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Fabrizio Gabrielli
Il giocatore che ha rotto la Coppa d'Asia
13 feb 2024
13 feb 2024
La storia di Akram Afif, MVP della Coppa d'Asia vinta dal Qatar.
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Fabrizio Gabrielli
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IMAGO / NurPhoto
(foto) IMAGO / NurPhoto
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Mettere in scena una finale all’altezza di quella dei Mondiali di tredici mesi prima, al Lusail Stadium, diciamocelo: era francamente impossibile. Il Qatar, che si era lasciato alle spalle il titolato Iran, affrontava nella finalissima continentale la Giordania, una delle sorprese più scintillanti del torneo, che a sua volta aveva demolito i sogni della Corea del Sud. Per reggere almeno un minimo il paragone, però, una vittoria back-to-back del Qatar, padrone di casa, campione d’Asia in carica, sedotto e disilluso dell’ultimo Mondiale, non sarebbe stata sufficiente. Ci voleva un po’ di magia.Dopo aver segnato il rigore del vantaggio, Akram Afif, l’autore del gol, si blocca. Fa un cenno con la mano, come a richiamare l’attenzione, come a dire: aspettate un attimo. Si cala un calzettone, pesca qualcosa. I compagni, accorsi per festeggiarlo, si bloccano a loro volta. Ahmed Fatehi poggia una mano su un compagno di squadra, lo guarda incuriosito. Afif si incammina verso la telecamera tenendo stretto, nella mano, bene in mostra... cosa? Un santino? Una figurina? Un biglietto? Ha la faccia serissima. In effetti è proprio una figurina che raffigura se stesso – un po’ egotico come gesto? Sembra Stash de The Kolors che sale sul palco di Sanremo con un meme autoriferito sulla chitarra. Bacia la fede, indossa il sorriso più mefistofelico che gli hanno dato, scrolla la figurina et voilà, compare una “S”. Volevamo la magia: eccola la magia.

Akram Afif, al di là della prestidigitazione – comunque notevole – ha veramente rotto l’ultima edizione della Coppa d’Asia. Ha segnato otto reti, dispensato assist, seminato il terrore. Oltre che capocannoniere del torneo, il numero 11 del Qatar è stato nominato MVP, e forse, in generale, è stata la cosa più bella da vedere in campo: un segaligno fascio di nervi, dominante in ogni occasione in cui ha avuto la palla tra i piedi, un Salah lisergico che incuteva timore quando avanzava con la palla al piede, la chioma leonina al vento: un Cristiano Ronaldo del Golfo, diremmo quasi, se non facesse poi più così ridere.Ha lasciato il segno in tutte le partite, nessuna esclusa, neanche quando – nell’ultima partita del girone, contro la Cina – Tintín Márquez, l’allenatore spagnolo subentrato a Carlos Queiroz un mese prima della competizione, l’ha lasciato fuori dall’undici iniziale: è entrato e ha servito un assist intelligente a Al Haydos, che forse ha segnato il gol più bello di tutto il torneo. Non era il primo corner intelligente calciato in questa Coppa d’Asia, buttate un occhio a questo con la Palestina.La lettera “S” uscita fuori dal trick magico, avrebbe poi dichiarato lui, smontandola un po’, la magia, era un tributo alla moglie, che era allo stadio – per la prima volta, e c’è da dire che ci sono stati battesimi dello stadio peggiori – per la finale. Qualcuno aveva anche ipotizzato potesse essere un tributo alla Somalia, il paese di cui è originario il padre, ai suoi tempi nazionale somalo.Non ci saremmo stupiti, piuttosto, se quella “S” uscita fuori dal trick magico fosse stata un’autocelebrazione del suo stato di forma, appunto, Super. D'altra parte, la finale è stata il sugello del suo stato di grazia: una tripletta, ok tutti e tre i gol su rigore, ma in fin dei conti chi se li è procurati?Poco prima della finale, Afif si era presentato in conferenza stampa con una bella aura di onnipotenza. Aveva detto: «Vinceremo la finale perché siamo pieni di fiducia, e conquisteremo la coppa in casa». Non ha usato condizionali, cautela, non ha lasciato adito a dubbi, Afif, perché semplicemente non aveva senso: dopo la figuraccia del Mondiale, dopo aver visto i tifosi abbandonare lo stadio nell’intervallo dell’esordio con l’Ecuador, dopo aver segnato il record negativo di performance per una Nazione ospitante, cosa sarebbe potuto andare storto?La vittoria, invece, ha in qualche senso legittimato il progetto calcistico che il Qatar sta portando avanti da un ventennio. Un progetto del quale Afif è stato, a lungo, e forse continua a essere, il caso di studio più eclatante.Da dove spunta fuori, Afif?Quando nel 2004, diretta emanazione della famiglia reale Al Thani, è stata fondata la Aspire Academy, vale a dire il centro di formazione che avrebbe dovuto plasmare la Nazionale di un futuro che oggi è presente, il tipo di calciatore che si sognava di scovare era proprio un giocatore tipo Akram Afif: forte tecnicamente ma anche disciplinato tatticamente, preparato atleticamente, pieno di personalità. Nel corso della sua formazione alla Aspire Academy, della quale è entrato a far parte nel 2009 – un anno prima dell’assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar – Afif ha passato qualche mese in Erasmus in Spagna: nel 2013, con la maglia del Siviglia, ha segnato una doppietta nell’Al Kass International Cup, un torneo per Under 17 organizzato dalla federcalcio qatariota, e dalla Aspire Zone, a Doha. Poi è passato al Villareal. Ma la sua prima vera esperienza europea, tra i grandi e non nelle squadre giovanili, è stata all’Eupen, quella squadra-laboratorio in cui, per un quinquennio, la Aspire Academy ha di fatto posizionato i migliori studenti per una specie di stage: un biennio, quello di Afif, pieno anche di cose molte belle, tipo un gol in rovesciata e una schicchera da quaranta metri vedendo le quali, effettivamente, era lecito auspicare un futuro roseo per il giovane qatariota.

Il grande salto, l’occasione per il grande salto, per Afif è arrivata nel 2016, quando è stato messo sotto contratto dal Villareal – che però non l’ha mai utilizzato, girandolo in prestito per una stagione al Gijón: Abelardo, l’allenatore degli asturiani, lo aveva voluto dopo essersi confrontato con Xavi, allora allenatore dell’Al-Sadd. «Xavi mi ha chiamato per dirmi che era il miglior giocatore nella storia del Qatar». Gli eventi, in Spagna, non hanno però preso la piega che si credeva, e una spirale involutiva – almeno secondo gli standard eurocentrici che siamo abituati a usare come parametro valutativo – ha portato Afif prima, di ritorno, a Eupen, e poi di nuovo in Qatar, all’Al Sadd di Xavi, appunto.Tempo fa mi è capitato di scrivere di Omar Abdulrahman, che all’epoca era una stella nascente del calcio arabo, il più grande talento forse mai espresso dal calcio emiratino, uno che era soprannominato “Il Maradona della sabbia” e che in quella sabbia, anche fuor di metafora, ha finito per impantanarsi. In quel pezzo mi chiedevo quanti dei fenomeni-in-pectore partoriti da un ventre così tradizionalmente conservativo rischiassero di vedersi spegnere la Sacra Fiamma del talento emarginati ai limiti dell’impero. Akram Afif, di fatto, ha corso lo stesso rischio, quando ha deciso di tornare in Qatar? Che poi, questo rischio effettivamente esiste? Cosa può essere più impattante, nella carriera, per esempio, di un qatariota? Rimanere in patria, giocare, vivere nella propria zona di comfort, oppure cercare di imporsi nelle periferie sdrucite d’Europa, magari guadagnando cento volte meno, contando le opportunità sulle dita di una mano?«Se me lo chiedete», ha dichiarato recentemente Afif, «certo che vorrei giocare in Europa. Ma non posso neppure uscire dal mio paese e starmene sempre in panchina. Non aiuto il mio Paese, così.».Afif è rimasto, e oggi forse è al culmine massimo della sua carriera. La Coppa d’Asia non l’ha rotta soltanto nelle gare, per così dire, minori, ma anche in quelle che mettevano il Qatar di fronte ad alcune delle migliori – o più in forma – Nazionali del continente. Ha sfilacciato la difesa del Libano, all’esordio, con due gol: il primo è qua, il secondo invece è un vero e proprio manifesto del suo stile di gioco, del dominio, della capacità di inclinare il piano del campo a suo favore. Gli affondi in velocità sono la sua signature move: anche contro Tagikistan ha segnato un gol pressoché identico.A differenza di Omar Abdulrahman, il cui fascino è (era?) tutto nell’eleganza compassata che lo faceva librare sul campo come una volpe rossa, Afif è debordante, esplosivo, arrogante. Il fiuto del gol, che forse è una scoperta recente, non è la sua caratteristica principale, perché Afif è soprattutto un calciatore dalla grande tecnica, che ama l’uno contro uno, che ha una predisposizione naturale alla creatività.Tim Cahill, oggi nel board di Aspire Academy, di lui dice che «può far accadere qualsiasi cosa in un secondo». Stoppare un lancio di quaranta metri con presuntuosa eleganza, convergere e mettere al centro; oppure inventarsi una triangolazione e piazzare un tiro a giro sull’angolo opposto. Triangolare di prima, involarsi, servire un pallone delizioso all’interno dell’area. E quando non gli riesce la prima intenzione, ha sempre un piano B altrettanto geniale.

Il gol con cui ha portato il Qatar in momentaneo vantaggio per 2-1 sull’Iran, in semifinale, è forse il suo più bello di questa Coppa d’Asia, e anche quello più afifish: dopo un passaggio floscio, un pallone sostanzialmente buttato, non si demoralizza, ma aspetta che la palla gli torni sui piedi per scaricarla con tutta la rabbia e il talento che ha all’angolo opposto.

«È una questione di destino», ha chiuso l’intervista in cui gli chiedevano se sognasse di tornare in Europa. «Se dev’essere così, sarà così. Altrimenti no». Negli ultimi mesi, mentre Román Riquelme era impegnato nella campagna che lo avrebbe portato alla presidenza del Boca Juniors, è uscita fuori la storia di come Mauricio Macri, ex presidente del Boca, oltre che dell’Argentina, avesse provato a piazzare agli "xenéizes" “il nove del Qatar”. Quel giocatore – che era poi Almoez Ali, capocannoniere della Coppa d’Asia 2019 – avrebbe fatto da volano alla promozione per il Mondiale qatariota, ma soprattutto rinsaldato i rapporti tra Macri e la monarchia del Golfo. Della questione mi ha colpito soprattutto il fatto che il calciatore qatariota fosse stato spersonsalizzato: non era più una persona, ma un personaggio folkloristico, una commodity al quale veniva concessa una chance senza evidenti meriti sportivi (o forse sì, ma non è questo il punto). Il punto è che adesso nessuno, sono certo, si riferirebbe ad Afif come l’unidici del Qatar. Per tutti, al contrario, d'ora in poi sarà Akram Afif, te lo ricordi? Il prestigiatore. Quello che, nel 2024, ha rotto la Coppa d’Asia.

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