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Dario Saltari
Mi farò trovare pronto, intervista a Nicolò Rovella
14 set 2021
14 set 2021
Abbiamo parlato con il giovane centrocampista del Genoa.
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Dario Saltari
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Al 68esimo minuto della terza giornata di campionato la stagione del Genoa è già a un crocevia, di nuovo. Difficile risalire al momento in cui il vaso di Pandora è stato aperto, ma solo nelle ultime due stagioni il “Grifone” ha vissuto l’esplosione di un focolaio Covid all’interno del proprio spogliatoio, un esonero, un nuovo ritorno di Ballardini, una salvezza ottenuta alla terzultima giornata e la cessione di almeno uno dei suoi migliori giocatori. Nelle prime due giornate di questo campionato, poi, ha perso contro Inter e Napoli subendo sei gol e segnandone uno, e adesso, sul campo del Cagliari, è sotto di due gol a uno e la sensazione è che se dovesse finire così le cose potrebbero iniziare a prendere una brutta piega.


 

In campo, però, i giocatori di Ballardini non sembrano particolarmente presi dall’ansia. Alla fine, pur non creando moltissimo, avevano tenuto in mano il gioco per la maggior parte del tempo ed erano stati puniti prima da un calcio di rigore e poi da un calcio d’angolo schiacciato in porta dall’altissimo Ceppitelli. Anche il gol che aveva accorciato le distanze era arrivato con calma inusuale: il Genoa aveva recuperato palla sulla propria mediana con Kallon, ma invece di partire in verticale immediatamente, il giovane attaccante sierraleonese aveva deciso di tornare ordinatamente in difesa. A quel punto, com’era successo per tutta la partita, il Genoa aveva deciso di passare per i piedi di Nicolò Rovella, nell’inusuale ruolo di regista per via dell’assenza di Badelj. Il giovane centrocampista rossoblu aveva invitato Vanheusden a staccarsi dalla difesa servendolo sulla corsa, e poi lo aveva come spinto in avanti fino alla trequarti con un gesto della mano. Vaheusden in effetti è salito fino alla trequarti, addirittura dopo, fino all’area avversaria, scaricando prima però per Cambiaso, che invece di premiare il suo inserimento aveva deciso di rientrare sul sinistro per mettere in testa a Destro la palla del 2-1.


 

La scena si ripete identica quasi esattamente 10 minuti dopo: a seguito di una lunga fase di attacco posizionale, il Genoa torna dai piedi di Rovella, che serve Vanheusden sulla trequarti, in posizione da mezzala di fatto. Il centrale belga scarica di nuovo a destra, dove questa volta c’è Fares, che però invece di tornare al centro e tentare il cross dentro l’area chiude il triangolo. Vanheusden questa volta in area ci entra davvero, e col pallone, ma al momento del cross viene chiuso in angolo da Caceres. L’azione del Genoa è un pattern ripetuto, come abbiamo visto, apparentemente non c’è nulla che possa spiccare agli occhi della nostra attenzione, se non fosse che nel momento di massimo sforzo per raggiungere il pareggio a caricarsi dell’incombenza di battere il calcio d’angolo ci va, con la corsa di chi vuole risolvere la cosa, proprio Nicolò Rovella, tra i più giovani della squadra di Ballardini. Che batta tutti i calci da fermo, comprese le punizioni, in realtà non è una novità di questa partita - già prima di questo, aveva battuto un paio di calci da fermo consegnandoli alle mani di Cragno. Ma di questa stagione, la prima in cui sembra indiscutibilmente titolare, sì. E dopo aver alzato la mano destra come ormai sembra fare chiunque per chiamare uno schema, Rovella con una traiettoria arcuata a cadere perfettamente al centro dell’area trova Fares al limite dell’area piccola a mettere in porta il pallone del 2-2, completando la rimonta di una partita che finirà addirittura per vincere, sempre con Fares e sempre con un gol di testa.



L’assist decisivo per Fares mi sembra la prova evidente della nuova centralità tecnica di Rovella all’interno del Genoa, tanto più dopo che Ballardini non ha avuto remore ad affidargli le proverbiali chiavi del centrocampo e dopo una partita in cui ha completato il 90% dei passaggi che ha tentato, ha vinto due contrasti su tre e ha portato al tiro due volte un compagno. Quando gli chiedo se anche lui quest’anno si sente più al centro di questo Genoa, Rovella però sembra essere più cosciente di me della fragilità della carriera di un giovane calciatore non ancora del tutto affermato. «Quello dipende anche tanto da me: se gioco bene, se gioco male. Quando il mister decide di farmi giocare lo fa a seconda delle mie prestazioni: se gioco bene continuerò a giocare, se non giocherò bene è giusto che stia fuori».


 

È una delle poche risposte di circostanza che mi darà in tutta l’intervista, realizzata pochi giorni prima della partita contro il Cagliari in videoconferenza dalla splendida sala affrescata in cui il club genovese conduce spesso i suoi eventi con la stampa. Rovella - 20 anni ancora da compiere - sembra perfettamente a suo agio a parlare con un giornalista ed è totalmente privo di quei meccanismi retorici di difesa che la maggior parte dei calciatori ha per rispondere alle domande senza dire nulla. Spesso lascia in sospeso le frasi come se sapessi perfettamente cosa avrà intenzione di dire, altre volte le riempie con una risata, spesso per schernirsi. Quando parliamo della fiducia che Ballardini gli dà nel fargli tirare anche le punizioni dirette, a volte alternandosi con Hernani, inizia con: «A me è sempre piaciuto tirare le punizioni», per poi chiudere dopo un attimo di esitazione con «Anche se qua ancora gol non se ne son visti… [ride, nda]». «È una cosa che mi diverte, provo sempre a tirarle in allenamento», e poi ancora ridendo dopo un’altra piccola pausa: «Spero che prima o poi escano i frutti di questi allenamenti».


 

Rovella non si fa problemi a parlarmi del rapporto speciale che lo lega all’Inter, che ha segnato il suo ingresso nel mondo del calcio prima come persona e poi come calciatore vero e proprio. Cresciuto a «due minuti» da San Siro, Rovella è stato introdotto al calcio da un padre e uno zio «interisti da generazioni». «La prima volta che sono andato avrò avuto 4-5 anni, ero piccolissimo: andavamo sempre a vedere partite come Inter-Juve, Milan-Inter, partite così. Era pazzesco San Siro, anche l’altra volta che ci abbiamo giocato [alla prima giornata di campionato, ndr] era incredibile. Come il Ferraris, che è un po’ più piccolo, però l’atmosfera è quella». Quando gli chiedo qual è il giocatore che gli piaceva di più quel periodo lui senza pensarci mi risponde Snejider. «Mi ricordo il primo derby che ha fatto, quello in cui era appena arrivato e l'Inter ha vinto 4-0 col Milan».


 

Anche come calciatore, Rovella è stato cresciuto da un'accademia vicina all'Inter, più precisamente in Via Cilea, a Milano; poi la crescita all’Alcione, società dilettantistica, entrambe vicine a San Siro. E infine il passaggio nelle giovanili del Genoa, che riesce a convincerlo a trasferirsi a Genova inserendolo immediatamente nelle giovanili. Rincontrerà l’Inter diverse volte nella sua seppur brevissima carriera, la prima volta all’esordio in Serie A, alla fine del 2019. In panchina allora c’era Thiago Motta, che in quel Derby vinto 4-0 con il Milan segnò il suo primo gol in maglia nerazzurra. «La settimana prima avevo esordito in Coppa Italia qua a Genova [in Coppa Italia contro l’Ascoli, nda]. Lui mi aveva portato su dalla Primavera e durante la settimana avevo capito che c’era qualche possibilità che mi facesse giocare, e quindi ero già gasato da inizio settimana. Poi quando entri allo stadio, vedi 80mila persone… quando mi ha detto: “vai a scaldarti” non ci ho capito più niente». Giocherà solo un’altra partita in quella stagione, sempre contro l’Inter, che è anche la squadra con cui è tornato ad assaporare la presenza dei tifosi, pochi giorni fa, per la prima volta da quando aveva esordito in campionato. «Il calcio senza i tifosi è diverso. Da quando sono tornati è stato molto meglio. Il pubblico ti dà un’adrenalina diversa, si vive la partita in maniera diversa».


 

Tra l’Inter e l’Inter, però, la sua crescita in Serie A non è stata lineare, e forse al Genoa non sarebbe potuto essere altrimenti. Thiago Motta verrà esonerato appena una settimana dopo il suo esordio. E da quel momento la sua carriera tra i professionisti è uscita dal mondo dei sogni per prendere forma tra le difficoltà della realtà. «Piano piano ho dovuto riguadagnarmi tutto da capo: quando cambi mister devi ricominciare tutto da zero». Dopo Thiago Motta avrà altri tre allenatori in una stagione e mezza: prima Davide Nicola, che non lo farà giocare quasi mai, poi Rolando Maran, che invece sembrava puntarci molto, e infine Davide Ballardini, con cui è sembrato davvero doversi riguadagnare il posto da titolare per un’altra volta. Al suo arrivo, a metà della scorsa stagione, Rovella rimane in panchina per quasi un mese per fare posto a giocatori più esperti come Behrami e Strootman, e torna stabilmente nelle rotazioni dei titolari solo a fine stagione. Eppure nonostante questo, e il fatto che dal suo esordio a oggi non siano passati nemmeno due anni, Rovella in Serie A sembra esserci da molto più tempo. Forse è stata la pandemia poco dopo il suo esordio ad allungare la nostra percezione del tempo. Oppure è stata l’instabilità permanente al Genoa ad avercelo fatto rivivere ogni volta sotto una nuova veste, seppur a pochissimo tempo di distanza una dall’altra. Un’altra spiegazione, la spiegazione che mi do io, è che per la naturalezza con cui gioca, Rovella non sembra un giocatore di 19 anni con appena 16 partite da titolare in Serie A.


 

Nonostante abbia relativamente pochi minuti di gioco tra i professionisti, Rovella sembra tutt’altro che fuori posto, e anzi fa parte naturalmente dello skyline del nostro campionato tanto quanto giocatori più esperti e formati di lui. Visto che è difficile dirlo da fuori, quindi, qual è la cosa più difficile che ha dovuto imparare per giocare a questo livello? «Me lo dicevano più gli altri, poi me ne sono accorto anche io nel tempo: quando giochi nelle giovanili hai il tempo di tenere la palla. E a me piace avere la palla tra i piedi. Quando sono arrivato in prima squadra, però, i compagni più esperti e tutti i mister che ho avuto mi hanno chiesto di giocare più veloce, di tenere poco la palla nei piedi, di darla e poi andare a riprenderla un’altra volta. Insomma: di tenerla poco perché se no poi ti arrivano. E questo o lo inizi a capire oppure…». Rovella, credo, volesse terminare dicendo “oppure finisce male” ma per un’altra volta sospende la frase ridendo. Ad aiutarlo nel suo processo di crescita, comunque, sono stati soprattutto Schone e Badelj, che lui definisce “maestri”. «Il loro posizionamento in campo è straordinario. Quando guardavo le loro partite da fuori, anche il mister mi diceva: guarda loro. Sono sempre nella posizione giusta, sempre, non sbagliano mai. Quando ricevono palla, quando non hanno palla e quando devono difendere hanno sempre i metri giusti dalle due mezzali, dagli attaccanti, dai difensori. E questa è una cosa che quando giochi in quel ruolo è fondamentale. Perché poi parte tutto da lì: se sei messo bene prima, quando vai a ricevere la palla sei solo». Rovella non parla solo da calciatore, ma si analizza da fuori anche da vero appassionato. O meglio: da uno che si definisce “malato” di calcio, e che passa quasi ogni momento della sua vita a guardare una qualche partita: «Dalla Serie D all’Eccellenza, dove giocavo all’Alcione: mi guardo tutto».


 

Sentirlo parlare della sua crescita è quindi ancora più interessante, e lo è ancora di più perché, quando lo fa, Rovella parla soprattutto del suo gioco senza palla. D’altra parte, lo stesso Ballardini gli chiede di lavorare soprattutto sulla fase difensiva: «Mi chiede più movimenti, di essere più intelligente tatticamente, di leggere prima le situazioni, di cercare di mettermi nel posto giusto prima senza fare rincorse a vuoto». Lo stesso Rovella mi dice di avere una “carenza” in fase difensiva, eppure la mia impressione è che venga percepito prima di tutto come un centrocampista di quantità - un’impressione in parte corretta se pensiamo che è costantemente in cima alla classifica dei chilometri percorsi in media a partita (dopo queste prime tre giornate di campionato è primo davanti a centrocampisti quasi del tutto difensivi come Busio, Freuler e Cristante). D’altra parte, l’energia che Rovella trasmette in campo è tangibile anche quando parla, con una frequenza di parola che mi lascia costantemente senza fiato nel tentativo di rincorrerlo persino su Skype, a centinaia di chilometri di distanza. Il fatto che sia attratto anche dal lato più fisico, materiale del calcio lo si nota anche dalla sua grande passione per le arti marziali e gli sport da combattimento, di cui parla con gli occhi spiritati del vero fan. «Mi piace vedere come si menino tutto il tempo senza perdere il rispetto per l’avversario. È incredibile come riescano a gestire questi due lati. A me fa impressione: si picchiano a sangue e poi dopo si salutano come se fossero grandi amici, capito?». Rovella è interessato al lato tecnico degli sport di combattimento, che si fa spiegare dal preparatore atletico del Genoa, Alessandro Pilati (pluricampione italiano di judo), ma è visibilmente attratto anche da quella violenza fisica che a me fa istintivamente coprire gli occhi con le mani. «Io avevo un mio compagno di scuola che faceva muay thai e che si picchiettava il callo osseo della tibia per farlo diventare più duro - a volte nel muay thai ma anche nelle MMA se lo rompono. E io mi ricordo che lui riusciva a piegare i banchi di scuola tirando i calci con le tibie».


 

Per la qualità con cui tocca la palla, per la visione di gioco e per il suo gusto nell’associarsi sul corto con i compagni di centrocampo, però, Rovella è un giocatore atipico all’interno della new wave italiana, per certi versi unico. Non un talento che cerca di portare fisicamente il pallone in porta con strappi e giocate di fuoco, come Barella, Zaniolo e Chiesa, ma uno che ordina la squadra con il pallone, che ama accarezzarlo per posizionarsi nella maniera più corretta con il corpo, che vede le geometrie in campo. Non credo sia un caso, a questo proposito, che quando gli chiedo quale siano i giocatori che gli piacciono di più al momento lui mi citi due tra i centrocampisti più cerebrali e raffinati del momento come Frenkie de Jong e Marco Verratti. Di quest’ultimo mi dice di invidiargli tutto: «È anche sottovalutato secondo me: è uno dei tre centrocampisti più forti che ci sono al mondo in questo momento. Ha tutto e sa fare bene tutto. Se potessi rubargli una cosa gli prenderei il controllo palla, quello che fa, cioè, quando ha la palla tra i piedi. Non gliela tolgono mai». Quando gli faccio notare che anche lui ha un ottimo controllo palla per l’ennesima volta si mette a ridere: «Sì, ma io sono a livelli…». Rovella lascia cadere di nuovo la frase facendo segno con la mano tesa in orizzontale all’altezza della fronte che per lui Verratti è su un altro piano. Ma è davvero così difficile pensare che un giorno possano giocare insieme? Alla fine con un CT così attento allo sviluppo dei giovani come Roberto Mancini e un ruolo, quello di riserva di Jorginho, che sembra ancora scoperto, chissà che non possa accadere prima di quanto non ci sembri plausibile oggi. Quando gli chiedo se sotto sotto ci spera di andare al Mondiale del prossimo anno, però, lui fa la faccia di chi ha appena sentito qualcosa di fuori dal mondo. «Ma come posso sperare di andare al Mondiale? Ho ancora 19 anni, c’è tempo, è ancora tutto iniziato. Devo dimostrare ancora tante cose».


 

In ogni caso, l’apparente contrasto tra il lato fisico e il lato più puramente tecnico del talento di Rovella è ciò che lo rende un giocatore allo stesso tempo interessante in prospettiva e ancora indecifrabile al momento, a partire dal ruolo. Rovella è un regista, come ha giocato nelle giovanili, o una mezzala, come invece ha fatto quasi sempre tra i professionisti? «A me piace giocare più a centrocampo che in avanti, mi piace di più prendere palla anche basso… essere più libero, capito? Anche da mezzala, però, mi trovo bene». Di sicuro, quello che vorrebbe avere di più in futuro è il pallone: «Ma credo che ogni giocatore voglia avere più tempo con la palla tra i piedi. E non è solo una questione di squadra, è una cosa che posso migliorare anche da me singolarmente, perché dipende anche da come mi posiziono in campo se posso ricevere più palloni, magari più avanti, nella trequarti avversaria. Posso migliorare anche io, e sto cercando di migliorare».


 


Nel frattempo, già contro il Napoli il temporaneo pareggio del Genoa arriva proprio da un suo smarcamento sulla trequarti seguito da una bellissima apertura a destra per Sabelli.


Alla fine, l’eccitazione che proviamo verso giocatori così giovani deriva proprio dal fatto che contengono ancora tutti i futuri possibili e dalla curiosità, quindi, di scoprire quale si srotolerà davanti ai nostri occhi. Questo è ancora più vero per Rovella, con quella faccia allo stesso tempo da bambino e da anziano, e quel talento che sembra appartenere a molti giocatori diversi. La stagione appena cominciata, in ogni caso, ci rivelerà una prima parte della sua storia. Sarà l’ultima con la maglia del Genoa prima di diventare a tutti gli effetti un giocatore della Juventus, che lo aveva già acquistato nel gennaio dello scorso anno lasciandolo a Genova in prestito. Rovella mi dice di voler chiudere questa esperienza con una salvezza tranquilla e possibilmente con un gol, che alla fine sarebbe il primo in Serie A. «Sogno di fare gol al Ferraris da quando gioco nelle giovanili qua a Genova. Speriamo che prima o poi arrivi». E se arrivasse al Derby? «Magari», mi risponde con un’altra risata contagiosa «Sarebbe proprio…». Come al solito non finisce la frase, lasciandomi immaginare come sarebbe, un suo gol al Derby.


 

Impossibile, però, non riflettere oggi su che tipo di giocatore sarà alla fine di questa stagione, quando la Juventus sarà costretta a riflettere sul suo valore, e a decidere se puntarci subito o continuarlo a fargli fare esperienza altrove. «Secondo me se non sono ancora in un club di prima fascia è perché non me lo merito e perché non sono ancora pronto. Che poi il Genoa è un club importante, di Serie A, e se gioco nel Genoa vuol dire che…», il discorso si interrompe forse per umiltà, per non voler ammettere ad alta voce di essere perfettamente adeguato al livello a cui è arrivato. O forse è solo il suo cervello che va troppo più veloce della sua lingua perché Rovella subito dopo passa a riflettere sul suo futuro. «È giusto che io mi faccia le mie esperienze e poi quando verrà il momento mi farò trovare pronto sicuramente». Effettivamente per la naturalezza con cui gioca ai massimi livelli e per la caparbia che ci ha messo per arrivarci, questa è l’unica cosa di cui possiamo essere sicuri davvero.


 

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