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I nostri pezzi preferiti del 2021
04 gen 2022
04 gen 2022
Articoli a cui teniamo e che magari vi siete persi.
(articolo)
12 min
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Un altro anno è passato - un anno straordinario come tutti, più di tutti. L'anno dello sport italiano, degli ultimi (speriamo) stadi vuoti, della bolla di Tokyo, delle rinascite, della decandenza, delle sorprese. Per noi un anno di articoli, circa 720, come sapete molto lunghi. Visto che la nostra soglia d'attenzione per prima si abbassa ogni mese che passa e tutti abbiamo una pagina in cui conserviamo centinaia di articoli che chissà quando leggeremo lasciateci quest'ultima occasione per rispolverare i pezzi pubblicati nel 2021 che secondo noi meritano una lettura. Pezzi, cioè, scelti dalla nostra redazione per la loro cura, per la godibilità della lettura, per la profondità del punto di vista ma che sono stati letti meno di quanto ci aspettassimo (proprio per la loro cura, per la godibilità della lettura, per la profondità del punto di vista). Per chi di voi ha la fortuna di essere in ferie, magari può essere un modo per fare qualche lettura piacevole. In ogni caso, auguri.

Il Giro donne deve essere una notizia grossa

Senza essere appassionati è difficile potersi interessare a un reportage sul ciclismo, almeno finché non si legge questo articolo di Michele Pelacci. L’oggetto è la 32esima edizione Giro d’Italia donne, ma raccontata da vicino, tappa per tappa. Dentro ci trovate una miriade di dettagli, piccole storie e situazioni spassose, come l’apparizione quasi magica del pilota di Formula 1 Valtteri Bottas, che era lì per seguire la compagna Tiffany Cromwell.

Bobby Fischer contro gli scacchi

Bobby Fischer è il giocatore di scacchi più misterioso e affascinante, e questo ritratto di Andrea Cassini gli rende merito oggi che si può guardare indietro alla sua storia con un po’ più di tranquillità. Si dice che il personaggio di Beth Harmon nella celebre serie Netflix La regina degli scacchi sia ispirata a lui, ma la verità è che la vera storia di Bobby Fischer è molto più interessante.

L’intesa telepatica tra Steph Curry e Draymond Green

Abbiamo parlato dell’intesa tra Curry e Green a febbraio di quest’anno, mentre Golden State affogava in un mare di mediocrità, lontanissima dalla dinastia che avevamo conosciuto. Oggi le cose sono molto diverse: gli Warriors hanno sistemato la loro squadra e sono una delle migliori squadre della NBA, in attesa di Klay Thompson. La costante rimangono sempre Curry e Green, due giocatori che si completano perfettamente a vicenda. Vederli giocare a basket, muoversi come se fossero un’unica entità di basket super intelligente è uno dei motivi che spinge gli appassionati a stare in piedi la notte, recuperare le partite anche a giorni di distanza. Curry e Green, diversi eppure uguali: una delle cose più belle del basket moderno.

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Mi farò trovare pronto, intervista a Nicolò Rovella

Quest’anno abbiamo intervistato più calciatori del solito, quasi sempre giovani, o quanto meno nuovi nel panorama della Serie A. Nicolò Rovella, sembra strano dirlo visto che ha appena 19 anni, è già uno dei centrocampisti italiani migliori del nostro campionato, si definisce malato di calcio e quando parla si capisce che non lo fa per darsi arie. Quando parla dei suoi “maestri”, Schone e Badelj, Dario Saltari è riuscito a vedergli gli occhi a cuore anche via Skype: «Il loro posizionamento in campo è straordinario. Quando guardavo le loro partite da fuori, anche il mister mi diceva: guarda loro. Sono sempre nella posizione giusta, sempre, non sbagliano mai. Quando ricevono palla, quando non hanno palla e quando devono difendere hanno sempre i metri giusti dalle due mezzali, dagli attaccanti, dai difensori. E questa è una cosa che quando giochi in quel ruolo è fondamentale. Perché poi parte tutto da lì: se sei messo bene prima, quando vai a ricevere la palla sei solo». Di solito le interviste ai calciatori si somigliano, ma quando sono appassionati di calcio come Rovella è un piacere starli a sentire.

Mourad Meghni ve lo siete immaginato

«C’è una foto di Mourad Meghni a cui associo la sua immagine. Credo risalga al 2002 o al 2003, a giudicare dalla curva del colletto della maglia del Bologna. Meghni è da poco maggiorenne, perfettamente sbarbato, gli occhi stretti e profondi di Romain Duris. La sua bocca si piega in un sorriso leggero e ambiguo. È giovane, fresco, ha tutta la vita davanti, eppure c’è in lui qualcosa di già anziano, che lo fa sembrare un po’ fuori dal tempo. Forse la grana fotografica, che pare quella satura di quando si restituisce il colore a fotografie originariamente in bianco e nero; forse invece il taglio di capelli démodé, di uno che si siede dal barbiere senza dire niente, lo stesso servizio sin da quando era bambino» e via così, con la storia di uno dei talenti più malinconici mai visti nel nostro campionato.




L’estetica del tennis

Radka Leitmeritz è una fotografa ceca passata dal mondo della moda a quello dello sport e il cui occhio nuovo sta rivoluzionando il modo in cui viene rappresentato il tennis femminile. Questa intervista realizzata da Tiziana Scalabrin riesce a tirarle fuori diverse risposte molto personali, tra argomenti talmente grandi e complessi che sarebbe facile trattare in modo astratto: come si mette in mostra il corpo di una donna? C’è un problema di ipersessualizzazione nel tennis femminile? A spezzare i paragrafi alcune sue foto bellissime che vi faranno voglia di comprare un libro fotografico.

Quello che le medaglie non dicono

Non so se sono io, ma mi pare che quest’anno si sia parlato con particolare trasporto di come si debba ricevere una medaglia a una premiazione sportiva. Bisogna toglierla o lasciarla indossata, rifiutare di essere arrivati secondi o accettarlo con nobiltà? Tommaso Giagni riflette su tutto questo.

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John McEnroe a Roma, storia di una fotografia

Emanuele Atturo scrive delle storie contenute in una foto di McEnroe scattata nel 1987 agli Internazionali di Tennis di Roma e trovata per caso al mercato di Porta Portese dove “tutto può diventare merce”. Non solo merce, la foto in questione è un pretesto per parlare del ruolo degli scarti, della generosità dei campioni, di come cambiano i nostri occhi nel tempo.

Ronnie Coleman e l’utopia del body building

Tutto ciò che estremo esercita un fascino impossibile da negare su di noi. Il body building è estremo. Se sia o meno uno sport, in realtà, non è una questione all’altezza della riflessione al centro di questo pezzo, che - oltre ad essere scritto benissimo - va direttamente al cuore della questione: che facciamo di quelle strane persone che vogliono scolpire il proprio corpo come fosse una statua di carne? Aggiungendo materiale e poi togliendo, con l’aiuto della chimica ma soprattutto con carichi inumani, quasi punitivi? Che pagano questa loro visione, è proprio il caso di dirlo, con problemi di salute anche gravi, in alcuni casi con la morte? In questo senso, è un pezzo persino commovente in un’epoca così divisiva ed esclusiva, e racconta una storia unica, quella di Ronnie Coleman, il primo a spingersi più “oltre” degli altri e a trasformarsi «in una specie di neoumano in similpelle: mastodontico, definito, asciugato. Con una massa di grasso corporeo al tre per cento, le striature del tessuto connettivo e fibroso di ogni singolo muscolo a vista, l’intera rete vascolare ramificata in rilievo». Questo è stato anche uno dei nostri pezzi più letti del 2021, un felice incontro tra la parte più peculiare della nostra sensibilità e la vostra.

Un dente, una gabbia e ossa rotte: storia dell’incontro più folle della WWF

Il Wrestling nella sua natura a metà tra sceneggiatura e azione racconta spesso storie memorabili. Lo è quella dell’incontro Hell in a cell tra The Undertaker e Mankind.




L’analisi di Inghilterra-Italia

Analizziamo partite da 8 anni ma non avevamo ancora analizzato una finale vinta dall’Italia in un grande torneo internazionale. Partite così grandi e hanno la densità drammatica di un grande film d’autore e gli angoli con cui raccontarle sono tanti e riguardo a quella finale, per esempio, abbiamo raccontato anche la grande partita di Giorgio Chiellini. Un esempio, su tutti, della nostra tenacia e della nostra esuberanza difensiva. Scomporne i dettagli tattici, individuare le fasi di predominio, è sempre un esercizio utile per restituire razionalità a un evento che è facile ridurre solo a una battaglia emotiva. Un’analisi tattica non esaurisce certo gli aspetti di una finale, ma rende giustizia all’Italia, che ha soprattutto meritato sul campo la vittoria del torneo; che anche in un contesto estremamente avverso - a Wembley, dopo essere andata in svantaggio dopo un paio di minuti - ha tenuto il sangue freddo e si è rimessa a giocare con ordine e ambizione. E questo è di per sé emozionante. Se volete sapere se ancora vi dà un piccolo tremito rileggere di quella partita, rileggete l’analisi di Fabio Barcellona.

Odiarsi a Belfast

Forse pensate di sapere abbastanza cose su Belfast - «una città dalla bellezza nascosta, talmente nascosta che quando vai all’ufficio del turismo sembrano più loro a chiederti di segnalare qualcosa, nel caso riuscissi a trovarla» - ma qualcosa mi dice che, se non ci siete ancora stati di persona, questo reportage vi stupirà. Racconta non solo di una città divisa in due fazioni separati da muri (“Muri della Pace”) i cui cancelli si chiudono tutte le sere al tramonto, e di case di confine tra quartieri opposti con reti che le proteggono dalle molotov, ma anche di un derby talmento acceso che il Celtic, club cattolico, è stato sciolto dopo che i tifosi del Linfield, squadra lealista, protestante, hanno invaso il campo e rotto la gamba al centravanti. Il Belfast Celtic non esiste più (o meglio, da poco è stato concesso a una squadra amatoriale di usare di nuovo quel nome), ma al suo posto c’è il Glentoran, la squadra che tifava George Best, protestante ma con pubblico e calciatori cattolici, che nel corso degli anni ha dato vita a derby sentitissimi e violenti proprio con il Linfield. Quello di Santo Stefano è un appuntamento fisso del calcio nord-irlandese. Quest’anno si è giocato il 27 dicembre ed è finito 1-1 con un solo espulso.

Bisogna essere riconoscenti a chi ha giocato prima di noi, intervista a Elena Linari

Le difficoltà delle calciatrici delle generazioni passate hanno portato a cambiamenti significativi i cui frutti, oggi, li sta raccogliendo una nuova generazione che può finalmente pensare di essere donna e giocare a calcio per mestiere. Elena Linari è cresciuta a Firenze, poi è andata giocare a Madrid (sponda Atletico) e poi ha vinto la Coppa Italia con la Roma. In mezzo il Mondiale del 2019 che ha fatto innamorare gli italiani della Nazionale femminile.«Se dovessi portare una persona con dei pregiudizi verso il calcio femminile a guardare una partita cosa diresti?», gli chiede Elena Marinelli che l’intervista. «Parlerei di lealtà e rispetto. Ho riguardato la finale di Coppa Italia che abbiamo giocato contro il Milan: c’è stato un fallo durante il primo tempo supplementare di Claudia Mauri, già ammonita, che probabilmente avrebbe dovuto essere sanzionata con un secondo giallo e l’espulsione, ma è stata graziata e noi non abbiamo protestato. Ho sentito il telecronista commentare con un po’ di incredulità, ma per noi è normale».

I campi da calcio della mia vita

I campi da calcio stanno scomparendo, specie quelli che non sono legati direttamente a logiche di profitto e consumo. Per questo riflettere sulla loro importanza, come spazio sociale e di memoria, è innanzitutto un atto politico. Marco D’Ottavi in questo caso mescola il racconto sociale del campo da calcio dell’Atletico San Lorenzo, incastrato tra i palazzi di un quartiere popolare (o di quello che era un quartiere popolare), al racconto dei campi della propria vita: cosa hanno rappresentato, come formano l’identità di chi lo abita, come si inseriscono nel tessuto urbano fatto di relazioni fisiche e umane.

Non siamo pronti a salutare Aguero

Una delle notizie più drammatiche dell’anno, su cui ancora fatichiamo a riprenderci. Una grande crudeltà verso un gigantesco giocatore come “El Kun” Aguero, raccontato qui da Fabrizio Gabrielli. Era decisamente troppo presto per tirare conclusioni sulla sua carriera, ma siamo stati costretti a farlo.

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Giocare con le gambe che tremano

Nel 2021 si è parlato molto del rapporto fra sport e salute mentale, e lo si è fatto con modi e toni diversi, soprattutto grazie a figure come Naomi Osaka o Simone Biles. Questo articolo di Alessandro Gazzi però ci offre un punto di vista interno, raccontando un’epoca in cui era ancora più difficile parlare di questi temi.

I 100 metri sono la gara perfetta

È difficile dire che guardiamo i giochi olimpici per un solo evento, ma se uno deve essere, allora sono cento metri, che in dieci secondi riassumono la sacralità fulminante di un evento sportivo. In questo articolo Daniele Manusia traccia un racconto individuale e universale.

Le prospettive dell’atletica italiana dopo Tokyo

L’atletica leggera a Tokyo - la nostra irripetibile performance a Tokyo - è stata raccontata soprattutto da Riccardo Rimondi. Dopo aver scritto di tutte le gare principali, in questo articolo finale traccia un bilancio e getta una luce sul futuro. Tutte riflessioni ancora valide.

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Davanti al dolore di Eriksen

Uno dei momenti emotivamente più forti dell’anno, milioni di spettatori hanno assistito in diretta al malore di Christian Eriksen e mentre i medici provavano a salvargli la vita e la sua squadra a nasconderlo allo sguardo delle telecamere la regia internazionale trovava pertugi tra le gambe per mostrare il massaggio cardiaco. Siamo rimasti scossi, ma anche confusi, dopo quei lunghissimi minuti. Ci siamo chiesti se era nostro diritto, se è stato giusto vedere quelle immagini. In questo pezzo, scritto a caldo, c’è una riflessione tutt’ora valida. «Io vorrei non aver mai visto quel video. È stato un momento incredibilmente drammatico che non dimenticheremo mai, e di cui vale la pena portarsi dietro solo l’esito luminoso. La storia potenziale di una tragedia umana che si è trasformata in quella di un miracolo.»

La tripletta che presentò Shevchenko al mondo

Poche cose sono affascinanti quanto ricordare il momento in cui un grande talento si è rivelato ai nostri occhi. Guardare nel passato le tracce di quello che sarà, e avere l’illusione che certe volte le cose vanno proprio come devono andare. Pochi hanno avuto una rivelazione tanto fragorosa come Andryj Schevchenko, mostratosi al mondo con una tripletta al Barcellona. Questo articolo di Dario Saltari parla di Sheva giovane, della Dinamo Kiev di Lobanovski, di un Barcellona decadente, di un tempo che - con gli occhi di oggi - ci appare quanto mai poco lineare e progressivo.




Le barricate del calcio italiano

Anche quest’anno non ci siamo fatti mancare un po’ di polemica, perché il calcio è pur sempre un luogo in cui si negoziano i valori della società in cui vogliamo vivere. Scusate l’enfasi, ma è così. Alfredo Giacobbe interviene a marzo, il periodo degli scontri diretti europei, quello in cui il discorso si fa spesso più qualunquista e polarizzato.

Mattia Destro uno di noi

Sembra passato un secolo ma era solo settembre, quando Mattia Destro ha segnato con una bottiglietta d’acqua in mano. Si può raccontare un calciatore e un archetipo umano a partire da un singolo momento del genere, buffo ed equivoco?




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