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Marco D'Ottavi

Il quattordicenne più forte del mondo

Si chiama Cavan Sullivan ed è stato comprato dal Manchester City.

Come la terra, anche il calciomercato è in continuo movimento. C’è sempre un nuovo talento da scovare, un contratto da firmare, un trasferimento da contrattare, soprattutto se sei il City Football Group, un’industria il cui prodotto finale – come da nome – è il calcio d’élite. È notizia di questi giorni l’approdo alla corte di Guardiola di Cavan Sullivan, talento dei Philadelphia Union che negli Stati Uniti si è preso il titolo, onorifico immagino, di 14enne più forte al mondo.

 

Come ha rivelato The Athletic, il City pagherà ai Philadelphia Union una cifra tra i due e i cinque milioni di dollari (in base a dei bonus) più una “pesante” percentuale su una futura rivendita per mettere le mani sul giovanissimo calciatore quando compirà 18 anni, nel 2028. Questo perché da regolamento post Brexit è quella l’età minima per i trasferimenti in Premier League dall’estero. Nell’accordo è però previsto che Sullivan possa già sbarcare in Europa a 16 o 17 anni, se la MLS dovesse stargli stretta, per diventare un giocatore del Girona o del Palermo, due squadre che appartengono al City Football Group. Sullivan possiede anche il passaporto tedesco e può quindi allenarsi e giocare con un club italiano e spagnolo da comunitario. Addirittura, a 12 anni, si era trasferito al Borussia Dortmund per allenarsi con la loro Under 15, prima che un cambio nei regolamenti lo costrinse a tornare negli Stati Uniti. Questo per far capire che tipo di ambizione c’è dietro il suo sviluppo. 

 

C’è anche il tweet di Fabrizio Romano, per far capire che non è un 14enne come tanti. 

 


La mossa del City può sembrare azzardata (non ci sono classifiche precise, ma dovrebbe essere il 14enne più costoso al mondo), o di cattivo gusto, ma non può certo stupirci: comprare calciatori sempre più giovani è la tendenza del calcio di oggi e, se una volta erano i club più piccoli a prendersi il rischio con talenti non ancora formati, oggi le grandi squadre preferiscono fare da sé, prima che arrivino troppe visualizzazioni su YouTube e il prezzo del cartellino schizzi alle stelle. La scorsa estate il Chelsea ha pagato quasi 20 milioni per il 15enne ecuadoriano Kendry Páez. Dietro a Sullivan, infatti, non c’erano solo Real Madrid e Bayern Monaco, ma anche un precoce processo di santificazione che, dovesse rispettare le promesse, nei prossimi anni lo porterà a diventare la nuova grande promessa del calcio negli Stati Uniti.

 

Il nuovo Freddy Adu

È almeno dal 1994, da quando il calcio è entrato nel Paese attraverso i Mondiali, che negli Stati Uniti aspettano la venuta del Messia. Un calciatore che possa diventare una superstar globale, che possa vincere titoli e vendere il prodotto. Dopotutto gli Stati Uniti sono la più grande potenza sportiva (e non) al mondo, aspettarselo è lecito anche per noi. Il primo fu Freddy Adu, trattato alla stregua del nuovo Pelé: apparve giovanissimo e scomparve giovanissimo. Dopo è stata la volta di talenti più o meno inseguiti dall’hype: Donovan, Dempsey, ora Pulisic e Reyna. Tutti ottimi giocatori, ma non certo fenomeni generazionali. Nel frattempo gli Stati Uniti sono diventati un Paese “credibile” nel calcio in grado di sviluppare calciatori e tecnici di buon livello, tuttavia l’idea di plasmare un nuovo Messi, o comunque un calciatore da Pallone d’Oro, rimane un chiodo fisso più che una speranza (si intende calcio maschile, perché nel femminile invece gli Stati Uniti sono stati una superpotenza fin dal principio). 

 

È anche alla luce di questa speranza che va interpretata la volontà del City – o forse meglio del City Football Group – di puntare su Sullivan. Una scommessa da pochi milioni di dollari con una potenziale ricompensa infinita, in termini di ritorno economico e di visibilità. Se gli Stati Uniti devono prima o poi sfornare un fenomeno, perché non Cavan Sullivan? Anche solo a guardarlo in faccia sembra un predestinato, con i capelli platinati e l’espressione di chi riesce bene in tutto. In più Sullivan viene da una piccola dinastia calcistica: il nonno giocava a calcio e poi è stato un importante allenatore a livello collegiale; il padre è stato prima professionista e poi allenatore, la madre ha giocato al college, mentre il fratello più grande – 20 anni – gioca in MLS con i Philadelphia Union. Ci sono anche altri due fratelli di mezzo che promettono una buona carriera anche loro. Nessuno però sembra avere il talento di Cavan, che ha già un contratto con Adidas per dire.

 

Sullivan fin qui ha bruciato le tappe: a 13 anni ha debuttato con l’Under 15 degli Stati Uniti, con cui ha vinto il campionato CONCACAF Under 15 in estate, alzando anche il pallone d’oro riservato al miglior giocatore della competizione. Un paio di settimane fa, a 14 anni, ha esordito con la seconda squadra dei Philadelphia Union in MLS Next Pro, considerato il terzo livello del calcio negli Stati Uniti. Nei 34 minuti giocati ha servito l’assist per il gol vittoria della sua squadra. È un campionato pensato per sviluppare i giovani, ma i suoi compagni e gli avversari hanno mediamente tra i 18 e i 22 anni.  

 


Appena sarà pronto Sullivan firmerà un contratto da homegrown player, una tipologia specifica di contratto riservata ai calciatori che arrivano dalle giovanili e che non pesa sul salary cup. Il suo, si dice, sarà il più ricco di sempre e da quel momento potrà giocare con la prima squadra dei Philadelphia Union. Si dice anche che il club stia pensando di farlo esordire prima dei 14 anni e 306 giorni, per battere il record di Adu come più giovane debuttante nella storia della MLS. Questo, per capire, il tipo di aspettative che già incombono su di lui. 

 

Come gioca?

Ovviamente c’è qualcosa di sbagliato nel provare a descrivere le caratteristiche di un 14enne ancora nel pieno della fase di sviluppo. Eppure, anche qui, tutto sembra andare più veloce che un tempo: Endrick a 16 anni già segna con il Brasile; Lamine Yamal e Pau Cubarsí sembrano già oggi i migliori giocatori del Barcellona, perché non Sullivan? Certo, c’è una differenza: Brasile e Spagna sono due Paesi che hanno un’eredità calcistica così stratificata che favorisce lo sviluppo, anche precoce, di questo tipo di talento. Per gli Stati Uniti, finora, non possiamo dire lo stesso. Possiamo giudicare un 14enne che salta avversari come birilli nel contesto sempre un po’ mesto del calcio giovanile degli Stati Uniti, su campi da calcio che sembrano spuntati fuori dal nulla?

 

Sullivan però si è messo in mostra soprattutto in un contesto europeo. Prima alla Generation Adidas Cup, dove – due anni sotto età – ha dominato contro Valencia, Arsenal e Real Madrid. Poi, più recentemente, in un torneo tra Nazionali organizzato in Spagna, sempre per Under 15. Contro l’Inghilterra, Sullivan ha segnato 2 gol alla presenza di Sam Fagbemi, che è il responsabile del reclutamento dell’Academy del Manchester City. 

 

 

A vederlo giocare mostra indubbiamente alcune qualità che di certo non spariscono col tempo: il controllo di palla, la precisione del sinistro, la pulizia del gioco, la visione. Sullivan non domina tra coetanei grazie a un precoce sviluppo fisico come spesso accade a questa età, la sua superiorità sembra piuttosto qualcosa di innato, una capacità di essere già calciatore, di muoversi e pensare come tale. Se internet è pieno di ragazzi prodigio – dai 3 anni in su – che ci vengono dati in pasto come carne di cannone, Sullivan sembra meno un fenomeno da baraccone e più un qualcosa in divenire, un progetto ben avviato. Dire di più è difficile: le sue caratteristiche sembrano propendere per un futuro da mezzala sinistra offensiva o, se sarà particolarmente efficace negli ultimi metri, da trequartista.

 

A far ben sperare, gli Stati Uniti e il City, c’è poi il fatto che tra i suoi allenatori molti sono disposti a giurare sulla prontezza mentale di Sullivan, sulla sua voglia di arrivare, sulla serietà con cui prende quella che, a 14 anni, dovrebbe essere solo una possibilità. La percezione generale, anzi, è che i Philadelphia Union ci stiano andando anche troppo piano e che Sullivan sia già un calciatore professionista. Secondo una fonte interna al City, Sullivan «sarà un giocatore da MLS a 15 anni» e, in un primo momento, l’idea era di aggregarlo da subito a un club europeo, il Lommel SK, che milita nella seconda serie belga (ovviamente anche questo parte del City Football Group) per fargli provare l’impatto col calcio dei professionisti in Europa.

 

Da questo punto di vista, la volontà dei Philadelphia Union di tenerlo in casa per svilupparne il talento e la scelta del City di lasciarlo lì, identifica sia la riconoscibilità del calcio negli Stati Uniti come centro di formazione (Sullivan è il più precoce e visibile dei loro talenti, ma si parla un gran bene in generale delle giovanili a stelle e strisce) sia anche di sfruttare Sullivan per più tempo possibile, almeno fino a quando non sarà troppo per la MLS.

 

Inevitabilmente, più passeranno i mesi, più la pressione e le aspettative gli arriveranno dritte in faccia. Anche la firma col City assomiglia a una spada di Damocle. Quanto fa la pressione nella crescita di un atleta di 14 anni? Quanto pesano le aspettative di tutto un movimento? In questi giorni il suo nome ha iniziato a circolare sulle principali trasmissioni sportive degli Stati Uniti, dopotutto non ci sono molti calciatori che vengono comprati dal City a quell’età. Per la MLS è una speranza da cavalcare: c’è Messi e c’è Sullivan, come l’alfa e l’omega, il segnale che lo sviluppo sta andando nella direzione giusta e che non si tratta solo di un ricco cimitero per gli elefanti. Ma per la sua crescita? C’è già chi chiede di andarci calmi con lui, che ha solo 14 anni, che a quell’età non ti devono chiedere niente, se non di mangiare, dormire, studiare.

 

 

In qualche modo la sua storia somiglia a quella che sta vivendo da noi Camarda, sottilmente spinto verso il calcio dei grandi prima del tempo. Brutalmente fa parte del processo di oggi: sempre più attenzioni, sempre prima. Sullivan, Camarda e tutti gli altri giovanissimi fenomeni devono abituarsi. Il fatto è che tra i 14 anni e il momento in cui diventerà davvero un calciatore, che può essere a 16 come Endrick, ma anche a 20/22 (Odegaard, per fare un esempio) possono succedere molte cose. Sullivan può crescere meno del previsto sia fisicamente – al momento è alto 158 centimetri – che tecnicamente. L’impatto col calcio dei grandi potrebbe essere tragico e riportare la sua storia da sogno alla realtà. Anche se, invece, tutto andasse bene negli Stati Uniti, Sullivan dovrebbe ripartire poi da capo in Europa, adattarsi a un calcio diverso, sempre portandosi dietro il peso di essere la grande speranza di un Paese che vive su questo tipo di storie.

 

Insomma, per Sullivan le cose non sembrano mettersi bene, ma – per fortuna – il talento funziona per vie misteriose e si manifesta anche lì dove è schiacciato. Dopotutto il motivetto l’hanno inventato da quelle parti: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. 

 

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Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.