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Daniele V. Morrone

Classici: Italia-Francia ’98

L'inizio della rivalità calcistica fra Italia e Francia.

È un caldo pomeriggio del 3 luglio 1998 e il Mondiale in corso è appena entrato nel vivo, alle partite che ricorderemo. È stato un Mondiale entusiasmante: stadi moderni, tante magliette iconiche, grande risposta del pubblico arrivato da tutto il mondo, e tantissimi gol. Si gioca un calcio aperto, offensivo, che riflette l’ottimismo che si respira in Europa in quel periodo. Ora arrivano le partite più importanti e i minuti pesano.

 

Tre giorni prima si è giocata Argentina-Inghilterra, la prima partita epica di una competizione che ai gironi aveva lasciato poche sorprese. Ma ora tutte le 5 maggiori candidate alla vittoria (Brasile, Olanda, Argentina, Italia e Francia) sono ai quarti di finale e Italia-Francia alle 16.30 è quella che apre le danze.

 

Lo Stade de France è stato inaugurato sei mesi prima: è lo stadio più all’avanguardia, il protagonista del Mondiale. Il tifo è quasi tutto per i padroni di casa, lo si vede dalla tonalità di blu delle magliette e soprattutto dalla forza con cui viene intonata dallo stadio la Marsigliese. Perché così pochi italiani? Il capitano Paolo Maldini alla vigilia ha abbozzato una spiegazione: «I nostri non sono organizzati come i danesi e i norvegesi, chi ha deciso di venire al secondo turno si è trovato senza biglietti». La tribuna autorità invece è più ripartita: ci sono tra gli altri Jospin, Chirac, Platini, Veltroni, Agnelli, Kissinger.

 

«La Francia ha giocato a tratti il miglior calcio del Mondiale insieme all’Olanda. E ha dimostrato di essere più solida perfino del Brasile. È una finale anticipata, ma l’Italia se la può giocare fino in fondo con ottime possibilità considerando che, se è vero che lo stadio sarà tutto per i padroni di casa, i tifosi non fanno gol, mentre Vieri è il capocannoniere del Mondiale».

 

Sempre Maldini alla vigilia ha riassunto bene qual è l’umore della vigilia. La Francia sulla carta sembra più forte, ma l’Italia ha una difesa di ferro (pur senza Buffon e Nesta al Mondiale per infortunio) e un centravanti che sembra poter segnare un gol a partita. Non sarebbe una sorpresa fare la festa alla Francia che si sente più forte e non lo nasconde alla vigilia: «Sabato ci ritroveremo qui: no, non sono preoccupato, i ragazzi sono caricati e concentratissimi». Il CT Jacquet promette: «L’Italia ha più esperienza e più storia di noi, ma con i nostri mezzi possiamo metterli in difficoltà, preoccuparli. Perché mettere in atto il nostro gioco è la prima regola che ci siamo imposti in questo Mondiale».

 

C’è ovviamente una rivalità latente, ma ancora non si è espressa in questi Mondiali. Sono la Germania e il Brasile le squadre contro cui l’Italia sente di doversi giocare il dominio mondiale. L’ultima Francia di Platini aveva eliminato nel 1986 l’Italia campione del Mondo in carica agli ottavi con un 2-0 che non ammetteva rimpianti. Ma la squadra di Bearzot era stanca e chiaramente a fine ciclo. Da lì l’Italia aveva fatto in tempo ad aprire due cicli diversi, quello con Vicini e quello con Sacchi. Aveva perso il Mondiale di casa e quello negli Stati Uniti. La Francia invece non si era qualificata nelle ultime due edizioni, nonostante campioni come Cantona e Papin. Tuttavia, al Mondiale di casa viene considerata una delle favorite, così come la Nazionale di Cesare Maldini. L’Italia è in quel periodo storico è favorita in ogni competizione, anche perché è la Nazionale del campionato di Serie A, il migliore al mondo, quello dove giocano o vogliono giocare tutte le stelle di questo Mondiale.

 

La Francia ha superato facilmente il proprio girone e l’ottavo di finale contro il Paraguay, mentre l’Italia come suo solito ai quarti ci è arrivata più faticosamente. Christian Vieri però ha segnato 5 gol e ha l’aria del centravanti di livello mondiale che era mancato quattro anni prima. L’ambiente e i tifosi a casa sono assorti nel dualismo tra chi deve affiancarlo in attacco. Cesare Maldini pensa che questo debba essere il Mondiale di Alessandro Del Piero, la stampa e i tifosi invece chiedono a gran voce Roberto Baggio. L’attaccante della Juventus è reduce dall’infortunio nella finale di Champions League contro il Real Madrid e non ha potuto neanche giocare la prima partita. Baggio viene dall’anno al Bologna, la sua stagione di rinascita simboleggiata dai capelli rasati. I 22 gol in Serie A lo trascinano a furor di popolo tra i convocati. Così ne scrive Stefano Piri nel longform dedicato a lui: «Il gioco che Baggio offre in Francia è ormai quasi incorporeo, pura luce che irradia il campo senza quasi bisogno di correre: contro il Cile si procura un rigore ipnotizzando un difensore e spedendogli il pallone contro il braccio, con la facilità di un padre che incanta un bambino piccolo con un gioco di prestigio. Fa segnare Di Biagio contro il Camerun, contro l’Austria subentra a Del Piero e segna di nuovo».

 

Contro la Norvegia agli ottavi, in una partita sbloccata come al solito da Vieri, si arriva al culmine della disputa: Baggio viene fatto scaldare nel secondo tempo ma non entrerà mai, Maldini sceglie Chiesa come cambio di Del Piero e c’è addirittura chi da dietro la panchina prende a male parole il CT facendo partire un battibecco tra spalti e panchina per diversi minuti.

 

Quando a fine partita viene chiesto al CT il perché della scelta di non far entrare Baggio risponde: «Sono affari miei». È una storia vecchia come il calcio italiano, quello delle staffette tra i giocatori più creativi, perché nell’11 c’è posto solo per un trequartista, dato che il resto della squadra deve occuparsi di neutralizzare gli avversari e non può pensare solo a giocare quando ha la palla. Mentre tutta Italia non si capacita della scelta di Del Piero titolare anche contro la Francia, alla vigilia per Maldini il vero dubbio è come provare a fermare Zinedine Zidane.

 

Il quarto contro l’Italia è anche il ritorno in campo di Zinedine Zidane nel Mondiale, avendo saltato per squalifica (per aver calpestato l’avversario Amin contro l’Arabia Saudita) l’ultima partita del girone e l’ottavo contro il Paraguay. Sembra strano oggi ma non sembrava proprio il suo Mondiale fino a quel momento, non aveva segnato né giocato in modo memorabile. 

 

Però tutti sono consapevoli che nel momento in cui dovesse sbloccarsi la Francia raggiungerebbe un’altra dimensione. 

 

Ne è convinto anche il CT della Francia Aimé Jacquet, che gli ha costruito una squadra attorno e l’ha aspettato e coccolato tutto il Mondiale. Jacquet è una delle principali figure della storia del calcio francese: da giovane ha fatto vari lavori, tra cui l’operaio, prima di potersi dedicare solo al calcio, dove viene ricordato soprattutto per gli anni al Saint-Etienne. Da allenatore è ricordato per gli anni di successi al Bordeaux negli anni Ottanta e quello di commissario tecnico della Francia sarà la sua ultima panchina, avvisando di questo già prima del Mondiale. 

 

La sua è una figura cardine nel gestire l’amalgama tra i senatori storici (Blanc, Lebœuf, Deschamps) e il folto gruppo dei giocatori francesi di seconda generazione esploso in quegli anni (Zidane, Thuram, Desailly, Djorkaeff, Pires, Karembeu), che per la prima volta nella storia della Nazionale francese non sono più una minoranza. Oltre al merito di lanciare la nuova esplosiva generazione, quella cresciuta dal centro tecnico nazionale di Clairefontaine degli Henry e Trezeguet. Praticamente tre generazioni di calcio francese, tutte racchiuse nella rosa del Mondiale di casa. Un lavoro che darà i suoi frutti anche dopo.

 

La Francia si presenta contro l’Italia con Zidane al centro della trequarti e tutta una serie di giocatori che gli ruotano attorno: si può riassumere lo schieramento come un rombo a centrocampo con Deschamps come vertice basso e due mezzali che si muovono molto in verticale. Sono Petit a sinistra e Karembeu a destra, mentre davanti al numero 10 ci sono Djorkaeff come seconda punta e il centravanti di manovra Guivarc’h. Uno schieramento asimmetrico perché Zidane può muoversi a piacimento per ricevere, ma predilige il versante sinistro del campo, con a destra un movimento che vede ad abbassarsi sulla trequarti Djorkaeff, mentre si butta in avanti Karembeu. La Francia così ha tecnica e forza fisica ben distribuita. L’unico punto debole è il centravanti-sgobbone Guivarc’h, ma Zidane in giornata farebbe segnare pure lui.

 

Per Cesare Maldini quindi tutto il piano gara ruota attorno a come inceppare l’attacco francese. Maldini è un allenatore vecchio stampo, c’era prima di Sacchi e da lui non pensa di avere molto da imparare; la sua Italia è quindi più un’emanazione del calcio italiano anni ‘80. Non ci sono più le tre linee e il 4-4-2, non c’è più il pressing: è tornata la zona mista e il libero, Beppe Bergomi. L’idea è che la coppia d’attacco qualcosa si inventerà per arrivare al gol, l’importante è che gli altri 8 in campo pensino a come non concederne uno. Tolta quindi la coppia d’attacco, il resto dell’undici è tutto pensato in funzione difensiva. Per l’occasione il vero dubbio è se mettere contro Zidane il centrocampista Dino Baggio o se far giocare il terzino Pessotto chiedendogli di seguire il numero 10 che tende ad allargarsi nella sua zona.

 

«Zidane l’ho marcato solo in allenamento». Aveva commentato Pessotto alla vigilia, continuando: «Quando è in giornata Zidane è difficile da contenere. È in grado di risolvere l’incontro, di spostarsi per il campo a cercare l’ispirazione. L’unico modo per metterlo in difficoltà è quello di innervosirlo con una marcatura asfissiante. Bisogna soffocarne la fantasia impedendogli di entrare in partita. Si può fare ciò con mezzi ovviamente leciti, ma ci vuole molto impegno e dedizione».

 

Vince la seconda opzione. Lo schieramento italiano è una sorta di 5-3-2 asimmetrico, con Maldini e Pessotto ai lati dei due stopper Costacurta e Cannavaro, ma può anche diventare 5-4-1 con l’esterno Moriero che si muove tra la mezzala e l’esterno destro del campo. Davanti Del Piero da seconda punta viene molto incontro sulla trequarti nella zona sinistra. A seconda di come si muove la Francia si assesta l’Italia, che secondo il piano gara una volta recuperata palla deve andare il prima possibile ai due davanti, saltando anche il centrocampo.

 

 

Tutta questa attenzione difensiva dell’Italia è chiara fin dal fischio d’inizio, ma non si traduce poi in una partita bloccata, anzi la partita è ad alti ritmi e piena di occasioni da entrambe le parti. Tutto il contrario dello 0-0 privo di occasioni della finale dell’Italia di quattro anni prima. La prima occasione arriva già al minuto 1 e nei primi 15 è quasi un bombardamento da parte della Francia.

 

Quello che si nota subito è che la consegna di Maldini alla squadra è di evitare di mettere in ritmo l’attacco francese, nel caso in cui viene perso il duello individuale bisogna ricorrere al fallo anche se vicino all’area di rigore. Per questo molte delle occasioni della Francia nascono alla fine proprio da una punizione dai 30 metri in avanti con un cross di Zidane, che però poi la difesa italiana è bravissima a neutralizzare in qualche modo.

 

Nessuna delle due squadre sembra in grado di controllare il pallone con continuità o almeno non ci riesce la Francia come vorrebbe, ma riesce comunque a creare più occasioni di quanto affrontare un avversario così ricco di talento difensivo farebbe pensare. La vera peculiarità di questo 0-0 è che tutto il talento sembra svanire al momento esatto della conclusione. Una regola che vale per entrambe le parti. Se la Francia arriva alla conclusione palleggiando, l’Italia lo fa dopo dei lanci lunghi. Le occasioni non mancano, ma la precisione sì. Dal primo all’ultimo minuto la porta sembra stregata. Lo è per tutti, anche per i giocatori talentuosi. Zidane esegue un controllo in aria col collo del piede che ci regala una bella fotografia – anzi, una fotografia immortale – ma serve a poco. Dopo questo controllo magico il tiro è sparacchiato via con un’imprecisione inconsueta.

 

In ogni caso la trappola dell’Italia non funziona. Zidane trova spesso la zona dove ricevere sulla trequarti e far girare la squadra. Oppure funziona proprio perché alla fine il fantasista è sempre poco lucido al momento della conclusione?

 

Di sicuro la scelta di Del Piero titolare è un disastro. La sua partita sarebbe stata meno problematica se “Pinturicchio” fosse stato un semplice fantasma, ignorato dai compagni. Del Piero invece ci prova ad entrare in partita, a farsi trovare dai compagni, a fare tutta quella serie di azioni di rifinitura per cui era considerato uno dei migliori al mondo. Ma la marcatura di Thuram lo pone davanti alla dura realtà: non riesce a superarlo con la tecnica e non può certo farlo con l’atletismo. L’Italia è scollegata da Vieri, e lo trova solo in situazioni sporche. Giusto un cross da sinistra che però Vieri sul secondo palo non impatta a dovere. È l’unica vera grande occasione italiana per lunga parte della partita.

 

La storia cambia quando Jaquet fa la sua prima mossa. Siamo all’ora di gioco ed entrano in campo Trezeguet e Henry al posto di Karembeu e Guivarc’h. La Francia passa al 4-2-3-1 (Trezeguet davanti al tridente Henry, Zidane, Djorkaeff). Maldini risponde con Baggio al posto di Del Piero. 

 

A inizio secondo tempo Maldini aveva già fatto entrare Albertini per Dino Baggio e con i nuovi cambi la capacità tecnica delle due squadre si impenna. A questo punto il gol sembra soltanto una questione di tempo. Chi per primo dovesse segnarlo si porterebbe a casa la partita, visto che il caldo – e forse anche la pesantezza evidente delle due divise sintetiche – ha portato la condizione fisica delle due squadre vicinissime alla riserva.

 

Poi arriva quell’occasione di Roberto Baggio: il “quasi-gol” più bello della storia del calcio.

 

Siamo al minuto 101, Albertini prende palla sulla fascia destra mentre l’Italia schiera tre uomini contro i tre difensori francesi. Si capisce subito che il centrocampista del Milan sta pensando a mettere un cross al centro, ma Baggio fa un movimento in area perfetto alle spalle del marcatore Desailly e Albertini decide di servire lui. È una parabola perfettamente tarata per arrivargli incontro al centro dell’area. Desailly e Blanc sono fuori causa e Barthez prova a farsi avanti come può. 

 

Baggio si accorge dell’uscita del portiere e affretta la conclusione. La palla gli viene da destra a rientrare e lui la colpisce col collo del piede destro: tecnicamente è un gesto impeccabile. Così lo racconta lui nell’autobiografia Una porta nel cielo: «Ero spostato alla destra della porta di Barthez, il mio unico errore è stato quello di colpire troppo bene la palla, che è uscita di pochissimo: se la colpisco sporca, son sicuro che va a morire nel sette. E viene giù lo stadio. Sarei stato un eroe».

 

 

Baggio definisce il suo quasi gol “un quasi golden gol”. La parabola del suo tiro supera Barthez ma finisce al lato esterno del secondo palo invece che in porta. Il resto dei supplementari sono altrettanto vivi, ma le squadre sono così stanche da non arrivare vicine a un’altra azione da gol del genere. Ancora una volta si arriva ai rigori per l’Italia, i primi dalla Finale del 1994 e il primo scelto a calciare è proprio Roberto Baggio. In realtà è il secondo, perché il primo a calciare è francese ed è ovviamente Zidane, che ovviamente segna. Baggio segna, togliendosi di dosso per qualche minuto anni di rimpianti da Pasadena.

 

L’errore decisivo è di Di Biagio: della sua traversa, concentrandoci, interiormente, possiamo ancora sentirne il rumore. Di Biagio durante il Mondiale si era preso la maglia da titolare al posto di Albertini; era stato uno dei migliori in Francia. L’immagine della tragedia, per quella volta, è la sua: lui che si lascia cadere all’indietro, annientato dalla forza di gravità. È l’immagine che rimane più impressa tra chi ha avuto la forza di rimanere a guardare la televisione: «Non auguro a nessuno di provare questi momenti. Ci si sente crollare il mondo addosso». Di Biagio ha però comunque la forza di provare a razionalizzare l’errore che condanna l’Italia ancora una volta ai calci di rigore: «Il calcio è questo, a volte è molto crudele. Non credo di aver tirato male, ero tranquillo, avevo deciso di calciare centralmente, poi la sfera si è alzata un po’ troppo e ha sbattuto contro la traversa. Peccato».

 

A fine partita Cesare Maldini parla come un allenatore che sa già di avere le ore contate e che però non ci sta ad andare via senza prima difendersi dai giornalisti: «Ditemi quante volte Pagliuca è stato chiamato in causa, quante parate ha dovuto fare. Beh, ve lo dico io: due nel primo tempo, una nella ripresa. Basta, allora non cominciate voi giornalisti a dire che ci hanno schiacciato. È vero, la Francia ha fatto la partita, ma noi ci siamo difesi. Mica era facile giocare qui, nei quarti, contro i padroni di casa. Chi sostiene il contrario si sbaglia di grosso. La partita si è conclusa in pareggio, i rigori, l’ho già detto, sono una maledizione e ci hanno punito ancora una volta. Peccato, peccato davvero». E per chiudere il cerchio prova a difendere un’ultima volta la scelta di puntare su Del Piero: «Io sono contento e soddisfatto di quello che ha fatto Del Piero. No, non mi ha deluso». 

 

È invece Del Piero a non nascondersi dalle critiche di fine partita: «È vero, mi rimarrà un brutto ricordo di France 98: non solo per come è andata a me, ma anche per quello che ha ottenuto la squadra. Io non ho fatto quello che volevo, e questo è il mio rammarico». Sottolinea poi quanto il contesto della partita non lo abbia aiutato a esprimersi: «Oggi abbiamo cercato di giocare in contropiede, e non era facile guadagnarsi molti palloni e creare occasioni pericolose. Fino a quando sono stato in campo non siamo riusciti a fare gioco, e però non è giusto dire che siamo stati surclassati».

 

Baggio si schiera in difesa del suo ex compagno di squadra: «La mia stima e il mio affetto rimane immutato: Alex è una bella persona, un grande calciatore, per me il suo campionato del mondo è stato buono, ma ora non è il momento di parlarne, non è giusto. Io ho fatto il massimo, ho aspettato, ho accettato tutte le decisioni del CT e ora ho soltanto tanto dispiacere e tanta amarezza dentro». Baggio non lo sa ancora che questa sarà la sua ultima partita a un Mondiale e quindi non pensa sia il momento di fare un bilancio. Ci penserà anni dopo nella sua autobiografia: «Quando vidi l’errore di Gigi dal dischetto, quella palla maledetta che andò a sbattere sulla traversa e non ne volle sapere di entrare; quando vidi l’esultanza di Barthez; quando mi venne nuovamente da piangere: allora capii che era finita un’altra volta. Ed era finita male. E tutto aveva, di nuovo, il sapore della beffa atroce». Della “beffa atroce” scrive Baggio.

 

A riassumere bene il modo con cui l’Italia ricorderà questa partita ci pensa proprio un lucido Di Biagio: «Si sapeva che avremmo dovuto patire parecchio, ma credo che alla fine abbiamo giocato una buona gara e abbiamo avuto anche le occasioni per segnare. Non bisognerebbe mai arrivare ai rigori».

 

Quando l’arbitro fischia la fine e la Francia esulta si capisce che la vera rivalità tra Francia e Italia è appena cominciata. Proseguirà nel successivo Europeo per poi culminare nella finale del Mondiale 2006. Non sa ancora Di Biagio che proprio i rigori contro la Francia, in una partita altrettanto se non più sofferta di questa, ci daranno un Mondiale. Saranno passati solo 8 anni da quel terrificante rumore della traversa.

 

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Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987, per l'Ultimo Uomo scrive di calcio e basket. Cruyffista e socio del Barcellona, guarda forse troppe partite dell'Arsenal.