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Redazione

Febbre da calciomercato vol. II

Commento live delle trattative più interessanti della sessione estiva.

“Chicharito” Hernández torna in Inghilterra
di Flavio Fusi

[Giovedì 27, pomeriggio]

 

 

«Un paio di anni fa “Chicharito” decise di andare via dallo United, non so se a decidere fu lui o la società. Sarebbe sempre il benvenuto in una mia squadra, non ha bisogno di molti minuti in campo per segnare, avrei voluto vederlo qui. Ma abbiamo deciso di puntare sui giovani e con Lukaku e Rashford non abbiamo bisogno di lui».

 

Con queste parole José Mourinho ha commentato l’approdo del “Chicharito” Hernández al West Ham, attaccante di cui ha profonda stima, visto che già in passato si era espresso positivamente nei suoi confronti, dicendo che se fosse stato per lui non lo avrebbe mai ceduto (né lui, né Welbeck, né tantomeno Di María). Il tecnico portoghese non potrà allenarlo nella prossima stagione, ma avrà la possibilità di incontrarlo tra una quindicina di giorni, visto che la prima giornata di Premier League propone proprio Manchester United – West Ham.

 

Nello scorso campionato la squadra di Bilic si è fermata a quota 47 gol e i due centravanti rimasti in rosa, ovvero Andy Carrol e Diafra Sakho, hanno segnato solo 8 reti complessive (rispettivamente 7 e una). Non si può dire, quindi, che il West Ham abbia avuto fortuna con gli attaccanti.

 

“Chicharito” sarà addirittura la 33.esima punta ad aver giocato con gli “Hammers” dal gennaio del 2010 (in venti non hanno segnato più di 3 gol per il club), ma è difficile pensare a un fallimento dell’ex centravanti del Bayer Leverkusen.

 

 

Il modo di intendere il calcio del messicano sembra la soluzione ideale ai problemi di sterilità del suo nuovo club. Un attaccante lontano anni luce dall’archetipo fisico del centravanti di Premier League, ma che possiede la preziosissima dote di farsi trovare al posto giusto al momento giusto. Forse nessuno ha descritto meglio del “Chicharito” il modo di giocare del “Chicharito” stesso.

 

«Questo sport si gioca in testa, non solo sul terreno di gioco. Se il tuo avversario è più intelligente, puoi essere più veloce e più forte, ma probabilmente non lo batterai. Lui sarà sempre un passo avanti mentalmente. Sui cross qualche volta mi muovo uno o due secondi prima che arrivi la palla perché provo a indovinare dove arriverà. È una questione di intuito. A volte la palla arriva… a volte no. Ma quella intuizione spesso è giusta».

 

 

In Premier League l’ex “cult-hero” dei tifosi dello United, costato qualcosa come 16 milioni di sterline, ha una media da 0,65 gol senza rigori per 90 minuti, pari a quella di Kane e Suárez e migliore rispetto a quella di Dzeko e Diego Costa. In due anni di Bundesliga ha segnato 28 gol, dimostrando di poter essere titolare e non solo un preziosissimo attaccante di scorta a cui basta una manciata di minuti in campo per poterla buttare dentro.

 

Insomma l’investimento sembra di quelli sicuri e i tifosi degli “Hammers” sono contentissimi del colpo, tanto che su Twitter @block141whufc gli ha persino dedicato una canzone sulle note de “La Bamba”.

 

Perché la Lazio ha messo sotto contratto Di Gennaro
di Emanuele Atturo

[Giovedì 27, mattina]

 

 

Il calciomercato della Lazio ha sempre un andamento misterioso. I suoi movimenti non si riescono a leggere usando i codici tradizionali dei trasferimenti d’agosto: ogni cessione assume uno statuto incerto e una lentezza pre-moderna. Ogni acquisto arriva sempre a fari spenti, salvo dimostrarsi la maggior parte delle volte migliore di quanto poteva sembrare in un primo momento.

 

In questa sagra dell’anti-glamour è arrivato una settimana fa – a parametro zero e nel silenzio più o meno generale – Davide Di Gennaro, centrocampista moro dal naso lungo e dalla bellezza salina che avrebbe funzionato nelle commedie romantiche italiane degli anni ’90. Anche tecnicamente Di Gennaro sembra provenire da un’altra epoca. Nato come trequartista, la sua mobilità ridotta lo ha portato ad abbassarsi davanti alla difesa, sulla strada percorsa da altri fantasisti contemporanei dal fisico poco atletico.

 

Dopo la cessione di Biglia la Lazio aveva l’esigenza di rimpiazzare le le sue letture difensive e la sua capacità di costruire gioco. Era difficile però trovare sul mercato un profilo così completo, così ha pensato di prendere due giocatori la cui somma di caratteristiche potrebbe potenzialmente coprire la partenza dell’argentino. Se il lavoro senza palla sarà affidato a Lucas Leiva, la creatività nella costruzione del gioco sarà probabilmente compito di Di Gennaro.

 

Nelle sue due stagioni a Cagliari Di Gennaro ha alzato il proprio livello di gioco fin quasi all’altezza delle aspettative che aveva creato da giovane, quando militava nelle giovanili del Milan e si pensava potesse avere un futuro da trequartista in prima squadra.

 

Un gol di Di Gennaro a San Siro mentre era in prestito alla Reggina. Tornerà un anno dopo, vinto dal Milan alle buste, per collezionare zero presenze.

 

Se era più prevedibile la sua grande stagione in Serie B – un campionato che aveva imparato a navigare, quando il Cagliari lo ha preso proprio con l’obiettivo di salire in A – meno scontato era il suo impatto sulla Serie A. Un torneo di cui avrebbe potuto soffrire l’intensità e i ritmi troppo elevati per il suo fisico da tennista amatoriale.

 

Perplessità in realtà non cancellate del tutto dal suo scorso anno. Di Gennaro ha iniziato la stagione da titolare, collezionando ottime prestazioni, risultando fondamentale per l’uscita del pallone della difesa e per dare idee a una linea mediana povera di qualità. Nel corso della stagione però, con i problemi difensivi del Cagliari che diventavano sempre più cronici, Rastelli lo ha sacrificato per avere maggiore copertura. Complice una condizione fisica non sempre ottimale, Di Gennaro riusciva a contribuire solo attraverso un buon senso dell’anticipo, ma faticando a coprire delle distanze di squadra sempre troppo ampie per la propria mobilità ridotta.

 

Nelle sue giornate migliori, però, Di Gennaro ha mostrato sprazzi di un talento col pallone sopra la media, che lo rende un giocatore originale e di culto per chi è affezionato ai centrocampisti sensibili e anacronistici. Nel giusto contesto tattico, però, Di Gennaro potrebbe diventare qualcosa di più di un animale esotico da maglia di lanetta. Nella struttura di Inzaghi, piuttosto fluida, ma che probabilmente continuerà a ricorrere a un blocco difensivo piuttosto basso e a delle transizioni veloci, Lucas Leiva dovrebbe occuparsi di gestire il possesso in maniera più lineare e conservativa. In questo modo Di Gennaro dovrebbe toccare meno palloni ed essere lasciato libero di esprimere il proprio istinto verticale. Nascendo come trequartista, non possiede dei tempi di costruzione da play puro, ma è più portato a guardare oltre la linea difensiva. Lo scorso anno ha messo insieme numeri da passatore di qualità: 2,3 passaggi chiave ogni 90 minuti, metà dei quali lunghi, più 5 assist, alcuni da calcio piazzato, dove risulta pericoloso sia in modo diretto che indiretto.

 

È giusto fantasticare su palle di questo tipo rincorse da un berserk dello spazio come Immobile.

 

Lasciato libero di sganciarsi anche in avanti, Di Gennaro è capace di aggiungere qualità in fase di attacco posizionale, dove la Lazio è risultata spesso arida di idee. Specie nell’ultimo passaggio, un fondamentale in cui Di Gennaro mostra una certa creatività, anche se spesso non accompagnata da tempi ed esecuzioni precise.

 

 

Sulla trequarti però Di Gennaro trova il suo territorio preferito ed è molto bravo a muoversi senza palla e a smarcarsi. Possiede la corsa leggera tipica dei “10” degli anni ’70 e un primo controllo orientato quasi sempre preciso. La soluzione del tiro da fuori è un’altra arma importante, anche se viene usata forse meno spesso di quanto potrebbe. Meno di un tiro da fuori ogni 90 minuti sembra poco per uno che lascia partire la gamba in modo così pulito.

 

 

Al momento nelle gerarchie Di Gennaro parte dietro il trio di centrocampo Milinkovic-Leiva-Parolo, ma con tre competizioni è facile immaginare che troverà molto spazio nelle rotazioni. Soprattutto perché offre ai biancocelesti caratteristiche uniche in rosa, che in alcune partite e frangenti tattici potrebbero risultare preziose.

 

Se già lo scorso anno l’adattamento di un centrocampista così fragile ai ritmi della Serie A rappresentava un tema interessante, lo sarà ancora di più quest’anno, in un contesto di livello più alto. Se anche non dovesse funzionare, saremo pronti ad accontentarci di qualche cross morbido come la panna o di qualche stop che farà trionfare lo stile.

 

Che tipo di giocatore è Nélson Semedo
di Giuliano Adaglio
[Mercoledì 26, pomeriggio]

 

 

Qualche giorno fa il Barcellona ha ufficializzato Nélson Semedo, acquistato dal Benfica per circa 30 milioni di euro, per rinforzare l’esterno destro. Di lui parlavamo nella nostra Top XI della Primeira Liga, in un estratto che riportiamo di seguito.

 

“Nonostante l’ottimo rendimento di Bruno Gaspar – l’esterno del Vitoria Guimarães recentemente acquistato dalla Fiorentina – e quello del venezuelano del Nacional (ma di proprietà del Porto) Victor Garcia, la stagione di Nélson Semedo è al di sopra di ogni sospetto: 1 gol e 6 assist in 31 partite, ma soprattutto un appoggio costante alla manovra della squadra, che dal suo lato – grazie anche all’ottimo lavoro dell’argentino Salvio, un altro dei grandi protagonisti del titolo del Benfica – ha quasi sempre distrutto gli avversari.

 

Ventitré anni, nato e cresciuto a Lisbona, Nélson Semedo potrebbe essere il prossimo crack di mercato del Benfica visto che Barcellona e Manchester United lo stanno cercando. Il giocatore ha tutto per imporsi in una grande squadra (assumendo che il Benfica non lo sia): è rapido, ha una grande facilità di corsa – è primo nel ruolo per dribbling tentati (3) e riusciti (1,6) a partita – e sa proporsi con costanza al cross, che effettua con buona precisione. In fase difensiva deve ancora limare qualche dettaglio (3,3 contrasti tentati a partita, 9° nel ruolo, ma è il migliore per dribbling subiti, solo 0,3 a partita), così come nella conduzione della palla, non sempre efficace. A poco più di 23 anni rappresenta un patrimonio anche per la nazionale portoghese, dove si giocherà il posto nei prossimi anni con Cedric e con un altro prodotto del settore giovanile del Benfica, João Cancelo“.

 

Veretout dovrà crescere per giocare con Pioli
di Dario Saltari
[Mercoledì 26, mattina]

 

 

Due anni fa inserivamo Jordan Veretout nella Top XI stagionale della Ligue 1 (senza considerare i giocatori di PSG, Lione, Monaco e Marsiglia), descrivendolo come un esemplare di tuttocampista non del tutto riuscito. Due stagioni dopo, con in mezzo un’esperienza fallimentare in Premier League, Veretout non ha completato il suo sviluppo – ma è del ’93, ha ancora 24 anni – tornando al Saint-Etienne sorprendentemente appesantito, quasi invecchiato nonostante i nuovi capelli ossigenati.

 

La passata stagione Veretout ha giocato prevalentemente da mediano in un centrocampo a due, ma è sembrato molto più concentrato sul suo gioco col pallone rispetto al passato, senza quell’aggressività nell’attaccare l’uomo e lo spazio che sembrava potesse contraddistinguere la sua carriera.

 

D’altra parte ha un’ottima tecnica con entrambi i piedi che abbina ad una visione di gioco sicuramente sopra la media (ha una media di passaggi chiave alta, 1.50 per 90 minuti, e ha realizzato 5 assist in totale).

 

 

Veretout si fida molto anche del suo tiro, che tenta spesso da fuori area (0.79 per 90 minuti la scorsa stagione) sia col destro che col sinistro, a volte con risultati esteticamente molto appaganti.

 

 

Ma è senza il pallone che è diventato incredibilmente più passivo rispetto a quello che ci si potesse ragionevolmente aspettare qualche tempo fa. Veretout è diventato molto statico in ricezione, quando non scende tra i due centrali per impostare dal basso.

 

Certo, è ancora molto volenteroso nel rincorrere gli avversari, anche all’indietro, ma sembra aver perso l’elasticità per poter leggere l’azione, difendere in avanti e tentare l’anticipo (quest’anno ha realizzato solo 1.38 intercetti per 90 minuti, un dato che lo avvicina a Thiago Motta).

 

 

Questo è forse l’aspetto più problematico del suo gioco se si prova ad immaginarlo nella Fiorentina di Pioli, un allenatore che ama giocare molto in verticale anche senza il pallone e difendersi aggredendo l’avversario. Per adattarsi alle idee del suo nuovo allenatore, Veretout dovrà essere meno ansioso di dimostrare le sue qualità con il pallone tra i piedi, aumentando il volume del proprio gioco e abbassando l’ambizione media, ma soprattutto dovrà muoversi di più senza palla, sia per ricevere tra le linee sia per aggredire il possesso avversario.

 

Veretout è ancora molto giovane e non ha mai avuto infortuni gravi. Per rilanciarlo forse basterà fare leva sulle sue motivazioni, lavorare sulla sua crescita mentale prima ancora che fisica (anzi, lì forse servirebbe una decrescita…) e dargli quelle responsabilità tecniche che lui sembra volere e che nella Fiorentina di oggi non sarebbero in molti a potersi prendere al posto suo. Dovrà essere bravo Pioli a riuscirci, ma anche Veretout dovrà dimostrarsi all’altezza della situazione.

 

Coccodrilli – Massimo Maccarone al Brisbane Roar
di Marco d’Ottavi
[Martedì 25, pomeriggio]

 

 

Addio Massimo Maccarone.
Big Mac.
Ci mancherai,
non tantissimo a dire il vero, ma un po’ sì.

 

Ti abbiamo voluto bene come ad uno zio
che non è veramente uno zio, ma l’hai sempre chiamato così
e ora lo vedi due o tre volte l’anno
e in quelle occasioni è sempre gentile, super simpatico, ti regala pure un gol a San Siro
con una mina da trenta metri.

 

 

 

Ti abbiamo rispettato Macca,
– che grazie a Wikipedia ora so essere un tuo brutto soprannome-
ogni anno in Serie A è stato un anno buono
o almeno non cattivo:
a Parma, a Siena, a Palermo, a Genova sponda blucerchiata
infine ad Empoli, tuo grande amore.
Ogni stagione una manciata di gol: 6, 9, 13, 10 e così via.
Mai troppi, ma mai neanche pochi, chissà perché.
Forse non volevi strafare, mi sei sembrato sempre un tipo riservato.

 

Ti abbiamo fatto l’asta al Fantacalcio ogni anno
e tu ogni volta ci hai fatto vincere almeno una partita,
due partite,
l’anno con Giampaolo mi sa che hai fatto vincere pure qualche campionato,
e pensa che gioia vincere un Fantacalcio coi gol tuoi.

 

 

Che poi, Max, posso chiamarti Max?
come facevi a segnare?
Non eri forte di testa, non eri forte di piede,
non eri velocissimo, né un rapace,
eppure.
I tuoi tagli erano sempre fatti bene,
sapevi approfittare di ogni difensore distratto
che magari pensava alla ragazza sola in casa.

 

 

 

Ti porti dietro un bottino di 79 gol in serie A,
più altri sparsi tra Serie B,
dove eri un Re
e Premier League,
dove non è andata benissimo.
Puoi raccontare ai nipoti anche di due presenze in Nazionale,
ancor prima di arrivare nella massima serie,
forse un record parecchio strano,
ma l’unica cosa strana di te,
che alla fine eri una prima punta normale,
senza cazzi o mazzi.

 

Ci siamo sempre chiesti, Big Mac,
perché tutti hanno avuto un’occasione e tu no, zero,
a meno che non vuoi considerare il Middlesbrough un’occasione,
che non so neanche come si scrive e ho dovuto cercare su Google,
e anche tu devi se vuoi scrivere agli amici che hai giocato nel Middlesbrough.
Ma forse le occasioni non arrivano per quelli come te,
attaccanti normali, che san fare tutto
o forse niente.

 

Dovresti spiegarci – poi – perché te ne vai con una lettera,
anche tu,
figlio di un calcio che non c’è più.
Non dovresti scrivere lettere, ma rimanere,
bere altre birre dopo un gol,
fare coppia con attaccanti più scarsi di te,
Pucciarelli, Mchedlidze, Thiam, Marilungo.
Diventare sempre più saggio, magro,
la barba brizzolata.

 

 

Eppure non ci disperiamo, Massimo,
perché alla fine tutto ha un senso,
anche il tuo addio alla serie A.
Un senso bello rotondo come la tua testa, che li hai persi presto i capelli eh?
Sei stato un nome ricorrente nelle domeniche annoiate,
in cui persino il tabellino dell’Empoli era una cosa,
ma ora è tempo di andare ai Brisbane Roar
che una squadra con l’onomatopea è già qualcosa.

 

Perché sì, non l’avremmo detto, te ne vai in Australia,
non a cercar moglie illibata,
ma a divertirti, finalmente.
E allora non prendere la sfida seriamente, che il posto è bello.
Affittati un camper e vai a vedere la barriera corallina,
Sidney, i canguri.
Fatti un giro intorno all’Ayers Rock, ma senza pensare all’Empoli
che lo sappiamo che hai dato tutto.

 

Ma prima di andartene, Maccarone,
ricordati che t’abbiamo voluto un po’ di bene,
per quel che contava nella tua eterna lotta
per la salvezza.

 

 

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