Dopo 16 stagioni da professionista, a ottobre Fabian Cancellara dovrebbe ritirarsi. Lo ha deciso nel momento in cui ha sentito di aver dato tutto quel che poteva dare al ciclismo, quando ha capito che il suo dominio sarebbe presto finito. Insieme a lui se ne andrà un pezzo di storia di questo sport, crollerà un monumento che sembrava intoccabile. Ma forse è meglio che si faccia da parte adesso, senza costringere i tifosi a soffrire di fronte allo spettacolo del declino.
Quest’anno ha deciso di programmare la stagione seguendo le sue sensazioni. Il fisico di un ciclista è molto delicato e a una certa età bisogna sapersi gestire, senza tirar troppo la corda. L’obiettivo dichiarato era di rendersi per un’ultima volta protagonista alle classiche del Nord, anche a costo di impostare una preparazione particolare che lo potrebbe portare a dover rinunciare alla parte finale della stagione.
Spartacus non è più l’automa programmato per vincere sempre e comunque. Della seconda parte della sua ultima stagione non si conosce nessun dettaglio. C’è chi dice che si ritirerà dopo le Olimpiadi e chi sostiene che il fascino di un’ultima medaglia iridata lo porterà comunque a cedere alla prospettiva di compiere un’ultima grande impresa prima della fine.
Lo scorso 5 marzo, ha vinto alla Strade Bianche per la terza volta nella sua carriera. Le prime due le aveva vinte di forza, mostrando tutto il suo strapotere tecnico e fisico. La terza, questa, l’ha vinta aspettando il momento giusto, studiando i suoi avversari, vanificando il lavoro di squadra di Stybar e Brambilla grazie alla sua esperienza. «Sapevo che Stybar era scattante e agile come un ciclocrossista, che con Sagan non si sa mai, anche se in un’accelerazione non mi era sembrato brillantissimo, che Brambilla aveva speso molto ma non aveva esaurito tutti suoi sogni e la sua voglia».
Dopo la mezza delusione nelle Classiche del Nord, chiuse con un secondo posto al Giro delle Fiandre dietro a Peter Sagan, a giugno ha trionfato nella cronometro di apertura del Giro di Svizzera.
Pochi giorni fa ha brillato nella prova in linea a Rio, sacrificandosi per i suoi compagni senza risparmiarsi in vista di una cronometro che sicuramente lo vedrà fra i protagonisti. Forse non riuscirà a vincere, magari non arriverà neanche sul podio, ma in ogni caso sarà l’ultima esibizione sul palcoscenico olimpico di un uomo che ha fatto la storia di questo sport.
«Io ho avuto sempre la voglia di pormi obiettivi altissimi. In Svizzera c’è poca gente che dice “io voglio vincere questo”, “io vinco questo”. No, dicono “hey, voglio fare una bella corsa”, “mah, vediamo, cerchiamo di dare il massimo”. Sì ma dentro tu sai cosa vuoi, e quello è vincere. Non è che vuoi fare “un po’ bene”. Un po’ bene lo puoi fare a casa, ma quando gareggi devi voler fare quello che vuoi veramente: vincere. Questa è la mia mentalità».
Gli inizi
Valkenburg, 1998. Mentre lo svizzero Oscar Camenzind trionfa fra i professionisti e l’Italia infila una meravigliosa tripletta nella prova in linea Under-23 (vince Ivan Basso seguito da Rinaldo Nocentini e Danilo Di Luca), gli occhi dei dirigenti della Mapei (la migliore squadra del momento per quel che riguarda le corse di un giorno) si posano sul vincitore della prova a cronometro Juniores: un ragazzino di 17 anni che si ripeterà l’anno dopo a Verona, viaggiando a una media superiore ai 50 km/h. Non ci pensano due volte, e a soli 18 anni Fabian Cancellara (“lo svizzero che viene dalla Basilicata”, scrive Pier Bergonzi il 6 ottobre 1999 dopo la cronometro di Verona) firma il suo primo contratto da professionista. Ma dovrà attendere la stagione 2001 per fare il suo esordio fra i grandi del ciclismo mondiale.
I primi anni fra i professionisti servono al giovane Fabian per prendere le misure. La Mapei è una squadra attrezzata, dove un giovane può crescere tranquillo e senza pressioni, perché a portare le vittorie a casa ci pensa gente come Johann Museeuw e Paolo Bettini, giusto per dirne due. Ma quando a fine 2002 la Mapei chiude i battenti per spostarsi in Belgio e rinascere l’anno successivo come Quick Step, Cancellara sceglie di rimanere in Italia e passare alla Fassa Bortolo dove conferma le aspettative diventando uno dei più forti cronoman al mondo. Nel 2004 riesce nell’impresa di battere Lance Armstrong nel prologo del Tour de France, conquistando la sua prima Maglia Gialla. Sceso dal podio per la premiazione, rilascia ai giornalisti presenti una dichiarazione che lì per lì suona banale, ma che più di ogni altra cosa fa già capire che l’atleta svizzero, almeno in potenza, ha le capacità per arrivare lontano: «Armstrong ha già fatto vedere d’essere in gran forma. Lui, in ogni corsa che fa, parte per vincere. E io ho la stessa mentalità».
Il 2006 è l’anno della svolta. Cancellara passa alla CSC di Bjarne Riis e vince, un po’ a sorpresa e fra mille polemiche, la sua prima Parigi-Roubaix, staccando sul Carrefour de l’Arbre tutti i suoi avversari, compreso Tom Boonen, il più forte specialista del pavé in circolazione, almeno fino a quel momento.
Nel velodromo di Roubaix, Spartacus precede Gusev, Hoste e Van Petegem. Ma nei registri ufficiali risultano sul podio Tom Boonen e Alessandro Ballan. A 10 km dall’arrivo un passaggio a livello si abbassa inaspettatamente durante la corsa, esattamente un attimo dopo il passaggio di Cancellara. Non l’avrebbero comunque mai ripreso, Cancellara, perché quel giorno lo svizzero andava più forte anche di quel treno merci che gli ha consegnato definitivamente la vittoria.
Il famoso passaggio a livello. Flecha, in maglia arancione-blu, riesce giusto in tempo a fermarsi. Boonen si guarda intorno spaesato. Quando la sbarra si rialza, Cancellara è ormai lontano.«Non so nulla di cosa è successo. Non mi sono accorto di nulla. So solo che io ero il più forte e che per questo successo ho lottato fin dall’inizio. Sono scattato al momento giusto, ho fatto tutto quello che si doveva fare e basta».
«Il Fiandre è una donna latina, che quando è incazzata ti tira dietro anche la tazza. Se c’è un problema o qualcosa non funziona fa un casino, ma alla fine nelle storie ci vuole passione. La Sanremo è una donna bionda, tranquilla, da caviale e champagne. La Roubaix no; la Roubaix è un uomo.»
Le più belle vittorie
Nonostante i i quattro titoli mondiali a cronometro, le due doppiette Fiandre-Roubaix (2010 e 2014), l’anno in cui ogni tifoso di ciclismo si è innamorato di Cancellara è l’unico in cui non ha vinto nessuna di queste corse: il 2008.
Il 22 marzo, a poco più di un chilometro dall’arrivo (posto quell’anno sul lungomare Calvino anziché in Via Roma) della Milano-Sanremo più lunga di sempre, la più dura di sempre.
Bettini, come al solito, ha fatto esplodere la corsa costringendo le squadre dei velocisti a spremersi già dalla Cipressa. Ai piedi del Poggio, l’ultima mitica salita della Classicissima, il gruppo arriva allungato, quasi sfilacciato. Sicuramente stremato. È Rebellin che porta via un gruppetto con dentro i migliori interpreti delle classiche vallonate, da Gilbert a Pozzato, da Freire allo stesso Bettini. Si guardano, si studiano, aspettano che qualcuno parta per primo per riprenderlo e partire in contropiede. Aspettano “lo scatto del fagiano”, come lo chiamerà poi Riccardo Magrini durante le sue telecronache, quello di chi fa finta di niente per cercare di guadagnare un paio di metri per sorprendere gli avversari.
Ma quello di Cancellara non è uno scatto del fagiano, è un’esplosione di potenza, una meravigliosa espressione dell’essenza del ciclismo. La sua è una pazzesca azione da “finisseur”, per citare Auro Bulbarelli, storico telecronista della Rai. Trionfa a braccia alzate in una corsa che in pochi avrebbero pensato che potesse vincere, con uno scatto che da lì in avanti verrà definito “alla Cancellara”.
È solo un attimo e poi non lo riprendi più.
«Certe cose si fanno d’istinto. Tutti sapevano che avrei attaccato, ma nessuno poteva prevedere dove». Avrebbe potuto vincere solo in quel modo, ma nessuno è comunque riuscito a impedirlo.
Il capolavoro inizia però molto prima: sulla Cipressa non risponde agli scatti di Bettini e Rebellin, rimane in gruppo e conserva preziose energie. Ai piedi del Poggio si fa trovare nelle primissime posizioni, in modo da non dover recuperare troppo terreno in caso di allungamento del gruppo. Sale su con un rapporto molto agile, macinando una frequenza di pedalata impressionante rispetto agli altri. È sempre lì, per tutta la salita e non fa nessuno sforzo per restare con il gruppo di testa perché quando il plotone si spezza lui è già davanti, dall’inizio del Poggio fino allo scollinamento. Poi si butta giù in discesa a testa bassa.
Nello stesso anno ci sono le Olimpiadi di Pechino. Cancellara ci arriva come grande favorito per la prova a cronometro e partecipa alla prova in linea solo per l’assurdo regolamento che prevede che i partecipanti alla prova a cronometro debbano forzatamente partecipare anche alla prova in linea, che si svolge quattro giorni prima su un percorso molto duro.
In cima all’ultima salita passano in testa Davide Rebellin, Andy Schleck e Samuel Sanchez. Gli ultimi chilometri sono una lunga e dolce discesa fino al traguardo, su un’autostrada che scende dalla Grande Muraglia fino a una città lì vicino. Rebellin, Schleck e Sanchez hanno gli occhi di tutte le telecamere puntate addosso, ma da dietro, improvvisamente, arriva un proiettile. Auro Bulbarelli è scatenato. Prima incita Rebellin a dare il massimo, perché il traguardo è vicino, perché in volata Schleck è lento e Sanchez è battibile. Poi la vede anche lui, quella maglia biancorossa che scende giù a uovo, e immediatamente la sua testa partorisce quell’espressione destinata a rimanere incollata al nome del fuoriclasse svizzero da lì in poi: la Locomotiva di Berna.
Cancellara aveva scollinato nel secondo gruppo di inseguitori, dietro al duo composto da Alexander Kolobnev e Michael Rogers. In quella discesa fa probabilmente il numero più bello della sua carriera. Si piega in due sulla sua bici e spinge un rapporto impossibile. Le sue cosce sono pistoni che sprigionano un’energia impossibile nelle gambe di un uomo normale.
La Locomotiva di Berna raggiunge il duo russo-australiano, si mette in testa e prosegue dritto, come una valanga che si trascina dietro qualsiasi cosa.
In fondo all’autostrada c’è un casello prima di arrivare nel rettilineo finale. Cancellara, casello-casello, ha recuperato ai tre di testa quasi trenta secondi nello spazio di un paio di chilometri, in leggera discesa, su un’autostrada, da solo.
Arriverà terzo allo sprint, dietro a Sanchez e Rebellin. Tre giorni dopo vincerà la prova a cronometro, rifilando 33” a Larsson e 1’09” a Leipheimer.
Da quel momento da lui ci si aspettano solo cose grandiose. C’è chi dice che potrebbe perdere sei chili e vincere il Tour. Chi lo vede come possibile vincitore di tutte e cinque le Classiche Monumento (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia). Lui stesso, dopo la doppietta Fiandre-Roubaix del 2010 dirà: «Pochi corridori nella storia le hanno vinte tutte. Mi mancano Liegi e Lombardia, sarebbe bello provarci nei prossimi anni». Dirà anche di voler fare classifica al Tour, almeno una volta. In fondo il suo sogno, da giovane, era proprio quello. Aldo Sassi, storico preparatore della Mapei, rivelò che Cancellara era stato preso per farlo diventare un “nuovo Indurain”. E proprio lo svizzero, dopo la sua vittoria al prologo del 2004, disse che «il sogno più grande è arrivare a Parigi: per poter dire che un giorno ci tornerò da vincitore».
La sua carriera, però, ha preso altre direzioni. Forse avrebbe potuto vincerlo davvero il Tour, dedicandosi a questo obiettivo fin dall’inizio ma sacrificando così buona parte delle sue conquiste più importanti e privandoci di uno straordinario interprete delle corse sul pavé. È diventato il più forte cronoman al mondo inanellando un’impressionante striscia di successi contro il tempo e ha dominato per anni le classiche del Nord, duellando con Tom Boonen fino all’ultima pietra. Gli ultimi due fuoriclasse del pavé.
«Quando riesci a staccare tutti gli avversari come faccio io ti viene la voglia e la forza di farlo in ogni corsa, perché il tuo ego sta bene.»