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Foto di Hannah Foslien / Getty Images
Sport Manuel Tracia 12 gennaio 2018 9'

Tre squadre sorprendenti in NFL

In una stagione che ha rimescolato molto gli equilibri queste tre squadre stanno avendo una stagione al di là delle aspettative.

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Una delle cose che rende più affascinanti una nuova stagione NFL è che gerarchie che sembrano cristalizzate in offseason vengono completamente ribaltate nel giro di poche settimane quando si scende in campo. Alcune franchigie riescono a restare competitive per anni (pensate a Patriots, Steelers, Packers), altre invece non riescono mai ad uscire dal limbo della mediocrità (i Browns mancano la post season dal 2002 e i Bills hanno appena rotto il digiuno di 17 anni), ma generalmente è una lega in cui le carte vengono mescolate con regolarità.

 

Mai come quest’anno però, tra dinastie in calo e nuove squadre in rampa di lancio, le coordinate della lega sono cambiate. In NFC in particolare, la conference più competitiva in tempi recenti, al Divisional round si sono qualificate 3 squadre che l’anno scorso avevano tutte mancato la post season, collezionando complessivamente appena 22 vittorie, ma che in questo 2017 hanno dominato in lungo e largo.

 

Eagles, Vikings e Saints hanno perso appena 11 partite complessivamente in regular season e si candidano a giocarsi un posto al gran ballo di febbraio.

 

Who Dat?

I Saints sono forse la nota più sorprendente del trio. Dopo 5 stagioni consecutive con una delle peggiori difese in NFL, con un head coach più volte vicino all’addio e un quarterback che ha spento a gennaio 38 candeline, il ciclo a New Orleans sembrava definitivamente volto al termine. E invece dalle ceneri di una stagione da 7-9 qualcosa stava ardendo.

 

La difesa è il reparto che ha fatto il salto in avanti più netto. La prima scelta al draft, Marshon Lattimore, ha tenuto fede all’hype con cui era arrivato in primavera da The Ohio State e si è dimostrato, insieme a White dei Bills, uno dei pochi giocatori difensivi dall’impatto immediato della scorsa classe. La solidità dimostrata da tutta la secondaria, ha aiutato anche la passing rush, dove Cameron Jordan – mai così in palla – ha dominando le offensive line di mezza lega. I meccanismi difensivi dei Saints si sono retti l’un l’altro e stanno consegnando a Brees una delle migliori difese della sua carriera.

 

Ma è la rivoluzione del reparto offensivo, vero volto del lavoro svolto da Sean Payton, che ha reso più inafferrabili i confini di questa squadra. Brees è passato dall’essere l’hero player di ogni incontro, ad essere un game manager di lusso. Il fenomenale gioco di corsa, sorretto da Mark Ingram e dal rookie ex Tennessee Alvin Kamara (che ha messo la freccia su Kareem Hunt per il Rookie of the Year), ha cambiato i connotati dell’offense e dei suoi interpreti. Lontani i tempi in cui Jimmy Graham era l’opzione numero uno due e tre, ora i tight end sono prevalentemente coinvolti nel running game.

 

Questo ha prodotto una stagione da record: Ingram e Kamara sono stati il primo duo a chiudere con 1500 yard di total yard a testa e la prima coppia di running back ad essere stati nominati per il Pro Bowl dal 1975.
Molto del merito va anche alla offensive line, sfruttata in molteplici situazioni e formazioni, rendendo questo attacco uno dei più old school dell’intera NFL.

 

This is how you block for your QB pic.twitter.com/U7SniRNvrM

— Pete Blackburn (@PeteBlackburn) 12 novembre 2017

Ai Saints questa cosa del correre l’hanno presa sul serio un po’ tutti.

 

I Saints sono così fiduciosi nel loro running game che nella ampia vittoria contro i Bills hanno giocato 24 giochi di corse consecutive senza coinvolgere un hall of famer del calibro di Drew Brees, che sta facendo mettendo insieme alcuni dei peggiori numeri in carriera. Ma non quelli di efficienza.

 

Se la difesa fa registrare appena 20.4 punti subiti a partita, Brees ha finito al minimo storico ai Saints in yard per partita e in touchdown ma al massimo in carriera come % di completi (il suo 72% è nuovo record NFL). E le yard per tentativo (8.1) non sono mai state così alte dall’anno Super Bowl vinto contro i Colts di Manning. Pochi lanci ad alta efficienza, contro difese costrette a concentrarsi sulle corse. Non c’era modo migliore per “riciclare” e allungare la carriera a un quarterback vicino ormai alle 40 primavere.

 

La tendenza sembra essersi pericolosamente invertita nella wildcard casalinga contro i Panthers. Se è vero fosse auspicabile che, qualora le corse avrebbero perso di incisività, il passing game si sarebbe aperto scoprendo le carte di Brees, è anche vero che questi Saints non hanno trovato la via di mezzo sperata. Ingram e Kamara hanno chiuso la sfida con appena 45 yard complessive e hanno costretto Brees a sfoderare la sua versione vintage per portare a casa di misura il passaggio del turno.

 

Difficile stabilire la futuribilità di questo nucleo, ma l’equilibrio che stanno perfezionando potrebbe far fare loro moltissima strada, a partire dalla sfida contro i Vikes.

 

Green Gang

Lo storico executive NFL Mike Lombardi – che potete ascoltare nel podcast ospitato su The Ringer – aveva lasciato poche speranze a inizio anno ai Philadelphia Eagles: «In 30 anni di carriera non ho mai visto un coach meno qualificato di Doug Pederson». 6 mesi dopo gli Eagles hanno chiuso la stagione in cima alla lega assieme a Pats e Steelers a quota 13 W, traguardo costruito con un filotto vincente di 8 vittorie consecutive.

 

Dopo il terremoto Chip Kelly, il GM Howie Roseman, ex separato in casa, ha cominciato a epurare e a smaltire le scorie di una gestione molto ortodossa. Ha draftato un nuovo sconosciuto quarterback con la chiamata assoluta numero 2, rinnovato il core in scadenza e assodato un coach che effettivamente non aveva grosse esperienze pregresse in NFL, se non un incarico da coordinatore a Kansas City – con ben poche responsabilità.

 

La stagione da 7-9 con cui hanno chiuso il 2016 faceva intravedere un percorso lungo per tornare alle vette a cui sono stati abituati, ma il 2017 ha dimostrato che le scommesse fatte nell’ultimo biennio erano meno azzardate di quello che si pensava. Molto, ovviamente, era legato alla maturazione di Carson Wentz, che ha finalmente dato continuità a quei flash che avevano affascinato molti scout in uscita da NDSU.

 

L’arrivo di un big target con ottime mani come Alshon Jeffrey da Chicago, la costanza di rendimento di Zach Ertz e un gioco di corse che ha saputo sfruttare i differenti skillset dei running back in faretra ha reso la offense, abulica nel 2016, frizzante ed efficace, grazie a una impostazione di gioco che ha saputo mescolare bene concetti di derivazione collegiale ad altri da pro style offense. Anche oggetti misteriosi come Nelson Agholor (8 touchdown nel 2017) o l’undrafted Corey Clement (6 touchdown complessivi come terzo running back a roster) hanno avuto un impatto chiave, a confermare la buona salute di questa offense.

 


Hobby nel tempo libero? Escapologo.

 

La difesa comandata da Jim Schwartz ha poi saputo fare di necessità virtù in una secondaria dal talento sotto il par. Per sua fortuna, con l’acquisizione di Donald Darby dai Bills e la firma dell’ex first rounder Patrick Robinson, una delle più grandi sorprese dell’anno, il reparto ha trovato una maggiore solidità rispetto a quello che era stato il tallone d’achille del 2016.

 

Non è comunque un segreto che la forza dall’ex Lions sia la defensive line. La wide 9 di Schwartz si è arricchita in offseason del recordman di Tennessee Derek Barnett, del campione in carica Chris Long e del defensive tackle dai Ravens Tim Jernigan, rendendo la linea una delle più temibili della lega. Tanti giocatori da far ruotare, tanta energia, e una insolita forza nel gioco contro le corse. All’interno Cox e Jernigan sono due muri invalicabili, mentre Graham e Curry sull’esterno hanno fatto un passo avanti notevole contro le corse che li ha resi due dei defensive end all-around più completi in circolazione.

 

Il tutto li ha portati a essere i primi in difesa contro le corse (appena 79 yard concesse di media), quarti per yard concesse e quarti per punti concessi. Il percorso è stato agevole, è vero, ma la costanza nel seppellire gli avversari domenica dopo domenica (con un differenziale di +162 punti hanno chiuso primi in NFL) gli Eagles hanno fatto sognare più di qualche tifoso a Philadelphia. A riportarli con i piedi per terra è arrivata la mazzata dell’infortunio al crociato del candidato MVP Carson Wentz (ha segnato così il suo 33esimo touchdown in appena 13 partite, nuovo record di franchigia, con il crociato appena rotto) che ha trasformato una contender fatta e finita in una nuova versione dei Raiders 2016 o dei Cardinals 2015, due squadre che dopo aver perso i loro starting quarterback hanno avuto vita brevissima ai playoff.

 

Nick Foles, chiamato a sostituire l’ex Bison, è una vecchia conoscenza degli Eagles e sicuramente un gregario di lusso. Ma la differenza che passa tra i due è la stessa che passa tra un mestierante e un fuori classe. I primi vanno bene in regular season, i secondi fanno la differenza in post season, quando conta. E le ultime 2 partite di Foles, chiuse con 0 TD e 1 INT, non fanno ben sperare per quelli in midnight green. Gli Eagles arrivano alla sfida di sabato contro i Falcons da sfavoriti (è la prima volta succede tra seed #1 e seed #6) e ci vorrà una prova maiuscola della difesa per portare a casa la W contro i campioni in carica della NFC.

 

SKOL

I Vikings del 2016, dopo un mese di gioco, sembravano già una contender fatta e finita. 5 vittorie consecutive, un attacco vincente e una difesa schiacciante. Peccato che la stagione di Minnesota fosse poi virata a sud, chiusa con un anonimo 8-8 e l’esclusione dai playoff. Gli infortuni della offensive line erano stati la chiave per far calare il reparto offensivo nella mediocrità: la linea titolare a fine anno ha chiuso complessivamente con 57.2 gare mancate.

 

E il 2017 sembrava iniziato sulle stese coordinate: una squadra quadrata aveva perso nelle prime settimane il secondo quarterback titolare (dopo Bridgewater ancora out, anche Bradford era finito K.O.) costringendo Zimmer a correre ai ripari e a schierare il veterano Case Keenum. Se non bastasse era finito fuori per tutta la stagione anche l’elettrico running back ex Florida State Dalvin Cook e un’altra annata di passaggio si presentava all’orizzonte.

 

Ma quest’anno la squadra non si è sciolta al sole, anzi ha cominciato a convincere sempre più. Il giramondo Case Keenum, un’altra vittima di Jeff Fisher, è diventato un legittimo starter quarterback, aiutato anche dalle sicure mani di Stefon Diggs e della bella favola di Adam Thielen, due playmaker di finissima qualità. L’ex Texans e Rams non si sta limitando però a fare il game manager o ad essere un system quarterback. Il 29enne ci sta mettendo tanta farina del suo sacco, mostrando lucidità, e una tenuta fisica e mentale per chiudere la giocata di primo livello.

 

Certo, avere a disposizione un’arma come Adam “Mr. Wide Open” Thielen è un lusso che pochi nella stessa posizione possono vantare. L’ex undrafted 2013 è ormai un top 5 nel ruolo, ha l’abilità sovrannaturale di creare sempre separazione e funziona alla grande come go to guy di Keenum. Ha chiuso al secondo posto nella lega per numero di ricezioni sui terzi down: oro colato quando conta. Difficile capire quale potrà essere il ruolo dell’ex Rams quando a fine anno rientreranno a pieno regime Bradford e Bridgewater, ma per il momento i Vikings si godono questo coniglio dal cilindro.

 


Il segreto del successo dell’offense dei Vikes in un’azione.

 

Ma gran parte dei sogni di gloria passeranno inevitabilmente dalla difesa, ad oggi una delle migliori sul panorama. Tanto talento, ben allenato, che sta remando nella stessa direzione. Gente come Harrison Smith, Linval Joseph, Xavier Rhodes e Anthony Barr stanno giocando quello che probabilmente è il loro miglior football in carriera, e sotto la guida Zimmer sembrano aver fatto il passo definitivo per dominare qualsiasi avversario.

 

L’autorevolezza con cui hanno lasciato sotto i 10 punti gli attacchi di Rams e Falcons in regular season è più indicativo di tante statistiche avanzate sulla concretezza di questa difesa. I Vikings sono una delle pochissime squadre ad avere un attacco e una difesa entrambi in top 10, ma non possono essere considerati una sorpresa. Hanno semplicemente ricominciato a macinare da dove avevano lasciato: dal 5-0 del ottobre 2016 con cui avevano fatto capire alla NFL che per la vittoria finale ci sarebbero stati anche loro. Del resto perché non festeggiare l’anello nel proprio stadio?

 

Ma la prova del 9 arriverà domenica quando Minnie incontrerà l’attacco poliedrico dei Saints in quella che potrebbe essere, visto la qualità messa in campo dalle due squadre, un NFC Championship anticipato. Il 1° round, in week 1, è andato a dei padroni di casa molto diversi (con Bradford e Cook a comandare l’attacco) ma erano soprattutto dei Saints ben lontani dai regimi devastanti degli ultimi mesi. Ci sono tutte le premesse per essere una delle partite più divertenti di tutti i playoff.

 

Road to Super Bowl LII

Non sarà una stagione dai valori assoluti che forse ci si aspettava. Tra i tanti infortuni a stelle del calibro di JJ Watt o Odell Beckham Jr., il cambio di gerarchie e la delusione di più di qualche squadra, ci si poteva aspettare una stagione complessivamente di più ampio valore. Ma queste tre squadre non sono comete. Sono frutto di una buona programmazione e di nuova linfa vitale. Sono squadre divertenti, nuove e sfacciate. Non avranno forse la solidità per pretendere di mettersi l’anello al dito il 4 febbraio, ma la via per il titolo passerà inevitabilmente anche da loro. I Falcons sono avvisati.

 

 

Tags : minnesota vikingsnew orleans saintsphiladelphia eagles

Manuel Tracia è un modenese classe 1990. Laureato in comunicazione, cinefilo e malato di Coca-Cola. Sogna gli USA ma nel frattempo si limita a seguire Los Angeles Lakers e Philadelphia Eagles. La mente dietro Spazio NFL.

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