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Redazione

Febbre da calciomercato vol. II

Commento live delle trattative più interessanti della sessione estiva.

Mendy è la parola fine sull’esperimento falsi terzini
di Dario Saltari
[Martedì 25, mattina]

 

 

Siamo al 25 luglio e il Manchester City ha già speso più di 240 milioni di euro sul mercato, considerando solo il prezzo dei cartellini. Di questi, più della metà per acquistare terzini, il ruolo che il club inglese ha voluto rinnovare di più: fuori Kolarov, Clichy e Zabaleta (da cui ha ricavato complessivamente 5 milioni di euro); dentro Walker, Danilo e Mendy (spesa totale: 138,5 milioni di euro). Con grande sforzo finanziario, insomma, il Manchester City ha cambiato totalmente i propri connotati sull’esterno basso, passando da tre giocatori molto associativi, tecnici ed esperti, a tre giocatori dalla fisicità straripante ma dal gioco piuttosto meccanico.

 

Mendy e Walker, che al momento sembrano i probabili titolari nell’undici titolare di Guardiola, forniranno ai “citizens” una coppia di centometristi impossibile da superare in velocità che migliorerà sensibilmente la solidità difensiva in fase di transizione negativa e nei duelli aerei – due dei principali talloni d’Achille del Manchester City di quest’anno.

 

 

 

Ma con Mendy, un giocatore a volte troppo istintivo nelle letture difensive, i “citizens” miglioreranno soprattutto in proiezione offensiva. Il terzino francese è un altro ottimo crossatore ma soprattutto un incubo per i terzini avversari che devono difendere l’ampiezza dal suo lato. Quest’anno, con Jardim, ha sviluppato un gioco molto spregiudicato che lo portava ad alzarsi sopra la linea del pallone contemporaneamente ad altri cinque giocatori.

 

 

 

Per non parlare del suo ruolo in transizione, con una conduzione palla che non faceva crescere più l’erba dietro di sé.

 

 

 

Mendy, come Walker dall’altra parte, dovrà vedersi dalla concorrenza di Danilo, che nasce come terzino destro ma che nella sua carriera ha occasionalmente giocato anche a sinistra. Il brasiliano sa trattare meglio la palla, e sa usare anche discretamente il suo piede debole soprattutto per crossare, ma non ha letture migliori di Mendy, né col pallone né senza. Danilo non è un regista occulto, insomma, e non sembra che lo possa diventare in tempi brevi. Guardiola potrebbe preferirlo solo per non attaccare allo stesso modo con entrambi i terzini, con Danilo che potrebbe rientrare sul piede forte per puntare l’area o cambiare gioco per aggredire il lato debole.

 

In ogni caso, quindi, i nuovi acquisti segnano probabilmente anche il fallimento definitivo dell’esperimento falsi terzini al City, che comunque aveva già iniziato a dare segni di cattiva salute nella seconda metà della scorsa stagione. È ovviamente presto per fare previsioni sulla prossima stagione, ma è difficile pensare che Guardiola si privi della conduzione palla di questi due giocatori per cercare di lavorare sulla loro tecnica non di primissimo livello e sulla creatività appena abbozzata. Molto probabilmente, quindi, dall’anno prossimo il City occuperà i corridoi verticali in maniera più tradizionale, lasciando quelli esterni ai terzini e quelli intermedi alle ali.

 

Non che questa sia di per sé una cattiva notizia. Guardiola ha una capacità di adattarsi al contesto spesso sottovalutata dai suoi critici e il Manchester City avrebbe comunque dovuto rinnovare il suo parco terzini per questioni anagrafiche. Alla fine si è assicurato tre tra i migliori terzini che c’erano sulla piazza e non è certo colpa sua se è sempre più difficile trovare terzini in grado di fare le mezzali con la stessa qualità, come Alaba e Lahm.

 

 

Coccodrilli – Gonzalo Rodríguez al San Lorenzo
di Fabrizio Gabrielli

[Lunedì 24, pomeriggio]

 

 

Polvere siamo e polvere torneremo. Ed è a far parte del pulviscolo che s’innalza dagli spalti del Pedro Bidegain quando si solleva, a domeniche alterne, il Ciclone che è tornato Gonzalo “El Mariscal” Rodríguez dopo un lustro di Serie A, Fiorentina, Firenze: più di duecento partite, venticinque gol, sei assist. Ma soprattutto cinque anni spesi nel tentativo, al fin riuscito, di dar vita alla crasi più efficace tra l’eleganza rinascimentale e il pragmatismo dell’asador costretto a barcamenarsi con la legna contata. Hallelujah.

 

 

Lo abbiamo accolto imberbe, spettinato dal vento della vita, negli occhi la malinconia tanguera dei reietti, dei derubati, dei vilipesi: dopo otto anni di Liga era retrocesso, com’era successo? Non sapeva neppure più chi fosse, aveva bisogno di una rinascita.

 

 

Da un controllo più approfondito del necessario, che mi ha fatto arrivare a chattare per interposta persona con il magazziniere della Fiorentina, si evince che quella usata per la presentazione nel 2012 sia l’unica maglia mai stampata con il nome Rodríguez al posto del più familiare Gonzalo.

 

Era approdato in Europa con l’abito buono delle promesse che figurati se non vengono mantenute, paracadutato nella bambagia accogliente di un Villarreal che sembrava una colonia argentina. C’erano Battaglia, “el Vasco” Arrabuarrena, c’era Riquelme. Era il 2004 e vinse subito il suo primo trofeo, anche se era l’Intertoto, segnando un gol nella finale d’andata. Quindi era questa l’Europa? Un posto dove potevi insaccare di testa e fare la linguaccia?

 

Forte negli inserimenti – come nella miglior tradizione dei centrali difensivi argentini -, mai domo nelle chiusure ma con in più una certa aura distinta nel possesso, un’abilità innata nei calci da fermo e un insano amore per la giocata euclidea, anche se a braccetto con il brivido: la Fiorentina, spendendo solo 7 milioni di euro, si era aggiudicata uno dei centrali che si sarebbe messo più in mostra nell’ultimo quinquennio di Serie A.

 

Aveva già deciso di mollare il Vecchio Continente, dopo la retrocessione del Submarino Amarillo, nel 2012: aveva venduto casa e automobile, con qualcuno s’era già dato appuntamento a Esquina Homero Manzi, l’epicentro pulsante del barrio Boedo.

 

Poi arrivò la Fiorentina.

 

Quando lo disse al padre, hincha del San Lorenzo, «vedi pà che no, non torno», questo – uno di quei tifosi che vestono i colori della squadra amata anche al pranzo della domenica – gli aveva risposto «e adesso dove lo andiamo a cercare un altro centrale, che stiamo senza?».

 

In Italia Gonzalo è diventato un calciatore capace di risultare fondamentale per la sua squadra, ha affinato la fase di conduzione e uscita dalla difesa palla al piede, ha fatto valere le sue doti tecniche e si è guadagnato i galloni del caudillo: ha difeso i colori viola trovando il tempo, intanto, di difendere anche quelli del San Lorenzo. Era destino, si vede.

 

 

Adios, Gonzalo: per superare il trauma del distacco, come si dice, lanceremo il cuore oltre l’ostacolo, come facevi tu con il pallone durante una transizione offensiva, saltellando sul piede d’appoggio. Ci mancheranno i tuoi lanci arcobaleno lunghi di più di 40 metri (ma quanti ne hai collezionati, Gonzalo? Solo nel primo anno italiano ne ho contati 24, ma come ci riuscivi, Gonzalo?).

 

Dovremo imparare a sopravvivere alle tue chiusure perentorie, da gaucho che afferra al lazo le bestie amiche nella Pampa, alla maniera in cui ti immolavi, incorruttibile come un esperto giocatore di truco, per ridurre alla monocromaticità il mondo variopinto degli attaccanti.

 

 

Ci hai insegnato le gioie nascoste di un Sud lontano, ce lo hai riavvicinato come fa il camallo con il gozzo riannodandolo alla bitta: grazie per averci insegnato l’esultanza della cañita voladora, non lo dimenticheremo mai.

 

Ora che sei nella tua Terra, e non dovrai più preoccuparti se l’erboristeria sotto casa avrà o non avrà la yerba mate che preferisci per te e per chi ti è più caro, non dimenticarti di noi. Anche se non tutti siamo stati tifosi della Fiorentina, in qualche modo ti abbiamo voluto bene, e ti ricorderemo per sempre così, in concerto sul patio di una villa rinascimentale.

 

O mentre fai le corna dopo uno di quei gol così decisamente Gonzalo Rodríguez.

 

Ciao, Gonzalo. Alle tre del mattino, a vederti giocare contro il Gimnasia y Esgrima, ci saremo sempre.

 

Il senso di Kolarov alla Roma
di Daniele Manusia

[Lunedì 24, mattina]

 

 

Anche se il clima intorno alla Roma e a Monchi è condizionato soprattutto dalle cessioni eccellenti di Rüdiger, Salah e Paredes, quello di Kolarov è il settimo acquisto in questa sessione di mercato. Non bisogna compiere grandi sforzi di memoria per ricordare quella settimana in cui la Roma, sconfitta da Lione, Napoli e Lazio, ha mostrato di avere bisogno di allungare la propria rosa cercando di non abbassare la qualità media.

 

L’acquisto di Kolarov, come quello di Gonalons e quello di Hector Moreno, si spiegano anzitutto così. Kolarov sarà titolare anche al ritorno di Emerson Palmieri? Serve solo per pochi mesi? Farà il centrale di sinistra nella difesa a 4? La prima cosa da dire di fronte a un acquisto del genere è che una squadra di calcio non è solo gli 11 titolari, ma un gruppo di alto livello in grado di colmare eventuali assenze e, nella migliore delle ipotesi, competere internamente per un posto in campo.

 

L’acquisto di Aleksandar Kolarov è stato interpretato in maniera conflittuale dal pubblico romanista anche per ragioni strettamente emotive. Ma al di là dei codici con cui ogni tifoso interpreta la realtà della propria squadra (dopo quante stagioni la macchia della rivalità è indelebile? Per quale tipo di giocatore si è disposti a fare eccezioni? Per un fenomeno? Per nessuno?) è difficile non vedere immediatamente il senso calcistico del suo acquisto. Anzi, semmai, si può notare la resistenza di Monchi alle pressioni, che sicuramente qualcuno gli avrà anticipato mentre stava portando avanti la trattativa.

 

Kolarov sarà anche stato laziale, non sarà più nel pieno dei suoi anni e sicuramente non è neanche il sostituto di Salah, ma è un giocatore di indubbio valore. Quest’anno Guardiola sembra intenzionato a investire molto sulle fasce e forse anche il rientro di Kompany (che la scorsa stagione tra un infortunio e l’altro ha giocato pochissimo prima di aprile) al centro della difesa hanno spinto il serbo ad accettare una nuova offerta, ma la scorsa stagione – a 31 anni – è stato il quinto giocatore del Manchester City ad aver giocato più minuti.

 

Basta poco per descrivere le qualità di Kolarov. A cominciare dalla capacità di calcio con il sinistro (anche su punizione): quei tagli di campo in diagonale abbastanza potenti da far percorrere molti metri in avanti alla squadra senza essere intercettati dalla difesa, ma anche chirurgici in quanto a precisione.

 

Ve ne lascio tre in rapida sequenza, letteralmente uno meglio dell’altro.

 

 

 

Il primo lancio galleggia come un frisbee per la lunghezza di una metà campo. Kolarov è terzino, regista e sceneggiatore: nel senso che con un lancio ha scritto la successiva scena del duello tra Sterling e Mendy (vince Mendy).

 

 

 

Il secondo lancio è più veloce, verticale e profondo. Atterra sul piede di Sané come una pallina da golf sul green.

 

 

 

Lancio box-to-box: Kolarov da un’area di rigore arriva al limite dell’area opposta. Complice anche la velocità di Sterling (e forse l’indecisione del difensore), ma tanto vale dirlo chiaramente: il lancio di Kolarov ha decisamente più senso se dalla parte opposta del campo c’è un giocatore eccezionale nell’uno contro uno. E se, come si legge, Monchi sta cercando un giocatore di questo tipo, allora, bingo no?

 

Nella partita contro il Sunderland da cui è estratto quest’ultimo lancio, come in molte partite lo scorso anno, Kolarov ha giocato come centrale di sinistra in una difesa a 4. L’età di Kolarov si nota soprattutto nelle corse all’indietro e il singolo momento di gioco in cui va maggiormente in difficoltà è quando deve recuperare su un avversario più giovane; ma Kolarov è anche un difensore puro molto aggressivo che usa molto la scivolata e all’occorrenza sa marcare anche da centrale.

 

Difensivamente è comunque meglio da terzino che al centro, per la rigidità fisica ma anche per la tecnica non pulitissima nell’uno contro uno difensivo, ma è in ogni caso più adatto a un sistema che difende in avanti. È attento ad accorciare la distanza sull’uomo e prova quasi sempre l’intervento, essendo però spesso falloso: anche per questo è meglio difendere lontano dalla propria porta. Tutto sommato arriva in ottima forma fisica e se affiancato a un altro centrale veloce nelle coperture (Manolas) non sfigurerebbe al centro.

 

Certo, in una squadra offensiva come dovrebbe essere la Roma 2017/18 i terzini potrebbero arrivare spesso al cross. Anche in quelle situazioni il sinistro di Kolarov può fare la differenza: i suoi cross sono sempre tesi e di solito guarda prima di calciare, cerca il centravanti anche con palle basse sul primo palo – un 9 fisico come Dzeko potrebbe arrivare tranquillamente in vantaggio, anche se va detto che Dzeko va quasi sempre sul secondo palo. Lo stile dei cross di Kolarov, la forza che imprime alla palla, le traiettorie taglienti, fanno sì che non sia facilissimo trasformarli in rete e anche in questo caso dipenderà dal gioco di squadra (i movimenti che creeranno lo spazio per i cross e i tiri) e dalla qualità dei compagni. Ma insomma, difficilmente un terzino può essere decisivo da solo.

 

Insomma, rispetto ai tempi della Lazio, il Kolarov tornato in Serie A è atleticamente inferiore ma su tutto il resto ha ancora qualcosa da dire. Forse molto. Ed è anche capitato nella squadra giusta per le sue caratteristiche. Non resta che convincere quei tifosi che gli rimproverano di aver indossato la maglia “sbagliata”, facendo avere al campo da calcio l’ultima parola.

 

 

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