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Daniele V. Morrone

Classici: Sampdoria-Napoli ’89

Una delle migliori prestazioni di Vialli con la Sampdoria.

Bruno Pizzul ha il sorriso delle grandi occasioni. È chiamato a presentare Sampdoria-Napoli, finale di ritorno della Coppa Italia 1989, partita di cartello di un calcio italiano che è nel suo momento più scintillante. Da Maradona a van Basten, da Matthäus a Gullit, da Careca a Völler, tutti i più grandi campioni giocano in Italia e chi non lo fa, vorrebbe, perché da noi ci sono i soldi e il prestigio e c’è la sensazione che il bello debba ancora arrivare, visto che l’anno dopo si giocheranno i Mondiali. 

 

Pizzul ha in mano una copia della rivista Radio Corriere TV con in copertina Gianluca Vialli, a cui è stato assegnato il premio “Pallone di Platino” al miglior giocatore del campionato italiano, assegnato dalla rivista della RAI. Vialli è il padrone di casa, visto che si gioca allo Zini, lo stadio di Cremona, dove la Sampdoria ha giocato tutta la stagione visti i lavori in corso al Ferraris, in vista di Italia ‘90. Mentre scorrono le immagini del centravanti col Pallone di Platino in mano, Pizzul sottolinea che il trofeo ha un valore di 100mila dollari e alla base ha gli stemmi delle 12 città che saranno sedi del Mondiale.

 

Il Napoli è favorito alla vigilia. In estate ha rinnovato la rosa: sono stati ceduti il portiere Claudio Garella, il centrocampista Salvatore Bagni e l’attaccante Bruno Giordano (si chiude quindi il capitolo della MA-GI-CA) e sono arrivati, tra gli altri, il portiere Giuliano Giulini, il difensore Giancarlo Corradini e i centrocampisti Luca Fusi (proprio dalla Samp), Massimiliano Crippa e il brasiliano Alemão (il terzo straniero della rosa con Maradona e Careca). È nuova anche la divisa: i colori sono più brillanti e, soprattutto, lo sponsor da Buitoni passa all’iconico Mars, col suo rosso particolarmente evidente sul bianco della maglia da trasferta, che il Napoli usa in questa partita. 

 

Pochi giorni prima dell’andata si è chiuso il campionato con il Napoli secondo dietro all’Inter di Trapattoni, un titolo sfuggito alla 30° giornata quando Maradona e compagni hanno perso 2-1 al Meazza nello scontro diretto. Una delusione che però non toglie il lustro ha una stagione cha ha portato una gioia immensa: dieci giorni prima della sconfitta del Meazza, il Napoli aveva alzato al cielo la Coppa UEFA vinta contro lo Stoccarda, il primo trofeo europeo della storia del Napoli.

 

L’andata si è giocata il 7 giugno 1989 e il Napoli ha vinto in casa per 1-0 grazie a un colpo di testa su cross di Maradona del difensore Alessandro Renica, lo stesso che con un suo gol al 119’ aveva permesso al Napoli il passaggio dei quarti in Coppa UEFA contro la Juventus. Intervistato a fine partita dall’inviato RAI in campo, Renica si dice soddisfatto del risultato: «Di solito col gioco che abbiamo ci troviamo meglio fuori casa che in casa, quindi un gol è importantissimo per noi». Il giornalista riesce a intercettare anche Vialli mentre sta entrando negli spogliatoio, per chiedergli del calcio d’angolo dubbio assegnato al Napoli da cui poi arriva il gol. «Non me ne frega niente. Abbiamo perso ed è finita, no?» è la sua risposta.



La Sampdoria è una squadra che si basa su un nucleo storico, alcuni calciatori che ormai si conoscono a memoria, un mix di giocatori che stanno per entrare nel picco della carriera come Vialli e Mancini e altri esperti e molto affidabili come Vierchowod e Cerezo. Si è anche rinforzata sul mercato, riuscendo a mettere le mani su tre titolari: Giuseppe Dossena dall’Udinese, Víctor dal Barcellona (il secondo straniero con Cerezo) e il giovane terzino Amedeo Carboni dal Parma. 

 

Insomma una rosa che è ormai tra le migliore in Italia, che però sta concludendo l’ennesima stagione di rimpianti: ha appena chiuso la stagione al quinto posto, dopo un girone di ritorno deludente, e soprattutto ha perso da pochi giorni la finale della Coppa delle Coppe contro il Barcellona di Cruyff (sappiamo che non sarà però la delusione più grande inflitta da quella squadra). Dice Boskov alla vigilia della partita: «Abbiamo pagato a metà campionato una stagione zeppa di impegni, in Italia e in Europa, con infortuni e squalifiche a catena: soltanto ora ho ritrovato finalmente la Sampdoria che piace a me».



Dalle prime battute infatti la Samp sembra la squadra più in forma tra le due. Ha uno stile di gioco tipico della Serie A anni ‘80: non difende a zona, l’allenatore Vujadin Boskov stesso (formalmente con l’incarico di direttore tecnico per via del regolamento che impediva l’assunzione di allenatori senza patentino italiano) dirà che sarebbe da pazzi farlo avendo difensori come Vierchowod campione nella marcatura a uomo. Il suo baricentro è basso, il suo calcio è verticale: una volta recuperata palla si cerca uno tra Cerezo, Dossena o Víctor e da lì inizia la manovra vera e propria, con il pallone che in massimo due passaggi deve arrivare a Mancini e Vialli, che poi ci penseranno loro a rifinire l’azione sulla trequarti. Per la Samp il lavoro degli attaccanti sulle verticalizzazioni è fondamentale, fa la differenza tra una manovra ben conclusa o meno. 

 




Un esempio può essere quest’azione nel primo tempo in cui Cerezo viene a prendersi palla dalla difesa e lancia poi per Vialli, che stoppa e con un tacco appoggia a Dossena, il cui cross trova Mancini per la conclusione in porta. 

 

Volendo riassumere la Sampdoria di Boskov in poche parole, è una squadra dalla grande attenzione difensiva, che in tre passaggi vuole arrivare in porta. Questa strategia, per permettere la rimonta col Napoli, ha bisogno di due fattori fondamentali: che la coppia d’attacco sia nella giornata giusta e che le marcature a uomo siano perfette, su tutti quelle di Pari su Alemão, Lanna su Careca e ovviamente Vierchowod su Maradona, i tre giocatori che fanno girare la manovra del Napoli. 

 

Due fattori che in questa partita funzioneranno alla perfezione, diventando un simbolo della Sampdoria di Boskov al suo meglio, una squadra capace di essere allo stesso tempo dura e tecnica. 

 




Primi minuti di gioco e prima randellata di Vierchowod a Maradona, neanche sanzionata, da cui parte una tipica azione della Samp con lancio in verticale e una delle due punte (in questo caso Mancini) che appoggia per il compagno. 

 

Maradona è da subito vittima di falli sistematici, almeno tre nei primi dieci minuti, un espediente che la Sampdoria usa per innervosirlo e farlo uscire dalla partita. L’idea è quella di far diventare la gara dell’argentino un continuo duello individuale con Vierchowod. Il loro confronto è una partita nella partita: spinte, contrasti, trattenute preventive. Lo stopper verrà ammonito al quinto fallo su Maradona, quando sono passati appena venti minuti. «Quasi grottesca la vicenda personale tra Vierchowod e Maradona» dice Pizzul in telecronaca all’ennesimo fallo, questa volta di Maradona, alla mezzora.



Lo stesso Maradona aveva confessato di essere stato in dubbio fino all’ultimo, con il suo medico di fiducia, il professor Oliva, che aveva dato l’ok solo il giorno prima: «Mi ha visitato, praticato due iniezioni e detto che posso giocare. Io però non mi sento ancora al meglio». D’altra parte siamo al temine di una stagione lunghissima, una delle prime. Sia Napoli che Sampdoria sono arrivate fino in fondo in Europa e, appunto, in Coppa Italia (che all’epoca era infinita). Anche Vialli si è lamentato alla vigilia: «È stata una stagione lunghissima, faticosa, l’idea di portare da quest’anno il campionato a 18 squadre ha creato moltissimi problemi. Non è facile, voglio dire, giocarsi una finale di Coppa Italia il 28 giugno, quando ci sono 30 gradi di temperatura ed hai già oltre cinquanta partite nelle gambe».



Nel 1989 Vialli è il centravanti del calcio italiano. La coppia con Mancini è già perfettamente assimilata, a 25 anni è entrato nel picco della carriera, viene da un grande Europeo e sembra avere tutto per segnare un’epoca. Purtroppo a dicembre di quell’anno arriverà il primo grave infortunio e poi il tragico Mondiale 1990, due eventi che ne cambieranno un po’ il carattere, rendendolo più ombroso e diffidente con i media.  

 

In quel momento però è ancora il ragazzo allegro e spensierato, col sorriso a 32 denti, l’orecchino e il polsino bianco. Ha quel fare di chi si sente di avere il sole in tasca, di chi può risolvere qualunque problema. È lui che alla mezz’ora che pareggia il risultato dell’andata, tirando un gol fuori dal cilindro.






L’azione nasce da un’intuizione di Dossena, che riprende velocemente il gioco dopo un fallo subito sulla trequarti, trovando smarcato Víctor al limite dell’area. Solo rivedendo l’azione più volte ci si accorgere di come Vialli stava con le braccia sui fianchi mentre Dossena riprendeva il gioco e di come solo dopo lo stop di Víctor capisca la pericolosità del momento. A quel punto l’attaccante cambia immediatamente mentalità: con un movimento lampo si prende lo spazio necessario per saltare e colpire di testa in anticipo sul difensore, che neanche riesce a contrastarlo.



Il gol non riporta soltanto in parità il risultato, ma dà il via alla Sampdoria, che diventa l’unica squadra in campo. Cinque minuti dopo Mancini ha una ghiotta occasione, passa un altro minuto e arriva il raddoppio. Questa volta l’associazione tra Vialli e Mancini è diretta, con uno scambio tra i due lungo la fascia sinistra, che porta Mancini a crossare sul secondo palo, dove Cerezo è libero di insaccare di testa. 

 

Il primo tempo si chiude con il Napoli che non riesce ad arrivare in porta se non da calcio piazzato, mentre la Sampdoria gioca sul velluto. Vialli è chiaramente in serata di grazia: quello che impressiona della sua partita non è tanto il suo lavoro vicino alla porta, quanto la capacità di aggiustare la sua idea in una frazione di secondo, adattarsi al contesto e riuscire sempre a fare la cosa giusta. In attacco ripulisce tutti i palloni, mostra una velocità di pensiero e di azione incredibile. Anche per questo la coppia con Mancini funziona tanto bene: non solo si conoscono a memoria, ma entrambi possono ricavare giocate dal nulla, rendere un’azione sterile un cioccolatino. Quando uno riceve, l’altro deve solo intuire le intenzioni del compagno e fidarsi. 

 


Il secondo tempo si apre con un gol rapidissimo della Sampdoria che coglie di sorpresa anche la RAI, con Pizzul che apre il collegamento dovendosi scusare perché il risultato è cambiato mentre c’era la pubblicità. Il gol è di Vierchowod, al termine di una percussione in avanti premiata da un perfetto assist di tacco di Mancini, che chiude il triangolo mandandolo in porta. Il difensore corona così la sua partita perfetta e di fatto assegna la coppa. 

 

Vierchowod nel primo tempo aveva già mostrato una modernissima propensione nel portare il pallone in avanti se aveva spazio, ma mai si era spinto così vicino all’area. La sua è la prestazione di chi ha una confidenza spaziale nei propri mezzi, non solo vince la battaglia psicologica con Maradona, che anticipa quasi sempre con un tempismo perfetto, ma anche quando parte col pallone va come un treno. 

 

Dovendo recuperare due gol il Napoli si riversa in attacco, ma non riesce a fare nulla di realmente pericoloso se non una sassata da 30 metri di Alemão, il migliore dei suoi in questa partita. Il ritmo della partita rimane alto, ma anche per l’epoca è ruvidissima, un particolare spettacolo tra qualità tecnica dei giocatori e interventi durissimi. Più va avanti il secondo tempo e più gli animi si scaldano, i falli diventano più violenti. Il più duro è Renica, Gianni Mura scriverà il giorno dopo: «A riaccendere le polveri, secondo me, è stato un tunnel di Mancini a Renica, sul tre a zero. Il tunnel è una delle cose che più fanno andare il sangue alla testa di chi lo subisce. Da quel momento, Renica è andato a cercare giustizia su ogni tibia anche estranea, vedi Victor e Cerezo, e la caccia all’uomo è diventata regola cattiva cui pochi si sono sottratti». 

 

Il tunnel di cui parla Mura avviene al limite dell’area, con il difensore costretto a trattenere Mancini per non mandarlo in porta causando il calcio di rigore. Anche in questa partita Mancini è autore di due-tre giocate che sono gemme di classe pura, che ci ricordano come sia stato il miglior talento italiano della sua generazione dietro solo a Roberto Baggio.






Mancini segna il rigore che si è procurato e al 58’ porta il risultato sul 4-0, chiudendo di fatto la partita e dando il via alla caccia all’uomo, che durerà fino al fischio finale che scatenerà le polemiche il giorno dopo. Dovrà intervenire Luciano Moggi, direttore generale del Napoli, per cercare di spegnere sul nascere le polemiche: «Le risse di mercoledì sono da attribuire a diversi fattori: il caldo, la stanchezza. Per favore, non drammatizziamo». Anche il presidente della Samp Mantovani decide di dare la colpa delle botte in campo alla stanchezza: «Quando si è stanchi si è più propensi ad entrare fuori tempo e questa considerazione credo valga per i giocatori di entrambe le squadre».



L’idea quindi è che la colpa dell’escalation finale sia della stanchezza, un problema risolvibile con le vacanze in arrivo. Al Napoli il mese di vacanza farà effettivamente bene per schiarirsi le idee: con lo stesso nucleo, ma Alberto Bigon in panchina al posto di Ottavio Bianchi, per cui questa è l’ultima partita con il Napoli, la squadra vincerà il suo secondo Scudetto la stagione successiva.



La vittoria della Coppa Italia contro il Napoli invece non soltanto permette alla Sampdoria di chiudere la stagione festeggiando un titolo, ma anche di giocarsi nuovamente la Coppa delle Coppe, che questa stavolta vincerà battendo in finale l’Anderlecht, il 9 maggio 1990, con una doppietta di Vialli nei tempi supplementari. Sarà il primo, e ad oggi unico, trofeo europeo della sua storia. Preludio per la gioia più grande dello Scudetto nella stagione 1990/91, quella che consacrerà per sempre la coppia Vialli e Mancini.

 

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Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987, per l'Ultimo Uomo scrive di calcio e basket. Cruyffista e socio del Barcellona, guarda forse troppe partite dell'Arsenal.