Alex Schwazer parla con parsimonia della sua carriera agonistica, e quando lo fa usa sempre i verbi al passato. Gli piace invece parlare di sport, dei suoi valori e di quanto abbia rappresentato per la sua vita: praticamente tutto. Non è più un atleta professionista, non lo vuole più essere a quanto dice, ma ama il suo nuovo lavoro, cioè allenare un gruppo di persone che corrono per passione, a livello amatoriale. «C’è molta passione in loro, si tratta di persone con un lavoro e una famiglia che vogliono fare un paio di maratone all’anno senza tutto il business e gli interessi che girano attorno allo sport professionistico».
Oggi Alex Schwazer ha ritrovato una su dimensione: è tornato a vivere a Calice di Racines, la frazione di 400 abitanti in provincia di Bolzano in cui è nato trentadue anni fa e dalla quale era partito a passo di marcia per arrivare a conquistare Pechino. Nel mezzo sono successe tante cose, tra clamorose vittorie e cadute nella polvere. Schwazer ha incassato ed è ripartito sempre «grazie ad una famiglia fantastica e agli amici di sempre, quelli fuori dall’atletica». Ora ha deciso che è ora di fermarsi e mettere su famiglia, così il 10 marzo scorso la sua compagna Kathrin gli ha dato una bambina che si chiama Ida.
Però manca ancora qualcosa: c’è da vincere la battaglia per la propria dignità di persona che ha pagato per i propri errori, ma che non vuole passare da imbroglione recidivo. In questa intervista c’è molto del passato di Alex Schwazer e qualcosa del suo futuro, poco perché l’uomo ragione esattamente come l’atleta che è stato: «Si programma solo il passo successivo, mai a lungo termine».
L’ultima gara della carriera di Alex Schwazer.
«Non riesco ancora a chiudere il cerchio, l’ultimo aggiornamento, se si può dire così, è questo: noi dobbiamo preparare un’ulteriore memoria da indirizzare al giudice di Colonia entro il 31 maggio, una memoria che coinvolge me e i miei legali ma anche il giudice di Bolzano (Walter Pelino che a gennaio fece richiesta del test del DNA da effettuarsi a Parma nel laboratorio del reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, nda). Memoria che si scontrerà con quella prodotta dalla Iaaf e da lì prendere una decisione sulla possibilità di fare l’analisi del DNA entro la fine di giugno. Non riesco a capire cosa sia possibile opporsi alla richiesta di rogatoria fatta da un giudice, ma la Iaaf si oppone perché dichiara che la giustizia sportiva sopravanza quella ordinaria, che per me è assurdo».
Un anno fa Alex Schwazer tornava alle gare dopo 45 mesi di squalifica per doping. Lo faceva da dominatore nella 50 km di marcia della Coppa del mondo, a Roma dove si era allenato per quasi un anno e mezzo sotto la guida di Sandro Donati. La sua fu una vittoria schiacciante, con il secondo classificato staccato di un chilometro, che faceva guardare con ottimismo al futuro di un atleta di talento che sembrava perduto e che invece sembrava poter puntare all’oro olimpico di Rio 2016.
Oggi quell’oro appare il primo passo di un cammino che non si è mai realizzato. Il 22 giugno del 2016 Schwazer è stato dichiarato nuovamente positivo ad un controllo antidoping sostenuto il primo gennaio dello stesso anno, e in Brasile è andato solo per venire condannato a otto anni di squalifica per recidiva proprio prima di correre l’Olimpiade. La sua carriera è finita quel giorno, sei giorni prima della data stabilita per la sua rinascita sportiva. È una vicenda complessa, ricca di risvolti che toccano temi profondo dello sport e della giustizia in generale; su Ultimo Uomo ne abbiamo scritto quando era tornato alle gare e quando era stato di nuovo accusato. A dicembre ne avevamo parlato con Sandro Donati, l’uomo che lo aveva allenato dal ritorno post-squalifica. Ecco invece la versione di Alex Schwazer dodici mesi dopo.
Il docufilm dedicato da Repubblica.it al caso.
Quella attorno alla rogatoria sulle urine non rappresenta il primo tentativo di ostruzionismo da parte della Federazione internazionale al processo di Bolzano. Già durante l’udienza preliminare dichiarò inutile un eventuale esame del DNA. In seguito, di fronte alla richiesta del gip comunque di procedere chiese di poterlo svolgere nel suo laboratorio di Colonia. Hai messo in conto il fatto che queste provette che contengono le urine in cui si trovano le tracce del doping denunciato dalla Wada nei tuoi confronti non arrivino in Italia?
Mi pare un caso eccezionale per il nostro paese in cui di solito sono le parti ad attendere i tempi della giustizia, talmente ingolfati da fissare udienze molto lontane nel tempo, qua invece l’udienza arriva troppo presto.
Alex dopo la sentenza del Tas
Adesso cosa manca per poter andare avanti nel procedimento?
Stando ai fatti sei risultato positivo al controllo dell’1 gennaio e non sei in grado di dimostrare il contrario (nella giustizia sportiva l’onere della prova spetta all’accusato), ma chiedi un test del DNA, perché?
Donati: «Rio era un atto di responsabilità».
Donati ci ha detto che davanti al Tas è venuto per rispetto nei tuoi confronti, ma che non credeva a una vittoria. Tu pensavi lo stesso?
In attesa degli sviluppi legali della tua vicenda passata, come vivi il presente?
Dici che lo sport è tutta la tua vita, ma come ci sei arrivato? Perché un ragazzo che cresce tra le montagne sceglie l’atletica leggera e in particolare la marcia?
Interessante che mi dici che la marcia l’hai conosciuta grazie alla scuola, perché a detta del Comitato olimpico e del suo presidente Malagò l’insegnamento sportivo fatica tantissimo a farsi strada negli istituti scolastici, per problemi economici e di cultura.
Vorrei chiederti del rapporto tra la tua personalità e lo sport. Rivedendo la conferenza stampa del 2012 in cui ammettevi di esserti dopato ho pensato a te come il protagonista delle tragedie classiche, alla sofferenza quasi apocalittica e profonda. Ecco non sarebbe stato meglio fare uno sport di squadra?
Come ti è tornata la voglia di rimetterti in strada dopo quasi quattro anni di squalifica?
Un giovane Schwazer agli Assoluti di Ancona 2010.
Hai avuto qualcuno accanto a te tra colleghi e istituzioni del nostro sport?
Insomma tu eri il nostro atleta più forte e rappresentativo, a Londra saresti stata l’unica speranza di vincere un oro e rimani ancora l’ultimo olimpionico azzurro. Sei stato famoso.
Ad un certo punto ti hanno paragonato a Marco Pantani, per la vicenda e il carattere un po’ chiuso. A distanza di anni, e visto come ti sei rialzato, possiamo parlarne con serenità.
Sacrifici e pressioni insostenibili/anno 2012.
A proposito di Pantani, lui diceva che andava forte in salita per accorciare l’agonia. Mi pare che tu invece apprezzi la fatica.
Quindi è difficile immaginare Alex Schwazer alle Maldive.
Quando hai iniziato ad allenarti con Donati a Roma per andare a Rio, mi è parso si capire che l’obiettivo Olimpiadi fosse un punto finale, per poi ritirarti definitivamente. Mi sbagliavo?
Quindi Tokyo 2020 non è un tuo obiettivo, come ho sentito dire a Donati.
Tutti gli sforzi inutili per competere a Rio.
Immagino tu voglia anche riconquistare una certa credibilità perché ci sono anche quelli che non ti credono e ti credono un dopato impunito.
Alcuni contestano le interviste che rilasci perché non c’è mai un contraddittorio, parola usata più a sproposito dell’ultimo lustro.