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Manuel Tracia
I due O. J. Simpson
15 ott 2016
15 ott 2016
Cosa ricorderemo di uno dei più grandi giocatori della storia.
(di)
Manuel Tracia
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Il detenuto #1027820 barcolla malconcio lungo i corridoi del penitenziario di Lovelock, oltre 400 chilometri a nord-ovest da Las Vegas. In Nevada la pena di morte ha fatto 12 vittime dal 1976 ma, dopo una vita di eccessi,

The Juice

è ormai giudicato un detenuto modello. E non potrebbe essere altrimenti. Un ginocchio martoriato da 15 anni di football non può più resistere agli oltre 150 kg di peso corporeo che trascina ogni giorno. Le cure mediche di base del regime penitenziario non gli permettono di operare l’articolazione malandata e con la condanna a 33 anni rischia seriamente di non poter più deambulare. Paradossale per uno degli sportivi più leggendari della NFL, per uno come lui che ha costruito una vita, una carriera, una

sulla sua corsa.







 

È una calda serata di tarda primavera in California e nemmeno L.A. può scampare alla legge degli anni ’90 che ci ha portato la peggior moda del ‘900, Michael Bay e l’Eurodance. Mentre gli Ace of Base vendevano 4 milioni di dischi, gli USA stavano per ospitare i loro primi mondiali di calcio, mentre i Bulls per la prima volta dopo tre anni non partecipavano alle NBA Finals, il campionato MLB di baseball stava per chiudersi anticipatamente per colpa dell’ennesimo lockout. È un contesto socio-sportivo in fibrillazione ed è importante collocare la vicenda per provare a capirne le sfumature a oltre 22 anni di distanza.

 

È infatti in questo contesto che, la notte tra il 12 giugno e 13 giugno 1994, Nicole Brown Simpson e Ronald Goldman vengono trovati privi di vita davanti alla casa di lei a Brentwood. I due sono stati accoltellati numerose volte a morte, e Nicole si ritrova il viso, il collo e le mani completamente sfigurate. Nicole, mamma tedesca e padre americano, coniugava la delicatezza dei lineamenti mitteleuropei con la solarità californiana. Aveva fatto parecchia strada da quando lavorava come cameriera al Jack Hanson’s a Beverly Hills e aveva fatto perdere la testa all’allora sposato, ed ex stella della NFL, Orenthal James Simpson. Dopo il divorzio di lui i due si sposarono nel ‘85, ma definire il matrimonio con O.J. “un roller-coaster emozionale” è un eufemismo.

 



 

L’intensità del loro rapporto ne causa la separazione nel 1992. Oltre alle tante violenze domestiche durante la convivenza, i 2 anni successivi furono una escalation di morbosità, un gioco perverso tra i due ex coniugi. O.J. era quello che oggi si definirebbe uno stalker: si nascondeva tra i cespugli fuori da casa sua e la pedinava. I due provarono a riavvicinarsi ma il rapporto tornò a spezzarsi definitivamente.

 

La scena che si para davanti a Robert Riske, il poliziotto del LAPD che per primo arriva sulla scena del delitto, è raccapricciante. I due corpi furono scoperti solamente ore dopo l’omicidio e, in mezzo a un bagno di sangue, l’agente riuscì a scovare un guanto appartenente probabilmente all’omicida. Mark Fuhrman, Simi Valley e Tom Lange, i detective assegnati al caso, per notificare la morte di Nicole si recano alla tenuta dell’ex coniuge O.J Simpson nel bel mezzo della notte.

 

Arrivati al 360 di North Rockingham Avenue trovano una Ford Bronco parcheggiata sul retro dell’abitazione con piccole tracce di sangue sulla portiera e al suo interno. Temendo per la vita di O.J., e non ottenendo risposta al citofono, Fuhrman e gli altri due detective decidono, senza autorizzazione, di irrompere scavalcando il cancello. Ed è qui, nel cortile dell’abitazione, che il detective Fuhrman ritrova un secondo misterioso guanto. Ma nessuna traccia di O.J., volato verso Chicago poche ore prima.

 

O.J. rientra volontariamente a Los Angeles il giorno seguente ma una volta arrivato nella sua villa viene ammanettato dalla polizia. Il tutto viene impietosamente ripreso dalle telecamere di una TV locale e fa scoppiare un caso mediatico. O.J. non era formalmente in arresto ma il messaggio era chiaro: a 12 ore dal ritrovamento del corpo di Nicole Brown, O.J. Simpson era il principale indiziato. Questo primo pasticcio mediatico è seminale su quello che sarà il processo del secolo ma soprattutto di quella che sarà l’incapacità del Dipartimento di gestire una situazione che si trasformerà in breve, e in modo paradossale, in un caso al di sopra delle loro possibilità.

 

 



 

Orenthal James Simpson nasce a San Francisco nel 1947 e deve il suo particolare nome a un fantomatico attore francese molto amato dalla zia – qualcuno ipotizza possa invece essere l’attore e compositore inglese

. A differenza di altri prodigi del football, nati con la palla nella culla, O.J. soffre dall’età di 2 anni di rachitismo ed è costretto a indossare durante l’infanzia una struttura alle gambe

.

 

Viene cresciuto dalla madre nel quartiere di Potrero Hill, che prima di diventare una zona da classe media agli albori degli anni ’90 era un quartiere popolato da proletari e immigrati europei. O.J. è turbolento e incline ad ambienti malsani: a 13 anni entra nella gang dei

e assaggia presto il penitenziario giovanile nel 1962. Il suo primo approccio al football lo ha con la squadra del Galileo High School ma una volta diplomatosi non trova altro che la via di un community college locale, il City College of San Francisco – il cui motto, ironicamente, è “The Truth Shall Make You Free” (“La verità può renderti libero”). Qui succede l’inaspettato: con la maglia dei Rams, giocando stabilmente sia in attacco che in difesa, stupisce tutti, al punto di essere inserito nel Junior College All-American team. Dopo due anni di purgatorio arriva così la chiamata di John Mckay da South California che gli offre una borsa di studio, e da lì O.J. non si fermerà più. Con la maglia dei Trojans guida per due anni consecutivi la nazione per yard corse, ed entra nel discorso Heisman Trophy già il primo anno dopo una leggendaria partita contro UCLA.

 


"The Juice" insieme alla prima moglie Marguerite, che giurò di non aver mai subito abusi da parte di O.J.



 

Anno di grazia 1967, al Coliseum si gioca una delle stracittadine collegiali più famose di sempre. USC e UCLA sono rispettivamente #1 e #2 del ranking e si giocano il dominio sulla città, vittoria della conference e accesso al Rose Bowl 1968. La partita è durissima e le difese la fanno largamente da padrone, ma O.J. si rende protagonista di 3 giocate che decideranno a modo loro la partita. Nel primo tempo mette a frutto il suo passato da defensive back fermando con un tackle un bel punt return dei Bruins che sbaglieranno il field goal successivo, dando il via ad una giornata disastrosa per gli special team dei Bruins.

 

Dopodiché segna i suoi primi punti a tabellone a chiusura del primo tempo con

dove si carica, letteralmente, tre avversari sulle spalle portandoli direttamente in endzone.

 

Poi nell’ultimo quarto cala la mano vincente. 3&7dalle proprie 36. La giornata nera del kicker dei Bruins è finita con l’ennesimo errore al PAT e UCLA comanda di appena 6 punti. Il quarterback dei Trojans Toby Page, vedendo i linebacker posizionatisi per uno schema di pass coverage, chiama un audible per cambiare schema e consegnare la palla nelle mani di O.J. da I formation. Come ricorda anni dopo lo stesso O.J., una pessima chiamata in quella situazione di campo.

 

Il fullback gli libera il corridoio centrale ma O.J. non ha blocchi sul secondo livello e la sua azione sembra fermarsi qui, ben prima di chiudere il down, braccato dagli avversari. Ma, in modo del tutto innaturale, comincia a schivare, saltare e a dimenarsi, liberandosi dagli avversari che cadono letteralmente come birilli. Chiuso il down vira a sinistra e continua la sua corsa, poi vira di nuovo al centro e taglia in due il campo. Nessuno arriva nemmeno vicino a toccarlo e chiude la corsa con un TD da 64 yard che regala la vittoria ai suoi Trojans che qualche settimana più tardi vinceranno anche il titolo nazionale contro Indiana al Rose Bowl.

 

https://www.youtube.com/watch?v=5qMzVNKp2tw

“The greatest run i’ve ever seen”.



 

Coach McKay, uno capace di vincere 4 titoli nazionali, affermò senza mezze misure: «È stata la più grande corsa che abbia mai visto!». Perderà però la volata all’Heisman a discapito di Gary Beban, il QB di UCLA che in quella partita lancerà 300 yard con le costole malconce dopo uno scontro di gioco nei minuti iniziali. Dovrà aspettare 12 mesi per mettere le mani sull’Heisman, che vince con il più largo margine di sempre. O.J. è un rullo compressore con la leggerezza di una farfalla.

 


O.J. incontra Nixon assieme ad altri membri del All-Star Team NCAA nel 1968.





 



 

"The Juice", per spirito di collaborazione, viene interrogato il 13 giugno senza la presenza del suo avvocato. In questa sede si contraddice più volte e non fornisce alcun alibi o spiegazione sul taglio al dito che, secondo sua ammissione, si era provocato proprio il giorno precedente. O.J. non fa quasi in tempo a nominare come suo avvocato il rampante Robert Shapiro che l’arresto viene ufficializzato pochi giorni dopo.

 

Il buon rapporto tra Shapiro e il Dipartimento, la delicatezza del momento e il pasticcio dell’ammanettamento spingono la polizia a dare la possibilità ad O.J. di costituirsi. Ma "The Juice", che per sfuggire all’orda di giornalisti si era rintanato nella casa dell’amico Robert Kardashian, fugge dall’abitazione e dalla custodia del suo avvocato aiutato dall’amico, e vecchio compagno di glorie in NFL,

. I due salgono su una Ford Bronco bianca (sì, identica a quella trovata davanti sul retro di casa Simpson il 13 giugno) e si mettono in fuga sulla Los Angeles freeway. "The Juice" è armato di una .357 magnum, di 8.000$ in contanti e di passaporto, ma viene ovviamente ben presto rintracciato e braccato dalla polizia. O.J. raggiunto telefonicamente dal detective Tom Lange è in stato di shock e manifesta tendenze suicide, continuando però a ribadire la sua innocenza.

 

Il LAPD fa sgombrare la freeway incominciando così il più lento e grottesco inseguimento della storia. La Bronco continua a procedere a velocità moderata per 90 minuti guardata a vista da volanti ed elicotteri della polizia, il tutto in diretta nazionale. Dai cavalcavia i losangelini in estasi acclamano a gran voce O.J., come quella volta nel ‘67.

 



 

Quella specie di assurda “

”, che fu capace di interrompere la diretta TV della finale NBA tra Rockets e Magic sulla CBS, si concluse alla villa Simpson dove, alla fine, O.J. si costituì e venne arrestato. 95 milioni di americani seguirono la diretta tv della fuga. Il Super Bowl 1994 si era fermato a 90 milioni. Il processo doveva ancora iniziare ed era già l’evento più importante degli anni ’90.

 

https://www.youtube.com/watch?v=HcyyCi2b2AY





 

Nella fase istruttoria Rob Shapiro prova subito ad invalidare il secondo guanto, quello ritrovato dentro il perimetro delle mura Simpson dal detective Furhman. Le circostanze erano infatti sospette. Con quale diritto i tre detective erano piombati dentro le mura delle proprietà? Piccolissime tracce di sangue sulla Bronco erano davvero bastate ad allarmarli sul pericolo di vita di Simpson? E perché queste preoccupazioni non erano state condivise in alcun modo con Kato Kaelin - un ospite della dimora di O.J. - prima persona incontrata dai detective all’interno della casa.

 

Mentre la difesa allestiva un dream team di avvocati capitanati da Johnnie Cochran, il pubblico ministero, Marcia Clark, a capo dell’accusa, stava costruendo il suo personale quadro di O.J. Simpson, ovvero quello di una persona violenta che abusava in modo cronico di Nicole. A corredo di questa ipotesi vennero presentate varie prove tra cui registrazioni del 911 in cui Nicole denunciava O.J. di maltrattamenti. La più grave risale alla notte di capodanno del 1989 in cui, dopo essere stata brutalmente picchiata, Nicole aveva confessato ad un poliziotto accorso sulla scena :

 

“He’s gonna kill me!”

“Who is gonna kill you?”

“O.J.!”

 

Il quadro presentato era abbastanza chiaro: per l’accusa O.J. si era reso colpevole di una escalation di violenza e soprusi, documentati e restati impuniti a causa della sua celebrità, che era inevitabilmente sfociata al culmine con un brutale omicidio. Un percorso fatto di briciole di pane e così logico da sembrare inattaccabile.

 



 

Le prove a disposizione, composte dal DNA Simpson ritrovato sulla scena del crimine, di due guanti dello stesso paio ritrovati (uno sulla scena del crimine e l’altro in casa Simpson) e di una ricostruzione temporale a prova di orologeria, sembravano un facile home-run dell’accusa. Ma il castello era costruito su basi tutt’altro che solide.

 

Per prima cosa gli uomini della difesa provarono a screditare la linea narrativa difensiva. Alan Dershowitz affermò che in un processo per omicidio le prove come i maltrattamenti e le percosse non potevano essere usati come prova indiziaria. Infatti secondo il penalista ogni anno in America 4 milioni di donne venivano picchiate da mariti e conviventi e che di queste però solamente 1500 venivano successivamente uccise, ovvero solo lo 0.04%. Era ovviamente un dato tendenzioso – se infatti si considera solamente il dato delle “donne picchiate dai compagni e successivamente uccise” nel 90% dei casi è il marito il colpevole – ma questa tecnica della “fallacia dell’accusatore” ha dimostrato da subito la qualità dello staff di Simpson, e che il campo della percezione sulla giuria avrebbe deciso l’incontro.

 

A questo punto agli uomini della difesa non rimaneva che smontare la catena di prove ed è quello che provarono a fare nei successivi mesi.

 

 



 

La stagione 1968 per i Buffalo Bills si era appena conclusa con un terribile 1-12-1 e con la prima scelta assoluta non ci pensarono due volte a scegliere l’Heisman Trophy uscente. O.J. sognava di restare in California ma i 49ers sceglievano solamente alla chiamata numero 7 - con la quale poi selezionarono il tight end pro bowler Ted Kwalick. L’impatto per "The Juice" in NFL non fu esattamente devastante. Nelle prime 3 stagioni non superò le 750 yard e i Bills non raccolsero che appena 7 vittorie in quel triennio.

 

Ma, come aveva già dimostrato al college, O.J. ha i suoi tempi. È il 1972, l’anno della perfect season dei rivali Dolphins, e O.J. sale in cattedra, diventando leader NFL per yard corse con 1251. Il primo di 4 titoli in 5 anni che lo consacreranno alla storia. Se i Bills continuano a mancare viaggi in postseason, appena 1 apparizione nei 9 anni trascorsi da Simpsons a Buffalo, O.J., da parte sua, non si fermerà più.

 



 

Nel 1973 diventa il primo giocatore a rompere il muro delle 2.000 yard corse, e ancora unico ad averlo fatto in appena 14 partite. Se a questo aggiungiamo che i due QB Joe Ferguson e Dennis Shaw chiusero la stagione con appena 1200 yard complessive (!) riusciamo a contestualizzare meglio quella che è per certi versi la miglior stagione per un running back di sempre.

 

Le difese negli anni ’70 erano ben attrezzate e sapevano cosa aspettarsi dai propri avversari, considerato che il 60% di tutte le azioni offensive della lega erano una corsa e in particolar modo che il 75% delle giocate offensive dei Bills quell’anno erano un gioco di corsa. Ma niente di tutto questo è bastato a fermare il #32 dal correre 143 yard

. Nel 1976, all’età di 29 anni, ruppe per l’ultima volta il muro delle 1000 yard e fu per l’ultima volta rushing leader NFL alla fine dell’anno. Ma all’interno dell’ennesima stagione negativa per i suoi Bills (2-12 con 10 sconfitte consecutive) O.J. risplende un’ultima volta nel seguitissimo appuntamento del Thanksgiving Day Game. I Bills vengono ospitati dei Lions e il QB scelto al terzo giro Gary Marangi stava vivendo l’ennesima difficile giornata, completando appena 4 dei 21 tentativi per 29 misere yard – e, per descrivere il contesto tecnico in cui si muoveva Simpson, il 35.3% di completi con cui Marangi chiuderà la stagione sarà il peggior dato di tutti i tempi per un QB.

 

Nella assoluta sterilità offensiva di una squadra allo sbando è "The Juice" a caricarsi, per l’ennesima volta, i Bills sulle spalle. Se cercate sul dizionario la definizione “trance agonistica” probabilmente troverete una foto di O.J. che corre sulla difesa dei Lions quel 25 novembre ‘76. I difensori non riuscivano nemmeno a toccarlo e quando lo facevano fermarlo era, letteralmente, impossibile. Tutto il meglio del repertorio di "The Juice" concentrato in 60 minuti. I Bills perdono la partita, ma O.J. riesce a stabilire il record di yard corse in una singola partita, 273. O.J. a un certo punto rubò totalmente la scena ai padroni di casa quando, dopo aver battuto il muro delle 260 yard, tutto lo stadio di Detroit cominciò a inneggiare il suo nome. Persino i tifosi avversari volevano vedere quante yard sarebbe riuscito a correre ancora O.J.

 

https://www.youtube.com/watch?v=D2kx3MGfAkU

 

Dopo 9 stagioni ai Bills O.J. corona il suo sogno di giocare per i colori della sua città. Ma dopo aver regalato i suoi migliori anni a Buffalo, chiude la carriera ai 49ers senza riuscire a lasciare il segno. O.J. è però riuscito a riscrivere la storia della NFL, chiudendo con 11,236 yard in carriera e il secondo posto all time – in questo momento è scivolato al 21esimo posto - dietro al leggendario Jim Brown. O.J. è forse il giocatore simbolo degli anni ’70, eppure difficile ricordarsi di lui come uno dei più grandi giocatori della storia.

 

 



 

Le prove del DNA sembrano schiaccianti. Il DNA di O.J. è stato rinvenuto sulla scena del crimine, sulla Ford Bronco e anche sui entrambi i guanti insanguinati. La possibilità che quel DNA appartenesse a un’altra persona era di 1 su 7 miliardi, a fronte di una popolazione negli USA nel 1994 di 263 milioni e di una mondiale di meno di 6 miliardi. Praticamente bisognava cercare nello spazio.

 

Ma era circa un decennio che la prova del DNA veniva utilizzata nelle aule di tribunale come prova indiziaria, un lasso di tempo poco maturo. Il DNA, senza considerare le semplificazioni moderne, è una prova molto complessa da manipolare a livello comunicativo e non era ancora entrata nell’immaginario collettivo come una prova determinante. A questo va aggiunto che l’accusa, così sicura delle prove che aveva a sua disposizione, non ha provato a semplificare o a caricare a livello comunicativo questa prova a una giuria composta dalla gran parte da persone poco scolarizzate. Un giurato ad esempio arrivò ad affermare che non provava nulla, ci potevano essere persone con lo stesso gruppo sanguigno, evidenziando tutti i limiti di comprensione del DNA.

 


Un muro di televisori in un centro commerciale della Florida sintonizzato sulla diretta del processo.



 

Un errore di sottovalutazione che non è invece stato commesso dalla difesa. Gli avvocati hanno subito individuato una strategia comunicativa efficace e diretta, e poi hanno individuato ben presto l’anello debole di una catena di prove che sembrava non potersi spezzare: le persone. Fu fin troppo facile infatti insinuare e dimostrare come i campioni di sangue non furono raccolti nella maniera appropriata. Perché alcune tracce rinvenute nel vialetto di casa Simpson furono raccolte 3 settimane dopo l’omicidio? Perché il detective Vannatter invece di depositare le prove di sangue il giorno dell’omicidio le portò con sé a casa e le depositò solo il giorno dopo? C’era stata una manomissione, volontaria o meno, di questi campioni?

 

Settimane di prove schiaccianti erano state cancellate dalla testa dei giurati con una serie di ragionevoli dubbi.

 





 

A differenza di molti colleghi, Simpson ha sempre coltivato altri interessi al di fuori del football. Già nel 1974, nel

della sua carriera, esordì al cinema con una piccola parte nel film cult

al fianco ad attori del calibro di Paul Newman e Steve McQueen. E prima della fine della sua carriera recitò in altri 4 film, cominciando a covare un’idea di carriera attoriale dopo il football. Ma O.J. non ha mai sopravvalutato le suo doti davanti la cinepresa: «Ovviamente, non sono Dustin Hoffman. Devo interpretare il tipo atletico, così come Woody Allen deve interpretare il tipo “strambo”. Non importa quante lezioni di recitazione ho preso, il pubblico non mi vedrà mai come un Otello».

 

Nonostante fosse il prototipo dell’attore/ex atleta, un Terry Crews ante litteram, O.J. aveva sempre dimostrato un grande carisma che, unito ai suoi successi sportivi, gli aveva fruttato buone sponsorizzazioni durante la carriera: Royal Crown Cola, Schick, Foster Grant, e Wilson Sporting Goo. Lo spot più famoso, quello che secondo alcuni gli permise il salto di notorietà da star sportiva a celebrità, è quello girato per Hertz nel 1975. La società di autonoleggio aveva in mente uno spot che comunicasse la velocità del servizio: chi meglio dell’uomo più veloce del pianeta con una palla in mano?

 

https://www.youtube.com/watch?v=Uqd_XZYkZ70

 

Lo spot ha aumentato del 56% la quantità di persone che riteneva Hertz la migliore società di noleggio auto e del 20% il posizionamento nella testa dei consumatori. O.J., da parte sua, dimostrò di essere “televisivo”, carismatico e alla mano.

 

Una volta appese le scarpe al chiodo, O.J. si è buttato anima e corpo sulla carriera cinematografica, arrivando a recitare in 9 film. È stata la trilogia di

(arrivata in Italia come

) a lanciarlo nell’Olimpo, si fa per dire, di Hollywood. "The Juice" si rivela

per Leslie Nielsen, riuscendo a non prendersi sul serio e ad entrare ancora di più nei cuori del pubblico a stelle e strisce.

 

All’inizio degli anni ’90, a più di dieci anni dal ritiro, la sua popolarità è ancora all’apice.

 







 

Nonostante svariate argomentazioni a favore, Marcia Clarke e la sua squadra faticavano a trovare la chiave vincente per dimostrare, sopra ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza di Simpson. Nel corso del processo avevano continuato a peccare di quella cieca arroganza di chi sa di avere grosse prove a proprio favore. I protagonisti d’aula avevano inoltre subito notevoli pressioni dall’esterno, in quello che si era presto trasformato nel “processo del secolo”. La difesa non solo ci sguazzava, ma alimentava queste pressioni mettendosi al centro delle attenzioni; dall’altra parte Johnnie Cochran, che aveva alle spalle

, ha continuato ad alimentare il clima tesissimo tra polizia e comunità nera. Dentro questo pandemonio, Marcia Clark cercava invece di restare isolata, lavorando sottotraccia,

.

 

Fuori dall’aula il processo era diventato un gigantesco fenomeno di costume, un circo mediatico in cui chiunque e a qualsiasi costo

.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=XQPVA2bGsB4

Le prime serate TV americane tra il ’94 e il ’95.



 

In questo contesto, dopo che la difesa aveva messo in dubbio e, se non smontato, quanto meno messo pesantemente in dubbio tutta una serie di prove, era arrivato il momento per l’accusa di assestare un colpo decisivo verso il verdetto.

 

La più grande prova che collegava O.J. al luogo del delitto rimanevano i guanti insanguinati. Guanti che, secondo le prove presentate dall’accusa, erano stati comprati da Nicole al suo ex marito in un negozio della catena Bloomingdale durante un viaggio a New York nel 1990. Per sfortuna di O.J. era una delle sole 300 paia di quel particolare modello, di quel colore e di quella taglia venduti.

 

Ed è così che, volendo mettere a segno la stoccata decisiva, l’assistente procuratore Christopher Darden, il 15 giugno 1995, lascia tutti di stucco chiedendo a O.J. di provare a indossare i guanti incriminati davanti alla giuria. La scena che segue è entrata nella storia. O.J., a un palmo di naso dalla giuria, infila con molta fatica i guanti mostrando le dita bloccate a metà. Johnnie Cochran, preparato a questa evenienza nella sua arringa apostrofò la prova con una frase che diventò il

del processo: “If it doesn’t fit, you must aquit” (Se non gli entrano, dovete assolverlo).

 

https://youtu.be/16KaoVmVTPE?t=1m13s

 

È l’ultimo e definitivo autogol dell'accusa che, sull’orlo della disperazione, decide di andare all-in perdendo la mano. L'accusa non ha valutato il rischio delle tante variabili, tra cui, l’ostruzione di O.J. al test e alle sue doti attoriali (e probabilmente anche

). Simpson è in pieno controllo della situazione ed è bravissimo a trasmettere un senso di impotenza davanti alla (sua) realtà dei fatti, ovvero che i guanti non calzassero.

 

Dove Marcia Clarke si è limitata ad esporre le prove del DNA, Shapiro e soci preparavano una contro-narrativa fatta di complotti, nemici invisibili e concreti errori procedurali. Dove Darden lasciava in mano il destino del processo al suo stesso imputato, Cochran preparava un incisivo claim che è entrato dritto nella testa dei giurati. Dopo 253 giorni di processo alla giuria bastarono poche ore per decretare O.J. Simpson innocente.

 



 

O.J. non è uscito vincitore agli occhi dell’opinione pubblica. Come ha dimostrato un recente sondaggio, gli statunitensi hanno

di "The Juice". Il

a un lauta ricompensa ai parenti delle vittime.

 

Fa sorridere che il destino di O.J. Simpson si sia infine compiuto in una situazione dal tono decisamente minore. Nel 2007, incastrato da un complice, viene accusato e imputato per rapina a mano armata e sequestro di persona

. Viene condannato a 33 anni di reclusione nel carcere di Lovelock, Nevada.

 





 



 

Cosa rimane di O.J. Simpson, sportivamente, a 30 anni dal ritiro, dopo 11mila yard e l’introduzione nella Hall Of Fame?

 

Se andate su YouTube e digitate O.J. Simpson nelle prime 10 pagine visualizzate troverete appena 5 video di highlights su 200 video totali. Potete facilmente immaginare il contenuto dei restanti 195.

 

Su Google nei risultati ottenuti digitando il nome di O.J. Simpson troverete la carriera nel football relegata come semplice nota biografica. La carriera del giocatore più dominante degli anni ’70 è stata cancellata dalla memoria collettiva. Parlare di Simpson come atleta sembra quasi un torto di buon costume. Eppure, in questo modo, è diventato impossibile isolare il discorso sportivo da quello di cronaca.

 

Se siamo in grado di parlare della carriera di Magic Johnson senza essere oscurati dal discorso HIV o parlare delle gesta di Michael Vick senza esserlo dai combattimenti di cani, perché non siamo in grado di fare la stessa cosa con O.J. Simpson?

 

Forse la narrativa sportiva è diventata così schiava della sua retorica da non essere più capace di separare le gesta sportiva da quelle umane. Forse il nostro desiderio di trasformare ogni atleta di successo in un completo eroe moderno ci fa tirare indietro, per un istinto auto-protettivo, quando la differenza tra i valori dentro e fuori dal campo diventa troppo evidente.

 

 

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