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Dario Saltari
5 dribbling di Albert Gudmundsson in cui sembra George Best
18 set 2023
18 set 2023
Una delle storie di questo inizio di campionato.
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Dario Saltari
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IMAGO / ABACAPRESS
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È solo la quarta giornata di campionato, ma a guardare la classifica dei dribbling tentati viene già un brivido. Nel Paese che chiede ai suoi giovani di sistemarsi, e ai suoi calciatori di non rischiare mai, ci sono già dieci persone che ne hanno provati almeno dieci. Certo, ci sono alcune vecchie conoscenze che compongono il panorama abituale della Serie A - Leao, Chiesa, Theo Hernandez, Zaccagni, Nico Gonzalez - ma insieme a loro anche nomi nuovi, quasi tutti in squadre che ci aspetteremmo lottare per la sopravvivenza strette in abiti tattici che le costringono alla sofferenza difensiva. C’è Pontus Almqvist, primo con addirittura 20 dribbling tentati, nel Lecce di D’Aversa che ha lasciato il porto faticosamente costruito da Baroni per tentare il mare aperto; ma c’è anche, nel Cagliari saggio e prudente di Ranieri, Zito Luvumbo, che ne ha tentati lo stesso numero di Leao (16). Appena fuori dalla top ten, con 9 dribbling tentati, c’è un altro giocatore di una squadra neopromossa - forse la squadra più sorprendente del nostro campionato finora, il Frosinone - quel Francesco Gelli che, con il petto rachitico e i calzettoni abbassati, rappresenta questo nuovo slancio del nostro campionato verso la modernità.

La Serie A, lo scriveva Emanuele Mongiardo già quattro anni fa, ha un problema storico con il dribbling, mentre il calcio contemporaneo, di fronte a sistemi tattici che restringono con sempre più violenza il tempo e lo spazio delle giocate, sta producendo come anticorpi giocatori in grado di saltare il diretto marcatore, rompere le linee, aprire varchi nei sistemi di pressing avversari. Fino ad oggi sembrava che questo tipo di giocatori venuti dal futuro, o da un presente che abbiamo troppa paura di conoscere, fossero un lusso che solo in pochi in Italia potevano permettersi. Il Milan di Theo Hernandez e Leao, per l’appunto, ma soprattutto il Napoli di Kvaratskhelia: squadre al neon per un calcio d’élite che accelera ad ogni possesso. Forse è stato proprio lo scudetto degli azzurri a portare a un editing del genoma del nostro campionato, in cui adesso anche una squadra come il Frosinone lascia a un singolo calciatore lì sulla destra la libertà di puntare l’uomo, tentare un tocco di suola, un tacco, persino di perdere palla. Francesco Gelli, con i capelli sempre più radi, le gambe secche e la maglia larga, è la modernità che la provincia può permettersi, e abbiamo scoperto che è divertente.

Giocatori così in piccole squadre che tentano di salvarsi sono una buona notizia per il nostro campionato, tigri appena reintrodotte in una giungla in cui erano ormai scomparse, ma anche un sollievo reale, fisico di fronte a sistemi tattici sempre più tirannici, a muscoli sempre più tesi. E tra questi, personalmente, in pochi mi danno più soddisfazione, anzi, più godimento di Albert Gudmundsson.

Il giocatore islandese è tornato in Serie A con il Genoa dopo l’anno di purgatorio in Serie B con la nomea di essere troppo piccolo, troppo fragile per la ferocia del nostro campionato. E invece eccoci qui, con il Genoa a smentire le litanie che accompagnano le neopromosse dopo aver raccolto quattro punti contro Lazio e Napoli, e Gudmundsson secondo nella classifica per dribbling tentati (16, come Chiesa e Leao), dietro al già citato Pontus Alqmvist. Ne ho raccolti cinque per augurarci che queste prime quattro giornate non siano solo un’allucinazione temporanea, l’ultimo scampolo di un’estate andata per le lunghe.

5.

Commentando la partita con il Napoli, il telecronista di DAZN ha paragonato Gudmundsson a Dybala, affrettandosi a specificare che era un paragone “di percorso”.

Il trequartista islandese è arrivato al Genoa alla fine di gennaio del 2022. Il club ligure allora era penultimo in Serie A e in piena disperazione da calciomercato di gennaio aveva pensato che questa minuscola aletta con un passato non proprio esaltante in Olanda potesse essere la soluzione. Forse aveva inciso anche la scadenza ravvicinata del suo contratto, che aveva permesso al Genoa di accaparrarselo per poco più di un milione. Gudmundsson ha dichiarato che prima di approdare a Genova «non aveva fatto nessuna ricerca sulla città» e parla del suo trasferimento quasi come di uno strano evento paranormale che lo ha teletrasportato in una delle città più italiane d'Italia: «È successo tutto molto in fretta da quando sono venuto a conoscenza dell’interesse del club a quando ho firmato». Eppure in poco tempo Gudmundsson è riuscito a creare una connessione molto forte con il Genoa, ed è passato in poco tempo da essere un giocatore sconosciuto a fare shooting con le maglie storiche del “Grifone” mentre inforca la pasta al pesto. Come Dybala, anche Gudmundsson sembra molto legato alla città che lo ha lanciato, e all’Italia in generale. Ma se con un argentino la connessione ci appare naturale, Gudmundsson emana quelle vibrazioni da persona del Nord Europa talmente entusiasta del nostro Paese da farti venire il dubbio che non sei tu in realtà ad esserti abbrutito. Pochi mesi fa, durante la festa per la promozione in Serie A, Gudmundsson è sceso dal pullman della squadra e ha accettato l’offerta di un tifoso di farsi riaccompagnare a casa in motorino. «Mentre lo accompagnavo abbiamo parlato della vita a Genova, della partita, di come abbiamo vissuto in modo diverso le stesse emozioni dei minuti finali in gradinata e sul campo», ha raccontato il tifoso genoano.

La connessione tra Gudmundsson e il Genoa poggia le sue basi sulla decisione di continuare a vestire la maglia rossoblù nonostante la retrocessione in Serie B. Nella serie cadetta, Gudmundsson è diventato uno dei giocatori più importanti del Genoa, in un certo senso il talento che dava la forma alla squadra che lo conteneva, e ha chiuso la stagione al secondo posto per dribbling riusciti, dietro al solo “Mudo” Vasquez. È da qui che nasce il paragone “di percorso” con Dybala, anch’egli sceso in Serie B con il Palermo e risalito con la maglia rosa per diventare uno dei talenti più eccitanti del nostro campionato. Fino alla partita di sabato potevano però esserci ancora dei dubbi: riuscirà questo scricciolo ad essere efficace anche in Serie A? Contro il Napoli, teoricamente la migliore squadra del nostro campionato, Gudmundsson ha tentato 10 dribbling completandone 4, dando a volte l’impressione di giocare con i propri avversari.

Ora non mi ricordo esattamente quando il telecronista ha tirato fuori il paragone con Dybala, ma mi piace pensare che sia stato dopo questo dribbling.

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4.

Il paragone con Dybala, per certi versi, regge anche da un punto di vista puramente estetico. Entrambi piccoli, entrambi con i calzettoni abbassati a mettere in mostra i polpacci definiti, entrambi con la pelle chiara, lucida di sudore. Il fascino di Gudmundsson, come quello di Dybala, risiede nel contrasto tra un aspetto da bambino e un rapporto sensuale con il gioco del calcio.

Tecnicamente, però, i due sono molto diversi. L’arte dell’elusione di Dybala si basa su un rapporto privilegiato con la palla, una sensibilità epidermica in ogni parte del piede che gli permette di conoscere i suoi rimbalzi nascosti, i suoi capricci. Quella di Gudmundsson, invece, è un’arte del corpo, delle illusioni che riesce a creare nelle menti avversarie, di come si possa muovere un avversario dalla parte sbagliata senza toccare la palla, oppure sfiorandola appena.

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Da questo punto di vista più che a Dybala e ai grandi geni sudamericani, Gudmundsson rientra nell’insieme degli artisti del dribbling del vento e dell’elettricità, di tutto ciò che non è tocco, che non si vede, e che pure ha un peso in questo gioco, come le finte di Kvaratskhelia, che a sua volta era stato paragonato a George Best. «Kvaratskhelia, come Best, non sembra andare particolarmente veloce, ma non conta perché è lui a controllare il tempo», aveva scritto Emanuele Atturo «I suoi dribbling si basano sui cambi di passo e di ritmo, su esitazioni e accelerazioni. Sull’idea, semplice, che è sempre lui a fare la prima mossa e i difensori sono costretti a reagire. Il suo equilibrio sugli appoggi lo rende particolarmente difficile da leggere in anticipo».

3.

L’illeggibilità di Gudmundsson è di riflesso anche la fluidità del Genoa. Gilardino lo usa formalmente da ala sinistra di un 4-3-3 che dipende tutto dai suoi movimenti e che seguendo quelli può trasformarsi in 3-5-2 o in un ancora più prudente 3-6-1. Dall’altro lato del campo il Genoa utilizza un ibrido tra un centrale e un terzino come Koni De Winter che può stringersi a Bani e a Dragusin per formare una difesa a tre, ma tutto, come detto, dipende dai movimenti di Gudmundsson, a cui è lasciata quasi totale libertà di interpretazione della partita. Senza palla, l’ala islandese può ripiegare per sovrapporsi difensivamente ad Aaron Martin oppure rifiatare e rimanere dentro al campo accanto a Retegui. È con il Genoa in possesso, però, che la sua posizione diventa particolarmente problematica da leggere per gli avversari. Gudmundsson può ricevere con i piedi sulla linea del fallo laterale per tagliare verso il centro palla al piede, oppure piazzarsi tra le linee per costringere un centrale avversario a rompere la linea. In entrambi i casi comunque il suo talento sembra essere fatto per mandare fuori tempo squadre fatte per restringere lo spazio.

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Anche nello scioccante esordio di campionato contro la Fiorentina, una delle squadre più aggressive del campionato, Gudmundsson a sprazzi lo aveva fatto vedere. In questa transizione lunga nei minuti finali della partita, per esempio, attira a sé il tentativo di accorciare il campo in avanti di Milenkovic, gli fa credere che proteggerà il pallone tornando verso la difesa e invece, quando quello affonda il colpo, lui si porta di nuovo il pallone in avanti con l’esterno. Milenkovic, impotente, è costretto a tirargli un violento calcio da dietro per fermarlo.

2.

Forse con nessun’altra squadra, fino ad adesso, Gudmundsson è sembrato però giocare con gli avversari quanto contro la Lazio, all’Olimpico. Il trequartista ci gioca letteralmente: mette il gioco in pausa, li aspetta e li invita a intervenire perché le sue danze hanno bisogno di un compagno. Nei suoi dribbling l’attesa gioca un ruolo fondamentale: nell’attesa si carica la tensione di sapere cosa farà, la avvertiamo noi guardandolo, la avvertono i difensori che pensano di aver capito la sua mossa. Penso sia questo che sia questo a renderlo così piacevole da guardare: lo scioglimento di questa tensione da attesa rilascia una forma sottile di sollievo.

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Guardate questa palla difficile controllata spalle alla porta sulla propria mediana: Felipe Anderson si affretta a pressarlo dando per scontato che Gudmundsson si girerà verso il centro del campo, dove c’è spazio e il conforto di una difesa schierata. E invece il trequartista islandese, con una finta appena accennata, fa la scelta meno intuitiva: si gira verso la linea del fallo laterale, dove c’è meno spazio. Felipe Anderson va lungo dalla parte sbagliata; il Genoa, che poteva facilmente perdere palla in una zona pericolosa, può partire in contropiede.

1.

Contro la Lazio, Gudmundsson ha completato 5 dribbling su 6, uno di questi ha portato al tiro di Frendrup sulla cui respinta Retegui ha segnato il gol vittoria. È stato il generale senso di spensierata superiorità contro giocatori di alto livello come quelli di Sarri a dare a quella di Gudmundsson la consistenza di una delle storie del nostro campionato.

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Gudmundsson è arrivato in Italia alla fine di una lunga dinastia di calciatori. Il padre è stato calciatore, arrivando a giocare anche in Belgio, la madre è stata persino convocata dalla Nazionale islandese. Anche il nonno materno, Ingi Björn Albertsson, è stato un calciatore professionista, e anche il padre del nonno materno, che a sua volta si chiamava Albert Gudmundsson, è stato calciatore, anzi, è stato il primo calciatore professionista islandese, quando a 21 anni si trasferì a Glasgow per studiare economia e una volta arrivato lì decise di firmare per i Rangers. Albert Gudmundsson, tra il 1948 e il 1949, giocò anche per il Milan e l’anno successivo, con la maglietta dell’Arsenal, partecipò a un tour in Brasile durante il quale il Santos gli offrì un contratto.

Il suo rifiuto ci ha privato di una grande storia, decenni dopo il caso ce ne regala un’altra che sembra il suo prolungamento contemporaneo. Un calciatore islandese, un altro Albert Gudmundsson, che sembra sentirsi a casa in un Paese lontano, un talento essenziale e alieno che sembra poter cambiare il campionato che lo contiene. Non sappiamo come finirà questa storia, ma almeno adesso possiamo scoprirlo.

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