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Redazione

Febbre da calciomercato vol. II

Commento live delle trattative più interessanti della sessione estiva.

5 scatti rivelatori della voglia di Dembelé di andare al Barça
di Tommaso Naccari
[venerdì 18, mattina]

 

 

Cose che tutti sanno: Ousmane Dembelé ha 20 anni, gioca nel Borussia Dortmund, è uno dei giocatori più buggati a FIFA — credo che sia motivo di orgoglio esserlo quando si hanno 20 anni — ed è una delle promesse del futuro del calcio mondiale. Per cui, messa così, sembra davvero impossibile che Dembelé possa essere triste.

 

“Triste” è l’aggettivo che più usato nelle ultime ore per parlare di Dembelé, che pare abbia realizzato di non voler più stare in Germania. Per manifestare il suo malcontento, oltre a non presentarsi alle ultime sessioni di allenamento, il giocatore avrebbe boicottato la foto di squadra con una serie di smorfie che rendessero chiaro il suo stato d’animo.

 

Ho scelto i fotogrammi in cui si colgono tutte le sfumature interne di Dembelé, dopo aver realizzato che la partenza di Neymar è un’occasione troppo ghiotta per continuare a sprecare la giovinezza a Dortmund.

 

  1. Il momento in cui si immagina con la maglia blaugrana

 

 

Dembelé è probabilmente stato tra i primi ad arrivare all’appuntamento per gli scatti ufficiali. Qui è perso nei suoi pensieri mentre aspetta che arrivino tutti, e si immagina con la maglia a strisce blaugrana mentre scia tra gli avversari sulla fascia sinistra, duetta con Iniesta, poi con Messi, poi mette cross telecomandati per Suarez che la spinge dentro a un metro dalla riga. È davvero troppo. È quasi come immaginarsi un porno in classe.

 

  1. Il momento in cui realizza che non sarà così facile andarsene

 

 

Subito dopo aver fantasticato, Dembelé realizza che la sua squadra farà di tutto per trattenerlo e/o alzare il prezzo oltre ogni ragionevolezza. L’unico del quadretto davvero felice sembra Reus, tutto attorno capi chini e sorrisi poco convinti. L’odio nello sguardo di Dembelé è contagioso e ferisce chi gli sta intorno. Non solo non può andarsene, ma deve partecipare alla farsa della foto di squadra. Costretto a un angolo in castigo.

 

  1. Il momento in cui inizia a cercare una soluzione

 

 

Questo è il momento in cui le rotelle di Dembelé iniziano a ragionare. Come far capire a chi ti costringe in una relazione che sarebbe meglio per entrambi se finisse? Prima che qualcuno si faccia male?

 

 

    1. Il momento in cui vede la luce

 

 

Dembelé abbozza un sorriso distante. I compagni lo prendono in giro ma lui è col cervello da un’altra parte, ha capito come andarsene.

 

 

      1. Il momento in cui si sente furbo

 

 

L’intuizione: non presentarsi all’allenamento. Non ci voleva molto a capirlo, ma dopo la Sentenza Bosman il destino di un calciatore è nelle proprie mani e non in quello delle società. Le catene sono state spezzate, nessuno può costringerlo a giocare dove non vuole. La faccia di Dembelé trasuda soddisfazione e anche chi gli sta intorno capisce che qualcosa in lui è cambiato: se prima lo sguardo di chi sedeva alla sua destra era divertito, ora è un misto tra ammirazione e sorpresa. Farà perdere le sue tracce, parlerà solo tramite i propri avvocati, dirà a tutti che aveva un Gentleman agreement col BVB per poter passare a un club del livello del Barcellona.

 

Il braccio di ferro continua. Il Borussia ha sospeso Dembelé e continua una trattativa a oltranza con il Barcellona, avanzando pretese sempre più folli, rifiutando un’offerta da 100 milioni e chiedendone 150.

 

Dembelé intanto fa i bagagli, sicuro del fatto suo. Perché nessuna prigione può rinchiuderti quando sei libero dentro.

 

 

Che tipo di giocatore è diventato Mangala?
di Daniele Manusia
[giovedì 17, mattina]

 

 

Avrà anche ragione chi dice che la fortuna non esiste, ma di sicuro ci sono difensori a cui servirebbe che la palla gli finisca addosso un po’ più spesso di quanto succede in realtà, che li colpisca su una gamba anziché passargli sotto le gambe, che un avversario vada a sbattergli contro in piena corsa tentando di dribblarlo, anziché aggirarlo lasciandolo sul posto come se qualcuno gli avesse annodato i lacci delle scarpe tra loro. Ci sono difensori che meglio di quello che stanno facendo non possono fare, che hanno qualità fisiche e tecniche sufficienti, con un’intelligenza calcistica non inferiore a terzini o trequartisti con una reputazione migliore della loro, che però – in una determinata partita, o in una serie di partite più o meno lunga – hanno la capacità negativa di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Eliaquim Mangala, da almeno un paio di stagioni, è uno di questi difensori.

 

 

Questo è Mangala che si avventa su un pallone come un toro che ha visto porpora ed ha la “sfortuna” di finire vittima della capacità di improvvisare di Kevin Prince Boateng.

 

Faccio questa premessa perché a volte ci dimentichiamo quanto il filo che separa il fallimento dal successo – o quanto meno la dignitosa sopravvivenza – sia sottile. Nel calcio come in tutto il resto.

 

Mangala è stato acquistato dal Manchester City al termine di due stagioni brillanti in quel Porto da cui sono usciti Falcao, James Rodriguez, Joao Moutinho, Jackson Martinez, Otamendi, Alex Sandro, Danilo, Fernando. È arrivato in Premier League nell’estate 2014 come uno dei difensori più costosi della storia del campionato (a seconda delle fonti e dei dettagli contabilizzati la cifra si aggira tra i trenta e i quaranta milioni di sterline), nel Manchester City di Manuel Pellegrini campione in carica.

 

Da allora, però, il suo rendimento e il suo status sociale sono crollati inequivocabilmente. Il City ha continuato ad acquistare difensori costosissimi per provare a tappare il buco (prima Otamendi, poi Stones) e Mangala ha passato la scorsa stagione in prestito nel Valencia quasi retrocesso. Adesso, secondo le ultime voci, l’Inter lo vorrebbe in prestito secco mentre il City vorrebbe parlare di qualcosa di più “definitivo”. Si dice sia il difensore voluto da Spalletti per rimpiazzare Murillo e giocarsi il posto da titolare con Miranda, ma i tifosi sembrano tutto tranne che entusiasti per un possibile arrivo del difensore francese.

 

Gli ottimisti si aggrappano al fatto che Mangala ha ancora 26 anni e in teoria dovrebbe entrare nel proprio picco atletico e mentale proprio nelle prossime stagioni. Che ci sia, quindi, ancora tempo per un riscatto. E che a Milano, di conseguenza, possa tornare il Mangala del Porto…

 

 

In recupero era veloce e determinato, spesso si trovava a coprire una metà campo intera.

 

Da una parte ci sono i difetti – evidenti, vistosi, impossibili da non notare – di Eliaquim Mangala. Un pugno nell’occhio di chi lo guarda cercando conferme al pensiero che possa tornare al meglio di sé. Dall’altra ci sono le sue potenzialità, quello che si pensa possa fare di buono in una squadra disposta a credere in lui, come l’Inter.

 

Partiamo dai difetti. Anche ai tempi del Porto, Mangala non era il difensore migliore al mondo negli uno contro uno. Se la cava se difende la profondità, temporeggiando con il corpo in diagonale, accompagnando l’attaccante fin dentro la propria trequarti, aspettando che gli calci addosso o che compia un errore. Ma negli anni ha peggiorato la tendenza a difendere con il corpo parallelo alle linee orizzontali del campo, esponendo tutta la sua lentezza nei riflessi, negli spostamenti laterali e nei primi passi. Oggi come oggi, Mangala in campo aperto sembra un difensore piuttosto facile da saltare.

 

Sia sul destro, da giocatori di qualità eccelsa come Modric:

 

 

Ammonito.

 

Sia sul sinistro, il suo piede:

 

 

 

Una volta saltato con le gambe piantate nel terreno come un paio di paletti è impossibile che recuperi la posizione. Se difendere l’uno contro uno è la cosa che preferite nei difensori, la caratteristica che reputate la più importante, Mangala non fa per voi.

 

Spesso Mangala difende con la consapevolezza che la propria stazza pone una sfida agli attaccanti che lo puntano. Li costringe ad essere creativi, a trovare una soluzione a un problema prettamente “fisico”. Il problema è che ad alto livello i giocatori offensivi sono pagati per trovare soluzioni del genere, per abbattere muri più o meno immaginari. E Mangala è tutto tranne che un “muro”, aggettivo che credo di poter definire come il più onorevole tra quelli che si possono usare per descrivere i difensori (sì, sono di quelli per cui l’abilità nell’uno contro uno è un requisito fondamentale).

 

 

Esserci e non esserci.

 

Passiamo ai pregi di Mangala. Innanzitutto, la lentezza nei movimenti è compensata da due cose: dalla lunghezza delle leve, con cui ogni tanto arriva comunque sulla palla, e dalla velocità sull’allungo e da una notevole resistenza allo sforzo. Il che significa che Mangala può essere molto utile a una squadra che difende abbastanza in alto nel campo, come quelle allenate da Spalletti.

 

Un sistema di marcature preventive ne esalterebbe le qualità fisiche e l’aggressività, perché, come si dice, Mangala può fare a sportellate con i centravanti più forti ed energici in circolazione se resta a contatto con l’avversario. Può essere tanto irruento e impreciso negli interventi quanto genuinamente vigoroso se l’attaccante perde contatto con la palla o lo sviluppo dell’azione è leggibile.

 

 

 

Teoricamente ha anche un buon passaggio e un buon calcio lungo, ma troppe volte lo abbiamo visto sbagliare anche le cose più semplici. Anche in questo caso Mangala sembra pagare una certa difficoltà nel coordinarsi e nel pensare la giocata velocemente, più che dei limiti puramente tecnici. Diciamo che è affidabile quando non viene messo sotto pressione.

 

Per le caratteristiche descritte fin qui Mangala è adattabile anche come centrale di sinistra in una difesa a 3, oltre che come centrale sinistro in una coppia.

 

L’Inter vista nelle amichevoli estive ha bisogno di difensori aggressivi che accorcino alle spalle dei centrocampisti in pressione e che, quando il filtro Borja-Vecino, Borja-Gagliardini (o chi per loro) viene passato sia in grado di prendersi molti metri quadrati di responsabilità (Skriniar in questo senso sta prendendo le scelte giuste). Fisicamente Mangala non ha problemi ad assolvere compiti del genere, anche se sembra leggermente meno esplosivo di qualche stagione fa; i veri dubbi riguardano la sua capacità di scegliere l’opzione migliore tra quelle a disposizione, per non mettersi da solo nelle condizioni peggiori possibili.

 

Se non ci fossero dubbi al momento del suo arrivo ci sarebbe qualcosa di strano e starà a Mangala dissiparli partita dopo partita, cercando di farsi trovare al posto giusto al momento giusto. Nessuno gli chiede di diventare il centrale migliore del campionato, e al momento sembra anche una richiesta poco realistica, ma basterà non farsi trovare al posto sbagliato nel momento sbagliato per fare una figura più discreta e ripagare la fiducia che Spalletti e l’Inter stanno mostrando in lui. L’investimento economico non sembra esporre nessuno (se arriva con la formula del prestito secco) ma quello calcistico non è da sottovalutare.

 

 

Il ritorno perfetto di De Roon all’Atalanta
di Emanuele Atturo
[mercoledì 16, mattina]

 

 

Marten De Roon è tornato all’Atalanta 1 anno e un 1 mese dopo il suo addio. Era stato ceduto al Middlesbrough per 10 milioni di euro più 3 di bonus, è tornato indietro per 13,5 milioni più 1,5 di bonus. Nonostante avesse giocato appena una stagione a Bergamo, il suo trasferimento è stato celebrato con l’enfasi emotiva che si riserva a un figlio che ritorna dal fronte. Su Twitter De Roon ha scritto “Só turnát a la mé cà”, in bergamasco, poi ha girato un video in cui entra nel centro sportivo della squadra ed è contentissimo di mangiare la pasta e bere il caffè, “il vero caffè”. È sembrato quasi troppo quando in un altro video ha rivangato il passato – che in fondo è solo un anno fa – dentro lo spogliatoio dell’Atalanta.

 

Ma anche in questi video, con un’emotività un po’ sopra le righe, De Roon è apparso per quello che è: un ragazzo più simpatico della media dell’umanità calcistica. Che fino a qualche anno fa aveva questa bio di twitter brutalmente auto-ironica e che di recente si è detto scioccato dal suo conto in banca. Una normalità rinfrescante per un mondo del calcio in tutti vogliono sforzarsi di sembrare imprenditori di sé stessi.

 

Non è difficile capire, quindi, perché De Roon è stato riabbracciato con questo calore. L’olandese era andato via un anno fa per monetizzare al massimo la sua grande stagione, e il fatto che sia tornato un anno dopo alle stesse cifre, anzi leggermente superiori, la dice lunga sulle ambizioni dell’Atalanta. Un club che accetta e persegue la logica del player trading ma che sembra anche attenta a non abbassare troppo il livello complessivo della rosa.

 

L’acquisto di De Roon risponde a una logica chiara come il sole: portare intensità a un centrocampo che negli ultimi mesi ha perso Gagliardini e Kessié. Ho raccolto 5 gif che fanno capire quanto l’olandese dovrebbe rivelarsi perfetto per il sistema di Gasperini, ma che allo stesso tempo ci dicono cosa non sarebbe giusto aspettarsi da lui.

 

 

        1. Intercetto e ripartenza

 

 

 

L’Atalanta responsabilizza molto i suoi uomini in fase di non possesso. Le marcature a uomo a tutto campo richiedono una concentrazione mentale estrema per tutti i 90 minuti, ed è importante che i calciatori siano bravi nelle loro letture difensive. Qui De Roon legge benissimo la linea di passaggio, intercetta e riparte in contropiede. Ha una piccola esitazione in conduzione, che mostra anche ciò che non potrà dare all’Atalanta, ovvero le corse palla al piede in cui eccelleva Kessié.

 

 

        1. Altro intercetto e ripartenza

 

 

 

Corre di nuovo verso l’avversario con l’assoluta certezza di levargli la palla, e se lo mangia come Pacman. Poi di nuovo la sua scelta col pallone non ha grande qualità.

 

 

        1. Colpo di testa in inserimento

 

 

 

Con la grossa mole di lavoro fisico spalle alla porta di Petagna (o Cornelius), e anche grazie alla dominio sulle catene laterali nella costruzione del gioco, nell’Atalanta di Gasperini gli inserimenti dei centrocampisti senza palla sono oro colato. Un aspetto tecnico in cui, in realtà, non eccellevano né Kessié né Gagliardini, e in cui De Roon è invece molto forte. Ha ottimi tempi di inserimento e, come in ogni altro fondamentale del suo gioco, li fa con una grande intensità agonistica, che gli fa vincere duelli anche su avversari in vantaggio. Lo scorso anno in Championship ha segnato 4 gol: 3 in più della sua ultima stagione in Italia. Vi basta per metterci due fiche al Fantacalcio?

 

 

        1. De Roon contro due avversari

 

 

 

Ma la cosa che riesce meglio a De Roon rimane sempre togliere la palla agli avversari. Le sue statistiche in questo campo sono di assoluta élite: 4.2 tackle e 1.5 intercetti per 90 minuti lo scorso anno nel Middlesbrough, e 3.5 e 3.8 nella sua unica stagione italiana, in un contesto in cui la sua fisicità è ancora più evidente. L’anno prossimo, grazie ai ritmi compassati della Serie A e al sistema di gioco dell’Atalanta, le sue statistiche probabilmente assomiglieranno più al secondo dato che al primo. L’inquadratura ravvicinata, da documentario di National Geographic, ci permette di apprezzare la foga agonistica con cui sbrana due avversari. De Roon sarà il comandante del pressing di Gasperini nella nuova stagione.

 

 

        1. De Roon si mangia Henderson

 

 

Jordan Henderson se la prende troppo comoda, e De Roon – 1,85 per 76 kg – lo bullizza. Poi dà un filtrante interessante, che il centravanti non riesce a sfruttare. Siete pronti a vedere i play della Serie A divorati dal pressing di De Roon?

 

L’olandese, insomma, è uno specialista di alcune delle caratteristiche fondanti del sistema di gioco di Gian Piero Gasperini ed è davvero difficile immaginare che il suo ritorno non possa funzionare. È paradossale a pensarci, ma De Roon torna dopo un anno in un’Atalanta molto più calzante per le sue caratteristiche, forse la squadra che più di tutte potrebbe valorizzarne l’incredibile intensità fisica. È anche vero, però, che la “Dea” lo scorso anno aveva, con Kessié e Gagliardini, giocatori tecnicamente più completi, a loro agio nel ribaltare le fasi difensive in offensive. Un aspetto in cui De Roon è senz’altro più grezzo e per cui l’Atalanta dovrà guardare altrove.

 

 

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