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Redazione basket

Domande fondamentali sull’Nba 2016/17

Siete pronti per fare il carico di hype?

1) Su quale squadra perderemo il sonno quest’anno con il League Pass?

 

Dario Costa

Dati incontrovertibili provano come, durante la scorsa regular season, gli utenti di NBA League Pass abbiano opzionato più partite dei Minnesota Timberwolves rispetto a quelle complessivamente visionate nelle dieci stagioni precedenti. Le proiezioni relative all’annata che sta per iniziare confermano un ulteriore rialzo del dato e prospettano l’ingresso dei T’Wolves nella top 10 delle squadre preferite dagli abbonati.

 

I motivi? Andrew Wiggins e Karl Anthony Towns, una combinazione di talento & gioventù senza pari. Non vi basta? Ricky Rubio e Zach LaVine, un utopista del gioco e la combo-guard più spettacolare tra quelle che ancora non vi hanno fatto saltare in piedi sul divano. Non siete ancora convinti? Ci penserà Kris Dunn, rookie con l’esplosività dell’esordiente e la padronanza del veterano. E quest’anno potrebbero pure difendere, visto che finalmente hanno un allenatore.

 

In fondo, se ci pensate bene, tutte quelle ore di sonno non vi servono davvero. Sacrificatene qualcuna per i ragazzi di Tom Thibodeau, ne varrà la pena.

 

Daniele V. Morrone

Ok, facciamo finta per un attimo che gli Warriors non esistano. Volendo adesso valutare tutti i pacchetti per singola squadra che la NBA può offrire, direi che la scelta migliore è andare sui New York Knicks. Lo so che sono una squadra mediocre e che l’obiettivo massimo sarà ben figurare ai playoff, ma sono certo che non esista una squadra in grado di offrire quanto la squadra di New York per ripagare il conto salato che il League Pass richiede.

 

Penso per prima cosa a tutto il contorno (parliamo del MSG, del pubblico pronto a prendere fuoco a ogni giocata e della telecronaca di Mike Breen e Clyde Frazier, un’accoppiata che non ha eguali). E poi delle storie che una squadra come questi Knicks tireranno sicuramente fuori durante l’anno, dal Melo in grado di segnarne 30 contro chiunque allo sviluppo di PorzinGod. Ma anche il tentativo di rinascita di Rose e Noah dopo una stagione orrenda per entrambi e il rapporto che Anthony avrà con loro (sicuramente ben diverso dalla stranissima bromance nata con Porzingis e più tendente agli sguardi passivo-aggressivi per sottolineare quando la palla finirà sul secondo ferro sul tiro di uno dei due). O ancora della stagione della verità per chi come Lance Thomas deve giustificare il nuovo contratto e chi come O’Quinn la sua presenza nella lega. Senza dimenticare un personaggio come Brandon Jennings che si gioca il contratto pluriennale in questa stagione e che è sembrato motivatissimo in pre-season. O i giocatori raccattati in giro per far da panchina come il lituano Kuzminskas o l’undrafted Ron Baker, pronti a diventare idoli del Garden perché un Jeremy Lin è per sempre. Il tutto con il totem di Phil Jackson a vegliare su dove, come e quanto il povero Jeff Hornacek utilizzerà la Triangolo. Che poi sicuro a marzo salta tutto perché i Knicks vivono al limite e raramente tante scommesse tutte insieme riescono – dall’allenatore “forzato” a giocare in un modo ai troppi giocatori troppo fragili fisicamente – ma proprio questo li rende una sicurezza di intrattenimento.

 

David Breschi

Davvero, voi non vorreste vedere ogni sera una squadra che schiera in campo due dei migliori 5 giocatori NBA, e probabilmente quattro dei primi 15? Consiglio caldamente di non perdervi le giocate nonsense di Steph Curry, la pulizia tecnica di Klay Thompson, l’onnipotenza cestistica di Kevin Durant, il totale controllo sul gioco di Draymond Green e via dicendo. Ma anche osservare come faranno tutte queste sublimi individualità a trovare un equilibrio nel sistema più armonico della NBA.

 

E ancora… quali stratagemmi troveranno gli avversari PER NON FAR SEGNARE Curry, Durant e Thompson? Quali stratagemmi troveranno gli avversari PER SEGNARE contro una miriade di quintetti in grado, virtualmente, di cambiare su chiunque senza andar sotto contro nessuno? Con la Death Lineup 2.0, quella con KD al posto di Harrison Barnes, quali altri dogmi non scritti del Gioco saranno in grado di ridefinire i Golden State Warriors?

 

 

Lorenzo Neri

Potrò sembrare masochista e delirante, ma la verità è che non vedo l’ora di vedermi la nuova versione dei Philadelphia 76ers post-Sam Hinkie, nella prima bozza che il creatore di The Process aveva in mente. Il mio vaneggiamento si basa principalmente su tre punti:

 

1) Tra le tant(issim)e cose che mancavano a questa squadra, la più evidente era a mio modo di vedere l’assenza di un trattatore di palla quantomeno decente. Tutte quelle regie impostate dal volenteroso ma inguardabile T.J. McConnell mi lasciavano sempre un velo di tristezza in un roster che non ha mai smesso di gridare “HYPE!”. Dall’Europa però è arrivata l’eccellenza con el Chacho Sergio Rodriguez, che negli ultimi anni ha dispensato highlights in Eurolega ma anche dimostrato una crescita mentale notevole, meritevole di una seconda possibilità in NBA. E poi è arrivato Dario Saric. L’attacco in mano a loro potrebbe guadagnare un upgrade incredibile in termini di visibilità.

 

2) Joel Embiid. Lo abbiamo aspettato, abbiamo riso alle sue avventure sui social, ci preoccupavamo per le voci che uscivano sul suo conto e sul suo stato fisico, lo amiamo per la lealtà verso Hinkie, tanto da scegliersi da solo il suo nickname: The Process. Ora è il momento di vedere ripagata tanta attesa e altrettanta fiducia: già in pre-season (che è pur sempre pre-season, but still) ha fatto vedere cose per un 213-centimetri-per-120-chili che credo abbiano fatto aumentare la salivazione a chiunque.

 

3) [incrocia le dita con grande convinzione] Il ritorno di Ben Simmons, a patto che avvenga in questa stagione. Ma qualora accadesse già verso gennaio prendete la 1) e aggiungeteci pure lui. Ecco.

 

Lorenzo Bottini

Bisogna partire dal fatto che il League Pass è un po’ come Spotify, o Tidal, o Netflix. Non ti costringe a scegliere con cura maniacale il disco sul quale investire la paghetta o il film immancabile della settimana: ti concede il lusso di sbagliare, di esplorare, di sperimentare. Quindi per me le squadre da League Pass sono quelle che in un mondo non on-demand non esisterebbero neanche e che arrivata la primavera vedranno i playoff come te, su League Pass. Però quando diventeranno superfamose tu puoi stare lì a vantarti che le seguivi dal primo disco, prima che diventassero schifosamente mainstream. Ecco la Top-3:

 

1) Milwaukee Bucks: ho aperto una partita di pre-season e stavano giocando a zona con cinque giocatori oltre i due metri e con Point Giannis in piena folgorazione mistica. Hanno perso di 20.

 

2) New York: una squadra da titolo assemblata con cinque anni di ritardo, un po’ Bojack Horseman, un po’ True Detective. Carmelo Anthony sarebbe un perfetto Mr. Peanutbutter se nella Penisola dei Labrador spiegassero la Triple Post Offense.

 

Back in the 90s I was a very famous Nba Coach, I’m BoJackson The Horseman, don’t act like u don’t know.

 

3) Orlando: ma solo quando giocano con il quintetto Payton, Hezonja, Gordon, Ibaka, Biyombo. Nessuno può sapere se succederà o cosa succederà in campo, tranne che si giocherà coi tappetoni elastici stile Slamball.

 

Ps. Se stanno facendo schifo, in ogni momento, con un comodo click potrete vedere i Dubs sommergere di triple il vostro schermo e il vostro anticonformismo.

 

Dario Vismara

Il mio coast-to-coast ideale del venerdì notte dovrebbe andare più o meno così: prima palla a due attorno a mezzanotte (appena dopo che la fidanzata è andata a dormire, dettaglio fondamentale) con i Sixers contro i Bucks di Point Giannis; dopo il caffè di fine gara c’è bisogno di una partita ad altissimo ritmo e possibilmente con poca difesa per superare il tremendo scoglio fisiologico delle 2 di notte, tipo una Houston di D’Antoni vs la Phoenix di Bledsoe e Booker; quindi derby della Northwest Division tra Denver (Nikola Jokic I <3 u) e Minnesota (dai, questa è facile). Per concludere supersfida alla Oracle Arena tra Warriors e Clippers, giusto per ricordarmi che alla fine della regular season si inizia a fare sul serio. Intervalli di zapping qua e la: uno sguardo a Portland lo si da sempre volentieri, un saluto rapido a Westbrook e Cousins è d’obbligo, se Anthony Davis è ancora in piedi il click te lo ruba sempre, basta che non ci sia in campo Omer Asik.

 

Dario Ronzulli

Io un’alzataccia prima dell’alba per vedere LeBron la faccio sempre, a prescindere dall’avversaria dei Cavs. Che peraltro mi incuriosiscono molto visto quanto hanno dovuto/voluto cambiare la second unit. Poi aspetto con ansia le sfide T’Wolves-Bucks perché c’è una quantità di giocatori dal futuro luminoso che sarebbe un peccato non vedere oggi e non seguire nella loro crescita. Per il motivo opposto, ovvero il rispetto che si deve alla loro carriera, guarderò in religioso silenzio e con totale riverenza gli ultimi minuti di Pierce con i Clippers e di Ginobili con gli Spurs.

2) Chi è la “nuova Portland” di questa stagione (aka squadra che nessuno si aspettava e invece sorprende)?

 

Breschi

Dire Jazz e T’Wolves sarebbe facilissimo, ma si portano dietro un hype che li hanno fatti schizzare molto in alto nelle previsioni degli addetti ai lavori. Ecco perchè la mia scelta, molto hipster, ricade sui Washington Wizards che fino a un paio di anni fa erano una squadra solida, di medio livello e con margini di crescita ma che nella scorsa stagione si sono involuti collezionando un mediocre 41-41 che è valso la 10° piazza ad est.

 

Hanno cambiato la guida tecnica esautorando lo spento Randy Wittman per firmare Scott Brooks, uno che probabilmente ha dei limiti quando deve portare in alto le proprie squadre, ma un signor allenatore nello step precedente, ovvero creare il telaio e la chimica di una squadra che vuole emergere. Gli Wizards hanno le carte in regola per tornare a dire la loro, ovvero qualificarsi ai playoff e provare ad ottenere il fattore campo per il primo turno, ma c’è bisogno che John Wall, una delle migliori (e più snobbate) point guard NBA, si liberi definitivamente l’etichetta di eterno incompiuto e riesca a ritrovare il feeling perduto con Bradley Beal, il quale a sua volta deve ritrovare continuità da un punto di vista fisico dopo aver saltato quasi 50 partite (su 164) in 2 stagioni ed aver firmato in estate il rinnovo contrattuale da stella della squadra. Il roster è lungo e solido, infarcito di gregari e veterani oltre che coperto in quasi ogni ruolo ad eccezione dell’ala piccola, spot in cui è necessaria una breakout season di Otto Porter. Se Brooks riesce ad unire i puntini, i Wizards non solo possono essere la mina vagante della Eastern Conference, ma la sorpresa di tutta la NBA.

 

Neri

Bold prediction: e se fossero i Miami Heat?

 

Dopo un’estate molto faticosa dal punto di vista nervoso, con l’addio di Wade e lo spinosissimo caso-Bosh, l’ambiente rischia di essere veramente messo a rischio e credo che Pat Riley abbia un dito sul bottone rosso con scritto “Tanking” già al primo acciacco di uno tra Dragic e Whiteside. Ma se c’è un allenatore capace di cavare fuori il sangue dalle rape – e che a mio modo di vedere deve definitivamente uscire dalla schiera dei sottovalutati – è Erik Spoelstra.

 

La composizione del roster, nonostante sia un insieme di rischi e incognite, sembra essere disegnato apposta per il discepolo di Riley, che attorno al pick&roll Dragic-Whiteside ha un insieme di gregari e specialisti che, se mescolati nel modo giusto, hanno il potenziale per dare filo da torcere in una Eastern Conference rinforzata ma comunque non libera da alcuni dubbi strutturali (chi ha detto Chicago?). È una previsione forte che deve trovare i favori di tutti i fattori, ma… #InSpoWeTrust.

 

Vismara

Dopo due nomi dell’est, vado con uno dell’ovest: nessuno si aspetta davvero che tankino, ma i Denver Nuggets hanno una profondità di roster sottovalutatissima, che nel corso della regular season viene comoda se abbinata all’altitudine della Mile High City. Da un paio d’anni la NBA ha modificato il calendario in modo tale che le squadre in trasferta abbiano più riposo prima di affrontare i Nuggets al Pepsi Center, ma avere a che fare con una rotazione di 12 giocatori NBA tutti di medio-buon livello quando sei reduce da una decina di giorni in trasferta è comunque dura per tutti. Sono tanti, sono giovani, sono grossi (Nurkic e Jokic insieme è una combo da osservare con attenzione): la mia fiche è su di loro.

 

Davide Casadei

Entriamo nell’anno-3 del dispotismo illuminato di Stan Van Gundy. Dall’instaurazione del regime del “Dittatore dei Quattro Fuori e Uno Dentro”, il livello della criminalità a Detroit è diminuito, la città è più vivibile dopo l’epurazione di furbetti dell’edilizia come Josh Smith che hanno fatto fortuna riciclando denaro sporco in villette a schiera. Dopo che anche l’ultima particella di resistenza guidata dallo squadrone Brandon Jennings è stato spinto ai margini della città, l’intelligencija rosso-blu si prepara a scatenare un’arma di distruzione di massa nota ai perseguitati media indipendenti come B0B4N M4Rj4N0V1C. I risultati di questa repressione sono evidenti: per le strade la paura ha lasciato spazio all’ottimismo. Il colonello Reggie Jackson promette stabilità e prosperità dai palchi stabiliti in ogni angolo dell’hinterland, nascondendo saggiamente le brucianti ferite di una giovinezza anarchica di cui non va certo fiero.

 

Stan Van Gundy intanto si gode i risultati del suo golpe, e la squadra ha ogni tassello proprio al posto in cui deve essere. L’utopia sfiorata nelle terre paludosi della Florida sta prendendo forma. Stan sorseggia un bicchierino di Brandy ascoltando l’ultimo mixtape di Eminem. Sorride. Questa volta non ci sarà nessun Dwight Howard a fermarlo. Una risata di follia squarcia la notte del Palazzo di Auburn Hills.

 

3) Quale squadra crollerà inaspettatamente fuori dalla zona playoff?

 

Fabrizio Gilardi

La mia personalissima impressione è che in entrambe le Conference fuori dalla top-3 (Clippers-Spurs-Warriors ad ovest, Cavaliers-Celtics-Raptors ad est in ordine sparso) ci siano una decina di squadre o poco meno che partono sullo stesso livello e che la differenza tra chi starà dentro e chi rimarrà fuori potrebbe dipendere da pochi dettagli e, come purtroppo sempre accade, dagli infortuni.

 

In una lega che premia sempre più coerenza e continuità gli Atlanta Hawks hanno, volente o nolente, di fatto chiuso un’era sostituendo due giocatori di sistema come Jeff Teague e Al Horford con Dennis Schroeder (promosso titolare) e Dwight Howard. Che in valore assoluto sono forse paragonabili, ma che certamente sono più complicati da gestire e da inserire in un sistema che ha basato tutte le proprie fortune sulla versatilità e la forza del collettivo. Può funzionare – anzi, non scommetterei contro di loro – ma cercando qualche crepa nella struttura delle squadre che devono confermarsi di successo (quindi quelle che semplicemente rischiano di confermarsi fuori dai Playoffs non contano… sorry Bulls & Knicks fans) credo che si possa guardare con preoccupato interesse a quel che succede in Georgia.

 

Breschi

In un ovest che ha perso una chiara contender come i Thunder, in cui le prime tre della classe sono una spanna sopra le altre e ci sono squadre che voglio tornare nel basket che conta come i Rockets e i Grizzlies o ambiscono a farne parte come Jazz e Timberwolves, la squadra che secondo me rischia più di tutte di uscire dal giro sono i Portland Trail Blazers.

 

Dopo una stagione da autentica sorpresa, partendo da una sorta di “semi-ricostruzione” fino a conquistare il 5° posto a ovest e marciare sul cadavere dei Clippers al primo turno dei playoff, oggi sono chiamati al passo più duro da compiere, ovvero confermarsi ad alti livelli. Terry Stotts è stato eccezionale nel plasmare attorno a Lillard e McCollum una squadra composta da giocatori raccolti dal marciapiede o che elemosinavano una seconda opportunità, ed essendo una delle menti più brillanti del panorama NBA troverà sicuramente un modo per incastrare i pezzi che in estate la dirigenza gli ha fornito. Ma c’è un punto interrogativo enorme: il “core” che ha fatto miracoli lo scorso anno è veramente pronto a fare il salto di qualità o è stato un fuoco di paglia? Se la risposta è sì in Oregon ci divertiremo, altrimenti il rischio è di perdere almeno 3 o 4 posizioni, che equivale a dire andare in vacanza verso metà Aprile.

 

Sarà ancora Lillard Time?

 

Ronzulli

A me questi Indiana Pacers non ispirano tantissimo. La squadra ha talento, è innegabile; ha giocatori esperti, solidi, con tanti punti nelle mani; Paul George è pienamente ritrovato ed ha alzato la sua asticella puntando al premio di MVP. Il mio dubbio è legato alla nuova filosofia portata da Nate McMillan, che dopo tre anni di assistentato a Vogel è passato al timone del comando cercando di dare alla squadra un’anima più offensiva rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi anni alla Bankers Life FIeldhouse. Anche perché il problema principale della passata stagione era un attacco che in certi momenti faceva sanguinare gli occhi. Ecco: quanto impiegherà Indiana a trovare il giusto equilibrio? Mi permetto di essere scettico sul fatto che possa arrivare in tempi brevi.

 

Casadei

L’induzione che mi suggerisce razionalmente di non scommettere mai contro Rick Carlisle questa stagione si deve arrendere al colpo fatale della previsione a istinto. I Mavs trascinano troppi punti interrogativi sulle teutoniche spalle di Wunder Dirk, e per quanto Bogut sia un complemento perfetto per il tedescone, con la sua capacità di difendere il ferro e smistare gioco dal post, si porta comunque dietro una storia travagliata di infortuni. E poi c’è Harrison Barnes, enigma che si è fatto uomo. Lui non la può risolvere, Dio non lo può risolvere, Rick Carlisle forse sì, e da quel “forse” passerà la stagione dei texani. La striscia di partecipazioni consecutive ai playoff è in bilico. Che rumore fa un gigante che cade?

 

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La redazione basket è composta da gente molto alacre che vorrebbe giocare a basket ma che purtroppo sarebbe troppo bassa anche per il campionato filippino. Almeno due membri della redazione basket sono convinti che il film A Beautiful Mind parli di loro.