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Redazione basket
Delusione azzurra
10 lug 2016
10 lug 2016
L’ItalBasket ha fallito l’accesso a Rio con cui si giocava tutto.
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Quando suona la sirena del supplementare la prima reazione è quella di sedersi in un angolo, chinare la testa e singhiozzare. Ancora una volta la Croazia ci elimina in una gara da dentro o fuori; ancora una volta questo gruppo si scioglie sul più bello; ancora una volta - la sesta nelle ultime otto edizioni - l’ItalBasket non è tra le 12 sotto la bandiera a cinque cerchi. Ancora una volta si riapre il dibattito sulla

(sciagurata cit.) che non raggiunge il risultato sperato e voluto.

 

Archiviata la modalità

, bisogna affrontare la dura realtà. Ovvero che questa squadra non è stata capace negli ultimi due tornei di compiere il salto necessario a vincere. I punti di contatto tra sconfitta con la Lituania e sconfitta con la Croazia sono parecchi, oltre all’overtime: attacco con lo schema “cercasi un eroe”; solidità difensiva che ci lascia proprio sul più bello; incapacità di gestire il vantaggio raggiunto con tanta fatica. Sono limiti strutturali di questo gruppo che anche con Messina si sono ripetuti: segno che il problema, in fondo,

, per il quale vale ancora e a maggior ragione l’assenza di una motivazione tecnica per giocarsi la chance olimpica fino in fondo.

 

Ettore Messina è tra i migliori allenatori italiani di sempre, ma questo non lo esula dalle responsabilità. È sua la scelta di portare un solo play di scorta, Poeta, senza peraltro riporci fiducia tecnica,  preferendo affidare la costruzione degli attacchi, in assenza di Hackett, a Belinelli o Gentile. Ovvero a giocatori molto limitati in quella situazione. Una decisione che non ha pagato, soprattutto in assenza di un giocatore dall’intelligenza cestistica superiore - come è ad esempio Kruno Simon per la Croazia, in grado di sopperire all’assenza in campo di un play di ruolo. Sembra ormai scontato che Messina rimanga almeno un altro anno e nel complesso è giusto così: ma con il nuovo calendario delle Nazionali, in campo anche durante la stagione dal 2017-2018, servirà inevitabilmente o un altro coach o che il Ct lasci l’NBA.

 

A mente fredda c’e un’altra domanda da porsi: quanto il gruppo degli over 28 avrà voglia l’anno prossimo di tentare l’assalto all’ultima possibilità di medaglia, ovvero ad EuroBasket? Dipenderà da tanti fattori, a cominciare dalla disponibilità mentale. Quella che sembra essere mancata ad Andrea Bargnani. Se ad Ale Gentile potremo rimproverare per sempre o poco meno il pallone regalato a Saric sul -4, al Mago dobbiamo rimproverare l’assenza di sacrificio e un’assoluta inesistenza tecnica. Pensando al talento naturale che possiede, la regressione subita è inconcepibile. Nessuno può permettersi di rimanere lontano dalle partite cinque mesi senza pagare dazio, neppure Bargnani. Se questa è la miglior versione attuale del Mago, allora in maglia azzurra possiamo farne benissimo a meno.

 



Uno spiraglio di ottimismo ce lo da Luca Vitali.


 

La sconfitta al supplementare, per quanto amara sia, non può peraltro rappresentare un alibi per nascondere ancora altra polvere sotto il tappeto di casa Petrucci. Il presidente federale ha investito tantissimo, in termini economici e di peso politico personale, per portare il preolimpico a Torino. Un’organizzazione talmente sentita che è diventata arma di ricatto della FIBA verso la FIP e della FIP verso i club nella querelle sulle coppe europee. La Nazionale senior maschile è diventata il centro nevralgico dell’attività del presidente. Non aver raggiunto l’obiettivo fissato sin dall’inizio del suo mandato è sufficiente per non ricandidarsi? Conoscendo Petrucci, no. Se non sono servite le tante squadre fallite, il fallimento della tv federale, l’aver costretto i club a non partecipare all’Eurocup obbligandoli ad una Champions League di profilo inferiore, le scarne politiche di sviluppo del basket tra i giovani, le riforme continue dei campionati che non danno certezze… se non è servito tutto ciò volete che basti una sconfitta all’overtime?



 

Queste righe sono analisi di una partita, di situazioni di gioco, e anche di storie emotive dentro i 45’. La nostra D non parte dalla solita pressione e solo qualche volta aggredisce scambiando in automatico. In attacco andiamo agli obiettivi e produciamo, ma senza cinica continuità. A volte “osservandoci”.

 



 

Dario Saric giocherà a Philadelphia. Cioè da chi aveva la scelta #1, e ha chiamato Ben Simmons. Beh, coppia interessante.

 

Gli ultimi quindici minuti di Saric mettono il marchio alla partita. Questa la sua produzione.

 


Produzione #culomangiapigiama eccellente.


 

Ma lo è ancora di più la semplicità (intesa come alta qualità) con cui la Croazia lo attiva in tre differenti situazioni di gioco. Splendido lui, lucidità in tutti gli altri.

 

Giocando da 4. Blocca la palla per forzare il cambio

 



 

 

Non fermano la palla per andare subito dal suo mismatch. Fingono un P&R con il 5 in punta, per tirar fuori dall’area il suo difensore. E poi passaggi per andare dentro a Saric.
Succede non una, ma due volte.

 

Giocando da 4 usa il P&R con 5

 



 

 

Usa il blocco di 5 per forzare il cambio e poi attaccare frontalmente il difensore più lento che è andato in cambio.
Anche qui due azioni vincenti quasi consecutive.

 

Con Saric da 5, lui va bloccare la palla.

 



 

 

Va subito a bloccare la palla. Cercando il cambio contro il difensore con meno taglia. E poi lo attacca in post basso.

 

Chiarezza nella varietà della situazioni di gioco usate per lui. Chiarezza di obiettivi. Ed efficienza come conseguenza. E la difesa Italia parte senza aggressività solita, lasciando arrivare la Croazia al suo obiettivo non in salita. Nella testa che guarda -forse- la pressione del punteggio.

 



 

Siamo arrivati a questa partita con una difesa di alta qualità. Di massima efficienza. Sapendo togliere tiri preferiti ad ogni attaccante avversario.

 

Stasera non succede. Tattica? Proprio no. Emozione e riduzione di comunicazione verbale e con corpo. Succede. Maledettamente succede.

 

Vogliamo tenere sul lato, per negare l’uso del blocco.

 

Non partiamo dalla solita pressione. L’attaccante croato può giocare a testa alta. Non saltiamo a negare l’uso del blocco con i tempi giusti. E il

gioca non collegato al posizionamento che indica lo

. Risultato: canestri facili.

 



 

 

E succede nel primo tempo ben più di una volta.

 

Simon vuole il P&R in punta.

 

Simon. Giocando in punta attacca dal palleggio usando il blocco verso sinistra. Per tre volte segna da 3 punti: 9 punti che fanno male.

 

https://vimeo.com/174083839

 

Energia l’abbiamo avuta, ma non continuità. Blocco di tensione che ci ha impedito di macinare come al solito con la nostra D.

 



 

 



 

Secondo quarto: momento difficile, Croazia avanti di 6. Tre azioni quasi consecutive mettendo la palla in mezzo angolo, ISO e tagli. Arrivano punti che sembrano contare ancora di più perché si sentono costruiti da idee di squadra.

 

Eccole in successione.

 



 

 



 

 



 

 

Lo facciamo poi con minor frequenza. Lucidità ondivaga nell’andare a colpire.

 



 

La Croazia va a Rio. Questa il canestro da 3 punti che nel supplementare stacca il biglietto

 



 

 

Da vedere e rivedere. Soffrendo. Ma qualità e tocchi di prima per attaccare e punire la rotazione difensiva. Meritati applausi.

 



 



 

31.1 secondi alla fine del supplementare.
80-76 per la Croazia.
Kruno Simon, la guardia campione d'Italia con l'Olimpia Milano, ha disputato finora una partita stellare con 6 triple a segno.
È in lunetta con due tiri liberi, più che probabilmente decisivi. Ma sbaglia il primo.

 

Sbaglia pure il secondo, e Melli affida il rimbalzo difensivo a Gentile.
Alle sue spalle, in agguato come un Nazgûl che terrorizza i poveri mortali, Dario Saric attende con la furbizia che un ragazzo nato nel 1994 normalmente, a questo livello, non dovrebbe avere.

 

Gentile, invece di involarsi in contropiede, apre ingenuamente verso Hackett.
Saric è lì, allunga la mano malefica e recupera il pallone.

 

Un attimo prima l'Italia ha in mano il possesso del potenziale -1 o -2 e ancora un po' di tempo per difendere sull'avversario e cercare la vittoria.
L'attimo successivo, e con 31 secondi in anticipo, la speranza italiana di vincere il Pre-olimpico muore.

 

La Croazia, di riflesso, grazie a questo scippo e all'onnipresente performance del suo Nazgûl nazionale, andrà alle Olimpiadi di Rio.

 



 

Definire "totale" la partita contro gli Azzurri dell'ala di Sebenico (se vi dice qualcosa ricordate bene: la città dei Petrovic, Drazen la leggenda immortale Aco il fratello, coach dell'attuale selezione) non rende l'idea dell'impatto che Dario Saric ha avuto sin dai primi possessi. Chiuso il primo tempo con già 10 rimbalzi a referto e 2 assist, il giovane fenomeno dei Sixers nella seconda parte di gara ha preso per mano i suoi anche a livello realizzativo, segnando 13 punti tra ultimo quarto ed overtime. Guadagnandosi il premio di mvp del Preolimpico torinese, chiuso a 14 punti, 10 rimbalzi, 2,2 assist di media e la miglior valutazione della Croazia insieme a Bojan Bogdanovic (co-mvp per lunghi tratti).

 


Una delle tre azioni da “and one!” di Dario Saric in questa finale: determinazione, potenza, controllo del corpo, talento.


 

La straordinarietà di un giocatore già equipaggiato di un fisico maturo e tostissimo, oltre all'ovvio fattore dell'età anagrafica, continua a risiedere nella naturale capacità di poter decidere una partita di pallacanestro senza dover per forza segnare, e anche la finale contro l’Italia l’ha dimostrato.
L’acceso duello con Gallinari si sarebbe potuto concludere a pari merito, ma la differenza tra i due è stata che coach Petrovic ha potuto contare sul fondamentale contributo di Saric anche nel tiratissimo finale, mentre Messina ha dovuto rinunciare al Gallo a poco meno di 2 minuti dalla fine del quarto periodo, per raggiunto limite di falli commessi.

 

Tre erano stati spesi sugli 1 contro 1 di Dario Saric. Che deve aver detto al Gallo le stesse parole di Tolkien nel suo

: “Non metterti mai tra il Nazgûl e la sua preda”. Si finisce sempre per soccombere.



 

“Aspettando Godot”, dramma teatrale scritto da Samuel Beckett, è diventato nella cultura popolare il sinonimo di un evento apparentemente imminente, ma che nella realtà è destinato a non avverarsi mai.

 

Pensando a questa generazione di giocatori - che nelle parole del presidente Petrucci è “la nazionale italiana più forte di sempre” - la sensazione trasmessa risulta molto simile a quella provata da Vladimiro ed Estragone nella loro attesa senza fine del Signor Godot.

 

Se consideriamo l’ultimo lustro di competizioni internazionali questo gruppo ha sempre goduto di grandissime aspettative, amplificate dalla cassa di risonanza mediatica dell’avere tre o quattro giocatori in pianta stabile dall’altra parte dell’oceano.

 

Cercando di analizzare a mente fredda quest’ultima sconfitta il pensiero torna al settembre del 2011, durante il timeout più famoso della nostra storia sportiva cestistica recente.

 



 

E se probabilmente il gruppo in questo pre-olimpico ha imparato a fare a cazzotti, continuità, idee e lucidità sono sicuramente venute a mancare.

 

Cosa è cambiato in questo gruppo da quella fallimentare spedizione in Lituania nel 2011? Sicuramente l’arrivo di Gentile e di Melli, oltre che la naturale crescita di alcuni dei protagonisti, ci ha reso più competitivi, ma la sensazione è che non ci sia mai stata la reale possibilità di puntare concretamente a un titolo continentale.

 

Sia nella versione di Pianigiani che in quella coriacea ed energica di Messina la nostra Nazionale è sembrata peccare della lucidità necessaria nei momenti topici, e salvo rari casi (ad esempio il Gallinari di Berlino contro la Germania o il Belinelli nel secondo tempo con la Spagna) anche di quelle zampate fuori dagli schemi che talvolta fanno la differenza tra una vittoria e una sconfitta.

 

Colpevoli e capri espiatori non sono mai i benvenuti nell’analisi sportiva, ma le cifre non possono essere ignorate nella loro oggettività. E quando uno dei tre giocatori più rappresentativi di questa generazione come Andrea Bargnani chiude con meno di 9 punti e 4 rimbalzi, con un utilizzo medio inferiore ai 20 minuti, è difficile voltarsi dall’altra parte.

 

Tuttavia non è il solo Bargnani ad aver giocato sotto le aspettative, ma tutto il gruppo trainante di cui Gallinari, Datome, Belinelli e Gentile fanno parte. L’errore in entrata di Gentile sembra quasi l’epitaffio sulla cronica impossibilità di questo gruppo di “portare il cuore oltre l’ostacolo” per arrivare al risultato.

 


Forse non l’errore più determinante ma probabilmente quello più carico di significati.


 


...e il solito momento “Hero-Ball” di Belinelli.


 


Il quinto fallo del Gallo su Simon.


 

Molte delle più grandi vittorie della nostra storia sportiva - inclusa quella cestistica - sono nate giocando con il ruolo di underdog, con il coltello tra i denti, con quella voglia di riscatto tipica della classe operaia in cui buona parte del paese poteva immedesimarsi. Questo è spesso stato il marchio di fabbrica di noi italiani, declinazione nello sport di un approccio culturale che ci porta sempre ad eccellere quando siamo costretti ad inseguire e a rialzarci.

 

Nonostante l’ormai storico hashtag #SiamoQuesti, il peccato originale è stato forse quello di investire questa generazione di un ruolo non proprio, restando forse troppo abbagliati dal talento potenziale. Ci siamo tutti - forse - troppo concentrati sul

piuttosto che su

.

 

Ed ora ci ritroviamo tutti ad aspettare Godot.

 

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