Seguo Elena Linari da quando è tornata a casa diventando una delle calciatrici della Fiorentina Women’s. Era la stagione 2016/17, aveva 22 anni e quella squadra avrebbe vinto il primo Scudetto della sua storia. Non sapevo niente di lei e poco del calcio femminile in generale, immaginavo l’esistenza del movimento, come tutti, e guardavo video su YouTube ripresi con il cellulare o trasmessi da televisioni locali – la vendita dei diritti TV sarebbe arrivata dopo pochi anni. Ho memoria viva del dicembre 2016 per due ragioni: la prima bronchite di mio figlio e la prima volta in cui mi comincia a frullare in testa, in modo più roboante, questo oggetto sempre più concreto: il calcio femminile.
Il 3 dicembre, la Fiorentina giocava a casa del San Zaccaria, una frazione in provincia di Ravenna dal sapore di case isolate e comuni denuclearizzati. Ha vinto la formazione toscana 5-1, dopo che il San Zaccaria aveva tenuto la diga del vantaggio fino al sessantesimo. Elena Linari ha segnato un gol di testa, quello del 4-1, ricevendo la sponda di un tiro su calcio d’angolo: si è alzata in area e l’ha fatto molto facile, equilibrista dell’area di rigore.
Elena Linari è soprannominata «The Wall» per il modo di abitare il campo e la difesa, per le sue doti tecniche e fisiche: è razionale, lucida, tra le migliori interpreti italiane del ruolo di difensora centrale. In Serie A ha giocato nel Brescia femminile, nella Fiorentina Women’s e dall’inizio del 2021 nella Roma femminile; ha passato un anno e mezzo a Madrid, tra le file dell’Atletico, e pochi mesi a Bordeaux. Nel mezzo, sempre presente, la maglia della Nazionale italiana, con cui tra le altre cose ha partecipato all’ultimo Mondiale disputato in Francia.
Hai definito spesso il Mondiale di calcio femminile del 2019 come il primo, in un certo senso, riferendoti sia all’accelerazione dello sviluppo del movimento sia all’organizzazione generale dell’evento. Il primo Mondiale in grande.
Come è stato essere «scoperta» dopo il Mondiale 2019 ed essere visibile a un pubblico più vasto per la prima volta?
Pensi che indossare la maglia della Nazionale oggi per una calciatrice italiana abbia un valore più profondo, proprio per il peso di questa dedizione che arriva dal passato?
In Spagna è diverso?
La ricetta è sempre una: investimenti e pubblico.
E che ruolo ha la visibilità sui media, in senso generale?
Un altro esempio: abbiamo partecipato con una delegazione della Nazionale a un programma su RaiUno (Notte Azzurra, andato in onda in prima serata lo scorso 1 giugno, ndr): era impossibile e impensabile che anche solo la mia presenza, senza che dicessi quasi nulla, permettesse a me e a tutto il movimento di avere una rappresentanza, vicina al mondo del calcio maschile.
Passi avanti.
Se dovessi portare una persona con dei pregiudizi verso il calcio femminile a guardare una partita cosa diresti?
Non siamo abituati, come spettatori, ad atteggiamenti simili.
Giappone 2012, Mondiale U20. Minuto 0:35. La punizione è quasi alla trequarti. Elena Linari prende la rincorsa, guarda l’obiettivo e il tiro finisce nell’angolo più lontano. La partita finirà 1-1 contro il Brasile.
Altra Nazionale, stavolta Under-20 e il tuo gol spettacolare su punizione contro il Brasile. Lo sono andata a riguardare, mi ricordavo della tua esultanza prolungata, esplosiva. E per una difensora fare gol è una parentesi, un momento mai scontato, anche se tu a volte segni e tiri anche i rigori.
Durante la partita Italia-Portogallo (finita 3-0) che è valsa la qualificazione in anticipo agli scorsi Mondiali eri in panchina, e c’è stato in momento in cui le telecamere hanno indugiato molto su di te che aiutavi coach Bartolini e la panchina a gestire i cambi. Cosa stava succedendo in quel momento?
Come si costruisce un gruppo coeso, secondo te?
La panchina come spazio di tensione e frustrazione, quindi.
Hai giocato dal 2016 al 2018 con la Fiorentina Women’s. Immagino sia stato più complicato di altre volte andare via.
Ti sei trasferita a Madrid per iniziare la stagione 2018 – 2019, per l’Atletico, per seguire il sogno di diventare professionista.
Dopo la Spagna, pochi mesi al Bordeaux in Francia, poi sei tornata in Italia per giocare a Roma, lo scorso gennaio. Una seconda metà di stagione brillante, quella appena conclusa, finita con il primo trofeo in assoluto. Come valuti l’anno della Roma?
Nelle prime dieci partite di Campionato prima del tuo arrivo la Roma ha totalizzato quattro pareggi: ne prendo uno su tutti, quello contro la Florentia San Gimignano. La partita è finita 1-1 con tante occasioni sprecate da parte della Roma e la rimonta delle toscane.
Io sono arrivata in un momento positivo per me: non avevo alcuna pressione personale, perché dovevo riprendermi da periodi di mancanza di fiducia e di panchina e arrivavo da squadre dove mancava l’unione di gruppo. A Roma ho trovato tutto questo e ho sentito la fiducia da parte dello staff tecnico e della squadra.
Un proposito per la prossima stagione?
Prima della finale di Coppa Italia, Betty Bavagnoli ha suggerito in tre parole un modo per giocare quella partita così importante: passione, coraggio e umiltà e prima dell’incontro hai aggiunto in un’intervista la tranquillità. La vittoria è stata “tutta qui”?
Dopo la finale di Coppa Italia, Camelia Ceasar ha detto che il tuo arrivo ha dato sicurezza alla squadra e alla difesa, perché sei una giocatrice con cui si può portare palla e perché hai reso stabile tutto il comparto difensivo.
Lo hai fatto in una partita su tutte: nella finale di Coppa Italia.
Quali sono le cose più importanti per la cura del tuo corpo?
Aver sperimentato fasi di allenamento mentre non eri titolare ti ha aiutato durante lo stop in pandemia?
È vero che hai una cura particolare per i tuoi scarpini?
L’obiettivo è dimenticarsene, in un certo senso? Devono diventare tutt’uno con i piedi.
Sei una persona molto attenta ai diritti civili, alle discriminazioni a cui è soggetto lo sport femminile e abbracci spesso battaglie in questo senso: penso ai messaggi che usi per valorizzare il tuo sport, per scardinare i pregiudizi, alla tua vicinanza alla comunità LGBTQ+: come è nato il tuo impegno?
Mi racconti del tuo logo?
Ultima domanda: hai paura del fallimento?