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Emanuele Atturo

Il calcio è diventato una tortura per il Napoli

Contro la Roma un'altra partita frustrante e sfortunata.

Alla fine della partita Victor Osimhen, steso sul prato si sfila la maschera dal viso come per deporre le armi. Ha giocato una partita di profonda generosità e talento, ma non è stato comunque sufficiente per avere i tre punti in cambio. Non è stato abbastanza per battere la Roma e restare aggrappati alla lotta per qualificarsi in Champions League. Questa è la stagione del Napoli: non vincere partite che non si meritano, e non vincere nemmeno le partite che si meritano.

 

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Contro la Roma il Napoli ha fatto di tutto per provarci. Ha controllato il piano tattico della sfida, è stato più brillante fisicamente e mentalmente. Ha costruito più occasioni e ne ha subite meno. Ha messo insieme, in totale, 3.88 xG, il doppio dei suoi avversari, ma ha comunque pareggiato.

 

“Rendere i propri tifosi orgogliosi”, “sudare la maglia” è il genere di invocazioni che si fanno contro le squadre che vivono stagioni particolarmente deludenti. Eppure è il genere di cosa che certo non è mancata al Napoli quest’anno: l’impegno, la dedizione, specie dei suoi giocatori migliori. Ameno nella partita di ieri non si può rimproverare nulla a Victor Osimhen e Kvicha Kvaratskhelia, che ci hanno provato in tutti i modi a risolvere individualmente i problemi collettivi. A “fare la differenza”, come si dice con un’espressione generica e sempre molto severa.

 

Il 2-2 contro la Roma racchiude molti temi e motivi della stagione del Napoli: la scarsa brillantezza tattica, la gestione dei momenti approssimativa, il grande impegno, i cambi sbagliati, gli errori individuali, la sfiga. La difficoltà a stabilire i confini tra l’una e l’altra cosa.

 

Prendiamo il gol che ha fissato il risultato del match, quello di Tammy Abraham. Mancano due minuti alla fine e c’è un calcio d’angolo per la Roma. Calzona decide di inserire un saltatore in più e di sostituire Hamed Traorè, a sua volta entrato poco tempo prima. L’ivoriano esce dietro la porta scuotendo la testa indignato e il Napoli prende gol proprio su quel calcio d’angolo. In questi casi si rimprovera l’allenatore che non dovrebbe fare i cambi su corner contro per non scombinare le marcature, eppure è difficile attribuire la colpa a Calzona e non al capitano Di Lorenzo, che non fa un passo in avanti per mettere in fuorigioco Abraham. Del resto sono le situazioni più difficili in area, quelle in cui un avversario spizza il pallone di testa dal primo al secondo palo. È difficile stabilire con precisione di chi è colpa un gol del genere: un giocatore, l’allenatore, la bravura dell’avversario.

 

Di certo in molti abbiamo pensato che Giovanni Di Lorenzo non avrebbe compiuto lo stesso errore lo scorso anno; che l’intensità mentale con cui giocavano i giocatori del Napoli non avrebbe permesso un simile errore. È l’insieme di questi piccoli dettagli che, uno dopo l’altro, un poco alla volta, hanno eroso la sicurezza del Napoli.

 

Del quadro generale abbiamo già parlato. Il delirio di onnipotenza di De Laurentiis che ha pensato che chiunque potesse allenare la squadra; un calciomercato fatto con troppa leggerezza; l’esplosione dello spogliatoio sotto la gestione di Rudi Garcia e poi la scelta incomprensibile, forse provocatoria, di prendere Mazzarri, e dopo esonerarlo per prendere un allenatore col doppio incarico – che non può allenare durante la pausa nazionali. Napocalisse. Di tutto questo, e di cosa significhi abbiamo discusso, di questa specie di miracolo al contrario in cui, in pochi mesi, si sperpera il patrimonio competitivo accumulato in anni di buone o ottime scelte.

 

Abbiamo parlato meno di cosa è successo in campo, o almeno di che esperienza è stata ed è guardare il Napoli oggi.

 

Al 55’ Lobotka ha una bella lettura. Ndicka è stato portato fuori da Osimhen, seguendolo a uomo fino a centrocampo. Allora lo slovacco porta palla e poi chiude l’uno-due con Politano. In area conclude bene, sicuramente meglio di quello sgorbio plateale di Anguissa, ma a Svilar riesce il miracolo, con una parata a croce d’alta scuola.

 

Due minuti dopo Juan Jesus commette quella sciocchezza su Azmoun. Un errore individuale come tanti fatti dal Napoli in fase difensiva – come quello di Di Lorenzo sul 2-2. Juan Jesus non ne ha commessi pochi, ma è difficile fargliene una colpa: è un’onesta riserva, che stava cercando di passare un tranquillo fine carriera, e si è ritrovato titolare per mettere una pezza alle approssimazioni del mercato. Ha l’aria di uno di quei medici richiamati dalla pensione per compiere operazioni per cui non hanno più la necessaria concentrazione.

 

Nel gol del pareggio di Oliveira c’è un minimo di karma positivo, con un gol casuale che arriva mentre i tifosi cantano “siete voi, mercenari senza palle siete voi”.

 

Al 73’ Ngonge strappa in velocità su Angelino dopo un grande controllo di prima, poi lancia Osimhen. Lo scatto del nigeriano è davvero bruciante, la facilità con cui supera Mancini è difficile da vedere a quei livelli. Il difensore non riesce nemmeno a entrare in contatto fisico. Osimhen sceglie di calciare aprendo il piatto e di non incrociare di collo. Va sul sicuro, con una conclusione forte, bassa e in sicurezza. Non il tipo di conclusione imparabile, ma il tipo di tiro su cui il portiere è costretto al miracolo, nel caso. Miracolo che arriva, puntualmente, di nuovo. Svilar si butta in avanti sul pallone e riesce a deviarla col braccio destro, di puro istinto.

 

Osimhen non avrebbe sbagliato quel gol lo scorso anno, oppure il portiere non avrebbe fatto quel miracolo? Sono i giocatori a essere diventati meno bravi o è la sfortuna che si sta accanendo sul Napoli?

 

Nell’anno dello Scudetto, all’Olimpico contro la Roma, il Napoli aveva vinto una delle partite più importanti per cementare la prima posizione. L’aveva risolta Osimhen in un contesto per lui complicato, in una sfida con Smalling che lo aveva visto perdente in tutti i duelli. Eppure gliene era bastato vincerne uno, per avere la palla sul destro, per trovare un tiro violento e incredibilmente preciso, sul secondo palo. Uno di quei gol che esprimono il magnetismo e il carisma di Osimhen. Quest’anno questo tipo di superamento titanico, questa rottura del limite, non arriva mai. Oppure non serve più a niente.

 

 

Kvaratskhelia al 39′ sfiora un gran gol con un tiro a giro, ma lo sfiora. Quasi segna con una complessa sforbiciata, nel secondo tempo, ma quasi. Lo scorso anno avrebbe segnato quei gol, o almeno uno di quelli?

 

Ogni volta che si vede il Napoli sembra inevitabile farsi queste domande. La cosa peggiore è che queste domande sembrano essersi infiltrate nella testa dei giocatori stessi. Il Napoli è un collettivo meno brillante, più sconnesso, che prova a replicare certi meccanismi dello scorso anno senza sapere troppo come fare. Mettendo in piedi una replica sempre più stanca e sterile. Se il gioco del Napoli dello scudetto riusciva a moltiplicare le possibilità individuali, oggi i giocatori sembrano continuamente sbattere sui propri limiti. Il calcio sembrava semplicissimo lo scorso anno, mentre ora sembra una sofisticata macchina di tortura per tifosi e giocatori.

 

Il radar Statsbomb contratto di Osimhen.

 

In partite come quella di ieri Kvaratskhelia e Osimhen hanno giocato con l’ansia di dimostrare qualcosa. Col bisogno nervoso di sistemare loro i problemi collettivi della squadra, di prenderla per mano e permetterle di vincere una partita importante e difficile. Kvaratskhelia sacrificandosi molto in fase difensiva, e poi percorrendo di nuovo la strada in avanti in modo incessante. Una partita di recuperi, strappi, dribbling, spesso di pura volontà. Il gioco non passa più troppo per i suoi piedi, e il Napoli spesso costruisce persino di più a destra. Kvara però cerca di cogliere ogni occasione che ha con il pallone per fare qualcosa. Il suo è diventato un calcio dimostrativo, in cui ogni gesto deve smentire gli scettici, far tacere i critici, salvare la squadra. E lo stesso fa Osimhen, con duelli di testa e corpo a corpo e scatti sempre più disperati. Fa male vederli affranti, dopo un’occasione sprecata, dopo un miracolo tecnico non riuscito per poco.

 

Con il pareggio di ieri il Napoli raggiunge quota 50 punti: gli stessi ottenuti da Spalletti nello scorso girone d’andata. Certe stagioni devono solo finire.

 

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).