La rielezione silenziosa
Carlo Tavecchio è stato rieletto alla presidenza della FIGC, impensabile solo 30 mesi fa. Cosa è successo nel frattempo? Cosa aspettarci nel futuro?
Anche gli arbitri cambiano giacchetta
Gli arbitri contano il due per cento nell’elezione del presidente della Figc. Poco e, per prassi, spesso non prendono posizione per il desiderio di rimanere indipendenti. Prassi interrotta proprio ad agosto 2014, per votare contro Tavecchio. Cosa che è costata anche una contrapposizione frontale, quando Lotito ha chiesto l’introduzione del sorteggio integrale e il presidente della Federcalcio si è schierato al suo fianco. Nicchi sapeva che l’attacco di febbraio 2015 alla classe arbitrale era una rivalsa per il voto ad Albertini. E difendeva la posizione: «Volevamo dare un segnale. I nostri timori, espressi alla vigilia delle elezioni, si stanno rivelando esatti. La Figc si occupasse dei soldi tolti agli arbitri se davvero Tavecchio vuole difenderci… La questione è seria: c’è il rischio di non finire la stagione. Capisce cosa vuol dire? Quando non avremo più soldi in cassa, l’Aia non manderà gli arbitri sui campi di calcio».
Ma questa volta quel due per cento di voti è andato a Tavecchio, che due anni e mezzo fa era un avversario. È stata la condanna per Abodi. Non perché sarebbe bastato il due per cento per cambiare l’esito, ma perché sarebbe stato un incoraggiamento a votare diversamente per i sostenitori timidi di Tavecchio. Lo ha detto il candidato sconfitto: «Quel due per cento per me era sacro e rimane sacro. Nei numeri si vede che quel dato almeno psicologicamente ha inciso».
Altro cambio di voto in corsa, altre motivazioni. Stavolta chiare: Tavecchio ha lasciato inalterati i soldi per la classe arbitrale e ha anche trovato uno sponsor per l’Aia. Ha pagato moneta, ha visto cammello.
È stata, pare, la trattativa più lunga. Risolta solo la notte prima grazie all’intervento di Cosimo Sibilia, altro tessitore che potrebbe diventare il vicario di Tavecchio. È stato lui, a mezzanotte, a telefonare al presidente federale dicendo: «Gli arbitri stanno con noi. È fatta». Così nasce un nuovo personaggio con cui forse dobbiamo imparare a fare i conti.
Cosimo Sibilia, l’uomo in più
Cosimo Sibilia è un senatore di Forza Italia e ha un cognome noto nel mondo del calcio: suo padre, Antonio, è stato il presidente che ha portato l’Avellino in serie A. Ora è a capo della Lega Nazionale Dilettanti, eletto all’unanimità dopo aver compiuto l’impresa di farsi sostenere tanto dal presidente del Coni Giovanni Malagò, quanto da Carlo Tavecchio stesso, che aveva interesse a che la Lnd rimanesse in mani amiche. Perché i dilettanti pesano per il 34 per cento nell’elezione del capo della Figc. Per intenderci basterebbe un accordo tra loro e i calciatori (che rappresentano il 20 per cento) per garantire un’elezione. In teoria bastano anche Lnd e LegaPro (insieme fanno 51 per cento). Da lì, dal resto, è partito Tavecchio. E per questo il presidente federale non cessa di controllare questo gigantesco bacino di voti.
Tavecchio, del resto, gestisce in qualche modo i soldi della Lega Dilettanti. È tutt’ora presidente del cda di Lnd Servizi, che è la cassaforte della Lega, quella a cui la Figc presieduta sempre da Tavecchio gira i 10 milioni di fondi della Legge Melandri.
Tavecchio li dà a Tavecchio, mentre qualche metro più in là c’è Tavecchio che è anche presidente di Lnd Immobiliare, l’immobiliare della Lega. Un intreccio di potere e soldi, una pace siglata tra il presidente del Coni e quello della Figc dopo lo scontro di agosto 2014. Nel frattempo Sibilia coltiva ambizioni, e siccome prima o poi bisognerà candidare un nome nuovo, se conserva queste abilità nel portare gente dalla sua e continua a governare i “grandi elettori” dilettanti, stiamo parlando del successore di Tavecchio, quando questa era tramonterà.
La riforma dei campionati in versione elettorale
Tavecchio resterà in carica fino al 2020. Si trova alla guida di una Figc divisa quasi in due: ha bisogno di tenere tutto insieme fino alla fine del mandato, deve essere molto politico. Lo è stato andando a prendere uomini dall’opposizione delle scorse elezioni per garantirsi la conferma nello scranno più alto del pallone, sta già facendo capire di avere intenzione di farlo per l’intero quadriennio olimpico. Ne è prova la bozza di riforma dei campionati che ha inserito nel suo programma.
Occorrerebbe partire da una riflessione sull’attuale campionato di serie A: da febbraio, ma forse anche prima, non è rimasto molto per cui combattere. E non c’entra la forza della Juve e la sua corsa verso lo s
Scudetto, ma la formula a venti squadre con solo tre retrocessioni. Di fatto si sa da tempo chi andrà in serie B a fine stagione perché c’è uno squilibrio evidente.
Bisognerebbe ridurre le squadre (e ridistribuire i diritti tv, ma quello è un altro discorso) ma Tavecchio ha avuto l’appoggio delle società di serie A e non ha nessuna intenzione di toccarle: nel suo programma dice che «nel rispetto della volontà più volte espressa dalla maggioranza delle sue società e anche dalle componenti tecniche, non sembra attualmente percorribile la riduzione del numero di squadre. Occorre lavorare su una Serie A a 20 squadre, almeno sino alla stagione 2020/21». Ovvero fino alla scadenza del suo mandato.
Ma non c’è solo la conferma delle venti squadre, ma anche la riduzione del numero di retrocessioni a due (un altro posto potrebbe essere giocato in uno spareggio tra una squadra di serie A e una di B). Quindi, un campionato potenzialmente ancora meno interessante, con sole due squadre destinate a scendere di categoria.
Perderebbe squadre la serie B (che ha appoggiato Abodi) passando da ventiquattro a venti, mentre il vero taglio (per arrivare da 102 squadre professionistiche a 80) sarà per la Lega Pro, che può sembrare un caso ma è la Lega guidata da uno dei suoi più grandi oppositori, Gabriele Gravina, che scalzando il gruppo di riferimento di Macalli ha rischiato di spostare l’asse di questa elezione. Si passerebbe dalle attuali 60 partecipanti a «ridurre le squadre in 3/4 stagioni a 40 (2 gironi da 20) tramite blocco dei ripescaggi per i primi due anni e/o un meccanismo che preveda l’aumento del numero di retrocessioni per il terzo anno o minor numero di promozioni dalla Serie D».
Non si scontenta nessuno (con la serie A ci ha provato, ma poi ha ceduto perché si votava), tranne l’opposizione.
Da “inadeguato” a uomo delle riforme
La massiccia dose di anestetico entrata nel dibattito ha permesso anche a Tavecchio di passare da essere definito «inadeguato» a passare per l’uomo delle riforme. Ne ha fatte davvero? Alcune le ha iniziate, altre le ha promesse in questo secondo mandato, altre, come quella dei campionati, sarebbe meglio non le facesse.
Tavecchio ha preso alla lettera l’invocazione arrivata un po’ da ogni parte del modello tedesco. E lo ha adattato all’italiana. Così probabilmente, a leggere il programma, accadrà per le seconde squadre. Così, soprattutto, sta accadendo su quello che è il motivo di vanto sbandierato da Tavecchio: i centri federali previsti dal progetto sono duecento. I numeri sono destinati, per forza di cose, a crescere: per ora però sono venti e funzionano, secondo il piano, un giorno a settimana (il lunedì) per due ore e mezza.
Ne ha parlato Repubblica nei giorni scorsi, evidenziando come non sia previsto ancora nemmeno lo scouting sul territorio, per allargare il movimento a chi non ne fa già parte, mentre in Germania il motto è «se un talento nasce tra le montagne, i nostri scout lo scopriranno», che sintetizza il monitoraggio di 600mila bambini all’anno anche in periferia o nelle scuole.
Di certo il presidente ha riportato la Nazionale al centro della discussione, con un impegno visibile e la sua chiara volontà di rinforzare l’area tecnica: uno dei primi passi dopo la rielezione sarà quello di nominare Giampiero Ventura direttore tecnico, allargando così le sue competenze a tutte le squadre nazionali oltre che alla squadra maggiore. Tavecchio insiste molto su una supervisione di tutte le formazioni azzurre sotto ogni punto di vista, al punto da aver reso il Club Italia una struttura più stabile, divisi per aree (area medica, area performance e ricerca, area scouting e area match analysis).
Sul resto, anche sull’incentivazione del calcio femminile (che dovrebbe passare dalle proprietà affidate anche ai club maschili) c’è discreta vaghezza, che fa pensare che il calcio italiano si stia facendo bastare poco e che, in fondo, questa campagna elettorale per la presidenza della Figc non è stata condotta guardando programmi, ma pensando ai propri posizionamenti.
Perché Abodi non bastava
Andrea Abodi non ce l’ha fatta. Voleva una Federazione trasparente, ha lottato pure, ma occorre dire che aveva qualche punto debole. Il più grande di tutti: è stato al fianco di Tavecchio finché non ha deciso di candidarsi. Ha iniziato a smarcarsi silenziosamente quando con la sua Lega di B non ha rinnovato il contratto con Infront (lui che peraltro è stato tra i fondatori di Media Partners, l’azienda che poi ha aperto all’ingresso di Infront stessa) e sembrava stesse dicendo che lui non voleva più entrare in quel reticolato di potere peraltro ora finito quasi nel dimenticatoio per i cambi al vertice dell’advisor della Lega e della Figc e per la stessa dose di anestetico utilizzata per la campagna elettorale.
Ma Abodi non è mai sembrato di rottura vera e propria perché veniva dalla stessa parte e questa Tavecchio se l’è giocata: «Ha firmato ogni mia delibera e approvato i miei bilanci federali». Sarebbe stato diverso con un altro candidato?
Probabilmente avrebbe tolto alibi a chi ora li ha utilizzati (come Ulivieri), probabilmente avrebbe dato davvero il segnale di rinnovamento che non vuol dire lo stesso potere con facce più belle, ma proprio un altro tipo di potere. Per questo non ha sfondato, perdendo pezzi e non accorgendosi, mentre era nella stessa Federazione di Tavecchio, che il suo competitor aveva trovato modo per far cambiare casacca ad almeno metà dell’opposizione. Così si è arrivati a una competizione che non ha mai dato la reale percezione di un Tavecchio in bilico. Nonostante sembrava un presidente a termine ad agosto di tre anni fa.
Invece sarà lì fino al 2020, sembra contro la volontà di quasi tutti i tifosi, a sentire gli umori. Ma è una prova che, in fondo, chi ama il calcio è una parte marginale del ragionamento dei grandi capi. La spinta per il cambiamento continuerà ad arrivare dall’esterno, le questioni saranno affrontate sempre dentro il palazzo.