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Regno cileno
27 giu 2016
27 giu 2016
La seconda Copa América in due anni: il Cile è il nuovo padrone del Sudamerica.
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Foto di Mike Stobe/Getty Images
(foto) Foto di Mike Stobe/Getty Images
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Il centro di gravità del calcio sudamericano da qualche mese si è spostato qualche chilometro più a ovest del confine che separa Argentina e Brasile, sui 5150 chilometri (il terzo confine più lungo al mondo) che dividono Argentina e Cile. Argentini e cileni si sono ritrovati in finale dopo essersi sfidati l’anno scorso e aver dominato i rispettivi lati del tabellone, imponendosi come le migliori squadre del continente. Per organizzazione e qualità, i due stati separati dalla cordigliera delle Ande sono al momento le squadre guida del Sudamerica e il loro incrocio era sulla carta il migliore epilogo possibile di questa edizione speciale della Copa América, organizzata per il centenario della CONMEBOL, la federazione calcistica del Sudamerica, e della coppa stessa. Oltretutto, sia Argentina che Cile si presentavano nelle migliori condizioni possibili: l’”Albiceleste” aveva recuperato Ángel Di María, assente dalla seconda partita del girone contro Panamá, nella “Roja” erano rientrati sia Arturo Vidal che Marcelo Díaz, due pedine fondamentali del sistema cileno. Juan Antonio Pizzi ha così potuto schierare il blocco che da diverso tempo sta facendo le fortune del Cile: ben 7 giocatori nell’undici titolare (Bravo, Sánchez, Medel, Jara, Beausejour, Vidal e Isla) contano più di 75 presenze in Nazionale. Nonostante queste premesse, non è stata una bella partita: l’organizzazione difensiva delle due squadre è stata nettamente migliore di quella offensiva, e così si sono viste poche occasioni. Eppure non sono mancate le emozioni: è stata una sfida molto intensa e tesa, con due espulsioni (una per parte, Díaz e Rojo) che hanno lasciato in inferiorità numerica entrambe le squadre per gran parte della partita. Aggressioni mirate Schierate tutte e due col 4-3-3, sia Argentina che Cile hanno scelto di aggredire, con successo, l’impostazione bassa avversaria, tutte e due con scalate asimmetriche a seconda del lato in cui tentava di svilupparsi la manovra. L’”Albiceleste” non aveva riferimenti fissi, ma i giocatori coinvolti nel primo pressing sapevano reagire ai movimenti dei compagni e degli avversari per impedire al Cile un’uscita pulita del pallone dalla difesa, uno dei punti cardine (probabilmente il più importante) di tutta la sua fase offensiva.

In questo caso è Banega che si alza a formare con Higuaín la prima linea di pressing. Di María esce su Isla, Mascherano marca Aránguiz, Biglia controlla Díaz.

Ora invece è Messi ad affiancare Higuaín, mentre è Banega che esce su Díaz.

Un caso ancora più estremo: Mascherano abbandona la sua posizione davanti alla difesa per aggredire Jara, uno dei due difensori centrali del Cile. Higuaín ripiega su Díaz, Di María copre Isla, ma è pronto a uscire su Medel; Banega resta in copertura di Mascherano in mezzo al campo.

La costante capacità di saltare il primo pressing avversario era stata una delle chiavi dei netti successi del Cile sul Messico ai quarti e sulla Colombia in semifinale. L’aggressività dell’Argentina ha invece reso praticamente inoffensiva la “Roja”, incapace di costruire la propria azione dal basso, con conseguenze negative a cascata su tutta la manovra. La circolazione, pur coinvolgendo Bravo e facendo abbassare Díaz, non era abbastanza veloce per far arrivare in maniera pulita il pallone al giocatore che godeva di maggiori spazi a inizio azione, il terzino sinistro Beausejour (ovvero il giocatore che stazionava sul lato di Messi, sul quale usciva in un secondo momento Biglia, che doveva anche preoccuparsi di Vidal e Aránguiz in mezzo al campo). Anche quando il Cile riusciva a consolidare il possesso, l’Argentina aveva il tempo di risistemarsi in un 4-4-2 per coprire meglio il campo.

L’Argentina è aggressiva anche nella propria metà campo, ma con queste posizioni di partenza è più facile darsi copertura reciproca quando si esce dalla linea.

La struttura del Cile era invece meno definita, a causa delle diverse scalate previste sui due lati. A destra, ovvero la zona “forte” della costruzione della manovra argentina, per le connessioni che si creavano tra Rojo, Banega e Di María, il CT del Cile Pizzi aveva previsto due marcature a uomo: Fuenzalida su Rojo e Isla su Di María.

Isla e Fuenzalida che seguono i rispettivi avversari e arrivano a scambiarsi la posizione.

A sinistra toccava invece a Vidal uscire sul giocatore in possesso della palla, mentre Beausejour marcava Biglia, che incrociava la propria traiettoria con Messi, allargandosi mentre Leo si spostava al centro. Díaz accorciava per schermare il 10, coperto alle sue spalle da Aránguiz.

Il pressing del Cile sulla propria fascia sinistra.

Liberare Messi La manovra argentina era più ragionata e votata al palleggio a sinistra, per le connessioni tra Rojo, Banega e Di María, mentre si faceva più diretta a destra: Mercado, il terzino da quel lato, saltava spesso il centrocampo cercando direttamente Higuaín. L’obiettivo era sempre quello di sfruttare la superiorità numerica al centro del campo garantita dal movimento di Messi, cercandolo sia attraverso uno scambio palla a terra che come primo riferimento per le sponde di Higuaín, che pur non essendo un gigante poteva dire la sua contro un difensore dal fisico normale (è alto 1,78 m) come Jara.

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L’azione che porta al primo tiro della partita. Mercado ha lanciato lungo verso Higuaín, Messi arriva per primo sulla respinta e fa collassare su di sé tutto il centrocampo del Cile. Davanti alla difesa c’è un grande spazio che verrà sfruttato da Banega per calciare in porta: palla fuori.

La presenza altri due accentratori, Banega e Di María, oltre a Messi ha finito per rallentare la manovra e il piano del “Tata” Martino si è rivelato troppo poco definito per poter raggiungere il proprio obiettivo. Banega e Di María spesso si sono trovati a giocare nella stessa zona e a togliersi palloni a vicenda, allontanandosi da Messi, a sua volta naturalmente attratto dal pallone e quindi portato ad abbassarsi oltre il centrocampo cileno per entrarne in possesso, in assenza di una strategia per farglielo ricevere tra le linee. La pericolosità dell’Argentina, a meno di non riuscire a conquistare una respinta sulla trequarti cilena, era tutta legata alla capacità del proprio numero 10 di creare costantemente la superiorità numerica partendo in dribbling palla al piede. Pur in una partita così complicata, per l’organizzazione del Cile e l’aggressività di due pressatori eccezionali come Vidal e Aránguiz, che più di una volta sono riusciti a togliergli la palla, Messi era comunque stato capace di creare un grande vantaggio per la propria squadra, facendo ammonire due volte nel giro di pochi minuti Díaz, chiaramente in difficoltà nel tenere Leo nell’uno contro uno. A quel punto il Cile, schierato con 4-2-3/4-3-2, mutevole per la posizione ibrida da ala/mezzala di Fuenzalida, è andato non solo in inferiorità numerica in mezzo al campo, zona in cui Messi si è spostato in pianta stabile dopo il rosso a Díaz, ma pure sulla sinistra, con i soli Isla e Fuenzalida a contrastare Rojo, Banega e Di María.

Il Cile si risistema dopo l’espulsione di Díaz.

I tuttocampisti cileni Eppure l’Argentina ha continuato a fare fatica a costruire una manovra accettabile e a farsi vedere dalle parti di Bravo. I limiti dovuti all’assenza di una chiara struttura offensiva sono emersi in tutta la loro evidenza, rendendo più semplice il compito dei cileni, che riuscivano a mascherare l’inferiorità numerica grazie alle prestazioni eccezionali di Vidal e Aránguiz, entrambi realmente in grado di coprire tutto il campo.

Di María, Higuaín e Biglia sono alti sulla stessa linea, Messi, Banega e Rojo sono praticamente attaccati l’uno all’altro. Tra le linee del Cile non c’è nessuno: in questo modo è facile difendere anche in 10 contro 11.

Pur non riuscendo a costruire l’azione da dietro come al solito, il Cile si è dimostrato superiore dal punto di vista organizzativo, sfruttando al meglio il proprio piano B: il lancio lungo su Vidal, l’unico giocatore fisicamente in grado di fare la differenza su un duello aereo, che solitamente si allarga su una delle due fasce per ricevere il rilancio di Bravo quando alla “Roja” viene impedita l’uscita palla a terra dalla difesa. È proprio su una situazione di questo tipo che viene a crearsi lo scontro tra Rojo e Vidal che riporta in parità numerica le due squadre. L’arbitro Héber Lopes chiude un primo tempo in cui è stato fin troppo protagonista con la seconda espulsione: all’inizio sembra addirittura aver espulso un altro cileno e non Rojo, poi invece decide di punire l’intervento deciso, ma non così grave dell’argentino su Vidal. Cambio di controllo L’Argentina si risistema con un 4-3-2 in cui Mascherano torna difensore centrale, facendo allargare a terzino sinistro Funes Mori, con Di María a centrocampo da mezzala.

È una mossa che regala il controllo della partita al Cile nei primi minuti del secondo tempo: il mancato apporto di Messi e la scelta di schierare Banega e non Biglia (di certo più bravo a dettare i tempi del pressing ai propri compagni) davanti alla difesa permette alla “Roja” di giocare in maniera tranquilla il pallone da dietro, liberando a turno Vidal o Aránguiz, oppure uno tra Medel e Jara. Martino allora modifica la situazione togliendo Di María e inserendo Matías Kranevitter, che si piazza davanti alla difesa, dividendosi con Biglia il compito di uscire su Vidal e Aránguiz e consentendo a Banega di controllare Medel e Isla. L’Argentina torna immediatamente a essere più aggressiva.

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L’Argentina chiude all’angolo il Cile con 4 giocatori: Biglia marca Aránguiz, Banega esce su Isla, Higuaín su Medel, mentre Kranevitter prova a chiudere le linee di passaggio a Isla. Non ci riuscirà e il terzino cileno tornerà indietro da Bravo.

D’altra parte la fase di possesso diventa ancora meno fluida, perché Kranevitter si muove poco per ricevere palla (al contrario di Banega) e i dribbling di Messi diventano davvero l’unica maniera con cui l’Argentina prova a farsi pericolosa.

Immaginatevi una colonna sonora di Ennio Morricone in sottofondo a questo duello tra Messi e Aránguiz. È un fermo immagine, ma sembra davvero che il flusso della partita si sia bloccato: i due passano diversi secondi in quella posizione, con i compagni fermi a vedere l’esito. Notare comunque come tiene bene il campo il Cile anche in 10 e quanto sia dentro il campo Isla, che ha seguito fin lì Banega prima di lasciarlo per uscire su Biglia.

Il maggiore controllo sulla partita da parte Cile non si traduce comunque in occasioni da gol, soprattutto perché i cileni sono piuttosto imprecisi nella rifinitura. Non deve sorprendere, visto che l’anello di congiunzione tra la fase di costruzione e quella di rifinitura è Alexis Sánchez, che compensa i movimenti ad attaccare la porta e ad allungare la difesa argentina dei compagni muovendosi incontro per giocare a tutti gli effetti da regista offensivo. L’ex Udinese non è ovviamente il “Mago” Valdivia e capita che i movimenti dei suoi compagni non vengano sfruttati a dovere.

Non so se non lo vede proprio o sceglie deliberatamente di non passarla a Beausejour, ma Alexis in questo caso sceglie, sbagliando, un lancio difficile per Isla alle spalle della difesa argentina.

A mantenere lo status quo creatosi in campo ci ha poi pensato la prima sostituzione di Pizzi, che ha inserito Puch al posto di Fuenzalida, per limitare ancora di più Messi, mettendogli addosso Beausejour e dando al nuovo entrato il compito di coprire tutta la fascia.

L’ingresso di Puch permette a Beausejour di tenere una posizione più interna per uscire velocemente su Messi e rendergli la vita ancora più complicata. Come se non bastasse dover fare i conti con Vidal e Aránguiz.

Con le squadre sempre più stanche e incapaci di fare gioco, le occasioni nei tempi supplementari sono arrivate da una situazione statica (il colpo di testa di Agüero sul calcio di punizione di Messi, salvato con una grande parata da Bravo) o una ripartenza un po’ fortuita (il colpo di testa di Vargas da solo in mezzo all’area). Ai rigori, infine, l’errore di Messi ha pareggiato quello iniziale di Vidal, poi sono stati decisivi l’errore di Biglia e la freddezza del “Gato” Silva. Doveva essere la serata della rinascita argentina, il riscatto dopo 23 anni senza un trofeo, prendendosi oltretutto la rivincita sul Cile, è stata invece una serata storica in senso opposto. L’”Albiceleste” ha perso la terza finale in tre anni e la sua stella, Leo Messi, ha deciso di chiudere la propria carriera in Nazionale, togliendosi la possibilità di smentire chi lo critica per non essere riuscito a trascinare l’Argentina alla vittoria di un titolo. La carriera di uno dei giocatori più forti della storia, a meno di ripensamenti, si chiuderà con questa macchia. Eppure, almeno per quanto riguarda l’ultima finale, è proprio lui l’ultimo dei colpevoli. Senza segnare né fare assist (anche se comunque Messi ha creato tutte le occasioni migliori dell’Argentina), e tralasciando il fatto che su di lui si sia concentrato in maniera esclusiva il piano del “Tata” Martino per attaccare il Cile, Leo era riuscito a dare un grande vantaggio alla propria squadra, dandole la possibilità di giocare in superiorità numerica. La colpa, semmai, è di chi non è stato in grado di sfruttare il contesto creato da Messi, sperperando ancora una volta la sua incredibile indole associativa. Il Cile vince la seconda Copa América in due anni dopo una partita in cui ha tirato in tutto 4 volte in 120 minuti, ribaltando i pronostici dopo un difficile inizio di torneo, cominciato proprio con una sconfitta contro l’Argentina. La “Roja” ha saputo salire di livello quando contava di più, dimostrando sul campo che i nuovi padroni del Sudamerica si sono spostati un po’ più a ovest.

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