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Valentino Tola

Il Real di Carlo Ancelotti

Non è la squadra sognata dai tifosi in estate, ma il Real Madrid di Carletto…

 

INTRODUZIONE

Ignorando qualsiasi evoluzione scientifica, forse è meglio restare aggrappati alle verità della fisiognomica: il Real Madrid 2013-2014 non può che giocare il calcio suggerito dal volto del suo allenatore Carlo Ancelotti: paziente, rotondo, rassicurante. Il celebre sopracciglio più in alto dell’altro è l’elemento di inquietudine, l’eccezione che conferma la regola comune in tutte le sue squadre anche passate: lo strappo di Kaká, le saette di Cristiano Ronaldo, la giocata assurda di Ibrahimović…

Dopo gli anni di Mourinho, di tensione spinta all’estremo, la parola d’ordine ora è “controllo”. Con i suoi pro e i suoi contro: da un lato superare il limite del Madrid di Mourinho, che soprattutto nell’ultima stagione quando toccava abbassare una marcia faceva confusione e si allungava, ma dall’altro limitandone di un bel po’, è inevitabile, l’intensità. La chiave era e resta il ritmo (più che l’impostazione generale offensiva/difensiva): quegli straordinari ribaltamenti del Real Madrid di Mourinho, anche se sarebbe assurdo definirlo contropiedista dato che nella stragrande maggioranza delle partite l’avversario volente o nolente lascia il pallone ai merengues. Cosa che non cambia con Ancelotti.

 

AGLI ORDINI DI CRISTIANO

Mourinho o Ancelotti che sia, la baracca la manda avanti Cristiano Ronaldo. Lui decide le partite, decide i campionati e indirettamente decide anche dove devono andare i compagni: sono i suoi movimenti a strutturare l’attacco, e il movimento è la chiave della consacrazione di Ronaldo, un giocatore etichettato a inizio carriera come un bullo del dribbling. Ancora di più dei missili da 30 metri, dei salti inverosimili e del repertorio di finte, a stupire è la porzione di campo in cui Ronaldo, partendo da una fascia, arriva ad influire, creando spazio per sé e per i compagni con una continuità insostenibile per le difese avversarie. Alla verticalità e all’essenzialità cui già lo aveva convertito Ferguson, il portoghese ha aggiunto nell’ultimo anno e mezzo un notevole apporto anche in appoggio al portatore di palla e tra le linee, non solo dettando la profondità. Un attaccante universale che però per rendere al meglio ha bisogno di due cose:

 

1. Spazio: non dagli avversari, perché lui in spazi stretti ci sa giocare, ma dai compagni. Se lui individua una zona da attaccare, qualsiasi zona, chi la occupa deve lasciargli gentilmente il posto. È per questo che Benzema, l’attaccante allergico all’area di rigore per il quale il Bernabeu ha sempre il mormorio pronto, è in un certo senso il partner ideale per Ronaldo: svuota l’area, che in altre circostanze può essere un difetto ma qui permette a Cristiano di giocare fino in fondo il suo calcio, compensandone i tagli verso la porta con utili appoggi laterali. Grande stagione per il francese: nelle partite migliori pesa come un uomo in più a centrocampo oltre che in attacco, vedi le magnifiche prestazioni in Liga contro Sevilla ed Espanyol.

 

2. Relax difensivo: a Cristiano non piace inseguire gli avversari. Quando l’avversario riesce a prolungare il possesso nella metà campo difensiva del Real Madrid, la fascia sinistra merengue si apre come il Mar Rosso, ed è una cosa ampiamente accettata da anni.

 

CONTROLLARE IL PALLONE: IL TENTATIVO CON ISCO

Perciò il miglior modo di aggirare il problema di Ronaldo che non ripiega è mantenere la squadra corta nella metà campo avversaria. Appena arrivato Ancelotti ha pensato che il pallone potesse essere il miglior collante della squadra, e il mercato veniva in soccorso. Se già l’ultimo anno di Mourinho aveva portato Modrić come interlocutore privilegiato di Xabi Alonso, quest’estate infatti si sono aggiunti la geometria di Illarramendi e l’arte di Isco. Giocatori pienamente indicati per sostenere un fútbol-control”. E se Illarra finora non ha superato una dimensione di rincalzo (e come potenziale successore di Xabi Alonso, obiettivo di lungo termine anche se sulla base di caratteristiche diverse, gli manca ancora molto), Ancelotti aveva puntato forte su Isco, all’inizio della stagione. Il Real Madrid delle prime uscite, con una sorta di 4-4-2 asimmetrico (a destra un esterno puro, Di María e poi Bale, a sinistra un trequartista, Isco, con Ronaldo un po’ largo su quella fascia e un po’ seconda punta) cercava l’andaluso come un ulteriore “momento di riflessione” nel tragitto fra i centrocampisti e Cristiano Ronaldo.

Partendo subito centrale Isco talvolta fatica a trovare lo spazio fra le linee, mentre la fascia risulta un riferimento più comodo per ricevere palla. E a inizio stagione il Real Madrid ha avuto i suoi migliori momenti di gioco proprio quando sul lato sinistro coincidevano Isco, Ronaldo e Modrić, con una capacità nel fraseggio stretto che, attirando gli avversari tutti su quel lato, generava spazi ghiottissimi per il cambio di gioco verso il lato opposto. Come nel caso del primo gol del Real Madrid contro l’Athletic, in cui si è visto anche il meglio dell’attuale miglior giocatore del mondo. Modrić inizia dal lato sinistro e il movimento di Ronaldo nell’appoggio fra le linee è determinante: chiude il triangolo con Isco risucchiando quattro avversari (quattro!!!) verso quel lato. Da lì in poi per Isco è un gioco da ragazzi cambiare gioco e inserirsi in area per il gol su assist di Benzema. Il lato sinistro pensa e il lato destro esegue, ecco in estrema sintesi il Madrid del 4-4-2 asimmetrico.

 

Alla lunga però, questa soluzione non ha garantito il miglior equilibrio collettivo: prima da esterno sinistro, poi da mezzala, poi, dopo l’infortunio di Khedira e il passaggio al 4-2-3-1 (con cui il Madrid ha affrontato dicembre e l’inizio di gennaio), da mezzapunta centrale, alla lunga Isco non ha dimostrato la continuità necessaria a renderne sostenibile la presenza in aggiunta al Ronaldo menefreghista nei ripiegamenti e al Benzema guardone dei primi passaggi avversari. In tale contesto, a Isco era richiesto un ruolo simile a quello che Pep Guardiola descriveva parlando di Zidane in un articolo su El País alla vigilia della finale del Mondiale 2006. «Il miglior difensore della Francia. Grazie a lui, la Francia non è mai disorganizzata. La chiede, la tiene, la passa, torna a chiederla, la tiene e la passa di nuovo. E, intanto, i francesi si organizzano. Ripeto: il miglior difensore della Francia.»

 

Togliete le parole “Francia” e “francesi”, eliminate ogni ipotetico paragone con divinità del calcio, e vi rimane comunque un’idea di massima: in alcune buone partite la propensione di Isco ad abbassarsi, appoggiare e dare il passaggio in più ha anche permesso ai compagni di raccogliersi nella metà campo avversaria, ma resta comunque un talento in via di maturazione che già al Málaga (dove non era il giocatore-chiave tatticamente: lo erano Toulalan e Joaquín) aveva le sue pause, e nell’Under 21 aveva una solida rete di protezione alle spalle che gli permetteva di inventare senza responsabilità difensive, privilegio che nel Madrid però spetta già a Ronaldo. Durante i 90 minuti i cali di Isco si notano: passata l’ora la benzina comincia a scarseggiare, le apparizioni si diradano, e  il fatto che a Cristiano Ronaldo che già si accentra si aggiunga lui sulla trequarti può lasciare il Madrid spezzato in due una volta persa palla, con la nota voragine sulla fascia sinistra e un super-lavoro per Xabi Alonso e Modrić. Il 4-2-3-1 con Isco ha funzionato contro Copenaghen fuori casa e anche contro Almería e Valladolid, squadre però fra le più deboli della Liga, mentre a Valencia e contro il Celta il Real Madrid ha giocato partite mediocri e preoccupanti per la propensione ad allungarsi.

 

Trasferta sul campo del Levante, Madrid con un modulo flessibile, 4-4-2 asimmetrico o 4-3-3 a seconda dei movimenti di Isco. Al momento del lancio [0:06] Isco si trova sulla trequarti sinistra dietro Ronaldo che è appena scattato. Il lancio va alla difesa levantina [0:10], Isco dopo la palla persa abbozza un pressing, ma la palla è scoperta (l’avversario ha cioè tempo per alzare la testa e giocarla), ed è eccessiva anche la distanza fra Isco e i suoi mediani. Isco rimane tagliato fuori dalla transizione difensiva e il Levante arriva alla trequarti avversaria in pochi passaggi, attaccando la fascia sinistra madridista. Notare come lo squilibrio iniziale costringa Khedira  (mediano quella sera), a scalare [0:20] verso la fascia senza adeguata copertura al centro, perché il Real Madrid è lungo. Situazione simile col Celta in casa (4-2-3-1, Isco trequartista centrale): davanti a Modrić in possesso del pallone, Isco sul centro-destra, Ronaldo e Benzema nella mezzaluna dell’area di rigore e Marcelo che compensa a sinistra avanzatissimo. Fermando l’immagine a 0:44, al Celta rimane tantissimo spazio per il contropiede a palla persa: fortunatamente, rilancia male.

 

Il problema di questo primo Real Madrid emergeva quindi non nella fase iniziale della manovra, in cui Ancelotti dispone di talento sovrabbondante e meccanismi utili a eludere l’opposizione della prima linea avversaria (da Xabi Alonso che per la gittata e qualità del passaggio è uno dei pochi giocatori che rendono realmente pericolosa una salida lavolpiana, a Sergio Ramos bravo a guadagnare metri portando palla e cambiando gioco, alle mezz’ali che si defilano per ricevere, la palla esce quasi sempre pulita dalla metà campo madridista, sebbene non esista l’invulnerabilità assoluta al pressing: si veda il sofferto primo tempo a Bilbao, unica partita in cui il Madrid è stato obbligato al lancio lungo), ma al momento della perdita sulla trequarti.

 

CONTROLLARE LA POSIZIONE: KHEDIRA, DI MARÍA E IL 4-3-3 (QUASI) SIMMETRICO

Questa preoccupazione ha spinto Ancelotti a riproporre da inizio 2014 una soluzione già intravista prima di dicembre:  un 4-3-3 più simmetrico, in cui a parte Ronaldo il resto delle posizioni vengono in linea di massima mantenute. Mentre però nella prima versione di 4-3-3 la chiave era Khedira mezz’ala destra (con Xabi Alonso centrale e Modrić mezzala sinistra), ora con il tedesco infortunato fino a fine stagione l’elemento determinante è Di María, riciclato in un sorprendente ruolo di interno sinistro controllatissimo nelle sortite offensive (Modrić invece è passato sul centro-destra).

 

Tenete presente che Di María è un autentico scalmanato, nell’era Mourinho era il principale accusato delle fasi di eccessiva frenesia e scarso controllo della squadra, soprattutto quando il Madrid andava sotto e El Fideo (“lo spaghettino”) cominciava a buttare palloni su palloni in area dalla destra o a rischiare perdite pericolose convergendo palla al piede a mille all’ora. Ora invece, non solo il fatto di giocare a sinistra da mancino rende meno rischiose le incursioni (perché tendi a condurre la palla verso l’esterno, e quindi le palle perse son meno pericolose rispetto a quando passi dal centro per rientrare sul tuo piede preferito), ma in realtà il ruolo di Di María risulta più difensivo di quanto non fosse quello di Khedira nella prima versione di 4-3-3 simmetrico. La caratteristica saliente del tedesco era infatti il movimento ad attaccare lo spazio fra mediano ed esterno o fra centrale e terzino avversario, che con l’aiuto dei suoi compagni di fascia (Bale o Di María ali, Carvajal più spesso di Arbeloa come terzino di grande spinta) arrivava a creare un 3 contro 2 in quella zona. Quel movimento nel migliore dei casi premeva gli avversari nella propria area costringendoli a correre verso la propria porta, dando un vantaggio in transizione difensiva ai centrocampisti madridisti fronte alla porta e pronti a raccogliere un’eventuale respinta e continuare l’attacco.

 

Il 4-3-3 di Khedira però non ha avuto il tempo per consolidarsi, e pur mostrando prospettive incoraggianti non garantiva un controllo costante. La profondità immediata del movimento del tedesco richiedeva altrettanta immediatezza e aggressività al resto della squadra nel successivo pressing e recupero del pallone: con ciò richiedendo un ritmo nelle transizioni da una fase all’altra più da Madrid di Mourinho o Borussia Dortmund che da Ancelotti. La squadra, pur con prestazioni incoraggianti e pur non avendo avuto il tempo di consolidare questi meccanismi con l’infortunio di Khedira, non sempre riusciva a garantire quest’intensità e ad accorciare le distanze fra i reparti per acquisire un controllo durevole del gioco. Ad esempio contro la Juventus al Bernabeu, fino all’espulsione di Chiellini il possesso era prevalentemente bianconero, con gli annessi noti problemi del Real Madrid di Ronaldo e Benzema nel disturbare l’inizio della manovra avversaria e nel chiudere la fascia sinistra.

 

Se con il movimento di Khedira oltre la linea della palla si puntava a premere e condizionare il posizionamento difensivo dell’avversario, ora invece Di María resta spesso dietro la linea della palla. E rispetto al 4-2-3-1 di Isco, l’equilibrio non passa più necessariamente per una difesa col pallone, posto che in caso di perdita grazie a una straordinaria esuberanza atletica Di María funge da correttore in quello spazio che talvolta con Isco+Ronaldo+Benzema+Marcelo avanzatissimo restava molto esposto in transizione difensiva. Non è un caso che nell’ultimo mese, col nuovo sistema, siano diminuiti di molto i gol subiti (dal cambio di modulo e di ruolo di Di María solo 3 gol subiti nelle ultime 12 partite).

 

Avete presente nei cartoni animati quando a un personaggio si presenta un bivio morale e spuntano alle sue spalle da un lato un diavoletto che lo incita a cedere agli impulsi e dall’altro l’angioletto che gli consiglia l’azione più ragionevole ma anche noiosa possibile? Contro il Villarreal, Di María porta palla, passa a Modrić ma l’angioletto gli dice di restare lì [0:02] invece di scattare avanti per dettare il triangolo. Ancora più significativo l’azione successiva, a Getafe: Di María avanza sulla sinistra [0:22] per compensare il movimento iniziale di Jesé (ala sinistra) che si abbassa a ricevere palla da Marcelo. Continuate a seguire Di María fino alla fine: così avanzato, ci si aspetterebbe un inserimento in area, invece torna dietro la linea della palla. Poi fallirà nel tentativo di rubare palla, ma si trova esattamente dove serve sulla respinta della difesa avversaria [0:35].

 

L’appoggio defilato di Di María dà un comodo passaggio di apertura che rende difficile per l’avversario rischiare il pressing su lui e su Modrić, in posizione speculare sulla destra. Con Xabi Alonso (che scala dietro nel caso in cui l’altra squadra inizi a difendere con due punte), Sergio Ramos e Pepe che impegnano la prima linea avversaria, Carvajal e Marcelo che portano via gli avversari di fascia, sarebbero i mediani avversari a doversi allargare, rischiando di lasciare uno spazio tra le linee. Xabi Alonso poi è pericoloso anche lanciando dalla sua trequarti, ma se vai a cercarlo così in alto davvero rischi di esporti troppo. Meglio quindi per l’avversario non allungarsi e ripiegare. Così il Real Madrid può salire compatto nella metà campo avversaria, non rischia nessun passaggio, e la nuova posizione più bloccata di Di María dà ad Ancelotti anche il controllo desiderato una volta persa palla.

 

In questa ritrovata compattezza, anche Pepe e Sergio Ramos possono fare un passo avanti e difendere più lontano dall’area, come piace a loro, tipici rappresentanti del difensore moderno, caratteristiche da superuomo nell’anticipo alto e nel recupero ma non altrettanta confidenza nelle marcatura in area, soprattutto nel caso di Ramos, addirittura disastroso nei mesi iniziali e ora nuovamente su alti livelli; Pepe invece individualmente ha sempre tenuto (anzi,  la sua finora è una stagione straordinaria, con tanto di museruola a Diego Costa in Copa del Rey), ma il dato più incoraggiante è che collettivamente le distanze dagli altri reparti (problema spinoso dei primi mesi) sono nettamente diminuite.

 

SENZA FRETTA CHE TANTO POI IL GOL ARRIVA

Se sembra la combinazione finora più equilibrata, il 4-3-3 di Di María non è comunque esente da limiti: in particolare la priorità data al controllo in alcuni momenti rischia di far dipendere anche troppo il gioco offensivo dai pur magnifici solisti. A differenza della scuola-Barça, in questo 4-3-3 le mezze ali raramente cercano di smarcarsi nello spazio alle spalle della linea mediana avversaria: in molti momenti Modrić e Di María rimangono anche più bassi dei terzini (piuttosto avanzati per creare lo spazio per giocare la palla proprio ai centrocampisti), per fornire copertura in caso di palla persa o un appoggio sicuro per un possesso-palla tranquillo. Questo Real Madrid tende ad anestetizzare sia spettatori che avversari, che cedono la posta senza agitarsi troppo.

 

A conferma che questa è ormai la formula scelta da Ancelotti, anche quando riposano Di María o Modrić la variante come mezzala è Illarramendi, ancora più conservatore: piazzamento e passaggi di esattezza matematica seppure un po’ carenti di creatività e ritmo. E nella ricerca della massima sicurezza pure Isco si è dovuto reinventare come centravanti di riserva nei ritorni di Copa del Rey contro Osasuna, Espanyol e Atlético Madrid: sebbene non abbia in realtà i movimenti del falso centravanti (non influisce granché sui due difensori centrali avversari, non li attira fuori posizione perché va a ricevere molto più basso, come un centrocampista puro) l’andaluso in questa posizione apporta ancora più passaggi e controllo, senza che il Real Madrid perda particolare profondità finché può compensare con compagni d’attacco ultra-verticali come Ronaldo o anche Jesé.

 

Come dice il telecronista Carlos Martínez «l’Atlético Madrid dubita se mantenere la situazione o andare a pressare». Ancora di più quando può gestire tranquillamente senza l’assillo del vantaggio, gli appoggi corti e defilati delle mezze ali Illarramendi e Modrić, in questo caso anche di Isco falso centravanti moltiplicano le opzioni di passaggio per conservare la palla, ed è anche difficile per l’avversario sapere come, in che zona del campo e con quali giocatori uscire in pressing senza rischiare di scoprirsi alle spalle.

 

Questa prudenza nel tenere le posizioni lascia tanto spazio da gestire sulla trequarti ai tre attaccanti, in base alla loro ispirazione e con pochi automatismi prefissati: la ricetta finora funziona, potendo contare su un attaccante autosufficiente come Ronaldo e uno come Benzema che sulla trequarti ci sguazza, ma va anche detto che pure in partite dominate nelle quali i gol non mancano di certo, il Real Madrid non è che esageri nel creare occasioni (pure una partita eccellente come l’andata di Copa del Rey con l’Atlético Madrid è stata sbloccata da due tiri deviati). L’ultima vittoria casalinga con l’Elche, giocata senza Cristiano e Modrić, ha a maggior ragione confermato questo limite: comoda nel risultato finale, ma con molta prevedibilità sulla trequarti in assenza dei migliori solisti.

Questa è una squadra che se da un lato trasmette sensazioni sempre più convincenti nel gestire una partita, lascia ancora qualche incognita per quanto riguarda il forzare un’ipotetica situazione avversa. Nel calcio non esiste la perfezione: è chiaro che se vuoi più controllo a qualcosa dovrai pur rinunciare.

 

Questo è l’assetto tipico del Real Madrid in fase di possesso: terzini avanzati per creare margini di manovra ai tre centrocampisti centrali, mezze ali basse entrambe per dare copertura e linee di passaggio sicure, totale libertà ai tre davanti (qui Ronaldo ha scambiato posizione con Benzema).

 

Un aspetto positivo del nuovo sistema di gioco è però la sua flessibilità, che rende possibili evoluzioni anche in senso più offensivo: non solo l’energia e il dinamismo consentono a Di María un doppio ruolo in fase difensiva, interno e al tempo stesso esterno per coprire Ronaldo sulla sinistra, ma la posizione dell’argentino funziona da stampella per Ronaldo e Marcelo quando il Real Madrid attacca. Il brasiliano sta disputando una stagione finora senza squilli, e forse non si è ancora visto tutto il potenziale offensivo che il sostegno esterno di Di María gli potrebbe garantire: vale a dire quella totale libertà di movimento, anche in zona centrale, che è nella sua natura di terzino-fantasista (mentre nel 4-2-3-1 di Isco poteva muoversi quasi esclusivamente come terzino-ala, ruolo un po’ limitante per lui). Un assaggio della variante più aggressiva di questo modulo flessibile si è avuto finora solo nel secondo tempo col Granada in casa: cambio dal 4-3-3 a un 4-4-2 quasi 4-2-4, Di María a briglia sciolta verso la linea di fondo, Cristiano stabilmente seconda punta, eccezionale nello schiacciare il Granada tutto nella propria area coi suoi tagli e nel creare anche lo spazio a Modrić per inserirsi in area (rarità!) e a Xabi Alonso per fare due passi avanti e pressare alto.

 

MODRIC, BALE E IL PICCOLO DIAVOLO CANARIO

Se il Real Madrid rispetto a inizio stagione è più controllo che fiammate è anche per il cambio di Luka Modrić da mezzala sinistra a mezzala destra. Non ci sono più quei fraseggi incontenibili sul lato sinistro madridista fra il croato, Ronaldo e Isco, ma in compenso la manovra viene distribuita in maniera più equilibrata fra i due lati. Con una padronanza totale dei ritmi di gioco, Modrić si è ormai guadagnato la palma di secondo miglior giocatore della rosa, e la sua presenza sulla destra potrebbe, chissà, aiutare a superare il paradosso di Bale.

 

Il gallese è arrivato infatti con l’etichetta di protagonista assoluto, ma la realtà della rosa lo destina per ora ad un ruolo da attore secondario, per quanto talentuoso. Il Real Madrid imperniato sui movimenti di Ronaldo dalla sinistra non solo esclude l’impiego di Bale sia a sinistra che da trequartista, ma sulla fascia destra lo costringeva ad aspettare di sfruttare il vantaggio creato dal lato sinistro. È vero che il fattore-Ronaldo può creare potenzialmente molto spazio per ricevere in condizioni favorevoli e liberare il suo devastante sinistro sul cambio di gioco o sul passaggio indietro (cosa che aiuta perché giocando sulla fascia inversa rispetto al piede preferito non ha sui primissimi metri la stessa agilità di un Di María nel liberarsi dalla marcatura stretta, e tende a chiedere palla sul piede più che attaccare lo spazio), ma paradossalmente questo dato ne rimarca il ruolo di esecutore più che creatore al quale ormai era abituato al Tottenham: nel Madrid di Cristiano Bale non può essere la prima opzione per generare superiorità.

 

Modrić vicino però porta più volume di gioco dalle parti di un talento che è l’esatto contrario dello stereotipo forgiato dal celebre Maiconicidio. Bale infatti fa mangiare la polvere a chiunque, ma rischia l’allungo e azzarda il dribbling solo se ha buone probabilità e spazio. Altrimenti, è un giocatore molto più riflessivo di quanto non dicano i filmati celebrativi: giocando generalmente in spazi molto stretti e sulla fascia inversa rispetto al piede preferito, la sua azione preferita è molto più spesso l’appoggio sulla trequarti rispetto al dribbling. Nella partita casalinga col Valladolid, una delle sue migliori prestazioni, si sono visti molti passaggi all’indietro, oltre a un cross millimetrico per il gol di Benzema e una tripletta con inserimenti a fari spenti sul lato debole avversario, come si conviene a un esecutore di lusso. Anche quando il suo sinistro fa la differenza, come nell’ultima contro l’Elche (decimo gol stagionale), e anche scontando la fisiologica stagione di ambientamento (che non è una frase fatta ma l’ha vissuta pure Modrić), Bale comunque può e deve dare di più.

 

Una delle prestazioni migliori di Bale finora.

 

Se Bale merita pazienza, Jesé ne ha però molta poca, e gode del vantaggio relativo delle poche aspettative di partenza, esattamente il contrario di Bale. Come ogni giovane emergente, il canario è nella fase in cui vengono sottolineate soltanto le cose buone che fa, e a differenza di Bale nessuno si ferma a fare una valutazione globale del suo apporto al gioco come per Bale (e bisogna riconoscere che contro l’Elche la differenza non solo di soluzioni individuali ma di apporto alla manovra fra Jesé e Cristiano Ronaldo si è discretamente sentita). Non si può ancora necessariamente inquadrare la sua dimensione assoluta come  giocatore, siamo ancora nella fase dello stupore puro e semplice per perle come quella del gol del 3-1 in casa con il Villareal per cui ricorda Romario. Certo è che guardando ai Mondiali, è già difficile pensare ad altri attaccanti spagnoli con questo fiuto del gol impiegabili indifferentemente nelle tre posizioni offensive, e indifferentemente capaci di conquistare la linea di fondo, sfrecciare in campo aperto o districarsi nello stretto.

 

CONCLUSIONI

La cosa migliore che si può dire del Real Madrid di Ancelotti è che si nota la mano dell’allenatore. Non sarà proprio la stessa identica squadra pensata dal tecnico e sognata dai tifosi in estate (nei blog capita di leggere accanto al riconoscimento dell’efficacia di questo Real anche qualche rimpianto per l’accantonamento di Isco o il ruolo di Bale), ma soddisfa i requisiti minimi del “giocare bene”: subisce poche occasioni, pur non prodigandosi ne crea tendenzialmente di più dell’avversario, e mantiene le distanze corrette fra i reparti.

 

Con più possesso-palla e meno attesa nella propria metà campo, il Real di Ancelotti ha un carattere sornione non dissimile da quello dell’Atlético Madrid: resta solo da vedere se alla fine peserà di più la capacità di non scomporsi nelle gare più esigenti (come anche quelle di Champions) oppure se quelle serate di calma piatta in cui l’avversario non ha pretese, punta solo a far passare il tempo e i tuoi solisti hanno la luna storta (serate a cui questo sistema di gioco talvolta potrebbe prestarsi), lasceranno per strada qualche punto pesante.

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Valentino Tola è nato a Cagliari nel 1985, laureato in Scienze Politiche, è autore del blog Calcio Spagnolo e ha collaborato con il sito del Guerin Sportivo.