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Elena Marinelli
Bisogna essere riconoscenti a chi ha giocato prima di noi
04 giu 2021
04 giu 2021
Abbiamo parlato con Elena Linari, centrale difensiva della Roma.
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Elena Marinelli
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Seguo Elena Linari da quando è tornata a casa diventando una delle calciatrici della Fiorentina Women’s. Era la stagione 2016/17, aveva 22 anni e quella squadra avrebbe vinto il primo Scudetto della sua storia. Non sapevo niente di lei e poco del calcio femminile in generale,

l’esistenza del movimento, come tutti, e guardavo video su YouTube ripresi con il cellulare o trasmessi da televisioni locali – la vendita dei diritti TV sarebbe arrivata dopo pochi anni. Ho memoria viva del dicembre 2016 per due ragioni: la prima bronchite di mio figlio e la prima volta in cui mi comincia a frullare in testa, in modo più roboante, questo oggetto sempre più concreto: il calcio femminile.

 

Il 3 dicembre, la Fiorentina giocava a casa del San Zaccaria, una frazione in provincia di Ravenna dal sapore di case isolate e comuni denuclearizzati. Ha vinto la formazione toscana 5-1, dopo che il San Zaccaria aveva tenuto la diga del vantaggio fino al sessantesimo. Elena Linari ha segnato un gol di testa, quello del 4-1, ricevendo la sponda di un tiro su calcio d’angolo: si è alzata in area e l’ha fatto molto facile, equilibrista dell’area di rigore.

 

Elena Linari è soprannominata «The Wall» per il modo di abitare il campo e la difesa, per le sue doti tecniche e fisiche: è razionale, lucida, tra le migliori interpreti italiane del ruolo di difensora centrale. In Serie A ha giocato nel Brescia femminile, nella Fiorentina Women’s e dall’inizio del 2021 nella Roma femminile; ha passato un anno e mezzo a Madrid, tra le file dell’Atletico, e pochi mesi a Bordeaux. Nel mezzo, sempre presente, la maglia della Nazionale italiana, con cui tra le altre cose ha partecipato all’ultimo Mondiale disputato in Francia.





 

[reply]È stato un privilegio e un onore partecipare. Poche persone avrebbero scommesso su di me, perché sulla carta non ero la prima scelta e un infortunio della mia amica Cecilia Salvai ha rimescolato le carte. Venivo dall’Atletico Madrid, avevo vinto la Liga, ma non avevo giocato molto e mi sono impegnata per rimanere nei tempi giusti e in condizione per partecipare al Mondiale. La mia partecipazione attiva è stata dettata da un insieme di fattori e di eventi.[/reply]

 



 

[reply]È stata una soddisfazione enorme che tanta gente si sia appassionata al Mondiale e al calcio femminile italiano. In tanti non sapevano chi eravamo e dopo ci riconoscevano per strada, sapevano i nostri nomi. Le bambine hanno iniziato a chiederci un autografo. Quello è stato il momento di svolta per noi. Il percorso non è stato facile, ma quelle partite hanno dato un senso ai sacrifici: noi siamo state le persone che hanno messo in atto i sacrifici fatti da altre prima di noi, che facevano due lavori e prendevano solo un rimborso spese per giocare in Serie A, che hanno messo dedizione per il movimento.[/reply]

 



 

[reply]Sì, lo sentiamo forte e chiaro. E secondo me bisogna essere riconoscenti nella vita a chi si è fatto il mazzo prima di te. E lo ha fatto nell’ombra rispetto a oggi. Si allenava su campi di terra e fango e ha lottato per far emergere il movimento e per i diritti di tutte.[/reply]

 



 

[reply]Nella Liga c’è stata una visione diversa rispetto all’Italia. Si è creata da subito tanta audience, tanto pubblico alle partite e diverse realtà come Atletico e Barcellona si sono fatte conoscere in fretta. È stato più facile da questo punto di vista, ma quando ero all’Atletico ho scoperto che tante mie compagne fino a due anni prima si allenavano in modo meno strutturato, senza tutti quegli aiuti che poi sono arrivati.[/reply]

 



 

[reply]Ti dico anche che in Spagna la differenza è stata proprio questa: c’è stata ad esempio più spinta dalla TV che dà in chiaro alcune partite della Liga femminile. Le partite di Atletico e Barça sono trasmesse dal canale

in chiaro. Si può vedere e seguire il calcio femminile con più facilità.[/reply]

 



 

[reply]Serve, ma è un insieme di fattori che riesce a far emergere un movimento. I social media, ad esempio: Instagram c’era ma non sapevamo che sarebbe stato importante per agganciare un pubblico. Anche Facebook. Sono mezzi che oggi hanno una rilevanza diversa rispetto ad alcuni anni fa e il fatto di poter usufruire di canali importanti e di arrivare a più persone possibili è rilevante.

 

Un altro esempio: abbiamo partecipato con una delegazione della Nazionale a un programma su RaiUno (

): era impossibile e impensabile che anche solo la mia presenza, senza che dicessi quasi nulla, permettesse a me e a tutto il movimento di avere una rappresentanza, vicina al mondo del calcio maschile.[/reply]

 



 

[reply]Tanti, sì. Ma non basta: i pregiudizi ci sono ancora. Alcuni li abbiamo abbattuti dopo il Mondiale, ma ce ne sono altri.[/reply]

 



 

[reply]Parlerei di lealtà e rispetto. Ho riguardato la finale di Coppa Italia che abbiamo giocato contro il Milan: c’è stato un fallo durante il primo tempo supplementare di Claudia Mauri, già ammonita, che probabilmente avrebbe dovuto essere sanzionata con un secondo giallo e l’espulsione, ma è stata graziata e noi non abbiamo protestato. Ho sentito il telecronista commentare con un po’ di incredulità, ma per noi è normale.[/reply]

 



 

[reply]Al Mondiale è stato lo stesso: noi abbiamo rispetto per gli arbitri. Personalmente, non vedo motivo per cui i colleghi maschi ricorrano al vis à vis con l’arbitro. Capisco gli sponsor, la pressione, i soldi del calcio maschile, ma è un comportamento che avviene nonostante ci siano i guardialinee e la VAR e non lo comprendo.[/reply]

 


 
 

Giappone 2012, Mondiale U20. Minuto 0:35. La punizione è quasi alla trequarti. Elena Linari prende la rincorsa, guarda l’obiettivo e il tiro finisce nell’angolo più lontano. La partita finirà 1-1 contro il Brasile.



 



 

[reply]Non vivo per il gol come un attaccante ovviamente, che deve spingere a segnare e desiderarlo, volerlo fare. Arricchisce il mio curriculum, mi dà soddisfazione, perché è bello aiutare la squadra, ma penso di essere abbastanza altruista. Cerco di essere razionale e lucida e casomai preferisco lasciare i rigori e punizioni ad altre. Qui alla Roma ci sono tante compagne che possono farlo.[/reply]

 



 

[reply]Mi sentivo convolta, ma non mi importava di essere in panchina e non sul campo, ho sentito di dover essere vicino alle altre e aiutare le mie compagne. Era un momento particolare per me, ho sentito di dover fare così perché era la mia ultima partita al Franchi, l’ultima partita in Italia, già sapevo che sarei andata a Madrid. Si gioca in undici e non sempre si può partecipare attivamente. Vedendo la confusione generale e accorgendomi il bisogno, ho aiutato, sono stata vicina a chi doveva entrare.[/reply]

 



 

[reply]Partirei proprio dalla panchina. È l’elemento fondamentale della squadra, perché accoglie chi non gioca e spesso non mette mai i piedi in campo. Sono quelle calciatrici, però, che si impegnano tutto l’anno, che devono sempre dimostrare qualcosa durante gli allenamenti, lontano dai riflettori della partita. Non essere titolare significa rimanere sul momento, meritare un’opportunità.[/reply]

 



 

[reply]A volte sì. E chi sta lì mette da parte l’ego per la squadra. A Madrid ho vissuto questo e non è facile, quindi cerco di motivare le ragazze in panchina, a seconda del feeling che ho con loro.[/reply]

 



 



 

[reply]Sono tifosa della Fiorentina e non posso negarlo. Al cuor non si comanda, come si dice, ma nonostante questo do tutto per le squadre in cui gioco. Giocare per la propria squadra è una grande responsabilità e sono arrivate la partecipazione in Champions, ho giocato allo Stadio Franchi per lo scudetto. Io andavo in tribuna a tifare per la Fiorentina ed essere interprete di un pezzo di storia del club è stata una emozione forte. Non è stato facile andarmene via, è vero: ho creduto corretto avvertire la società, ma sapevo che era il momento giusto per me, per andare avanti nella mia carriera.[/reply]

 



 

[reply]Sì, quello, ma sono andata in Spagna anche per fare esperienze nuove, per avere soddisfazioni personali diverse. Il professionismo permette alla prima squadra di crescere in modo decente e consono per quello che facciamo, ma offre alle giovani l’opportunità di venire su in modo adeguato, avendo a disposizione staff di allenatori e preparatori selezionati e ricercati. Ci permette di progredire e di avere un futuro con basi solide.[/reply]

 





[reply]Tre anni fa è iniziato un progetto ambizioso con ragazze giovani che insieme alla mentalità di coach Bavagnoli hanno dimostrato di essere competitive. Il contro è stato magari avere una squadra inesperta, nonostante l’innesto di Andressa o Vanessa Bernauer.[/reply]

 



 

[reply]All’inizio della stagione c’era rammarico per alcune partite dominate a livello di gioco ma poi non finalizzate, e poi è arrivata la semifinale di Supercoppa italiana contro la Juventus, a gennaio 2021, che ha lasciato strascichi positivi e negativi nella squadra: la Roma ha giocato ad armi pari con la Juve ma ha perso 2-1 e c’era molto dispiacere per l’occasione persa. Questa partita è servita, però: la Roma cresceva.

 

Io sono arrivata in un momento positivo per me: non avevo alcuna pressione personale, perché dovevo riprendermi da periodi di mancanza di fiducia e di panchina e arrivavo da squadre dove mancava l’unione di gruppo. A Roma ho trovato tutto questo e ho sentito la fiducia da parte dello staff tecnico e della squadra.[/reply]

 



 

[reply]Diventare più ciniche: nelle ultime settimane è mancato il gol. Facciamo sempre molto possesso palla, facciamo vedere un bel gioco, ma si vince se si fa gol e questo manca per competere contro la Juventus, il Milan o la Fiorentina.[/reply]

 



 



 

[reply]È successo che la panchina ci ha spinto, il pubblico allo stadio ci ha dato supporto, abbiamo messo forza in campo. Abbiamo avuto anche il coraggio di provarci dall’inizio alla fine e non era scontato. Per me tranquillità significa raggiungere un punto critico che permette di essere lucidi per applicare il gioco che bisogna fare. L’impulsività a volte non porta risultati concreti.[/reply]







[reply]Mi fanno piacere le parole di Camelia. Mi fa piacere aver dato un contributo alla squadra e aver messo un po’ della mia esperienza a servizio della squadra.[/reply]





 

[reply]La Coppia Italia è stata meritata secondo me per il percorso che il club, la squadra e la società hanno intrapreso insieme.[/reply]

 



 

[reply]Allenamento, nutrizione e riposo. C’è una pianificazione precisa, ho un preparatore atletico per gli off season e per gestire al meglio le energie durante i momenti di riposo. A Madrid mi allenavo con lui perché non giocavo, mentre a Roma che sono titolare ho ritmi di allenamenti diversi e il privilegio di farlo in modo puntuale.[/reply]

 



 

[reply]Sì, direi di sì. Ho passato due mesi e mezzo in casa da sola a Madrid e ho avuto la fortuna di avere vicini straordinari. Per allenarmi, usavo le videochiamate e facevo sedute in diretta. Il mio nutrizionista ha pianificato una precisa alimentazione, che sono riuscita a seguire da sola. Sono riuscita ad allenarmi bene, non ho perso la condizione fisica e quando sono tornata in Italia mi sentivo bene.[/reply]

 



 

[reply]Sì: devono essere tenuti bene. È una cosa che mi ha passato mio padre. Fino a qualche tempo fa ingrassavo gli scarpini per bene, perché erano totalmente in pelle e facevo in modo di non arrivare in partita con gli scarpini duri. Adesso ho degli scarpini un po’ diversi ma continuo a prendermene cura.[/reply]

 



 

[reply]Esatto, altrimenti è come camminare con le scarpe troppo strette e hai problemi con i cambi di direzione, nello stoppare la palla o anche solo nella corsa.[/reply]

 

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