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Foto di Clive Rose / Getty Images
Calcio Emanuele Atturo 10 marzo 2016 5'

Vogliamo parlare di Di María?

La prestazione contro il Chelsea ha confermato che Ángel Di María è il giocatore più fico della Champions League.

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Il doppio confronto tra PSG e Chelsea, arrivato a distanza esatta di un anno da quello precedente, rappresentava una cartina da tornasole perfetta per misurare i progressi dei due club. In un anno il Chelsea è cambiato molto: se non nell’undici titolare (quasi identico a quello di dodici mesi fa) almeno nella guida tecnica, nelle ambizioni, nelle prospettive future e nel senso complessivo di una stagione ormai ridotta a una transizione insignificante. Al PSG  invece è cambiata una sola cosa: la presenza di Ángel Di María.

 

Da quando si è seduto sulla panchina dei parigini, Laurent Blanc ha impresso alla squadra una struttura e un’identità di gioco talmente forte da poter risultare persino limitante. Nessun acquisto lo scorso anno era riuscito a migliorare l’ossatura formata da Thiago Silva, Motta-Verratti, Ibra. Il PSG sembrava una squadra limitata dai suoi stessi punti di forza: la ricerca ossessiva del possesso palla, la dipendenza da Ibrahimovic in fase di rifinitura e finalizzazione, la mancanza di dinamismo senza palla a centrocampo  (a parte Matuidi), la difficoltà nell’impostare delle transizioni positive credibili.

 

L’arrivo di Di Maria, come una sorta di deus-ex-machina, ha risolto da solo almeno parte di questi problemi: in questa stagione“El Fideo” ha già messo nel contatore 14 gol e 12 assist, che lo avvicinano ai numeri della sua migliore stagione a Madrid, quella della Décima. E se non altro questi numeri, e queste prestazioni, serviranno a catalogare con certezza come una “follia” la sua gestione al Manchester United.

 

Fa impressione pensare che, negli ultimi due anni, due dei migliori club d’Europa si sono liberati di Di Maria (sebbene sempre a cifre mostruose): uno dei migliori giocatori al mondo, nel picco della propria carriera. Anche ieri sera contro il Chelsea l’argentino ha dimostrato di poter essere uno dei giocatori più incisivi in contesti di alto livello, dominando il gioco con quella speciale aura di onnipotenza che sembra appartenere ai fuoriclasse che giocano al meglio delle proprie possibilità.

 

E la partita di ieri rappresenta un ottimo esempio di come Di Maria ha migliorato il PSG aggiungendo diverse dimensioni di gioco.

 

Dinamismo

Il PSG soffriva la lentezza del proprio palleggio e lo scorso anno contro il Chelsea, nonostante un dominio nel possesso e territoriale sui 180 minuti, aveva ottenuto una qualificazione risicata grazie a un gol di testa di un difensore segnato quando ormai sembra tutto perduto.

 

Le corse in verticale con e senza palla di Di Maria, oltre alla vastità del suo repertorio di passaggi, hanno gonfiato le soluzioni offensive del PSG come una torta nel forno. Il possesso del PSG è ancora ridondante ma la sola presenza del “Fideo” aiuta a definirne il senso.

 

Esempio: in una squadra che gioca  con l’area svuotata come solo forse la Nazionale spagnola dell’ultimo Europeo, il suo dinamismo negli inserimenti è oro colato. Ieri, dopo appena 5 minuti, ha tagliato alle spalle della difesa del Chelsea attirata dal pallone, costringendo Ivanovic a un salvataggio a porta vuota.

 

Sul piano dell’influenza sui suoi compagni, Di Maria ha rosicchiato parte della leadership tecnica in attacco che prima del suo arrivo era di Ibrahimovic. Ieri ha tenuto palla il 7,4% della partita (secondo in campo, dietro Thiago Motta col 7,7%) contro il 4,4% dello svedese. Prendendosi spesso molti rischi: ogni volta che la palla transitava sulla trequarti tra i piedi di Di Maria la partita prendeva una piega interessante: è l’acceleratore quantico della manovra del PSG, quello che appena entra in possesso palla è come se il campo si inclinasse in direzione della porta avversaria, come in un flipper, solo al contrario.

 

Qui sotto riceve il passaggio di prima di Thiago Motta (Motta > Di Maria è la seconda combinazione più battuta dopo Di Maria > Ibra) e il Chelsea gli lascia qualche metro, allora lui punta in verticale innescando con lo sguardo i tagli senza palla degli altri giocatori: Ibra si allarga, viene servito, e mette dentro il cross basso per il gol di Rabiot.

 

Ma anche quando Di Maria cerca lo scambio sul lato della densità prova a velocizzare e a imprimere una sintassi verticale al palleggio.

 

Visione

Questa dimensione verticale è resa possibile ed enfatizzata dalla sua visione di gioco, e da un repertorio di passaggi che consente al PSG di uscire dalle strettoie del possesso corto, della ricerca eccessiva della soluzione vicina. La lunghezza media dei passaggi di Di Maria è la più alta di tutti i giocatori del PSG: 17 metri: è lui a prendersi la responsabilità di allungare l’arco dei passaggi della sua squadra, saltando i reparti se necessario.

 

Insomma: “El Fideo” si è preso il ruolo di regista offensivo del PSG. A Ibrahimovic resta il non indifferente lusso di non doversi sdoppiare tra rifinitura e finalizzazione (anche se non è detto che a lui faccia piacere). Di Maria ieri si è infilato nella tasche della trequarti aperte dalla pigrizia del centrocampo del Chelsea e dalle indecisioni in uscita di Kenedy, e a fine partita è stato il giocatore ad aver completato più passaggi nella metà campo offensiva: 23 su 28.

 

Di Maria ha verticalizzato tre volte tra il centrale del Chelsea e Kenedy (qui per Marquinhos, sempre molto alto a destra per creare ulteriore ambiguità per la difesa blues) sempre con poca pressione da parte del centrocampo inglese. E da una di queste tre occasione è venuto fuori il gol di Rabiot.

 

Gestione

Eppure, l’impressione è che non si possa dire che Di Maria si sia perfettamente integrato nel sistema del PSG. Sembra piuttosto che abbia modulato il proprio stile di gioco sulle esigenze di una squadra che gioca molto in orizzontale ed effettua poche transizioni positive: per questo non si limita ai tradizionali strappi in verticale ma aiuta la squadra anche nel consolidamento del possesso. Ieri sera mancava Verratti e Di Maria ha dovuto abbassarsi ancora più spesso per ricevere il pallone e fluidificare il possesso orizzontale.

 

La sua partita contro il Chelsea è stata interpretata a tutto campo, con una grande capacità di assecondare le esigenze della squadra, anche nella costruzione bassa. Di María il generoso. Di María il comprensivo. Di María l’alieno gentile. Di María quello strano ma che alla fine ci puoi sempre contare nelle partite di Champions League.

 

Qui uno dei casi in cui rinuncia a giocare in verticale e preferisce alimentare il possesso.

 

Sacrificio

Rispetto a Verratti, Rabiot assicura ancora meno dinamismo in fase di non possesso. Per questo Di María ha dovuto spesso abbassarsi e rincorrere gli avversari. Solo che i recuperi di Di María non sono come quelli degli altri giocatori: una volta ripresa palla può ripartire in transizione, mettendoci di mezzo una ruleta.

 

Fluidità

Fondamentalmente, nel sistema di gioco rigido del PSG, gli unici con più libertà d’azione sono Ibra e Di María. Se però Ibra sembra assecondare solo il proprio istinto egotico di essere al centro del gioco, Di María si muove da destra a sinistra cercando di sentire gli smottamenti tellurici dello schieramento avversario.  Nella seconda metà del secondo tempo si è spostato da mezzala destra alla fascia sinistra, e da lì ha servito l’assist per il 2 a 1 di Ibra.

 

Si è parlato molto della sua rifinitura, e a ragione, considerando che era praticamente il suo primo cross della partita e ha portato al gol decisivo. Però bisogna sottolineare l’ “hockey pass” di Thiago Motta, anche lui davvero in gran forma.

 

Una giocata che ben rappresenta il senso di onnipotenza che Di María restituisce in questo momento: una piccola accelerazione in un momento morto, una disattenzione di Azpilicueta, e si decide un ottavo di Champions League.

 

Con un Ibrahimovic in calo atletico sempre più netto, Di María si è fatto uno spazio sul trono del Paris Saint Germain. Le sue caratteristiche, uniche nel panorama mondiale, sono riuscite da sole a sbrogliare l’impasse tattica in cui stagnava il PSG da un paio di stagioni. Non è detto che questo basti a rendere i parigini una squadra davvero credibile per la vittoria finale, ma basta ad aver messo uno dei migliori giocatori al mondo nelle condizioni di esprimersi al meglio. Da oggi in poi bisogna parlare del PSG anche di Di María.

 

 

Tags : Angel Di Mariachampions leagueligue1paris saint-germain

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).

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