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Flavio Fusi
Fallire ancora, fallire Belgio
06 lug 2016
06 lug 2016
In questo Europeo il Belgio ha superato il punto di non ritorno.
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Flavio Fusi
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Il fatto che Thibaut Courtois, uno che nel 2014 ha visto sfumare la vittoria della Champions al 93esimo minuto, abbia definito l’eliminazione del Belgio ai quarti di finale di Euro 2016 come “

” la dice lunga su quanto gli stessi giocatori percepissero la portata dell’occasione francese.

 

La Nazionale belga era arrivata a questo Europeo come una seria candidata al titolo continentale, tanto da essere preceduta solo da Francia, Germania, Spagna ed Inghilterra nelle previsioni dei bookmakers. Lo stesso CT Wilmots aveva chiaramente messo nel mirino

: in questo senso gli infortuni prima dell’inizio del torneo di capitan Kompany e dell’altro centrale Lombaerts sono stati sicuramente un brutto colpo e la sconfitta all’esordio con l’Italia ha contribuito a diminuire le aspettative sui Diavoli Rossi.

 

 



 

Contro gli Azzurri il Belgio ha mostrato tutti i suoi limiti tattici, esagerati anche dal fatto che Wilmots ha probabilmente sottovalutato la nostra Nazionale visto l’approccio della sua squadra in campo, parsa completamente impreparata ad affrontare anche gli schemi di gioco più tipici della squadra di Antonio Conte. In particolare, come sottolineato

di Fabio Barcellona, il Belgio non è riuscito a difendere la manovra verticale dell’Italia, con i centrocampisti spesso troppo distanti da loro (in quanto impegnati a seguire in marcatura le mezzali azzurre) che permettevano ad Éder e Pellé di ricevere con troppa facilità.

 


I tre centrocampisti del Belgio si orientano sui centrocampisti italiani: Fellaini marca De Rossi, Witsel Giaccherini, Nainggolan Parolo. Le posizioni larghe delle mezzali aprono linee di passaggio centrali per i due attaccanti azzurri.



 

Inoltre si sono viste le temute controindicazioni dovute al passaggio dal 4-3-3 al 4-2-3-1, modulo di gioco scelto da Wilmots solo in prossimità degli Europei. Senza i triangoli creati naturalmente dal 4-3-3, la costruzione del Belgio ha stentato, con Witsel e Nainggolan spesso troppo lontani per ricevere un passaggio sicuro dai propri difensori. Non stupisce quindi che il Belgio si sia affidato ai lanci lunghi per le due boe Fellaini e Lukaku, rinunciando in partenza a costruire il gioco palla a terra in mancanza di un adeguato supporto del proprio centrocampo, oltre che di movimenti costruttivi degli altri giocatori offensivi.

 


Witsel e Nainggolan sono a molto distanti dai propri compagni e ben coperti dallo schieramento dell’Italia. Così è impossibile far progredire l’azione centralmente e infatti Ciman si appoggia su De Bruyne largo a destra.



 


Altra partita, altra zona di campo, ma il supporto dei centrocampisti continua a latitare. Qui Alderweireld e Vermaelen sono lasciati a loro stessi contro Ibrahimović e Berg. Il difensore del Tottenham non può che effettuare un retropassaggio per il rinvio lungo di Courtois.



 

Al tempo stesso, quella sconfitta aveva paradossalmente delineato un cammino più agevole per il Belgio, rilanciandone la candidatura a potenziale vincitore di questo Europeo dopo le vittorie su Svezia ed Irlanda. Non capita praticamente mai di avere un cammino più semplice passando il girone come secondi, ma così è stato: se agli ottavi l’Italia ha dovuto vedersela con la Spagna, la squadra di Wilmots ha trovato sul suo cammino l’Ungheria, non esattamente una corazzata a livello continentale.

 

 



 

Ma non era tanto l’ottavo relativamente agile ad aver facilitato il Belgio, quanto la conformazione del tabellone, che sia per un regolamento discutibile che per qualche sorpresa nei gironi eliminatori, aveva fatto sì che Francia, Germania, Spagna, Inghilterra ed ovviamente Italia, si trovassero tutte dalla parte opposta del tabellone. Con Portogallo e Croazia costrette allo scontro diretto già agli ottavi, per i Diavoli Rossi la strada verso la finale sembrava praticamente spianata.

 

Il fragoroso 4-0 con cui il Belgio ha passato il turno eliminando l’Ungheria non ha fatto che gettare altro fumo sugli occhi dei sostenitori belgi: oltre a non essere particolarmente ricca di talento individuale, la squadra magiara aveva palesato anche problematiche a livello tattico, specie rispetto a formazioni quali ad esempio Irlanda, Slovacchia e Islanda.

 

Tali limiti tattici sono venuti fuori prepotentemente durante la partita con il Belgio. I sistemi difensivi con l’uomo come punto di riferimento hanno rappresentato la vera e propria moda di quest’Europeo: né il Belgio, né l’Ungheria hanno fatto eccezione. Entrambe le squadre, specie a centrocampo e durante il pressing tendevano ad orientarsi sull’uomo. Come è logico, ciò ha determinato la creazione di svariati duelli individuali durante tutto il corso della gara, che in larga parte si sono risolti ad appannaggio del Belgio, cosa che non stupisce considerata la superiorità qualitativa di cui la squadra di Wilmots disponeva (16 dribbling completati su 26).

 


Le marcature a uomo dell’Ungheria lasciavano sempre uno dei due centrali belgi libero di agire. Qui Alderweireld porta palla e costringe Gera a fronteggiarlo: l’ungherese perde così la marcatura su Nainggolan, che ha sua volta diventa l’uomo libero, facendo crollare il sistema difensivo organizzato da Storck.



 

Certo, i Diavoli Rossi hanno corso qualche inevitabile rischio, considerato l’approccio difensivo troppo individualistico mostrato durante tutto il corso del torneo, ma dal punto di vista strategico l’Ungheria non è riuscita a costituire una seria minaccia per le ambizioni di Hazard e compagni.

 

Il Belgio non ha mai brillato per l’organizzazione del pressing, ma i magiari si sono praticamente messi in difficoltà da soli, con terzini ed esterni sempre larghi fin dall’inizio della manovra. La squadra di Wilmots necessitava quindi di meno uomini per evitare che il pallone arrivasse in fascia in fase di uscita e contemporaneamente poteva mantenere i centrocampisti in posizione centrale e quindi in marcatura sui centrocampisti avversari. Sostanzialmente l’Ungheria, schierata con un 4-2-3-1, lasciava vuoti i due corridoi interni, con il centro che rimaneva scollegato dalle due fasce. Ciò ha reso le cose facili per il Belgio, con gli avversari che non riuscivano a penetrare il blocco difensivo ed erano spesso costretti a perdere palla o a cercare soluzioni con scarse percentuali di realizzazione.

 

Eppure anche in questo scenario apparentemente ideale, la fase difensiva del Belgio aveva mostrato alcune falle, in particolare, quando Dzsudzsak decideva di abbandonare la propria posizione larga per convergere verso il centro. In quel caso, Vertonghen, deputato a marcarlo quando si trovava all’interno della sua zona, non lo seguiva e di conseguenza, come sottolineato da Judah Davies nella sua

, l’ala ungherese risultava libera, visto che i centrocampisti del Belgio erano orientati sui propri avversari diretti. A quel punto Dzsudzsak poteva portare palla costringendo Witsel e Nainggolan a lasciare la marcatura, liberando quindi un compagno alle loro spalle.

 



 
 

Dzsudzsak converge verso il centro e prende palla a centrocampo, con Nainggolan e Witsel costretti a temporeggiare per non perdere Pinter. Quando il centrocampista della Roma aggredisce il portatore avversario, quest’ultimo serve il compagno alle sue spalle che crea un’occasione per Lovrencsics.



 

Ciò che però ha veramente fatto la differenza è stato il rischioso approccio dell’Ungheria che alzava i terzini, specie Lang, ogniqualvolta se ne presentava l’occasione: in transizione c’era sempre spazio alle spalle dei laterali difensivi e Hazard e Mertens potevano contrattaccare in velocità. La struttura in possesso dei magiari peggiorava le cose, vista la subottimale occupazione degli spazi interni, confermando ancora una volta quanto non sia solo la fase offensiva a beneficiare di una buona organizzazione strutturale.

 


Non sono passati nemmeno tre minuti di gioco e Hazard ha già una vera e propria autostrada davanti a sé, con il terzino destro ungherese Lang avanzatissimo e nessun’altro uomo a coprire il corridoio interno.



 

Questa serie di circostanze e situazioni favorevoli, unite alla grande prestazione di Hazard (12 dribbling riusciti su 15, 4 occasioni create, 3 tiri, 1 gol, 1 assist), hanno fatto sì che il Belgio riuscisse a superare il proprio ottavo in scioltezza. Ai quarti il Belgio ha però trovato un avversario nettamente più ostico dal punto di vista tattico-strategico, oltre che con individualità degne di nota.

 

 



 

L’Ungheria, pur avendo trovato una soluzione interessante con i tagli di Dzsudzsak, non era riuscita a scompaginare le marcature di Wilmots con continuità, compito invece riuscito alla perfezione al Galles, grazie alle rotazioni del centrocampo e ai continui cambi di ruolo di Aaron Ramsey,

da Alfredo Giacobbe.

 


Bale si abbassa ed è subito preso in consegna da Nainggolan. Ramsey intelligentemente approfitta del movimento del compagno e si colloca tra il disattento Carrasco e il centrocampista della Roma, in posizione perfetta per ricevere palla da Ashley Williams e creare un’occasione da rete.



 

Oltre allo smantellamento delle marcature, il Galles ha potuto approfittare dell’infortunio di Vertonghen e della squalifica di Vermaelen che hanno privato Wilmots di due elementi nettamente più affidabili dei sostituti Denayer e Lukaku, più volte in difficoltà nel gestire i tagli di Robson-Kanu, come in occasione dell’azione da cui è scaturito il calcio d’angolo, su cui il sistema belga di marcature miste ha fatto una pessima figura.

 

Un po’ come contro l’Italia l’organizzazione dell’avversario ha amplificato i problemi strutturali del Belgio che viste le difficoltà a centro, ha attaccato prevalentemente lungo le fasce: seppur l’idea di per sé potesse risultare efficace, visto che il Galles aveva uno solo giocatore su ogni corsia, i Diavoli Rossi non sono riusciti a rendersi sufficientemente pericolosi, grazie ai precisi scivolamenti dei centrocampisti di Coleman (a volte anche di Bale). I belgi hanno completato appena 5 dribbling su 14, di cui quasi nessuno in fascia ed anche quando sono riusciti ad arrivare al cross non hanno avuto particolare successo (7 cross positivi su un totale di 35).

 


Come l’Italia, il Galles ha impedito che la palla giungesse facilmente a Witsel e Nainggolan. Per il Belgio ciò ha reso ancora più difficile costruire il gioco centralmente. Qui tutti i difensori toccano palla ma non si aprono linee di passaggio e la manovra deve forzatamente passare dalle corsie.



 


Anche in fascia il Belgio non ha avuto vita facile, visto che gli scivolamenti dei centrocampisti gallesi facevano sì che il fluidificante non rimanesse in inferiorità numerica. In quest’esempio nonostante Carrasco, De Bruyne e Hazard sulla stessa fascia non c’è possibilità di progredire.



 

 



 

L’eliminazione con il Galles ha confermato la tesi sull’Europeo del Belgio. Quando la squadra di Wilmots ha affrontato Nazionali che si sono dimostrate in grado di esprimere efficienti dinamiche di gioco a livello collettivo, eseguendo un piano di gara predeterminato, la squadra è parsa letteralmente alla deriva. Tra la gara con l’Italia e l’ultimo atto con il Galles i Diavoli Rossi hanno trovato squadre che per vari motivi hanno permesso che fossero le qualità individuali a risultare determinanti, facendo passare gli evidenti deficit tattici in secondo piano. Ma pensare di vincere un torneo continentale senza un chiaro modello di gioco, con azioni spesso basate sull’improvvisazioni dei tanti talenti a disposizione, si è dimostrata una strategia destinata al fallimento.

 

Wilmots è un bersaglio facile, ma l’errore è probabilmente quello della federazione, che lo tiene ormai in sella da quattro anni, che diventano sette se si considera la parentesi come vice. È innegabile che l’attuale commissario tecnico sia un allenatore con pochissima esperienza. Wilmots ha abbandonato il suo primo lavoro allo Schalke 04 per cominciare una fallimentare carriera politica e il suo secondo incarico come allenatore del Sain Truiden è durato appena mezza stagione: non esattamente il curriculum di un allenatore che aspira a vincere il primo Europeo nella storia del suo Paese, soprattutto considerato che durante il suo quadriennio alla guida del Belgio, la squadra ha mostrato i soliti difetti, che lui stesso, almeno

, ha più volte fatto finta di non vedere. L’eccessiva insistenza su alcuni giocatori (come Fellaini) e voci di corridoio secondo le quali i senatori dello spogliatoio abbiano

nelle scelte di campo, non fanno altro che indebolire la posizione del CT belga.

 

Euro 2016 ha mostrato quanto l’allenatore possa fare la differenza anche a livello internazionale, pur avendo poco tempo a disposizione per gli allenamenti. Anche una generazione d’oro ha bisogno di una guida tecnica all’altezza, specie con giocatori con la fama di essere un po’ naif: evidentemente ai belgi la lezione del Mondiale 2014 non è servita. In attesa delle eventuali dimissioni, Courtois

“Io il mio consiglio a Wilmots l’ho già dato nello spogliatoio”.

 

 

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