40 giovani da seguire nel 2018
Il 2018 sarà un altro anno in cui scopriremo nuovi talenti o continueremo ad innamorarci di quelli vecchi. In questo articolo abbiamo voluto raccogliere i 40 giovani che quest’anno terremo d’occhio per varie ragioni: perché magari faranno un ulteriore salto di qualità, perché rappresentano un’interpretazione interessante di un ruolo in particolare o magari anche solo perché abbiamo un debole per loro.
Abbiamo scelto giocatori nati nel 1997 o dopo, tranne uno, nato nel dicembre ’96. Ritenevamo non ci fosse bisogno di inserire quei giovani davvero prodigiosi che hanno bruciato già tutte le tappe nel calcio dei grandi: in questo pezzo allora non troverete talenti fenomenali ma su cui era difficile aggiungere qualcosa di nuovo in poche righe, come Christian Pulisic, Ousmane Dembélé, Kylian Mbappé, Gianluigi Donnarumma. Al tempo stesso, abbiamo scelto giocatori non così remoti, di cui magari avrete già sentito il nome. Come sempre le scelte si basano su criteri soggettivi, se manca qualcuno dei vostri pupilli segnalatecelo nei commenti e ve ne saremo grati.
Buona lettura!
Vinicius Junior, 2000, Real Madrid/Flamengo
di Emanuele Atturo
Vinicius Junior è stato il settimo acquisto più costoso della storia di un club non certo spilorcio come il Real Madrid. I 45 milioni spesi a maggio, per un ragazzino non ancora maggiorenne, hanno spostato il confine di quando è lecito e necessario iniziare la lotta per aggiudicarsi i migliori talenti del calcio mondiale. Il Real Madrid, pur all’interno di una politica di mercato che recentemente privilegia i giovani talenti, è stato costretto a muoversi velocemente, spendendo una cifra di solito riservata a campioni affermati. Per dare un’unità di misura paradossale: Vinicious è stato pagato più di ciascuno dei titolari del Real Madrid attuale, Ronaldo a parte.
Vinicius Jr #MonAnnéeFoot2017 pic.twitter.com/EgfuLKHgTY
— Marcos Brêtas (@MarcosBretas1) 27 dicembre 2017
Anche solo per questo, cioè per ciò che rappresenta, Vinicious è uno dei giovani più interessanti da seguire quest’anno. Sulle qualità calcistiche di Vinicious si sa poco o niente; i suoi video dal Brasile, o presi in qualche campo d’allenamento, girano come i libretti luterani nel ‘500: rari, preziosi, da prendere con un po’ di scetticismo. Il misto di aspettative generate dal suo costo e un’età che ancora gli permette di non esprimersi ancora a pieno lo rendono un giocatore misterioso, più di quanto lo siano normalmente tutti i calciatori giovani, da cui non è chiaro quanto sia lecito attendersi. Nel 2018, inizieremo a capirci qualcosa di più.
Federico Chiesa, ‘97, Fiorentina
di Daniele Manusia
Il talento di Federico Chiesa è sotto gli occhi di tutti, in continua espansione. Chiesa è semplicemente troppo più esuberante di qualsiasi altro calciatore, giovane o no, che vi possa capitare di vedere. Per questo a restarne maggiormente impressionati sono i tifosi delle squadre avversarie, che soffrono letteralmente la sua energia vitale. Un’energia talmente peculiare che in brevissimo tempo lo ha reso riconoscibile anche al di là dei paragoni con un padre ingombrante, più che altro per l’ammirazione con cui viene ricordato. Federico Chiesa scoppia di salute e di voglia di giocare a calcio e non c’è modulo, tattica o strategia in grado di confinarne la vitalità. Non tutto quello che sto dicendo va letto in chiave esclusivamente positiva, il talento di Chiesa è così unico da rendere impossibile quasi ogni previsione futura (quanto durerà a quest’intensità? Che giocatore resterebbe se diminuisse il dinamismo?).
Certo, per ora si esprime a dei ritmi tali che bisognerebbe essere dei sadici per tenerlo fermo in panchina, e non c’è squadra più adatta al suo stile di gioco della Fiorentina verticale e iperintensa di Stefano Pioli in cui il pensiero razionale segue spesso l’azione. Chiesa ha avuto la fortuna di non doversi adattare a nessun contesto che ne normalizzasse la straordinarietà, svolgendo più funzioni, interpretando più ruoli, ma sempre a modo suo, senza che gli venisse mai chiesta un’efficienza che forse non potrebbe garantire. E però, nell’anarchia di Chiesa, in tutte le cose che fa e che può senz’altro ancora migliorare, ci sono anche tutte le sue possibilità di sviluppo.
Chi segnerà i gol dopo Batistuta? Io
La profezia del piccolo Federico #Chiesa pic.twitter.com/8HzAvTDamp— SottoLaCurva (@sottolacurva) 7 gennaio 2018
Personalmente, vedendolo entrare spesso dentro al campo, calpestare zone molto lontane dalla sua fascia di competenza – con quei riflessi che gli permettono di arrivare sempre primo sulla palla, l’equilibrio con cui cambia direzione senza rallentare, la sensibilità sul pallone con cui talvolta risolve situazioni difficili trovando il passaggio o la giocata giusta – ho pensato che potrebbe trovarsi bene anche in una squadra maggiormente associativa, con appoggi più solidi per venire a giocare tra le linee e qualcuno che gli faccia arrivare più spesso la palla vicino alla porta, per sfruttare la sua velocità in profondità e quella qualità paterna di coordinarsi per il tiro in frazioni di secondo anche fuori equilibrio. Questa è ancora la sua prima stagione da titolare in Serie A e il 2018 ci dirà anche se riuscirà a giocare all’intensità a cui sta giocando per un’intera stagione.
Sander Berge, ‘98, Genk
di Daniele V. Morrone
Berge è un centrocampista “freak”, di quelli con una grande fisicità con allo stesso tempo una tecnica di passaggio e nella conduzione del pallone fuori dal comune. Berg è incredibilmente preciso nella distribuzione della palla, sia nel corto che nel lungo. Oggi gioca nel Genk, dove è arrivato lo scorso gennaio direttamente dalla Norvegia.
In Belgio gli basta una giravolta per liberarsi dell’avversario, che non fa in tempo a trovare il pallone in anticipo nè a recuperarlo, perché ovviamente non è possibile spostarlo con il fisico. Per questo quando Berge irrompe in conduzione è uno spettacolo da guardare: la struttura fisica lo porta quasi a scoraggiare gli avversari prima ancora di provare il contrasto. Un tronco di sequoia che cade da una vallata è meno pericoloso agli occhi di chi se lo vede arrivare in corsa.
Berge è già titolare nella nazionale norvegese, dallo scorso giugno, dopo aver esordito a marzo a 18 anni. A 19 anni ha mostrato margini enormi, ma per tanti versi non se ne possono conoscere ancora i limiti, almeno fino a quando non giocherà in un contesto più competitivo del campionato belga. Berge si sviluppare in direzioni diverse a seconda di dove finirà: ad esempio, dovesse andare in Liga potrebbe diventare un totem a cui appoggiarsi davanti alla difesa, in grado di resistere alla pressione avversaria e far circolare il pallone; dovesse andare in Premier League potrebbe diventare un bombardiere “box to box” da far arrivare in attacco dalle retrovie e dominare il centro del campo. Berge è un enorme blocco di marmo norvegese alto 195 cm da poter scolpire come si vuole. Speriamo finisca tra le mani di un grande artista.
Abdou Salam Jiddou, 2000, Maputo
di Emanuele Atturo
Se state cercando un nome assolutamente misterioso da giocarvi in una cena all’hamburgeria, Salam Jiddou (a volte scritto come Giddou) è il massimo dell’esotimo che potete permettervi nel 2018. Stiamo parlando di un giocatore di etnia tuareg, così esotico che gioca ancora in Africa, anche se probabilmente ancora per poco.
Se noi lo conosciamo non è perché siamo degli squilibrati che di notte guardano i campionati nazionali africani, ma perché Jiddou ha messo a ferro e fuoco il Mondiale U-17 giocato qualche mese fa, di cui il suo Mali è stata la sorpresa, e lui il giocatore più sorprendente. In patria è stato già definito “Un vero simbolo della riconciliazione del Mali”.
Jiddou è una mezzala creativa ed elegante che gioca con la 10 sulle spalle; ama accorciare sempre verso il pallone per toccarne il più possibile e cucire il gioco della squadra. Ha una visione di gioco notevole. Appena controlla il pallone alza la testa per vedere se può servire il movimento di un compagno venti o trenta metri in avanti; se non vede movimenti cerca lo scambio palla a terra con i compagni vicini, cercando di entrare in percussione fra le linee avversarie. Con un tiro da fuori – un calcio secco di collo pieno sotto l’incrocio dei pali – ha segnato uno dei più bei gol del torneo. È un giocatore verticale ma non ha neanche 18 anni e col tempo potrebbe imparare a gestire i tempi di gioco in maniera più complessa.
Un paio di mesi fa si è già parlato di un interessamento di Inter e Roma. Il rischio è che con un fisico così minuto finisca per impolverarsi nei campionati primavera.
Malcom, ‘97, Bordeaux
di Dario Saltari
Dopo un lungo periodo di adattamento al calcio europeo, per Malcom sembra finalmente arrivato il momento dell’affermazione. L’ala brasiliana ha già segnato 7 gol e 5 assist in stagione, alcuni molto belli, e sembra ormai essere diventato troppo grande per il Bordeaux, che difficilmente riuscirà a trattenerlo il prossimo anno. Ci si attende quindi che Malcom nel 2018 compia finalmente il grande salto, quello in una grande squadra, che sarà il primo vero banco di prova per il suo talento. Partendo da destra è abituato a venire dentro al campo e ad associarsi con i compagni, con il sinistro ha un grande tiro dalla distanza, anche da fermo, ma fisicamente rischia di essere ancora troppo leggero per campionati troppo intensi. Il rischio, grosso, è quello di essere frainteso: Malcom non è un giocatore dominante, in grado di decidere da solo il contesto delle partite, e anzi brilla soprattutto quando riesce ad associarsi in velocità con i compagni. Non ha l’esplosività di Lucas Moura per mangiarsi cinquanta metri di campo palla al piede, non ha il dribbling di Neymar per fare tutto da solo (tenta il dribbling 3.1 volte ogni 90′, in un campionato in cui Neymar ne prova 11.2). Malcom ha bisogno dei propri compagni per giocare al meglio. Se dovesse arrivare in un top club con delle aspettative eccessive, per lui il 2018 potrebbe rivelarsi peggiore di quanto non possa sembrare oggi.
Amine Harit, ‘97, Schalke 04
di Daniele Manusia
(Contributo tratto da un pezzo uscito in inglese per il blog di Wyscout)
Amine Harit dice di essere ambizioso. Per questo ha lasciato la Francia (il Nantes di Ranieri) dopo un solo anno in Ligue1, per giocarsi le sue chances in Germania, nello Shalke 04 di Domenico Tedesco. Dopo tre partite ha realizzato il primo assist, con una rasoiata che taglia in due la difesa del Red Bull Lipsia e mette in porta Konoplyanka. Ma più che il passaggio, in quella specifica azione a colpire è stato il gioco di gambe con cui ha saltato il gegenpressing avversario al centro del campo: Harit ha solo vent’anni ma ha già giocato in tutti i ruoli del centrocampo, senza mai perdere la sua qualità originaria di trequartista.
Harit ha un piede destro eccezionale con cui può fare tutto, nel gioco corto come nel lungo, con l’interno ha un controllo orientato che spesso equivale a un dribbling per come lo libera dalla pressione avversaria, con l’esterno gioca filtranti in diagonale verso sinistra estremamente precisi. Tedesco lo sta usando sia a sinistra che a destra, sia come mezzala che come trequartista. Spalle alla porta usa il corpo per proteggere palla e girarsi sul piede forte, e protegge meglio di molti giocatori con un fisico più grosso del suo (sfiora appena il metro e ottanta) ma Harit dà il proprio meglio in verticale. Sia per come legge il gioco (con una visione da vero e proprio regista offensivo) sia per la velocità con cui porta palla e serve i compagni nello spazio. A sinistra può rientrare sul destro, dribblare il diretto avversario e scegliere il compagno migliore da servire, dimostrando grande istinto e maturità nelle scelte.
Foto di Dean Mouhtaropoulos/Bongarts/Getty Images.
Per ora la scelta di giocare in Germania si è rivelata molto adatta alla sua verticalità. Solo 4 giocatori di campo hanno giocato più minuti di lui e, se tutto va bene, lo vedremo anche quest’estate al Mondiale. Non con la maglia della Francia, però, con cui ha vinto l’Europeo Under 19 insieme a Mbappé: lo scorso anno ha scelto di rappresentare il Marocco, “per via e grazie alla mia famiglia”, una decisione che ha preso dopo un anno e mezzo di riflessione. “La scelta più difficile di tutta la mia carriera”, ha detto. Invece Hervé Renard, l’allenatore, non ci ha pensato due volte e lo ha fatto esordire il prima possibile con i “Leoni dell’Atlante” (e Harit ha già realizzato 2 assist contro la Corea del Sud).
Riccardo Orsolini, ‘97, Atalanta
di Federico Aquè
Foto di Paolo Bruno / Getty Images.
Esattamente un anno fa Riccardo Orsolini era seguito da quasi tutte le squadre di vertice della Serie A. Alla fine lo aveva comprato la Juventus, che scelse comunque di lasciarlo ad Ascoli per fargli concludere il campionato di Serie B. Chiuso il torneo con 8 gol in 41 presenze, Orsolini ha poi giocato il Mondiale Under-20, trascinando l’Italia fino alle semifinali, un traguardo mai raggiunto prima, segnando 5 gol e vincendo la Scarpa d’oro come capocannoniere della competizione. Forte di queste grandi prestazioni, la scorsa estate la Juventus avrebbe potuto mandarlo in prestito praticamente ovunque. La scelta è ricaduta sull’Atalanta, in teoria il posto ideale per un ragazzo così promettente, vista l’attenzione che il club dedica ai giovani e la presenza di Gasperini, tra i migliori allenatori in Italia a sviluppare il talento dei giocatori a sua disposizione.
E invece finora Orsolini ha giocato molto poco, guadagnandosi la prima presenza da titolare in Coppa Italia contro il Sassuolo e accumulando per il resto qualche manciata di minuti dalla panchina, sia in Serie A che in Europa League. La rinascita di Ilicic e l’affermazione di Cristante, che in più di un’occasione ha completato il tridente offensivo, hanno drasticamente ridotto le possibilità di entrare stabilmente nelle rotazioni. È ovvio che in questo momento Ilicic e Cristante offrano maggiori garanzie a Gasperini, anche perché l’ingresso in squadra di Orsolini cambierebbe, e molto, gli equilibri nel tridente. Orsolini è un esterno mancino che ama partire da destra, ha uno stile poco associativo e più “da attaccante” rispetto a Ilicic e Cristante: il suo gioco è ancora incentrato in gran parte sull’uno contro uno e sulla ricerca della porta avversaria, con e senza palla, un aspetto affinato nel Mondiale Under-20, in cui ha spesso segnato tagliando dal lato debole. In teoria questa sua caratteristica si completerebbe bene con la creatività di Gómez sulla fascia sinistra, ma non è ancora un argomento sufficiente per convincere Gasperini a concedergli maggiore spazio.
Le poche presenze accumulate finora hanno alimentato le voci di mercato, ma di recente il suo procuratore ha dichiarato che non lascerà l’Atalanta, almeno nella sessione invernale del calciomercato. Orsolini ha ancora un anno e mezzo per imporsi con i bergamaschi (l’accordo stabilito con la Juve in estate prevede infatti un prestito biennale): con un po’ di pazienza e di fiducia in Gasperini potrà tornare a generare l’hype che aveva portato tutte le grandi squadre italiane a interessarsi a lui un anno fa.
Gerson, ‘97, Roma
di Dario Saltari
Dopo un anno in panchina, passato a stimolare più che altro l’ironia dei tifosi per il prezzo speso dalla Roma che minuti giocati, Gerson è finalmente riuscito a rientrare nelle rotazioni dei titolari della Roma di Di Francesco, guadagnandosi anche una settimana di gloria dopo la doppietta alla Fiorentina. Nonostante sia indubbiamente cresciuto molto, però, il brasiliano non ha ancora fugato del tutto i dubbi su suo talento. Gerson ha dimostrato di avere alcune caratteristiche al di sopra alla media – la difesa del pallone spalle alla porta, il primo controllo, il fisico potente ed elastico – ma non è ancora del tutto chiaro dove potrebbe diventare davvero un giocatore eccezionale, in che posizione esattamente, in che contesto, con quali compiti. Gerson è troppo statico senza palla per pensarsi come mezzala, sia di possesso che di inserimento, troppo lento per essere un’ala davvero dominante. Nel 2018 forse scopriremo se esiste un ruolo in cui Gerson può affermarsi davvero, sempre che esista, in ogni caso toccherà a lui continuare a crescere e sfruttare le occasioni che gli verranno date.
Dayot Upamecano, ‘98, Red Bull Lipsia
di Flavio Fusi
(Contributo tratto da un pezzo uscito in inglese per il blog di Wyscout)
Dayotchanculle Upamecano è un prodotto delle giovanili del Valenciennes, squadra che ha lasciato nel 2015 per trasferirsi al Salzburg. Il difensore francese ha cominciato giocando una stagione nel Liefering, per poi passare in prima squadra nel 2016/17. Il massimo campionato austriaco gli è però andato subito stretto e quest’estate ha completato la sua rapida ascesa nelle gerarchie dei club RB, approdando al Leipzig.
In Bundesliga sta confermando quanto di buono fatto vedere nella sua breve carriera. Upamecano è alto 1 metro e 85 e dispone di una struttura fisica notevole (83 kg), considerato che ha compiuto 19 anni da pochi mesi. L’altezza e un buon senso dell’anticipo lo rendono difficilmente superabile nei duelli aerei, che vince nel 68% dei casi. Ha grande forza fisica e un equilibrio invidiabile, caratteristiche che lo avvantaggiano non poco nei contrasti.
Dimostra ottime letture delle trame di gioco avversarie, tanto da completare 6.1 intercettazioni ogni 90 minuti. È molto rapido, considerata la stazza, ma dà il meglio di sé nel lungo, quando riesce a coprire molto campo grazie a delle gambe lunghissime, piuttosto che nel corto, rendendolo il difensore ideale per una squadra che difende in avanti come il Leipzig.
Con il pallone tra i piedi è sicuro e composto (51 passaggi per 90 minuti con una precisione del 90%) e non manca di condurre palla o cercare il dribbling, grazie alla tecnica individuale sopra la media di cui dispone. Gioca a testa alta e spesso cerca, con successo, passaggi a lunga gittata, siano essi cambi di gioco o lanci alle spalle della difesa avversaria. Fisico, forza, senso dell’anticipo, rapidità e precisione nei passaggi: Upamecano dispone già di tutte le caratteristiche del difensore moderno ed è destinato a crescere ancora.
Nicolò Barella, ‘97, Cagliari
di Dario Saltari
La crescita di Barella in questa stagione è stata talmente esplosiva e spettacolare che chiedersi adesso se riuscirà a confermarsi anche il prossimo anno sembra quasi superfluo. Il mediano del Cagliari è, insieme a Chiesa e Donnarumma, il prospetto italiano più eccitante degli ultimi anni e potrebbe passare in una grande squadra già nelle prossime sessioni di mercato. Con la sua capacità di mantenere alto il proprio rendimento contro qualsiasi avversario, è già possibile immaginarselo nel centrocampo delle migliori squadre italiane, nonostante sia solo alla sua primissima stagione da titolare in Serie A. Barella, per forza di cose, ha un talento ancora molto grezzo ma la facilità con cui ha adattato le sue qualità alla massima serie, riuscendo anzi a distinguersi dalla media, fa pensare che abbia qualcosa in più degli altri. E allora la domanda diventa se Barella è già pronto per questo salto oppure no: questo, sì, il 2018 potrebbe dircelo.