Quando Tomas Skuhravy spaccava le porte
Intervista al bomber ceco del Genoa anni ’90.
Com’è stato, per un attaccante degli Anni Novanta, giocare in Italia?
Bromance prima che la parola bromance venisse coniata.
Com’era dividere il reparto con uno come el Pato?
Delle tue reti in Serie A ce n’è qualcuna che ricordi maggiormente?
Il gol contro il Lecce invece è stato il più bello che hai segnato?
Madonna, che rovesciata! Quel giorno ho fatto due gol, anzi tre. No, due. Ricordo che mi ha applaudito anche il pubblico avversario.
Sai che quando Pavoletti ha segnato un gol simile l’anno scorso mi sei venuto in mente tu?
Bortolazzi tirava delle gran punizioni. Per non parlare di Branco. Quanto era importante il tuo movimento in area nelle situazioni di gioco in cui quei grandi interpreti del Calcio di Punizione sistemavano la palla per calciare?
Branco era eccezionale, ma Mario credo sia stato sottovalutato. Faceva certi lavori con la palla che non ti dico, tante volte rimanevamo dopo l’allenamento a giocare ed era un momento che mi piaceva molto perché mi facevano dei cross per allenarmi al tiro al volo che erano spettacolari.
Quando calciavano loro, non lo puoi capire se non li hai visti studiare la maniera migliore di calciare… Con le ultime due dita… Gli insegnanti dicono che devi stare sopra la palla per calciare bene, Branco era uno che non gli stava sopra, la ingoiava…
Facevano delle robe contro la fisica, contro tutto, capisci?
E nasceva tutto in allenamento. Ci fermavamo anche un’ora dopo la fine degli allenamenti per stare insieme, oggi a fine allenamento se ne vanno tutti a casa, ma fermatevi, conoscetevi di più!
Oggi sono molto più egoisti, finito l’allenamento è come se non si conoscessero.
Da cosa pensi possa dipendere?
Ok, erano altri tempi però dài. Non c’era tutta questa attenzione mediatica, e un po’ si vedeva nel vostro approccio in campo. Tu per esempio non dai mai l’impressione di essere con la testa da un’altra parte, mentre giochi.
Che non sempre sono i soldi. E in altri periodi coincidevamo magari con altri scenari. Tipo emanciparsi da una realtà difficile anche da un punto di vista politico.
Ti inscrivi, anzi in un certo senso ne sei il capostipite della versione moderna, in una tradizione interessante di attaccanti cechi, quasi archetipica: alti, forti fisicamente, implacabili in area specie di testa. Penso a gente come Koller o Lokvenc. Anche se poi, dal ’96 in poi, è stato come se fosse intervenuta un’inversione di tendenza: il 9 ceco è diventato piccolino, agile, come Kuka o Smicer.
È stato Uhrin che ti ha escluso dalla rosa che avrebbe poi raggiunto il secondo posto in Inghilterra?
Non è stata un’esperienza molto brillante quella di Lisbona.
TS a Lisbona, felice come un fado.
Se dopo la brutta parentesi portoghese ti si fosse presentata la situazione di tornare in Italia? Mettiamo alla Sampdoria?
Credo siamo ancora lontani oggi dall’accettazione di un concetto del genere da parte dei tifosi, non penso proprio fossimo pronti negli anni Novanta.
Oggi cosa fa Tomáš Skuhravý?
Per come la vedo io stanno troppo sul computer. Quando mi dicono che vogliono diventare giocatori gli rispondo «sì, di playstation!». Il fatto è che gli manca un po’ d’essere cresciuti per strada.
Non è un po’ troppo nostalgica, come visione?
Questa caratteristica ti piaceva anche negli avversari?