Era la prima volta che Cristiano Ronaldo si assentava dai campi per così tanto tempo. Non si avevano più sue notizie da quel Celta Vigo-Real Madrid del 25 gennaio, quando a metà del secondo tempo si era fermato a bordo campo tenendosi la coscia destra, con in viso la stessa disperazione isterica che il mondo aveva visto durante la finale degli Europei. Si era girato verso la sua panchina chiedendo il cambio, improvvisamente, ed era uscito dal campo scuotendo la testa, come se una divinità lo stesse punendo ingiustamente, mentre lo stadio fischiava.
Sembrava un infortunio muscolare, una cosa da niente. Ma adesso tutti si chiedevano che fine avesse fatto. Erano settimane che non si vedeva alla Ciudad Real Madrid, settimane in cui Florentino Perez continuava a dare risposte elusive alla stampa. Era andato a Funchal, a Madeira, a curarsi da un suo medico di fiducia per risolvere definitivamente il suo problema al tendine rotuleo, diceva. Ma a Funchal nessuno l’aveva visto e, insomma, non è facile nasconderti quando sei Cristiano Ronaldo, figuriamoci in una piccola isola in mezzo all’Oceano Atlantico.
Era una situazione talmente nebulosa che generò gli scenari più surreali. La più accreditata, che a quanto pare veniva da voci ben informate, diceva che Cristiano Ronaldo era entrato in una crisi esistenziale senza precedenti a causa del suo drammatico calo di forma nell’ultima stagione: da quel grottesco Legia Varsavia – Real Madrid di Champions League, infatti, la sua percentuale di dribbling riusciti era crollata ad uno scioccante 0%. Secondo alcuni, era andato a confidarsi con il dottore che si rifiutò di far abortire sua madre, quando era incinta di lui.
Il 12 marzo, qualche ora prima che il Real Madrid scendesse in campo al Bernabeu contro il Betis, su Twitter iniziò a circolare una foto strana, scattata da un tifoso marocchino della Casa Blanca. Ritraeva quello che sembrava un tecnico di laboratorio, vestito di un’ingombrante tuta plastificata bianca, mentre trasportava un manichino su uno di quei carrelli che di solito usano i corrieri per spostare più pacchi uno sopra all’altro. La scena si svolgeva davanti a un enorme edificio di cemento in mezzo al deserto. La cosa strana, però, non era tanto quella, quanto che il manichino fosse uguale, identico a Cristiano Ronaldo. Sembrava il suo cadavere, se non fosse che il colorito era assolutamente sano, gli occhi incredibilmente vivi e le gambe rigide a sorreggere il busto eretto.
Nessuno aveva idea di come prendere quella foto. Molti ipotizzarono che fosse un fotomontaggio, probabilmente messo in giro da qualche azienda per promuovere una strampalata strategia di ninja marketing. Ovviamente si trasformò presto in un meme: CR7 trasportato in discarica, CR7 portato in cima al Monte Fato, CR7 riposto nel seminterrato dei robot “ritirati” in Westworld. Nessuno la prese molto seriamente, insomma.
Solo un reporter del The Independent si prese la briga di scavare in quella storia, trovandoci alla fine il più incredibile articolo della sua vita: That meme about Cristiano Ronaldo you shared wasn’t a fake – The unbelievable story behind the Robot-Soccer, questo sarà il titolo. Si era vestito proprio come un tecnico da laboratorio, quel reporter, dopo essere riuscito a mettersi in contatto con l’utente Twitter che aveva scattato quella foto. E non si sa come era riuscito a intrufolarsi in quello strano edificio di cemento in mezzo al deserto, che aveva scoperto essere nella periferia est di Smara, nel nulla del Sahara occidentale conteso tra il Marocco e il Fronte Polisario.
Aveva girovagato per quell’insieme di laboratori facendo finta di essere perfettamente a conoscenza di dove fosse, fino all’incredibile scoperta. Un campo di calcio in erba sintetica al coperto, recintato da dei vetri in plexiglas, a dividerlo da dei piccoli spalti. Dentro, due uomini in giacca e cravatta e due in camice con i tablet in mano a discutere animatamente. Davanti a loro il manichino, Cristiano Ronaldo, nudo di fronte a un pallone, immobile, ma con un peso tangibile sul terreno. Sembrava respirasse. Tra lui e la porta una sagoma di plastica, di quelle che si usano per comporre le barriere negli allenamenti dei calci piazzati.
I lettori dell’Independent vedevano questa scena dagli schermi dei loro cellulari e computer, attraverso la telecamera nascosta dentro la finta maschera del finto tecnico infiltrato. I quattro uomini coi tablet continuavano a discutere, fino a quando uno, con il camice, non prese a digitare qualcosa sul suo schermo. A quel punto il CR7 nudo si mosse: corse incontro il pallone, entrò in possesso, doppio passo, ruleta.
D’improvviso, però, qualcosa smise di funzionare: invece di evitare la sagoma, infatti, il manichino vivente di Cristiano Ronaldo cercò di passarci attraverso con tutto il pallone sbattendoci contro. Non appena le teste dei due manichini si toccarono, CR7 finì a terra in maniera estremamente teatrale, come se la sagoma avesse appena commesso il più brutale dei falli. Quello fu l’interruttore che fece riprendere i litigi tra i quattro uomini col tablet, questa volta ancora più violenti. Uno aveva la mimica del corpo che diceva: e adesso cosa facciamo.
Il video continuava con una scena in quella che sembrava a tutti gli effetti una mensa aziendale. Il finto tecnico aveva stretto conoscenza con un vero tecnico, che forniva nuovi inquietanti dettagli davanti a un vassoio bianco con un piatto di cous cous e verdure. Diceva che CR7 era solo uno dei “tre prototipi attualmente in fase di test” ma che ormai era diventato inutilizzabile “per questa storia del bug dei dribbling”: “Pensavano di aver risolto il problema definitivamente quest’estate quando l’abbiamo ritirato per qualche settimana, e invece stiamo ancora qui a lavorarci”. Si riferiva a quell’infortunio del vero Cristiano Ronaldo durante la finale di Euro2016, che l’aveva tenuto fuori fino all’inizio della stagione?
Oltre al video, l’inchiesta dell’Independent conteneva altre informazioni. Risaliva, ad esempio, alla proprietà di quell’inquietante edificio posto in mezzo al nulla del deserto marocchino: una società offshore con sede nelle isole Saint Kitts and Nevis chiamata HuroSot Ltd. Tra gli intestatari apparse il nome di Meng Qingchun, membro cinese della FIRA, la Federation of International Robot-Soccer Association.
Quell’articolo conteneva tante ipotesi inquietanti, ma nessuna rivelazione vera e propria. Per giorni, in Europa, fu praticamente l’unico argomento di discussione, in TV e sui social. Tutte le nuove interviste a calciatori iniziavano con la domanda su cosa pensassero della questione ed erano pervase da una strana diffidenza, come se l’intervistatore non fosse realmente sicuro dell’identità del suo interlocutore. Mesut Özil, stanco delle insistenti illazioni su una sua presunta somiglianza a un robot umanoide, si portò dietro la madre in conferenza stampa, che mostrò anche alcune foto del parto.
Inevitabilmente ci fu un’esplosione di fake news sull’argomento. Su Facebook, ad esempio, raggiunse il milione di condivisioni un fotomontaggio che mostrava un’incredibile somiglianza tra quello che veniva spacciato per Meng Qingchun e Wu Lei, il cosiddetto “Maradona cinese”. Sopra il commento: «Giocano anche a fare Dio: li hanno creati a loro immagine e somiglianza».
Il Real Madrid, sommerso di domande fin dal giorno stesso della pubblicazione dell’inchiesta, alla fine dovette cedere e dichiarò ufficialmente che non aveva la minima idea di dove fosse finito il suo numero sette, che dopo quell’infortunio disse effettivamente alla società di voler andare a Madeira per farsi curare ma che dopo non fu più rintracciabile. A quel punto la situazione scivolò in psicosi: la casa spagnola di Cristiano Ronaldo fu assediata in maniera permanente da un nugolo di giornalisti, mentre la Liga fu costretta a sospendere il campionato perché le squadre si rifiutavano di scendere in campo con il Real Madrid finché non si sarebbe fatta chiarezza. Cristiano Ronaldo Junior rimase ferito nella calca di reporter che tentavano di fargli una domanda su suo padre.
Proprio mentre la situazione sembrava collassare su sé stessa, il primo maggio una società fino ad allora sconosciuta, la Humanoid Solutions, avviò una colossale campagna di marketing su media tradizionali e social network. Comprò pagine sui principali quotidiani economici d’Europa e video promozionali su Facebook e Twitter per dire che sì, CR7 era un robot, e sì, l’aveva prodotto proprio la Humanoid Solutions. Avrebbero voluto fare la rivelazione solo tra una decina d’anni circa, ma purtroppo l’inchiesta dell’Independent unito al bug ancora irrisolto di CR7 l’avevano costretti ad accelerare i tempi.
La Humanoid Solutions era una multinazionale con sede a Taiwan. Grazie al suo presidente Meng Qingchun collaborava con la FIRA che, ricordavano i coloratissimi video promozionali, attraverso la RoboCup aveva come obiettivo quello di creare entro la metà del 21esimo secolo una squadra di robot umanoidi in grado di battere in una partita regolamentare i più recenti vincitori della Coppa del Mondo. Il successo di CR7 l’aveva convinta che quell’obiettivo fosse molto più facile da raggiungere di quanto si pensasse all’inizio.
Cristiano Ronaldo, però, non era l’unico prototipo. Era il primo e anche il più rudimentale, spiegava il CEO della Humanoid forse scimmiottando Steve Jobs. CR7 era in realtà un acronimo che stava per Customers’ Robot 7.0: ovvero la settima release del primo robot commercializzabile. Il problema, però, è che questo primo esemplare aveva sviluppato una coscienza di sé troppo complessa, un ego ipertrofico che l’aveva convinto di poter davvero plasmare la propria realtà a piacimento.