Il detenuto #1027820 barcolla malconcio lungo i corridoi del penitenziario di Lovelock, oltre 400 chilometri a nord-ovest da Las Vegas. In Nevada la pena di morte ha fatto 12 vittime dal 1976 ma, dopo una vita di eccessi, “The Juice“ è ormai giudicato un detenuto modello. E non potrebbe essere altrimenti. Un ginocchio martoriato da 15 anni di football non può più resistere agli oltre 150 kg di peso corporeo che trascina ogni giorno. Le cure mediche di base del regime penitenziario non gli permettono di operare l’articolazione malandata e con la condanna a 33 anni rischia seriamente di non poter più deambulare. Paradossale per uno degli sportivi più leggendari della NFL, per uno come lui che ha costruito una vita, una carriera, una legacy sulla sua corsa.
The Rhythm of the night
È una calda serata di tarda primavera in California e nemmeno L.A. può scampare alla legge degli anni ’90 che ci ha portato la peggior moda del ‘900, Michael Bay e l’Eurodance. Mentre gli Ace of Base vendevano 4 milioni di dischi, gli USA stavano per ospitare i loro primi mondiali di calcio, mentre i Bulls per la prima volta dopo tre anni non partecipavano alle NBA Finals, il campionato MLB di baseball stava per chiudersi anticipatamente per colpa dell’ennesimo lockout. È un contesto socio-sportivo in fibrillazione ed è importante collocare la vicenda per provare a capirne le sfumature a oltre 22 anni di distanza.
È infatti in questo contesto che, la notte tra il 12 giugno e 13 giugno 1994, Nicole Brown Simpson e Ronald Goldman vengono trovati privi di vita davanti alla casa di lei a Brentwood. I due sono stati accoltellati numerose volte a morte, e Nicole si ritrova il viso, il collo e le mani completamente sfigurate. Nicole, mamma tedesca e padre americano, coniugava la delicatezza dei lineamenti mitteleuropei con la solarità californiana. Aveva fatto parecchia strada da quando lavorava come cameriera al Jack Hanson’s a Beverly Hills e aveva fatto perdere la testa all’allora sposato, ed ex stella della NFL, Orenthal James Simpson. Dopo il divorzio di lui i due si sposarono nel ‘85, ma definire il matrimonio con O.J. “un roller-coaster emozionale” è un eufemismo.
L’intensità del loro rapporto ne causa la separazione nel 1992. Oltre alle tante violenze domestiche durante la convivenza, i 2 anni successivi furono una escalation di morbosità, un gioco perverso tra i due ex coniugi. O.J. era quello che oggi si definirebbe uno stalker: si nascondeva tra i cespugli fuori da casa sua e la pedinava. I due provarono a riavvicinarsi ma il rapporto tornò a spezzarsi definitivamente.
La scena che si para davanti a Robert Riske, il poliziotto del LAPD che per primo arriva sulla scena del delitto, è raccapricciante. I due corpi furono scoperti solamente ore dopo l’omicidio e, in mezzo a un bagno di sangue, l’agente riuscì a scovare un guanto appartenente probabilmente all’omicida. Mark Fuhrman, Simi Valley e Tom Lange, i detective assegnati al caso, per notificare la morte di Nicole si recano alla tenuta dell’ex coniuge O.J Simpson nel bel mezzo della notte.
Arrivati al 360 di North Rockingham Avenue trovano una Ford Bronco parcheggiata sul retro dell’abitazione con piccole tracce di sangue sulla portiera e al suo interno. Temendo per la vita di O.J., e non ottenendo risposta al citofono, Fuhrman e gli altri due detective decidono, senza autorizzazione, di irrompere scavalcando il cancello. Ed è qui, nel cortile dell’abitazione, che il detective Fuhrman ritrova un secondo misterioso guanto. Ma nessuna traccia di O.J., volato verso Chicago poche ore prima.
O.J. rientra volontariamente a Los Angeles il giorno seguente ma una volta arrivato nella sua villa viene ammanettato dalla polizia. Il tutto viene impietosamente ripreso dalle telecamere di una TV locale e fa scoppiare un caso mediatico. O.J. non era formalmente in arresto ma il messaggio era chiaro: a 12 ore dal ritrovamento del corpo di Nicole Brown, O.J. Simpson era il principale indiziato. Questo primo pasticcio mediatico è seminale su quello che sarà il processo del secolo ma soprattutto di quella che sarà l’incapacità del Dipartimento di gestire una situazione che si trasformerà in breve, e in modo paradossale, in un caso al di sopra delle loro possibilità.
The greatest run I’ve ever seen
Orenthal James Simpson nasce a San Francisco nel 1947 e deve il suo particolare nome a un fantomatico attore francese molto amato dalla zia – qualcuno ipotizza possa invece essere l’attore e compositore inglese Harry Rosenthal. A differenza di altri prodigi del football, nati con la palla nella culla, O.J. soffre dall’età di 2 anni di rachitismo ed è costretto a indossare durante l’infanzia una struttura alle gambe in stile “Forrest Gump”.
Viene cresciuto dalla madre nel quartiere di Potrero Hill, che prima di diventare una zona da classe media agli albori degli anni ’90 era un quartiere popolato da proletari e immigrati europei. O.J. è turbolento e incline ad ambienti malsani: a 13 anni entra nella gang dei Persian Warriors e assaggia presto il penitenziario giovanile nel 1962. Il suo primo approccio al football lo ha con la squadra del Galileo High School ma una volta diplomatosi non trova altro che la via di un community college locale, il City College of San Francisco – il cui motto, ironicamente, è “The Truth Shall Make You Free” (“La verità può renderti libero”). Qui succede l’inaspettato: con la maglia dei Rams, giocando stabilmente sia in attacco che in difesa, stupisce tutti, al punto di essere inserito nel Junior College All-American team. Dopo due anni di purgatorio arriva così la chiamata di John Mckay da South California che gli offre una borsa di studio, e da lì O.J. non si fermerà più. Con la maglia dei Trojans guida per due anni consecutivi la nazione per yard corse, ed entra nel discorso Heisman Trophy già il primo anno dopo una leggendaria partita contro UCLA.
“The Juice” insieme alla prima moglie Marguerite, che giurò di non aver mai subito abusi da parte di O.J.
Anno di grazia 1967, al Coliseum si gioca una delle stracittadine collegiali più famose di sempre. USC e UCLA sono rispettivamente #1 e #2 del ranking e si giocano il dominio sulla città, vittoria della conference e accesso al Rose Bowl 1968. La partita è durissima e le difese la fanno largamente da padrone, ma O.J. si rende protagonista di 3 giocate che decideranno a modo loro la partita. Nel primo tempo mette a frutto il suo passato da defensive back fermando con un tackle un bel punt return dei Bruins che sbaglieranno il field goal successivo, dando il via ad una giornata disastrosa per gli special team dei Bruins.
Dopodiché segna i suoi primi punti a tabellone a chiusura del primo tempo con un touchdown da 13 yard dove si carica, letteralmente, tre avversari sulle spalle portandoli direttamente in endzone.
Poi nell’ultimo quarto cala la mano vincente. 3&7dalle proprie 36. La giornata nera del kicker dei Bruins è finita con l’ennesimo errore al PAT e UCLA comanda di appena 6 punti. Il quarterback dei Trojans Toby Page, vedendo i linebacker posizionatisi per uno schema di pass coverage, chiama un audible per cambiare schema e consegnare la palla nelle mani di O.J. da I formation. Come ricorda anni dopo lo stesso O.J., una pessima chiamata in quella situazione di campo.
Il fullback gli libera il corridoio centrale ma O.J. non ha blocchi sul secondo livello e la sua azione sembra fermarsi qui, ben prima di chiudere il down, braccato dagli avversari. Ma, in modo del tutto innaturale, comincia a schivare, saltare e a dimenarsi, liberandosi dagli avversari che cadono letteralmente come birilli. Chiuso il down vira a sinistra e continua la sua corsa, poi vira di nuovo al centro e taglia in due il campo. Nessuno arriva nemmeno vicino a toccarlo e chiude la corsa con un TD da 64 yard che regala la vittoria ai suoi Trojans che qualche settimana più tardi vinceranno anche il titolo nazionale contro Indiana al Rose Bowl.
“The greatest run i’ve ever seen”.
Coach McKay, uno capace di vincere 4 titoli nazionali, affermò senza mezze misure: «È stata la più grande corsa che abbia mai visto!». Perderà però la volata all’Heisman a discapito di Gary Beban, il QB di UCLA che in quella partita lancerà 300 yard con le costole malconce dopo uno scontro di gioco nei minuti iniziali. Dovrà aspettare 12 mesi per mettere le mani sull’Heisman, che vince con il più largo margine di sempre. O.J. è un rullo compressore con la leggerezza di una farfalla.
O.J. incontra Nixon assieme ad altri membri del All-Star Team NCAA nel 1968.
The Bronco Run
“The Juice”, per spirito di collaborazione, viene interrogato il 13 giugno senza la presenza del suo avvocato. In questa sede si contraddice più volte e non fornisce alcun alibi o spiegazione sul taglio al dito che, secondo sua ammissione, si era provocato proprio il giorno precedente. O.J. non fa quasi in tempo a nominare come suo avvocato il rampante Robert Shapiro che l’arresto viene ufficializzato pochi giorni dopo.
Il buon rapporto tra Shapiro e il Dipartimento, la delicatezza del momento e il pasticcio dell’ammanettamento spingono la polizia a dare la possibilità ad O.J. di costituirsi. Ma “The Juice”, che per sfuggire all’orda di giornalisti si era rintanato nella casa dell’amico Robert Kardashian, fugge dall’abitazione e dalla custodia del suo avvocato aiutato dall’amico, e vecchio compagno di glorie in NFL, Al Cowlings. I due salgono su una Ford Bronco bianca (sì, identica a quella trovata davanti sul retro di casa Simpson il 13 giugno) e si mettono in fuga sulla Los Angeles freeway. “The Juice” è armato di una .357 magnum, di 8.000$ in contanti e di passaporto, ma viene ovviamente ben presto rintracciato e braccato dalla polizia. O.J. raggiunto telefonicamente dal detective Tom Lange è in stato di shock e manifesta tendenze suicide, continuando però a ribadire la sua innocenza.
Il LAPD fa sgombrare la freeway incominciando così il più lento e grottesco inseguimento della storia. La Bronco continua a procedere a velocità moderata per 90 minuti guardata a vista da volanti ed elicotteri della polizia, il tutto in diretta nazionale. Dai cavalcavia i losangelini in estasi acclamano a gran voce O.J., come quella volta nel ‘67.
Quella specie di assurda “processione”, che fu capace di interrompere la diretta TV della finale NBA tra Rockets e Magic sulla CBS, si concluse alla villa Simpson dove, alla fine, O.J. si costituì e venne arrestato. 95 milioni di americani seguirono la diretta tv della fuga. Il Super Bowl 1994 si era fermato a 90 milioni. Il processo doveva ancora iniziare ed era già l’evento più importante degli anni ’90.