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Marco D'Ottavi
La Juventus vince, alla fine
16 mag 2024
16 mag 2024
La squadra di Gasperini non è riuscita a scardinare la Juventus.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / Fotoagenzia
(foto) IMAGO / Fotoagenzia
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Dopo la partita, dopo i confetti, dopo la Coppa e la medaglia, Allegri e il suo staff si sono seduti sui cartelloni pubblicitari dell’Olimpico, lo sguardo sognante rivolto alla curva occupata dai tifosi bianconeri. C’è un senso di fine nei loro gesti, ma una fine serena, di chi in una serata perfetta ha sovvertito un destino avverso, una storia che pareva già scritta. Già, perché a discapito della storia, del DNA, dell’abitudine, forse mai come prima in Italia la Juventus sembrava la vittima sacrificale di turno, il simulacro da sacrificare sull’altare dell’Atalanta di Gasperini, quest’esperienza collettiva a cui mancava solo un trofeo per legittimarsi.

Al fischio d’inizio in un Olimpico gonfio di tifosi e degli acuti di Al Bano, si arrivava infatti con una Juventus capace di vincere solo 3 delle ultime 17 partite, mostrando un calcio spesso spento e in balia degli eventi; dall’altra parte invece l’Atalanta aveva vinto sei delle ultime sette partite in grande spolvero, un’inerzia positiva capace anche di distrarci anche da alcuni problemi, come la mole di partite giocate dalla squadra di Gasperini (51 contro le 41 della Juventus) per arrivare in fondo a tutte le competizioni o le assenze di Kolasinac e Scamacca, due degli uomini più importanti di questa stagione, due assenze che peseranno enormemente. E le assenze hanno necessariamente formato le due squadre, con Gasperini che ha scelto di sostituire il suo centravanti con De Ketelaere (ruolo già coperto soprattutto nella prima parte di stagione), con alle spalle Lookman e Koopmeiners. In difesa invece accanto a Djmisiti e Hien c’era De Roon, con Pasalic a centrocampo. Per Allegri l’assente era Locatelli, sostituito forse un po’ inaspettatamente da Hans Nicolussi Caviglia, così come inaspettata era stata la scelta di Iling-Junior a sinistra al posto di Kostic.

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Se le scelte dei due allenatori avevano qualche specifico motivo tattico, però, non c’è stato neanche il tempo di scoprirlo. Dopo 3 minuti e 45 secondi, qualche lancio lungo e un paio di duelli aerei, la Juventus è già in vantaggio. È tutto molto semplice: Bremer riceve nella sua zona di competenza, al centro nella propria trequarti, Koopmeiners - forse pensando toccasse a qualcun'altro - è pigro nell’accorciare la distanza o almeno coprire il passaggio centrale del difensore della Juventus. Nel buco lasciato a centrocampo il più lesto a infilarsi è McKennie, che partendo da una posizione molto avanzata si abbassa portandosi dietro de Roon, il centrale di sinistra. L’americano è bravo a giocare di sponda per Cambiaso alla sua sinistra, che, dopo il controllo di petto, di controbalzo gioca un bellissimo filtrante nello spazio lasciato sguarnito da de Roon per Vlahovic, che intanto è partito alle spalle di Hien.

Qui è successa una cosa. Hien, da presunto ultimo uomo, invece di scappare indietro col suo avversario decide di fare un passo avanti per lasciarlo in fuorigioco. La squadra di Gasperini, marcando a uomo, non ha lo stesso istinto delle difese in linea che giocano a zona, per cui il fuorigioco è parte del sistema difensivo. Hien prende una decisione individuale, che ha senso, ma che viene punita dalla posizione di Djimsiti alla sua destra, il quale - per motivi che rimangono oscuri - è senza marcatura più indietro del compagno, e tiene in gioco Vlahovic. Il centravanti serbo è poi cinico nel resistere al veemente ritorno dell’avversario con il corpo e a scegliere di calciare col destro, il piede debole, alla destra di Carnesecchi, infilando il pallone all’angolino e inaugurando quella che sarà una delle sue migliori partite con la maglia della Juventus fin qui.

Da questa inquadratura si capisce bene l'errore, se errore vogliamo chiamarlo. Su chi sia la colpa, si potrebbe scrivere un libro: rimaniamo alla versione grande gol di Vlahovic, bella azione della Juventus.

Dopo il gol la Juventus può fare la Juventus, cioè costruire un blocco basso granitico e impossibile da scardinare al centro. Per l’Atalanta l’assenza di Scamacca diventa un macigno. De Ketelaere infatti non ha il fisico e le caratteristiche per contenere gli anticipi di Bremer, e anche Lookman e Koopmeiners non sono a loro agio nel ricevere spalle alla porta, sempre in spazi stretti, sempre contenuti da Gatti o Danilo. Quando, con difficoltà, riescono a calciare, c’è sempre un corpo bianconero pronto a immolarsi con una respinta, una scivolata, un contrasto.Finisce che l’Atalanta fa possesso, ma è un possesso sterile, un giro palla che non vuole finire nei cross, non c’è nessuno in area a prenderla, ma che non ha molte alternative. Al contrario la Juventus quando riesce a recuperare palla appare più centrata del solito. Risale il campo velocemente trovandosi a memoria, Vlahovic, gasato dal gol, riesce spesso a ripulire il pallone per i compagni, i tagli di McKennie, che parte più avanti di tutti per poi scambiarsi di posto con Cambiaso mettono in crisi le marcature dell’Atalanta. Al 17’ Rabiot manca l’aggancio in area di rigore dopo una bella azione che è partita da destra e viene rifinita da Chiesa a sinistra. Al 19’ sono due colpi di tacco al volo di Vlahovic e Rabiot - sì avete letto bene - a lanciare il serbo in profondità e solo una perfetta lettura difensiva di de Roon evita pericoli maggiori. Al 32’ è Iling-Junior a poter far male puntando Djimsiti in campo aperto, ma la sua azione è troppo moscia. Ci vuole il miglior Ederson - il segreto forse meglio nascosto di questa stagione dell’Atalanta - e una buona prova dei tre difensori per contenere la sensazione che, più che il pareggio, è il raddoppio a essere nell’aria. È una sensazione che manca da un po’ alla Juventus, una forma di controllo senza palla che addirittura rimanda al primo ciclo di Allegri, quella squadra che quando passava in vantaggio sembrava invincibile. Questa squadra, però, ha meno qualità e avere meno qualità vuol dire che, ogni cosa e all’improvviso, può andare storto. Al 34’ Djimsiti imbuca per Koopmeiners nel mezzo spazio di destra, l’olandese allunga di prima verso De Ketelaere, il suo passaggio è sporcato da una deviazione di Danilo, che taglia fuori la copertura di Bremer sul belga e aggiusta il pallone per la sua conclusione di sinistro. È una palla invitante, che rimbalza, con lo specchio aperto. De Ketelaere però legge i rimbalzi e colpisce sporco, d’esterno sinistro, mandando in curva la migliore occasione del primo tempo, nonché l’unica.

Uno degli esempi delle difficoltà di De Ketelaere, qui avrebbe anche il tempo per controllare spalle alla porta e far avanzare rapidamente l'azione, ma perde un tempo di gioco e si fa recuperare da Bremer che lo sovrasta fisicamente.

Nel secondo tempo Gasperini inserisce El Bilal Touré al posto proprio di De Ketelaere. Più che una bocciatura per il belga è una bocciatura della sua scelta di snaturare i compiti del suo giocatore più creativo, una scelta che più avanti finirà per pagare. L’ingresso del maliano migliora il gioco diretto dell’Atalanta, ma non cambia più di molto la partita. La Juventus col passare dei minuti perde un po’ di lucidità in ripartenza, ma non nella fase difensiva. Il tema diventa questo: l’Atalanta cerca Lookman perché è l’unico che può creare superiorità in spazi stretti, la Juventus lo raddoppia, Lookman scarica per Ruggeri che crossa (saranno 9 alla fine, quasi tutti nel secondo tempo). Il cross viene respinto dai difensori della Juventus. C’è un senso di impotenza in una squadra che fin qui ha segnato 96 gol ma che non riesce a tirare in porta con quasi tutti i suoi giocatori offensivi in campo. Come cambiare una situazione del genere? La scelta di Gasperini è di effettuare tre cambi al 59’, inserendo Miranchuk per Pasalic e arretrando Koopmeiners, Hateboer per Zappacosta, con la speranza magari che possa essere lui ad arrivare su un cross di Ruggeri, e Scalvini per Hien, così da avere anche un difensore abile nell’inserirsi in avanti e scompigliare in qualche modo il blocco basso della Juventus. Sono cambi che però non funzionano: Miranchuk sbaglia quasi ogni scelta, come il disastroso tentativo d’imbucata d’esterno sinistro per Touré; Scalvini si fa vedere, ma non è chiaro quali siano i suoi compiti o la sua posizione in campo; Koopmeiners arretrato si perde in un bicchiere d’acqua, Hateboer è lento e macchinoso, e l’Atalanta a destra rinuncia anche ad attaccare. La soluzione è sempre palla a Lookman e poi chissà. Lookman, una volta, ci riuscirebbe anche a scappare al raddoppio, ma il suo tiro finisce sul palo. Quando è invece un cross di Ruggeri a trovare un calciatore dell’Atalanta, Miranchuk calcia alto sopra la traversa.

La Juve raddoppia su Lookman, il pallone finirà a Ruggeri per un cross.

Sono allora i cambi di Allegri, Miretti per Nicolussi-Caviglia e Yildiz per Chiesa a cambiare un po' l'inerzia, ridare vita alle ripartenze della Juventus, che avrà le migliori occasioni anche nel finale, prima con un gol di Vlahovic annullato per un fuorigioco millimetrico, poi con la traversa colpita da Miretti da ottima posizione. I giocatori dell’Atalanta, costretti anche a vedere le lacrime di de Roon, uscito per infortunio dopo un recupero eccezionale su Vlahovic (che aveva mandato al bar Miranchuk con un primo controllo-croqueta davvero notevole), continuano a essere imbrigliati nella trappola della Juventus. Il finale convulso serve solo a ricordarci una cosa: che - in un calcio fisico e di duelli individuali - i calciatori della Juventus sono ancora i migliori in Italia. Non è la prima volta che l’Atalanta sbatte contro questo assunto e per Gasperini è difficile smarcarsene, perché se c’è un limite nel suo calcio è che non ci sono altri piani. Bremer chiude tutti, Danilo legge prima ogni scelta degli avversari, Rabiot al 90’ è fresco come una rosa. Anche Milik, entrato per tenere su qualche pallone in pochi minuti si mette più in mostra di tutti gli attaccanti dell’Atalanta. I tiri in porta dell'Atalanta rimarranno zero anche al fischio finale. La partita finisce allora sulla sfuriata di Allegri, che in un improvviso attacco di rabbia contro l'arbitro, ma verrebbe da dire piuttosto contro tutto il mondo circostante che non sono i suoi giocatori, si fa espellere. È però l'inquadratura successiva, durata appena un secondo, di uno spentissimo Gasperini a rimandare il senso di impotenza suo e di tutta la sua squadra.

L'Atalanta perde la prima delle due finali, quella che forse avrebbero scelto di perdere se funzionasse così nel calcio. Ma la perde male, non tanto nel gioco, quanto nelle sensazioni. L'infortunio di de Roon accorcia ancora di più le possibilità in difesa per la partita con il Leverkusen, il ritorno di Kolasinac è ancora in dubbio. Le partite di Koopmeiners e De Ketelaere, spesso tra i migliori nelle ultime uscite, lasciano qualche dubbio sul loro stato di forma. Certo, tornerà Scamacca e, per paradosso, a Dublino la squadra potrebbe giocare più libera, contro un avversario che cercherà meno di renderti la vita impossibile con la sua difesa. Dall'altra parte Allegri, riprendendo una famosa frase di Mourinho, ci ricorda che lui non è un poeta e che i trofei sa ancora vincerli. È stata forse la miglior Juventus di questa stagione, sicuramente la versione più simile a quella di novembre-dicembre che aveva conteso lo Scudetto all'Inter. Se quella però resisteva sui nervi, questa è sembrata una squadra più a suo agio a fare questo calcio, a difendersi sì ma a giocare anche bene, con o senza palla, a esaltare le qualità di Vlahovic, la forza di Bremer, questo strano ibrido che è diventato Cambiaso che può essere mezzala creativa e stopper di Loookman. Non sembra, però, che questa squadra possa avere un futuro. Ogni gesto di Allegri dopo la partita è sembrato quello di un uomo esautorato dalla dirigenza, ma - per sua fortuna - non dai suoi uomini. E sono stati proprio loro a regalargli questo bel successo, giocatori forti che sanno essere decisivi quando conta e quando riescono a giocare un calcio che li ispira. Se dovesse restare, questa cosa Allegri dovrebbe ricordarsela bene.

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