontro con Nunes, quando è scappata senza rilasciare neanche l’intervista di rito, non è chiaro quale delle due cose abbia fatto con più passione - resterà come una macchia scura sul suo passato non solo sportivo. L’UFC tifa per lei (nei promo Nunes è praticamente assente) ma tifare veramente per lei significa augurarle un 2017 anche in caso di sconfitta.
(DM)

 

 



 

Il semplice fatto che un giocatore con il talento per essere costantemente tra i primi 20 giocatori al mondo non sia entrato neanche nella lista preliminare del Pallone d’Oro 2016, premio mainstream per eccellenza, ci dice in modo abbastanza chiaro che l’anno di Di María non sia stato positivo.

 

Più che il girone d’andata della Ligue 1 chiuso incredibilmente al terzo posto, il motivo per cui Di María è in questa classifica è che proprio quest’anno che Ibrahimovic ha tolto le tende liberando lo spot di leader tecnico e mentale della squadra, lasciando a Di María tutta la libertà per poter tornare ad essere

 Di María di Madrid, lui ha scelto di limitare al minimo il numero di volte in cui gioca sul serio dimostrandosi incapace di prendersi la leadership di una squadra d’alto livello.

 

Quel giocatore dinamico, creativo e tecnico che aveva fatto innamorare l’Europa solo tre anni fa con la maglia del Real Madrid e il cui fallimento a Manchester poteva essere ascritto alla gestione di Van Gaal, ora che ha tutte le libertà del mondo per dominare, si concede con il contagocce. Nel 2016 ha alternato partite maestose come quella contro

agli ottavi di Champions League a partite scialbe da ragioniere della fascia come ai quarti contro un Manchester City, o ai gironi contro l’Arsenal, o contro il Monaco in campionato. E se non riesce ad essere leader con il PSG, non riesce neanche a fare da spalla in Nazionale: come in finale di Copa América, dove ha lasciato Messi in balia della difesa del Cile prima di essere sostituito all’ora di gioco.
(DVM)

 

 


 



 

Ad inizio 2015 il calciomercato del Newcastle era stato, come in tutti gli ultimi anni, tanto pomposo quanto senza costrutto. Erano arrivati Aleksandar Mitrovic, Georginio Winijadum e Chancel Mbemba per una cifra complessiva di 36 milioni di sterline. A questi si sono aggiunti, a gennaio, con la squadra già nel baratro della classifica, Jonjo Shelvey, Henry Saivet e Andros Townsend, per altri 29 milioni. Nel mezzo il licenziamento di Steve McLaren per Rafa Benitez, che con dieci partite rimanenti non è riuscito ad evitare la retrocessione

. Quest’anno, con la preparazione estiva a disposizione, Benitez - a cui quest’anno il fantasma del natale passato chiederà conto della sua scelta - è riuscito a rimettere la squadra in asse e ora il Newcastle è primo in Championship. Ma non basta ad attenuare il senso di catastrofe della scorsa stagione, e ad evitare al Newcastle di finire in questa classifica.

(EA)

 

 



 

È stato un 2016 da dimenticare per i Saint Louis Cardinals. La squadra del Missouri è finita fuori dai playoff dell’Mlb nonostante abbia ottenuto un record vincente (86 vittorie e 76 sconfitte) e abbia chiuso al secondo posto nella Nl Central, dietro solo agli inarrivabili Cubs. Ma per un team che ha raggiunto i playoff 5 volte nelle precedenti 5 stagioni (addirittura 12 volte nelle ultime 16 stagioni), con un titolo (2011), una sconfitta in finale (2013) ed un record di 100 partite vinte soltanto lo scorso anno, il pollice verso è inevitabile.

 

Sul banco degli imputati è finito il reparto lanciatori, artefice nelle scorse stagioni dei successi dei Cardinals, ma che quest’anno ha collezionato a livello di squadra una Era di 4,08 (12esimo posto dell’Mlb); peggio sono andati i partenti che hanno racimolato una poco invidiabile Era di 4,33 (13esimo posto Mlb). Dati impietosi se confrontati con la Era del 2015: 2,94 di squadra e 2,99 dei partenti. Storicamente la forza dei Cardinals risiede nel cosiddetto farm-system, ovvero nella capacità di tirare fuori giovani talenti dalle squadre delle leghe minori, capaci di imporsi tra i big dell’Mlb. Quest’anno però non è andata esattamente così. Le delusioni maggiori sono arrivate proprio da due potenziali stelle nascenti come Kolten Wong e Randall Grichuk. Ma l’età è dalla loro, si rifaranno presto, magari già dal 2017.
(NP)

 

 


 

A inizio marzo Maria Sharapova è dovuta discendere fra noi umani per ammettere di aver fatto uso di sostanze che la WADA aveva etichettato come “dopanti”. Il Meldonium, il farmaco che è stato al centro del mega scandalo che ha coinvolto la federazione russa. Lo

cercando di sporcarsi il meno possibile, scegliendo l’equilibrio migliore tra leggera mortificazione e aristocratico disincanto: «So che molti di voi pensavano che oggi avrei annunciato il mio ritiro, ma se mai lo avessi fatto non sarebbe certo stato in un hotel a Los Angeles downtown, con questo tappeto orribile». Ad ottobre la squalifica ha preso la sua forma definitiva: un anno e tre mesi, con possibile ritorno in campo ad aprile 2017. La russa ha definito il giorno della notizia: “il più bello della sua vita”.

 

Maria Sharapova ad inizio 2016 aveva perso l’ennesima sfida con Serena Williams, portando il bilancio a 2 vittorie e 19 sconfitte. Non vince uno slam da più di due anni e ne ha vinti appena tre negli ultimi dieci. Nel 2016 ha perso però anche parte di quella grazia ultraterrena che aveva fatto sembrare le sue sconfitte in un certo senso colpa della volgarità del mondo.

(EA)

 

 


 

Nel 2016 la nostra percezione su Gabbiadini si è completamente ribaltata. Fino a dodici mesi fa era considerato semplicemente molto sfortunato: la migliore riserva di lusso per il miglior centravanti del nostro campionato. Capace di tenere una media gol irreale nelle finestre di partita che il Napoli gli concedeva. Al punto che sembrava potesse essere lui, in fondo, la migliore garanzia per la sostituzione di Higuain: dopo essersi lavorato il posto per due anni doveva essere il suo momento. Ma quella che sembrava essere una bella opportunità si è trasformata nella più luminosa prova della sua inadeguatezza, esplosa in due momenti:

 


 


 


Uno dei rari fotogrammi di un Gabbiadini sorridente.


 

A 24 anni Gabbiadini era stato acquistato dal Napoli per 13 milioni di euro. Due mesi dopo ha esordito in una partita ufficiale con la Nazionale. Due anni dopo non si capisce neanche che giocatore è e in che cosa potrebbe essere utile. Troppo bravo nei fondamentali calcistici per considerarlo davvero scarso; troppo inadeguato nei movimenti senza palla per poter giocare da unico centravanti. Anche nei momenti migliori della sua carriera, Gabbiadini sta al mondo con quest’aria così seria da arrivare al confine con la vera e propria depressione. Un tipo di presenza particolarmente stonata nel contesto napoletano, e che in questo momento amplifica la complessiva negatività che lo circonda. Guardate se

non è la faccia di uno che ha perso il 2016. Nel 2017 il Napoli proverà a venderlo, e lui proverà a tornare ad essere un giocatore di calcio: non dovrebbe teoricamente essere difficile per uno che calcia la palla in

.

(EA)

 



 

Visto che parliamo dell’estate in cui il Regno Unito ha votato per la Brexit, diciamo che ovviamente l’uscita dagli Europei della nazionale inglese ha avuto una magnitudo di choc collettivo decisamente bassa. Contestualizzando l'eliminazione, però, siamo di fronte alla delusione perfetta di Euro16: una nazionale arrivata sul più classico treno dell’hype che deraglia già alla prima partita in uno scialbo pareggio contro una Russia alquanto mediocre, che passa il turno di puro talento e che poi si schianta in modo definitivo uscendo già agli ottavi contro l’Islanda. La versione giovane, talentuosa e ambiziosa della nazionale inglese pronta a stupire l’Europa che esce contro una squadra poi stritolata dalla Francia nel turno successivo. E lo fa nel modo peggiore: mostrandosi inadeguata dal punto di vista tattico e incapace di esprimere il proprio talento tecnico che tanto aveva fatto fantasticare in sede di pronostici. Novanta minuti che sono stati un breve riassunto della storia recente della nazionale inglese e in cui il CT Hodgson vede la propria carriera ad alti livelli arrivare al capolinea.

 

https://www.youtube.com/watch?v=kkptp8HdAbQ

 

Di lui Emiliano Battazzi

: “Roy Hodgson aveva deciso di puntare sul blocco Tottenham (ben 5 titolari), sfruttando le capacità di Pochettino nel far crescere i giovani: ma poi anche un gruppo del genere va inserito in un contesto, e quello della Nazionale inglese era come una montagna

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