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Cosa resterà di questa Copa América Centenario
30 giu 2016
30 giu 2016
Rivincite fallite, polemiche, errori, inadeguatezze varie, delusioni, tragedie nazionali della Copa América più melodrammatica degli ultimi anni.
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Al di là dei tormentoni di cui è onorificato: Il suo nome è Eduardo / sembra un dardo / quando scappa non lo puoi fermar!



 



 


Camargo era il primo dei titubanti circa una resurrezione di Claudio Bravo.



 

Seconda domanda: come si fa ad eleggere Miglior Portiere del torneo un giocatore che nella fase a gironi ha compiuto diversi errori ai limiti dell'inconcepibile? Anche qua voglio essere diretto: giusto così, Bravo è senza dubbio il miglior portiere sudamericano. Un giocatore splendidamente sobrio, tecnicamente completissimo anche con i piedi, fondamentale sul piano del temperamento e costantemente decisivo negli ultimi due anni, sia per il club che per la Nazionale.

 

La sua unica colpa è quella di essere meno appariscente di molti colleghi, però non è assolutamente distante dal lotto dei Magnifici Quattro: Buffon (sovrano assoluto), Neuer, Courtois e De Gea. Oltretutto, i problemi della figlia non sono solo una spiegazione sufficiente per archiviare le sviste dell'inizio, ma addirittura un ulteriore punto d'onore: riuscire a resettare la mente nei momenti decisivi è cosa.

 

Un unsung hero principesco

di Giulio Di Cienzo 

Charles Aránguiz è l’unsung hero per eccellenza del Cile di questo biennio. È un elemento fondamentale non solo del centrocampo, ma di tutta l’organizzazione della "Roja": sa leggere tatticamente il gioco, ha un dinamismo unico, è solido nei contrasti, ha qualità e geometrie, corsa verticale e inserimenti. "El Príncipe", com'è soprannominato, può fare tutto in mezzo al campo e quando indossa la maglia del Cile lo fa con continuità e qualità, adattandosi ad ogni compagno, sobbarcandosi compiti che gli altri lasciano scoperti.

 

Non è un caso che la “crisi” vissuta da Pizzi fino, praticamente, alla fase ad eliminazione della Copa Centenario sia coincisa o con la sua assenza o con la fase di rodaggio successiva all’infortunio al tendine d’Achille che gli ha fatto perdere praticamente tutta la stagione con il Bayer Leverkusen, al suo suo primo, attesissimo, anno in Europa.

 


Charlie sbuca da una voragine spazio-temporale che a infilarcisi dentro si torna al 14 Giugno 2015.

 

La firma di Aránguiz sulla vittoria del Cile è arrivata nella sfida con la Colombia: la "Roja" si trovava in una situazione di emergenza pura, potenzialmente gravissima, con Vidal squalificato e Díaz infortunato. Praticamente era indisponibile il centrocampo titolare, unico superstite in mediana si è trovato a giocare con Hernández e Silva, non esattamente nomi di spessore, e ha risposto da leader: ha preso in mano la squadra e ha pure sbloccato il risultato indirizzando il Cile verso la seconda finale consecutiva, dove è tornato a giocare da riferimento davanti alla difesa affiancato dai suoi compagni abituali.

 

Se c’è stata una partita che ha tolto ogni dubbio sul suo pieno recupero e ha dimostrato che con lui in forma cambiano le prospettive del Cile, è proprio la semifinale contro la Colombia.

 


Dopo quello contro il Brasile del 2014, Charlie Aránguiz ha sfoderato un altro penal arrogantissimo che ha vinto a mani basse il premio per il rigore più bullo della Copa América Centenario.

 

Premio Miglior Polemica Poi Rivelatasi Inutile: Chi sarebbero stati i campioni in carica dell’America America?

di Fabrizio Gabrielli

In realtà si tratta di una questione di lana caprina, perché ovviamente i Campioni definitivi di tutte le Americhe, continentali e arcipelagiche, sono gli uomini che vestono la maglia della Roja, l’ha ribadito il campo e siamo tutti (più o meno) in pace con noi stessi così.

 

Però è interessante fare un passo indietro per capire quanto panico abbia saputo generare la conferenza stampa congiunta delle tre federazioni coinvolte nell’organizzazione della Copa América Centenario, cioè la CONMEBOL, la CONCACAF e gli Stati Uniti d’America (ragionevolmente, calcisticamente e non, una specie di confederazione a sé), in limine alla finale. Finale di tutto, o almeno così dava l’impressione di prefigurarsi.

 

Alejandro Dominguez, il paraguayano presidente della CONMEBOL, ha una faccia rassicurante (e di questi tempi, a quelle latitudini, non è poco): seduto al centro, durante la conferenza stampa, tra Montagliani (presidente della CONCACAF) e Sunil Gulati (presidente della USFF, la Federcalcio Statunitense), sembrava Winston Churchill alla Conferenza di Yalta, solo più giovane e imbolsito.

 

Una faccia che non sembra quella di un tipo che può gettarti nel panico. E invece per una manciata di ore lo ha fatto: se l’Argentina avesse vinto la finale, chi si sarebbe dovuto fregiare del titolo di Campione d’America, la vincitrice dell'edizione 2016 o quella dell'edizione 2015 (come era stato precedentemente stabilito)?

 

Potenzialmente, sempre se l'Argentina avesse vinto, si sarebbe potuta aprire una crisi proprio con il Cile per rappresentare il Sud America alla Confederations Cup dell’anno prossimo in Russia, sulla base di un principio di attualità non del tutto campato in aria ma che, di fatto, contraddiceva i presupposti con cui si era cominciato il torneo. Il dubbio - sulla cui ragionevolezza si può discutere - l’ha sollevato lui, Alejandro Dominguez.

 

Un motivo per essere felici, alla fine, lo hanno comunque trovato tutti: con un comunicato stampa stringato ma perentorio la CONMEBOL ha dimostrato di saper precorrere i tempi e azzeccare previsioni fuori dalla portata dei più acuti scommettitori (dato che in realtà che dovesse essere comunque il Cile era scritto già nel regolamento della Copa América 2015) salvando la credibilità sorniona del loro prez. In tutto ciò la CONCACAF ha intravisto nei propositi di collaborazione futura una specie di miniera d’oro oltre che un’opportunità di crescita senza precedenti, come se questa Copa América Enlarged fosse un fratello adottivo più grande da affiancare alla Gold Cup che, al confronto, agli uomini di Jamaica e Haiti e Panama, dovrà sembrare un torneo parrocchiale. E gli Stati Uniti, beh, con i loro 70mila spettatori di media e un seguito appassionato hanno definitivamente disvelato le proprie ambizioni a ospitare la Coppa del Mondo 2026 (per l’organizzazione della quale, secondo Gianni Infantino, sarebbero pronti già domani).

 


La battuta di Sunil Gulati: “Proprio stamattina con Victor (Montagliani, NdA) stavamo riflettendo sull’idea di un torneo con 10 squadre dalla CONMEBOL, 10 dalla CONCACAF e le quattro britanniche, Inghilterra Galles Scozia e Irlanda del Nord, che a quanto pare ora avranno bisogno di un posto per giocare; sarebbe un torneo a 24 squadre molto interessante, la risposta perfetta per gli Europei”.




 







 



 


Duckens Nazon ne sa a pacchi.

 

Con l’alzarsi del livello, però, Haiti ne è uscita ridimensionata: nel girone contro Perù, Brasile ed Ecuador, les Grenadiers hanno provato anche a proporre qualcosa di interessante, scontrandosi con l’effettivo valore tecnico di una rosa non propriamente di prima fascia. Nonostante ciò, nella partita con il Perù hanno rischiato di centrare un pareggio clamoroso al 93°, quando Kevin Belfort a porta vuota ha graziato Gallese, portiere del Perù,  fallendo clamorosamente da due passi un pallone che chiedeva solo di essere spinto dentro.

 


GUARDA QUI IL VIDEO CHE HA COMMOSSO IL WEB!!1!

 

Ecco, questa è un po’ la fotografia della Copa América disputata da Haiti: generosità, imprecisione, un po’ di sfortuna. Insomma, la Cenerentola perfetta. Ma da qui bisogna ripartire, come ha detto pochi giorni fa Yves Jean-Bart, numero uno della federazione: «Il nostro obiettivo è crescere ulteriormente, iniziando a giocarcela con le nazionali più forti e - perché no - arrivare a disputare un mondiale».

 

La crescita, in termini di risultati, è un dato di fatto già da qualche anno. Della Nazionale del futuro, oltre al già citato Belfort, faranno parte alcuni ragazzi molto interessanti che “studiano” da professionisti in Francia: come il portiere Placide, perno del Nizza Genevois; o la punta Nazon. Nel frattempo, godiamoci l’esultanza dei caraibici dopo l’unico gol del torneo, segnato al Brasile: la vera essenza del calcio a queste latitudini.

 



 

 

A proposito di Haiti, abbiamo il vincitore per il premio La migliore Storiella Edificante

Fabrizio Gabrielli

Anche se non ha potuto partecipare alla kermesse per via di un infortunio al tendine rotuleo (e solo Jurgen Klinsmann sa quanto gli avrebbe potuto fare comodo), Jozy Altidore ha trovato comunque il modo di ritagliarsi un ruolo da protagonista in questa Copa affinché fosse ricordata un po’ anche come la sua Copa. Originario di Haiti, In collaborazione con la St. Luke Foundation ha fatto sì che decine di migliaia di persone potessero seguire les Grenadiers (e non solo) lungo tutto il cammino della competizione: non solo ha praticamente pagato la copertura televisiva di dieci partite (quelle di Haiti, quelle della USMNT, le semifinali e la finale), ma ha anche fatto trasportare da Miami a Port-au-Prince decine di maxi-schermi e organizzato watch parties. La squadra di Noveau le ha raccolte un po’ da tutti, ma questo conta relativamente.

 

Delusione Celeste

Stefano Borghi

L'Uruguay mi ha deluso. Più che deluso, un po' addolorato. Avevo qualche aspettativa: era chiaro come l'apice di questo ciclo fosse già stato toccato (e l'aver cambiato praticamente zero non ha certo portato aria fresca...), però pensavo si potesse vedere qualcosa. E invece, nulla. Mi dispiace in primis per il Maestro Tabárez, grande allenatore e soprattutto persona meritevolissima della stima di tutti: vederlo inchiodato alla panchina, zavorrato dai problemi fisici ma soprattutto dall'incapacità ormai acclarata di incidere davvero sia nell'evoluzione della squadra che durante la partita, mi hanno colpito il cuore. La fine arriva per tutto, anche per la grande parabola di un grande uomo di calcio.

 

Dispiacere anche per gli zero minuti di Suárez: lui ne avrebbe voluti anche se difficilmente avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, visto che – concretamente - avrebbe al massimo potuto trovare una frazione di secondo tempo contro il Venezuela, troppo poco per poter costruire un vero rimpianto e una vera critica a chi, fondamentalmente, ha deciso di non fargli correre il minimo rischio in vista della prossima stagione.

 


Si sta / come d’inverno / sul divano a vedere serie TV / le scarpe lanciate.




 



 



 



 







 



 




 

l più confuso, alla fine della fiera, però,

).

 



 







 



 



 





 



 







 





 



 



 







 



 



 



 



 







 

https://www.youtube.com/watch?v=crAn27BUukw&feature=youtu.be&t=31s

 

 Più in generale, secondo me, è mancato anche il buon senso nella gestione delle partite: basti pensare alla finale quando - a metà ripresa - Argentina e Cile si sono ritrovate entrambe in dieci per due cartellini rossi

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