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Umberto Preite Martinez
L'unicità di Cancellara
09 ago 2016
09 ago 2016
Tributo a Fabian Cancellara, che domani correrà la sua ultima prova olimpica.
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Umberto Preite Martinez
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Dopo 16 stagioni da professionista, a ottobre Fabian Cancellara dovrebbe ritirarsi. Lo ha deciso nel momento in cui ha sentito di aver dato tutto quel che poteva dare al ciclismo, quando ha capito che il suo dominio sarebbe presto finito. Insieme a lui se ne andrà un pezzo di storia di questo sport, crollerà un monumento che sembrava intoccabile. Ma forse è meglio che si faccia da parte adesso, senza costringere i tifosi a soffrire di fronte allo spettacolo del declino.

 

Quest'anno ha deciso di programmare la stagione seguendo le sue sensazioni. Il fisico di un ciclista è molto delicato e a una certa età bisogna sapersi gestire, senza tirar troppo la corda. L'obiettivo dichiarato era di rendersi per un'ultima volta protagonista alle classiche del Nord, anche a costo di impostare una preparazione particolare che lo potrebbe portare a dover rinunciare alla parte finale della stagione.

 

Spartacus non è più l'automa programmato per vincere sempre e comunque. Della seconda parte della sua ultima stagione non si conosce nessun dettaglio. C'è chi dice che si ritirerà dopo le Olimpiadi e chi sostiene che il fascino di un'ultima medaglia iridata lo porterà comunque a cedere alla prospettiva di compiere un'ultima grande impresa prima della fine.

 

Lo scorso 5 marzo, ha vinto alla Strade Bianche per la terza volta nella sua carriera. Le prime due le aveva vinte di forza, mostrando tutto il suo strapotere tecnico e fisico. La terza, questa, l'ha vinta aspettando il momento giusto, studiando i suoi avversari, vanificando il lavoro di squadra di Stybar e Brambilla grazie alla sua esperienza. «Sapevo che Stybar era scattante e agile come un ciclocrossista, che con Sagan non si sa mai, anche se in un’accelerazione non mi era sembrato brillantissimo, che Brambilla aveva speso molto ma non aveva esaurito tutti suoi sogni e la sua voglia».

 

Dopo la mezza delusione nelle Classiche del Nord, chiuse con un secondo posto al Giro delle Fiandre dietro a Peter Sagan, a giugno ha trionfato nella cronometro di apertura del Giro di Svizzera.

 

Pochi giorni fa ha brillato nella prova in linea a Rio, sacrificandosi per i suoi compagni senza risparmiarsi in vista di una cronometro che sicuramente lo vedrà fra i protagonisti. Forse non riuscirà a vincere, magari non arriverà neanche sul podio, ma in ogni caso sarà l'ultima esibizione sul palcoscenico olimpico di un uomo che ha fatto la storia di questo sport.

 



 

«Io ho avuto sempre la voglia di pormi obiettivi altissimi. In Svizzera c'è poca gente che dice “io voglio vincere questo”, “io vinco questo”. No, dicono “hey, voglio fare una bella corsa”, “mah, vediamo, cerchiamo di dare il massimo”. Sì ma dentro tu sai cosa vuoi, e quello è vincere. Non è che vuoi fare “un po' bene”. Un po' bene lo puoi fare a casa, ma quando gareggi devi voler fare quello che vuoi veramente: vincere. Questa è la mia mentalità».





 

Valkenburg, 1998. Mentre lo svizzero Oscar Camenzind trionfa fra i professionisti e l'Italia infila una meravigliosa tripletta nella prova in linea Under-23 (vince Ivan Basso seguito da Rinaldo Nocentini e Danilo Di Luca), gli occhi dei dirigenti della Mapei (la migliore squadra del momento per quel che riguarda le corse di un giorno) si posano sul vincitore della prova a cronometro Juniores: un ragazzino di 17 anni che si ripeterà l'anno dopo a Verona, viaggiando a una media superiore ai 50 km/h. Non ci pensano due volte, e a soli 18 anni Fabian Cancellara (“lo svizzero che viene dalla Basilicata”, scrive Pier Bergonzi il 6 ottobre 1999 dopo la cronometro di Verona) firma il suo primo contratto da professionista. Ma dovrà attendere la stagione 2001 per fare il suo esordio fra i grandi del ciclismo mondiale.

 

I primi anni fra i professionisti servono al giovane Fabian per prendere le misure. La Mapei è una squadra attrezzata, dove un giovane può crescere tranquillo e senza pressioni, perché a portare le vittorie a casa ci pensa gente come Johann Museeuw e Paolo Bettini, giusto per dirne due. Ma quando a fine 2002 la Mapei chiude i battenti per spostarsi in Belgio e rinascere l'anno successivo come Quick Step, Cancellara sceglie di rimanere in Italia e passare alla Fassa Bortolo dove conferma le aspettative diventando uno dei più forti cronoman al mondo. Nel 2004 riesce nell'impresa di battere Lance Armstrong nel prologo del Tour de France, conquistando la sua prima Maglia Gialla. Sceso dal podio per la premiazione, rilascia ai giornalisti presenti una dichiarazione che lì per lì suona banale, ma che più di ogni altra cosa fa già capire che l'atleta svizzero, almeno in potenza, ha le capacità per arrivare lontano: «Armstrong ha già fatto vedere d'essere in gran forma. Lui, in ogni corsa che fa, parte per vincere. E io ho la stessa mentalità».

 

Il 2006 è l'anno della svolta. Cancellara passa alla CSC di Bjarne Riis e vince, un po' a sorpresa e fra mille polemiche, la sua prima Parigi-Roubaix, staccando sul Carrefour de l'Arbre tutti i suoi avversari, compreso Tom Boonen, il più forte specialista del pavé in circolazione, almeno fino a quel momento.

 

Nel velodromo di Roubaix, Spartacus precede Gusev, Hoste e Van Petegem. Ma nei registri ufficiali risultano sul podio Tom Boonen e Alessandro Ballan. A 10 km dall'arrivo un passaggio a livello si abbassa inaspettatamente durante la corsa, esattamente un attimo dopo il passaggio di Cancellara. Non l'avrebbero comunque mai ripreso, Cancellara, perché quel giorno lo svizzero andava più forte anche di quel treno merci che gli ha consegnato definitivamente la vittoria.

 


Il famoso passaggio a livello. Flecha, in maglia arancione-blu, riesce giusto in tempo a fermarsi. Boonen si guarda intorno spaesato. Quando la sbarra si rialza, Cancellara è ormai lontano.«Non so nulla di cosa è successo. Non mi sono accorto di nulla. So solo che io ero il più forte e che per questo successo ho lottato fin dall'inizio. Sono scattato al momento giusto, ho fatto tutto quello che si doveva fare e basta».


 


«Il Fiandre è una donna latina, che quando è incazzata ti tira dietro anche la tazza. Se c'è un problema o qualcosa non funziona fa un casino, ma alla fine nelle storie ci vuole passione. La Sanremo è una donna bionda, tranquilla, da caviale e champagne. La Roubaix no; la Roubaix è un uomo.»


 

 



Nonostante i i quattro titoli mondiali a cronometro, le due doppiette Fiandre-Roubaix (2010 e 2014), l'anno in cui ogni tifoso di ciclismo si è innamorato di Cancellara è l'unico in cui non ha vinto nessuna di queste corse: il 2008.

 

Il 22 marzo, a poco più di un chilometro dall'arrivo (posto quell'anno sul lungomare Calvino anziché in Via Roma) della Milano-Sanremo più lunga di sempre, la più dura di sempre.

 

Bettini, come al solito, ha fatto esplodere la corsa costringendo le squadre dei velocisti a spremersi già dalla Cipressa. Ai piedi del Poggio, l'ultima mitica salita della Classicissima, il gruppo arriva allungato, quasi sfilacciato. Sicuramente stremato. È Rebellin che porta via un gruppetto con dentro i migliori interpreti delle classiche vallonate, da Gilbert a Pozzato, da Freire allo stesso Bettini. Si guardano, si studiano, aspettano che qualcuno parta per primo per riprenderlo e partire in contropiede. Aspettano “lo scatto del fagiano”, come lo chiamerà poi Riccardo Magrini durante le sue telecronache, quello di chi fa finta di niente per cercare di guadagnare un paio di metri per sorprendere gli avversari.

 

Ma quello di Cancellara non è uno scatto del fagiano, è un'esplosione di potenza, una meravigliosa espressione dell'essenza del ciclismo. La sua è una pazzesca azione da “finisseur”, per citare Auro Bulbarelli, storico telecronista della Rai. Trionfa a braccia alzate in una corsa che in pochi avrebbero pensato che potesse vincere, con uno scatto che da lì in avanti verrà definito “alla Cancellara”.

 


È solo un attimo e poi non lo riprendi più.




«Certe cose si fanno d'istinto. Tutti sapevano che avrei attaccato, ma nessuno poteva prevedere dove». Avrebbe potuto vincere solo in quel modo, ma nessuno è comunque riuscito a impedirlo.

 

Il capolavoro inizia però molto prima: sulla Cipressa non risponde agli scatti di Bettini e Rebellin, rimane in gruppo e conserva preziose energie. Ai piedi del Poggio si fa trovare nelle primissime posizioni, in modo da non dover recuperare troppo terreno in caso di allungamento del gruppo. Sale su con un rapporto molto agile, macinando una frequenza di pedalata impressionante rispetto agli altri. È sempre lì, per tutta la salita e non fa nessuno sforzo per restare con il gruppo di testa perché quando il plotone si spezza lui è già davanti, dall'inizio del Poggio fino allo scollinamento. Poi si butta giù in discesa a testa bassa.

 

Nello stesso anno ci sono le Olimpiadi di Pechino. Cancellara ci arriva come grande favorito per la prova a cronometro e partecipa alla prova in linea solo per l'assurdo regolamento che prevede che i partecipanti alla prova a cronometro debbano forzatamente partecipare anche alla prova in linea, che si svolge quattro giorni prima su un percorso molto duro.

 

In cima all'ultima salita passano in testa Davide Rebellin, Andy Schleck e Samuel Sanchez. Gli ultimi chilometri sono una lunga e dolce discesa fino al traguardo, su un'autostrada che scende dalla Grande Muraglia fino a una città lì vicino. Rebellin, Schleck e Sanchez hanno gli occhi di tutte le telecamere puntate addosso, ma da dietro, improvvisamente, arriva un proiettile. Auro Bulbarelli è scatenato. Prima incita Rebellin a dare il massimo, perché il traguardo è vicino, perché in volata Schleck è lento e Sanchez è battibile. Poi la vede anche lui, quella maglia biancorossa che scende giù a uovo, e immediatamente la sua testa partorisce quell'espressione destinata a rimanere incollata al nome del fuoriclasse svizzero da lì in poi: la Locomotiva di Berna.

 

Cancellara aveva scollinato nel secondo gruppo di inseguitori, dietro al duo composto da Alexander Kolobnev e Michael Rogers. In quella discesa fa probabilmente il numero più bello della sua carriera. Si piega in due sulla sua bici e spinge un rapporto impossibile. Le sue cosce sono pistoni che sprigionano un'energia impossibile nelle gambe di un uomo normale.

 


La Locomotiva di Berna raggiunge il duo russo-australiano, si mette in testa e prosegue dritto, come una valanga che si trascina dietro qualsiasi cosa.


 

In fondo all'autostrada c'è un casello prima di arrivare nel rettilineo finale. Cancellara, casello-casello, ha recuperato ai tre di testa quasi trenta secondi nello spazio di un paio di chilometri, in leggera discesa, su un'autostrada, da solo.

 

Arriverà terzo allo sprint, dietro a Sanchez e Rebellin. Tre giorni dopo vincerà la prova a cronometro, rifilando 33” a Larsson e 1'09” a Leipheimer.

 

Da quel momento da lui ci si aspettano solo cose grandiose. C'è chi dice che potrebbe perdere sei chili e vincere il Tour. Chi lo vede come possibile vincitore di tutte e cinque le Classiche Monumento (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia). Lui stesso, dopo la doppietta Fiandre-Roubaix del 2010 dirà: «Pochi corridori nella storia le hanno vinte tutte. Mi mancano Liegi e Lombardia, sarebbe bello provarci nei prossimi anni». Dirà anche di voler fare classifica al Tour, almeno una volta. In fondo il suo sogno, da giovane, era proprio quello. Aldo Sassi, storico preparatore della Mapei, rivelò che Cancellara era stato preso per farlo diventare un “nuovo Indurain”. E proprio lo svizzero, dopo la sua vittoria al prologo del 2004, disse che «il sogno più grande è arrivare a Parigi: per poter dire che un giorno ci tornerò da vincitore».

 

La sua carriera, però, ha preso altre direzioni. Forse avrebbe potuto vincerlo davvero il Tour, dedicandosi a questo obiettivo fin dall'inizio ma sacrificando così buona parte delle sue conquiste più importanti e privandoci di uno straordinario interprete delle corse sul pavé. È diventato il più forte cronoman al mondo inanellando un'impressionante striscia di successi contro il tempo e ha dominato per anni le classiche del Nord, duellando con Tom Boonen fino all'ultima pietra. Gli ultimi due fuoriclasse del pavé.

 


«Quando riesci a staccare tutti gli avversari come faccio io ti viene la voglia e la forza di farlo in ogni corsa, perché il tuo ego sta bene.»






 

Boonen è nato solo sei mesi prima di Cancellara, ma ha una storia completamente diversa. Al primo anno fra i professionisti, nel 2002, arriva terzo alla Parigi-Roubaix. Alla fine di quella stagione Boonen viene scelto dalla neonata Quick Step per sopperire alla partenza di Cancellara e già dal 2004 diventa, a soli 23 anni, il nuovo fenomeno del panorama ciclistico internazionale. Trionfa alla Gand-Wevelgem (corsa che manca da sempre nel palmares del rivale) e sugli Champs-Elysées, mostrando anche le sue ottime doti da velocista, chiudendo nel migliore dei modi il Tour de France aperto dalla vittoria nel prologo da parte dello svizzero. Così, mentre Boonen diventa il miglior velocista sulla piazza vincendo anche il Mondiale 2005, Cancellara inizia a mostrare un assaggio del suo potenziale a cronometro vincendo 15 prove contro il tempo dal 2002 al 2005 (praticamente tutte quelle a cui prende parte).

 

È proprio nel 2005 che le strade dei due campioni si incrociano per la prima volta sulle pietre della Roubaix. Il belga stravince quell'edizione dopo aver trionfato sette giorni prima al Giro delle Fiandre, chiudendo ad appena 24 anni il trittico del pavé (Gand-Wevelgem, Fiandre e Roubaix). A 3'49” arriva lo svizzero, ottavo, che appare ancora troppo acerbo per competere con gli specialisti delle classiche del Nord.

 

L'anno dopo lo scenario si ripete simile al Giro delle Fiandre con la seconda vittoria consecutiva di Tom Boonen. Ma sette giorni più tardi Cancellara sorprende tutti i suoi avversari piazzando la sua prima vittoria in una grande Classica, davanti proprio al belga della Quick Step.

 

La rivalità fra i due raggiunge il suo apice nel 2008, quando entrambi si presentano al via del Giro delle Fiandre da favoriti d'obbligo. Cancellara, come già detto, ha vinto poche settimane prima la Milano-Sanremo e le Stade Bianche, Boonen arriva da un inizio di stagione incoraggiante in cui aveva collezionato già cinque vittorie. La Quick Step può vantare però una vera e propria corazzata e così, mentre Cancellara marca a uomo Boonen, Stijn Devolder scappa via grazie a un'intelligente gioco di squadra e arriva in solitaria a braccia alzate con indosso la maglia di campione nazionale del Belgio.

 

Alla Parigi-Roubaix però, la squadra conta fino a un certo punto. La Regina delle Classiche è una corsa massacrante: pur non presentando neanche un metro di salita, i 27 settori di pavé che i corridori incontrano negli ultimi 150 km si rivelano spesso più selettivi di una tappa dolomitica. I protagonisti sono costretti a sfidarsi a viso aperto, senza possibilità di tatticismi e giochi di squadra. E così è anche quell'anno. La vigilia è infiammata dalle parole di Cancellara che dichiara di poter battere Boonen in una volata ristretta cambiando la bici dopo l'ultimo tratto in pavé (per la Roubaix, infatti, i ciclisti usano delle bici speciali per sopportare il continuo sobbalzare sulle pietre). Boonen raccoglie la sfida e rilancia: non ci sarà nessuna volata, perché sarà lui a staccare tutti.

 

Si sbagliavano entrambi. Su tutti i settori in pavé i due rivali si attaccano a viso aperto, senza risparmiarsi. Il duello che ne consegue è straordinario: ad ogni allungo dell'uno, l'altro gli si incolla alla ruota senza lasciargli mai neanche un centimetro.

 

Paradossalmente l'attacco decisivo viene sferrato da Boonen e Cancellara in un tratto in asfalto a 40 km dall'arrivo. Boonen cerca di sorprendere tutti muovendosi dove di solito si riprende fiato fra un settore di pavé e il successivo. Cancellara è subito pronto ad andargli a ruota e a rilanciare l'azione. L'unico a tenere il passo è Ballan, bravo a non lasciarsi sorprendere.

 

https://www.youtube.com/watch?v=VTQMc7VxfBQ

Ballan entra nel velodromo di Roubaix per primo ma viene scavalcato in volata sia da Boonen che da Cancellara che chiudono rispettivamente al primo e al secondo posto.




Il 2009, invece, è un anno tragico per entrambi. Nella prima parte di stagione Cancellara rimane fuori dai giochi per un brutto infortunio alla spalla destra lasciando al rivale una facile vittoria alla Parigi-Roubaix. In estate le parti si ribaltano: mentre Spartacus ritrova la giusta condizione, dominando le cronometro al Tour, alla Vuelta e al Mondiale, Boonen attraversa il periodo più buio della sua carriera.

 

Il 9 maggio risulta infatti positivo alla cocaina. Non è una sostanza dopante, ma essendo recidivo viene sospeso dalle gare dalla sua squadra. «Ho preso qualcosa in una serata in cui avevo bevuto troppo. Il mio vero problema è con l'alcol, ora cercherò qualcuno che possa aiutarmi. Penso di avere un problema serio perché dopo essermi comportato in modo esemplare per tre o quattro mesi, esco e oltrepasso i limiti. La verità è che posso essere una persona normale anche per 364 giorni, poi però arriva quello in cui bevo troppo e allora mi trasformo, divento un altro. Non sono uno che mente, ma una persona che ha bisogno di aiuto».

 

Il mondo ciclistico belga è sconvolto: il suo più grande campione, nel pieno della sua carriera, ha appena ammesso la sua dipendenza dall'alcol. La squadra gli rimane vicino e lui inizia un lungo percorso di disintossicazione che lo terrà fuori per il resto della stagione.

 

L'anno dopo il duello si rinnova, di nuovo sulle stesse strade del Nord Europa, ma la superiorità di Cancellara è schiacciante. Boonen viene da una stagione corsa a metà, con sulle spalle la responsabilità di dimostrare a tutti che è tornato davvero. Spartacus è invece nel pieno delle sue forze, determinato come non mai e mette a segno la doppietta Fiandre-Roubaix che era riuscita negli ultimi trent'anni solamente al campione fiammingo e a Peter Van Petegem.

 

Da lì in poi il destino li dividerà continuamente, costringendoli a vivere un duello a distanza.

 

Il 2011 è infatti ancora un anno travagliato per Boonen, ma anche Cancellara sembra vivere un incubo: arriva secondo alla Sanremo battuto per un soffio da Mattews Goss, terzo al Giro delle Fiandre beffato da Nick Nuyens, e poi ancora secondo alla Parigi-Roubaix dietro a Johann Vansummeren.

 

Il 2012 è l'anno di Boonen, che firma la storica tripletta Wevengem-Fiandre-Roubaix entrando nella storia dalla porta principale (straordinaria la sua fuga solitaria di oltre 50 km con cui mette il sigillo sulla sua quarta Roubaix, eguagliando il record storico di Roger De Vlaeminck), mentre la Locomotiva di Berna è ferma ai box per un altro grave infortunio.

 

La risposta di Cancellara è immediata e l'anno dopo sbaraglia la concorrenza siglando un'altra storica doppietta. Questa volta è Boonen a rimanere a casa per problemi fisici.

 

L'annata 2015 è la più travagliata della carriera di entrambi. Fra infortuni e ritardi di condizione, i due trascorrono tutta la stagione al di sotto delle aspettative, spalancando le porte dell'Inferno del Nord a tutti quei ciclisti che per anni hanno visto le loro ambizioni annichilite dallo strapotere di Tornado Tom e Spartacus.

 

Adesso, con il ritiro di Cancellara si chiude un’era. Se Spartacus iniziava le sue stagioni dominando nelle classiche minori in Belgio e Italia, confrontandosi con i migliori alla Tirreno-Adriatico e alla Sanremo per poi tirare dritto fino al Tour e al Mondiale, "Tornado Tom" per più di metà della sua carriera è sempre durato al top della condizione solo il tempo delle classiche del Nord, per poi sparire mentre l'altro conquistava tappe nei Grandi Giri, medaglie olimpiche e mondiali.

 

Un po' per le diverse caratteristiche di base, un po' per la pigrizia del belga, i due si sono ritrovati a duellare solamente sulle pietre di Fiandre e Roubaix. E confrontando i due palmares, seppur entrambi impressionanti, non si può non notare la varietà delle corse vinte dallo svizzero nel corso della sua carriera (fra cui spiccano anche la Tirreno-Adriatico 2008 e il Giro di Svizzera 2009).

 

«Per me, sono il numero 1. Per me. Perché negli ultimi anni ho fatto sempre vedere dall'inizio dell'anno fino alla fine che sono sempre là. Sono là per la squadra, sono là al Tour, non corro solo alle Classiche e a fine stagione. Ho tre picchi di forma e cerco di dare il massimo per la squadra. Questo fa di me quello che sono».

 

 



Ai non appassionati sembrerà strano che un ciclista che non ha mai puntato alla classifica di una grande corsa a tappe (Giro, Tour o Vuelta) possa essere considerato alla stregua di altri grandi campioni più rinomati, come Contador, Nibali o Froome. Ma il segno che ha lasciato Fabian Cancellara in questi anni è indelebile. Nessun altro ha dominato come lui ha fatto nelle sue specialità (classiche, pavé e cronometro).

 

E non è solo il freddo conteggio delle sue vittorie a renderlo la leggenda che è, ma il modo in cui queste vittorie sono arrivate. La prepotenza e la forza con cui le ha volute e conquistate.

 

Cancellara ricorda Ibrahimovic per il suo modo di essere grosso, forte, ma allo stesso tempo innaturalmente aggraziato e coordinato per un uomo di quella stazza. La bicicletta sembra sempre sul punto di spezzarsi ad ogni sua pedalata. Eppure la sua posizione è perfetta, il suo stile impeccabile, la sua eleganza commovente.

 

https://www.youtube.com/watch?v=31VohXkFDFg

In un solo video sono racchiuse alcune delle migliori espressioni della Locomotiva di Berna. Segnalo solo tre momenti chiave: la vittoria al Tour 2007 in Maglia Gialla anticipando tutto il gruppo con i velocisti a Compiègne (0:46-1:50), il “doppiaggio” su Bradley Wiggins con arrivo a braccia alzate al Mondiale a cronometro del 2009 (7:10-8:30) e il momento in cui, all'Harelbeke 2010, Tom Boonen scuote la testa e alza bandiera bianca (9:20).


 

Si dice spesso che uomini con il suo temperamento avrebbero avuto successo in qualunque campo, in qualunque sport. Una convinzione che non fa che alimentare il dubbio su ciò che della sua carriera sarebbe potuto essere ma non è stato, del ciclista che sarebbe potuto diventare ma non è diventato. Un corridore da corse a tappe, con qualche chilo di meno. Uno specialista da classiche vallonate, con un po' di agilità in più.

 

Ma se da giovane avesse deciso di puntare alle corse a tappe, per caratteristiche avrebbe potuto farlo solo al Tour de France, dove le salite sono più dolci e i chilometri a cronometro storicamente superiori rispetto ai percorsi dei Giri d'Italia e di Spagna. Ma quanti ne avrebbe vinti e a cosa avrebbe dovuto rinunciare?

 

Il corpo di un ciclista è come la storiella della coperta corta: se guadagni da una parte, devi cedere qualcosa da un'altra. Se provi ad andar forte in salita devi rinunciare alla tua potenza fisica. Tre Parigi-Roubaix, tre Giri delle Fiandre, un oro e un bronzo alle Olimpiadi, quattro vittorie al Mondiale a cronometro, una Milano-Sanremo, si possono scambiare con una vittoria sulle strade di Francia? Forse sì, ma vincere un Tour de France non ti fa entrare nella storia di questo sport, non ti rende immortale nei cuori degli appassionati. Non fa diventare il ricordo delle tue imprese indimenticabile.

 

Carlos Sastre ha vinto un Tour de France, Oscar Pereiro Sio è riuscito nella stessa impresa. Nessuno si ricorda di loro, tantomeno delle loro storie. Fra qualche anno verranno completamente dimenticati, rimossi dalle nostre menti e dalla nostra memoria. Rimarrà solo un ricordo sbiadito, un nome scritto su Wikipedia nella pagina dell'albo d'oro della Grande Boucle.

 

Quello che ha vinto Cancellara non patisce lo scorrere del tempo. Rimarrà lì, per sempre, come il più forte cronoman della storia, imbattibile sul pavé, capace di tenere testa da solo a un gruppo di duecento corridori lanciati verso la volata. Di certo avrebbe potuto tentare qualcosa di diverso, forse ci sarebbe riuscito e allora staremmo probabilmente parlando del terzo svizzero vincitore del Tour de France, il primo da oltre cinquant'anni. Sicuramente però non sarei qui, oggi, a scrivere che Fabian Cancellara, nato a Wohlen bei Bern il 18 marzo del 1981, è stato uno dei più grandi ciclisti del nuovo millennio.



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