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Marco D'Ottavi

Provaci ancora Moise Kean

All'Atletico Madrid riuscirà a mettere in ordine la sua carriera?

A ottobre 2023, per un momento, Moise Kean era sembrata un’opzione migliore di Dusan Vlahovic per l’attacco della Juventus. Non segnava neanche lui, ma nelle sei partite giocate da titolare – contro Atalanta, Torino, Milan, Verona, Fiorentina e Cagliari – aveva messo in mostra una vitalità contagiosa, una voglia di provare a spaccare il mondo che lo rendeva quasi l’opposto degli altri attaccanti della rosa, tutti incupiti e timorosi. In quei giorni era stato addirittura titolare in Nazionale, con Spalletti che lo aveva convertito a esterno del suo tridente con apparente successo.

 

I due gol annullati gol Verona, un momento che poteva essere uno spartiacque della sua stagione e invece niente. 

 

Oggi quelle partite sembrano perdersi nella nebbia del tempo. Pochi giorni fa la Juventus l’ha ceduto in prestito secco all’Atletico Madrid come se fosse un regalo sgradito da sbolognare, e questo nonostante i problemi fisici di Chiesa e lo stato di forma di Milik. Davvero ad Allegri non serve un altro attaccante? Sicuramente non gli serve Moise Kean, che tra l’altro non gioca una partita dall’8 dicembre, fermo per un non meglio identificato problema alla tibia. Il suo spazio in campo è stato meravigliosamente occupato da Kenan Yildiz e l’unica domanda tra i tifosi è perché questo non sia accaduto prima. Kean ha solo 23 anni (!) ma il confronto tra lui e il turco è impietoso, come quello tra un televisore in bianco e nero e uno a colori. 

 

L’ossimoro Kean

E dire che un tempo era stato lui la grande speranza per il futuro. Era il 2016, la Juventus era a metà di un ciclo vincente che sembrava non dovesse finire mai, e Kean era la ciliegina sulla torta. Accanto a tanti campioni affermati c’era questo sedicenne uscito da un videogioco da far crescere come futuro della generazione Z della Juventus (anche se, ancora, lo chiamavamo “millenial” perché nato nel 2000). Veloce, forte, tecnico e cool: cosa poteva andare storto? 

 


Da quel momento sono passati quasi 8 anni e ancora più rimbalzi nella sua carriera. Kean è stato: il centravanti titolare del Verona in Serie A ancora prima di diventare maggiorenne, l’alunno di Cristiano Ronaldo nell’ultima stagione del primo Allegri, una plusvalenza dolorosa (ma necessaria) con l’Everton, un fallimento in Premier League, un attaccante da venti gol al Paris Saint Germain; poi di nuovo la grande speranza della Juventus e, infine, una delusione facilmente scaricabile.

 

In mezzo a tutti questi passaggi, più che risolversi o trovarsi, Kean sembra essersi complicato. Kean è un centravanti, ma forse gioca meglio sull’esterno; deve giocare spalle alla porta o forse attaccare la profondità. Deve essere pesante o forse leggero. Si allena troppo o forse troppo poco. In molte cose, dentro e fuori dal campo, sembra quasi indecifrabile sia per gli allenatori, ma viene da pensare anche per se stesso. 

 

Da una parte infatti rappresenta l’ideale quasi perfetto del calciatore superficiale, con le esclusioni per i ritardi, i balletti dopo i gol, lo stile trap e le frequentazioni vip; dall’altra la cura della sua estetica è ricercata e raffinata; d’estate passa il suo tempo libero ad allenarsi in un centro all’avanguardia negli Stati Uniti e, spesso, quando parla mostra una maturità molto più profonda dei suoi 23 anni. 

 

Anche la sua passione per la musica, apparentemente un hobby banale, si è evoluta fino a trasformarsi in un progetto, se non artistico, almeno serio e ben curato. Kean ha infatti da poco pubblicato il suo primo singolo Outfit in collaborazione con Boro Boro e 19f, in cui non solo canta, ma ha anche scritto i testi.

 


Poco prima dell’uscita di questo singolo, Kean è diventato padre quasi di nascosto. Lo ha raccontato in un’intervista a DAZN, spiegando come «non mi piace andare in giro a dire le mie cose, sono molto privato» e che, addirittura, non lo sapeva nessuno dentro alla Juventus: «In squadra non lo sapeva nessuno finché non mi sono assentato per andare in ospedale. Erano scioccati». Un comportamento, anche questo, difficile da collocare all’interno delle dinamiche di gruppo, tolta una bromance con McKennie, infatti Kean sembra scollato dal resto della squadra. Sempre nell’intervista a DAZN, ha spiegato la buona stagione al PSG dando merito al gruppo e come lo ha aiutato a inserirsi. 

 

Essere obiettivi con Kean, nel bene o nel male, non è facile: per immagine e indole rappresenta tutto ciò che il calcio nella sua natura conservatrice respinge; mentre per potenzialità e caratteristiche è fin troppo attraente. Forse anche più di quello che è il suo reale talento; basti pensare che, nonostante l’ultimo gol segnato risalga a 10 mesi fa, sta andando in prestito all’Atletico Madrid, una delle migliori squadre d’Europa, e che Spalletti lo ha citato giusto ieri come possibile centravanti titolare per l’Italia agli Europei. 

 

Che ci fa all’Atletico Madrid

Il calciomercato sa essere misterioso, ma anche alla luce di queste considerazioni è lecito chiedersi come Kean sia finito all’Atletico Madrid. Per lui si era parlato di Fiorentina e, da un punto di vista puramente ipotetico, poteva sembrare una scelta molto migliore: una squadra pronta a dargli fiducia dal primo giorno, dove sarebbe stato un miglioramento piuttosto evidente rispetto a Nzola e Beltran, in un sistema di gioco che avrebbe stimolato le sue indubbie capacità negli ultimi metri di campo senza mettergli troppe pressione. 

 

Probabilmente per la Fiorentina il costo dell’operazione (500mila euro per il prestito più circa due milioni di ingaggio) sarebbe stato troppo alto per un prestito secco, ma in ogni caso sembra che Kean abbia spinto con insistenza per andare all’Atletico Madrid, convinto di trovare spazio in una squadra ancora in corsa su tre fronti (anche se lo stesso si può dire della squadra di Italiano). Ma è davvero così? A Madrid, Kean troverà la concorrenza di Griezmann, Morata, Memphis Depay e forse Correa (è dato per partente per l’Arabia Saudita, ma ancora non è stato ceduto). Anche dovesse partire l’argentino, Kean sarebbe indubbiamente una riserva. A vedere le scelte di Simeone fin qui, le gerarchie dell’attacco a due punte sono chiarissime: Griezmann ha giocato 2541 minuti, Morata 2073 (tra i più impiegati della rosa), mentre Correa 875 e Depay ancora meno, 530. L’olandese è stato spesso infortunato ma ora sembra essersi ripreso e nelle ultime giornate ha dato il suo contributo, come nel gol al Valencia di domenica, mentre Kean era in tribuna. L’italiano potrebbe passare allora da essere la quinta opzione nel 3-5-2 di Allegri a essere la quarta nel 3-5-2 di Simeone. Un miglioramento, certo, ma non così evidente.

 

C’è da dire però che alla Juventus negli ultimi due anni Kean è stato quasi sempre impiegato da Allegri come seconda punta a supporto di uno tra Vlahovic o Milik. Spostato sull’esterno, spesso basso per aiutare la risalita del pallone, gli veniva chiesto praticamente di fare un lavoro da trequartista (cosa che infatti riesce bene a Yildiz, che è un trequartista). Non è un caso che, nel confronto con gli altri attaccanti, le uniche statistiche in cui non era carente erano il dribbling (2,23 riusciti per 90’, dati Statsbomb) e le palle recuperate. Se è vero che Kean sta segnando meno di quanto dovrebbe (0 gol da 1.8 xG), le difficoltà intrinseche di giocare fuori ruolo lo hanno zavorrato, anche mentalmente viene da pensare. 

 

Forse a Madrid Kean spera di essere sì una riserva, ma una riserva di Morata, punto. In questa versione dell’Atletico Madrid, abbastanza lontana da quelle più smaccatamente difensive del passato, Simeone chiede al suo centravanti di attaccare molto la profondità e poi di occupare bene l’area di rigore. Due cose che Morata sta facendo alla grande quest’anno, ma che anche Kean sa fare. Basta guardare un confronto tra l’attacco della Juventus e quello dell’Atletico Madrid per capire che la squadra spagnola attacca di più e meglio, costruendo più tiri e più puliti e usando meglio le fasce. C’è poi la possibilità di giocare con il meraviglioso Griezmann di questa stagione, che da sola vale il viaggio. 

 

 

È difficile dire quanto spazio potrà davvero avere nei prossimi mesi. Sarà pronto per dare il suo contributo negli ottavi contro l’Inter? E se l’Atletico venisse eliminato, ci sarà ancora bisogno di lui? Che “cambiare aria” possa fargli bene è indubbio, ma è anche vero che le ultime stagioni hanno lasciato più di un dubbio se questo – l’Atletico Madrid, la Champions League, lottare per uno dei primi posti nei campionati maggiori – sia il suo livello. Kean è ancora un prodigio a livello atletico e tecnico, ma dà l’idea di non saper bene come usare questi suoi talenti. Anche i repentini cambi di fisico visti negli ultimi anni lasciano intendere che ci sia un po’ di confusione, così come in campo certe volte sembra essere avulso dal gioco non tanto mentalmente ma proprio nella qualità delle scelte. A 23 anni c’è ancora tempo per crescere sotto questi aspetti, ma non così tanto.

 

Questa giocata, rimasta come un lampo nel derby, spiega abbastanza bene Kean: uno stop surreale per tecnica e atletismo, ma arrivato in fuorigioco per un suo movimento sbagliato. 

 

I prossimi mesi, allora, potrebbero essere una nuova luce per lui, anche la conferma che tutto è meglio che la Juventus. La Spagna potrebbe davvero fargli bene. Ma se finirà per giocare poco, incidere ancora meno, non solo perderà una possibile convocazione all’Europeo e forse proprio la possibilità di far parte del ciclo di Spalletti, ma sarà condannato a tornare a Torino, in una squadra con cui non sembra essersi preso. A quel punto dovrà scendere di livello, se qualcuno sarà interessato a lui, oppure rimanere prigioniero di quella idea che – chissà, prima o poi – sarà lui il futuro della Juventus, mentre intorno a lui, piano piano, iniziano a essere tutti più giovani di lui.

 

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Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.