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L’origine del termine spagnolo “izquierda”, sinistra, continua a essere avvolta nel mistero: dovrebbe provenire dal basco “ezker”, sinistra, e ancora meglio da “ezkerti”, mancino. Ma ciò che sembra facile è poi reso difficile da altre forme simili e da alcuni incerti passaggi fonetici, tanto che alla fine in molti preferiscono semplicemente evidenziare il legame con una lingua preromana ispano-pirenaica.
Allo stesso modo, è difficile capire l’enigma dell’incredibile fioritura di talenti mancini nel Valencia: potrebbe essere merito del settore giovanile, ma gente come Jordi Alba, David Silva e Juan Mata è cresciuta altrove e sbocciata al Mestalla; tranne Vicente, grande ala mancina del doblete di Benítez, nessuno è nato nella città valenciana (al massimo in provincia, tipo Albelda e Bernat), quindi non può essere una questione genetica; e se escludiamo qualunque influsso dell’ “arroz bomba”, il riso che si usa per la paella e che non scuoce praticamente mai, rimane solo l’ipotesi di emulazione di Amedeo Carboni, mancino e storico capitano della squadra “che”.
Carboni a Valencia è ricordato e amato in un modo che per noi è davvero difficile da comprendere: tipo Aldair a Roma o Rui Costa a Firenze. Sul serio.
Jordi Alba e Juan Bernat sono due mancini offensivi riconvertiti terzini sinistri: il primo da giovane era addirittura trequartista nella cantera del Barcellona ed è stato poi redento da Unai Emery; il secondo, che ne ha ereditato il ruolo al Valencia, era esterno offensivo, poi diventato terzino grazie all’intuizione di Lopetegui al Mondiale Under-20.
Andati via entrambi verso le squadre più forti d’Europa (Barça e Bayern), per l’ennesima volta il Valencia ha dovuto cercare una soluzione, e l’ha trovata: un nuovo grande giocatore mancino. Si tratta però di un’evoluzione della specie: José Luis Gayà Peña, semplicemente Gayà, è stato trasformato in terzino da subito. A 11 anni entra nel settore giovanile del Valencia e nella sua prima stagione segna 60 gol, meritandosi il soprannome di “Rey Pescador“. A quel punto, qualcuno deve aver pensato fosse meglio evitargli qualunque illusione e sistemarlo subito nella linea difensiva, ruolo terzino sinistro del Valencia Club de Fútbol, che sarebbe quasi un marchio da registrare.
Macinare chilometri
Quando a 11 anni il Valencia scelse Gayà, i genitori furono chiari: sarebbero rimasti tutti a Pedreguer, cittadina di circa 7mila abitanti nella provincia di Alicante. Il sacrificio fu enorme: dalla città natale del piccolo José Luis fino a Paterna, sede del centro sportivo del Valencia, ci sono 120 km da percorrere. Nel giro di tre anni, circa 120.000 km percorsi con il padre per andare ad allenarsi tre volte a settimana (più la partita) e tornare a Pedreguer. Oltre che per la famiglia, uno sforzo enorme per un ragazzino di quell’età: durante i viaggi in macchina aveva ormai organizzato un suo mondo parallelo, fatto di panini, libri e studio per la scuola.
Gayà nel suo habitat naturale: Pedreguer, gli amici, la famiglia. Un mondo un po’ chiuso, ma almeno è il suo e non è artificiale.
Solo l’amore per il Valencia, la sua squadra del cuore, può giustificare una follia bella e buona: perché è di questo che si dovrebbe parlare. Viaggiare per così tanti chilometri in tre anni, riducendo al minimo i tempi per la famiglia e per gli amici, per raggiungere un obiettivo quasi impossibile.
È molto più facile realizzare due en plein di fila alla roulette puntando sullo stesso numero (probabilità dello 0,07%) che diventare calciatori professionisti (uno su cinquemila ce la fa). In fondo i ragazzini sono ancora spinti dalla passione per il calcio, per la loro squadra, per i loro idoli, e tutto ciò va al di là delle ambizioni e dei soldi: nessuno si spaccherebbe la schiena per un azzardo simile, se non per amore.
Finalmente può incontrare il suo idolo Vicente, da cui prende il numero 14 (un’ispirazione che lo accomuna a Bernat): ma quando l’ex ala dice che «sarà un punto di riferimento del Valencia per i prossimi 10-12 anni», Gayà sembra quasi sospirare. Forse sa già che non sarà così.
A 14 anni si trasferì nella residenza del club perché si erano accorti ormai delle sue qualità e continuare a viaggiare ne avrebbe potuto compromettere le prestazioni, oltre a essere anche piuttosto rischioso (il Valencia gli vietava di presentarsi agli allenamenti in giornate troppo piovose).
Tutto quel tempo in macchina forse ha reso Gayà più consapevole di sé stesso, delle sue potenzialità e dei suoi limiti, e persino più maturo rispetto a tanti ragazzi della sua età (è nato il 25 maggio 1995). Magari gli ha anche fornito un particolare rispetto per la fatica e la corsa e la consapevolezza che partire significa anche tornare: è ciò che in campo non dimentica mai, sulla fascia sinistra.
Scalata
Alla domanda su quale sia il momento migliore della sua storia calcistica, Gayà risponde proprio da innamorato: l’esordio ufficiale con la maglia del Valencia in Coppa del Re in trasferta contro la Llagostera, 30 ottobre 2012, grazie all’allenatore Mauricio Pellegrino, difensore storico del Valencia di Cúper e Benítez. Nel frattempo Gayà si impone nella squadra B, il Valencia Mestalla, in terza divisione: così un anno dopo, il 12 dicembre 2013, è il più giovane giocatore nella storia del Valencia a giocare in una competizione europea, a 18 anni e 6 mesi, contro il Kuban Krasnodar in Europa League. In questo caso a lanciarlo è un altro leggendario difensore del Valencia, che in coppia con Pellegrino perse la finale di Champions League del 2000: l’allenatore serbo Djukic, esonerato appena 4 giorni dopo.
120 concittadini di Gayà al Mestalla per il suo debutto europeo: si presentano addirittura con le maschere del suo volto e lo sostengono come pazzi (è il numero 31). Quando si dice “avere un paese alle spalle” (la colonna sonora dei Pirati dei Caraibi aggiunge un tocco epico a un normale esordio).
Con un pedigree di questo livello, si pensava che Gayà avrebbe esordito presto nella Liga, e invece no: alcuni problemi muscolari lo frenano, creando problemi anche alla società, che aveva venduto il messicano Guardado (all’epoca terzino sinistro) nel mercato invernale proprio per fargli spazio. Il titolare è Bernat, ormai già affermato, e per esordire nel campionato spagnolo Gayà deve aspettare fino ad aprile: in casa al Mestalla contro l’Atlético Madrid di Simeone, stavolta grazie a Juan Antonio Pizzi, allenatore argentino (anche lui con un breve passato da giocatore nel Valencia).
La carriera di Gayà finalmente si sblocca: da giovane promettente a giocatore da prima squadra, tanto da disputare persino 45 minuti nella semifinale di Europa League contro il Siviglia. Il club in estate decide di vendere Bernat e spalancargli così la fascia: a 19 anni Gayà è il terzino sinistro titolare del nuovo Valencia del presidente Lim e di Nuno Espirito Santo, l’allenatore portoghese chiamato a risistemare una squadra troppo incostante.
Il Valencia vola nel girone di andata 2014/15 e Gayà è uno dei segreti di questo successo: fondamentale nella catena di fascia sinistra con André Gomes e Pablo Piatti. L’argentino, partendo da ala sinistra, preferisce entrare nel campo per giocare in zona centrale, lasciando così molto spazio agli inserimenti in profondità del terzino: Gayà non si tira indietro e comincia a mostrare ciò di cui è capace.
Arroz a banda (izquierda)
José Luis Gayà è come un piatto semplice e buonissimo: ti conquista subito per il sapore forte e genuino, ma poi ti sorprende con un retrogusto che pulisce il palato e ti spinge ad averne ancora. Come l’arroz a banda, il suo preferito, un antico piatto dei pescatori di Alicante preparato con il pesce invenduto (con l’aggiunta del riso, cucinato a banda, cioè a parte) e ormai diventato una prelibatezza da ristorante.
Quando Gayà corre, così piccolo e compatto (1.72 metri), le gambe formano un mulinello: e la sua corsa è talmente instancabile che sembra spinta da una turbina (è stato il decimo giocatore più veloce della Liga 2014/15, con una velocità di punta pari a 35,05 km/h).
L’esordio di Gayà nella Liga, contro la peggior squadra per un giovane, l’Atleti futuro campione di Spagna. Si vedono molti errori di misura, ma anche tanta corsa e grinta: addirittura un litigio con Godín, un difensore centrale che è la personificazione della leadership.
Eppure quando arriva sul fondo e sembra aver ormai compiuto il proprio dovere, ecco quel momento di bellezza estetica, così preciso e geometricamente limpido: il piede sinistro che colpisce il pallone sempre nel modo giusto, con il corpo leggermente all’indietro e la gamba arcuata che sembra quasi un Beckham mancino. È un movimento simile al topspin nel tennis: qui il ginocchio sembra quasi contorcersi.
Il cross per Gayà è un gesto tecnico così naturale che gli riesce in tutti i modi: quello alto e forte che scavalca tutti, come quello di prima, a mezza altezza, che passa alle spalle della linea difensiva. Nella passata stagione ha realizzato ben 6 assist in campionato, gli stessi di un mostro sacro come Dani Alves, che oltretutto è una sorta di regista occulto nel Barça: il piede di Gayà non è da terzino sinistro, ma da un ragazzo che sognava di emulare Vicente e David Silva (e che riesce a incidere anche in fase offensiva, con poco meno di un passaggio chiave a partita in media).
Non c’è la stessa naturalezza nel primo controllo, a volte ruvido per un giocatore così dotato tecnicamente: è colpa anche della velocità e dell’impulsività, che mescolate lo spingono ad attaccare dritto per dritto, quasi ad attraversare i corpi avversari. Magia che gli riesce sulla fascia, quando tenta la sua classica finta a rientrare, per passare in mezzo a due giocatori. Per Gayà a volte è più facile giocare un pallone lungo che corto, come se fosse un golfista abituato alle grandi distanze (e infatti la lunghezza media di un suo passaggio è di circa 4 metri più alta di quella di Jordi Alba e Dani Alves), ma è anche una questione di sistema di gioco.
Il Valencia di Nuno si caratterizzava per il suo gioco diretto e per la velocità sulle catene di fascia: uno-due e verticalizzazioni per cercare le punte (Negredo e Paco Alcácer) in profondità. Quando l’allenatore portoghese, a inizio 2015, ha provato il 3-5-2 per integrare Negredo in squadra, Gayà sembrava doversi accomodare in panchina. Poi nella partita casalinga contro il Real Madrid subentra a Piatti e distrugge i rivali Carvajal e Isco: il Valencia vince 2-1, anche grazie a una sua incursione terminata con un assist, e la fascia sinistra ritorna di sua proprietà.
All’inizio sembra quasi sbagliare il dribbling, ma è talmente più rapido dell’avversario che lo salta comunque, alza la testa e regala una magia per la testa di Negredo: un terzino che crossa così bene è difficile da trovare.
La nuova stagione è iniziata malissimo per la squadra, ma lui sembra essersi salvato: sempre puntuale con la sua corsa rapida e con il sostegno offensivo, anche se notevolmente ridotto per ridurre gli squilibri in difesa. Il Valencia è stato eliminato dalla Champions League (è arrivato terzo), ma Gayà ha esordito bene anche in questa competizione: uno dei pochi a non naufragare.
Gayà è aggressivo, ma ancora troppo leggero fisicamente e gli avversari tendono a sfruttare questo suo difetto. Le sue gambe gli consentono un’ottima elevazione, ma non è un buon colpitore di testa. Gli manca ancora convinzione in zona gol, nonostante a volte abbia segnato in modo pregevole. Cerca sempre di fare la cosa giusta per non esporre la squadra a inutili transizioni ed è raro vederlo dribblare: preferisce saltare l’uomo in corsa e non da fermo.
In fase difensiva è difficile trovargli difetti, è un terzino puro e questo è un altro vantaggio rispetto ai suoi concorrenti: governa la diagonale da esperto, mantiene la posizione, spinge sempre il suo avversario sull’esterno, per controllarlo con il piede forte. È disciplinato tatticamente (2.8 tackle e 2 anticipi a partita), ma la sua velocità gli permette anche di sbagliare e riparare nella stessa azione.
Un bel gol di Gayà: stop di sinistro, con una finta di corpo si porta il pallone sul destro e calcia sul palo lontano. E questo è il piede debole.
Nella grande tradizione dei terzini del Valencia, Gayà somiglia poco a Jordi Alba e per nulla a Bernat: sia per la velocità di base superiore, ma soprattutto per il maggior talento naturale. Eppure sono proprio loro due a sbarrargli le porte della Nazionale spagnola: senza contare Azpilicueta, quasi sempre convocato.
L’Europeo è un sogno troppo grande per un ragazzo che ha esordito nella Liga appena un anno e mezzo fa: del Bosque ha detto di seguirlo con grande attenzione, ma sarebbe davvero sorprendente vederlo nei 23 che giocheranno in Francia. La dimensione giusta per Gayà in questo momento è l’Under-21: deve irrobustirsi, su tutti i fronti, e acquisire quel livello di sicurezza che ti permette di capire cosa sta per accadere in campo con una frazione di secondo di anticipo.
Nel frattempo, deve anche guardarsi dai pericoli in casa: l’arrivo di Gary Neville come nuovo allenatore del Valencia costituisce un’incognita significativa. Nelle ultime due partite il tecnico inglese gli ha preferito il mediocre, ma più esperto argentino Orbán, a dimostrazione di quanto sia difficile per un giovane essere considerato titolare e di quanto Neville sia un alieno nel mondo valenciano.
Per ora il suo percorso di crescita non ha conosciuto intoppi: Gayà è un giocatore con grandi margini di miglioramento, ma ovviamente ha bisogno di giocare e il Valencia è in una fase molto, forse troppo, turbolenta.
Anche se Gayà fa parte di quella serie di generazioni di calciatori spagnoli molto professionali, quasi portatori di una saggezza contadina (da Puyol a Iniesta fino appunto a Gayà: nati e cresciuti in paesini con al massimo 7mila abitanti), nessun destino è davvero già scritto, anche se si è mancini e si gioca nel Valencia: c’è sempre uno pseudo-allenatore inglese che può rovinarti la carriera.
Gayà non ha fretta di crescere e fa bene: ha deciso di rinnovare con la sua squadra del cuore fino al 2020 (con clausola rescissoria fissata a 50 milioni), ma è logico pensare a un suo futuro altrove e da tempo ci sono voci sull’interessamento del Real Madrid. Nel frattempo continuerà a fare su e giù con Pedreguer, anche se solo ogni tanto, e mangiare l’arroz a banda insieme ai suoi amici.