• Classificone
Daniele Manusia

Il Classificone 4/4: I migliori gol dell’anno

I migliori gol del finale di stagione, più il migliore in assoluto. Ritorna il Classificone,…

 

Le altre puntate del Classificone 4/4

Le migliori punte
Le partite inutili più belle
Gli irriconoscenti
I cambioverso
I risorti

 

Tecnicamente questo è il Classificone dell’ultimo quarto di stagione, ma scegliere il gol più bello di questo quarto e poi separatamente il gol più bello della stagione sarebbe ridondante, per cui prima sceglierò tra i gol più belli di quest’ultimo periodo, poi il più bello in assoluto.

 

Si tratta di un’operazione fondamentalmente vana e decadente, per cui il gol del 4-0 in una partita di fine anno tra due squadre che non hanno niente da giocarsi può valere più del gol di Rakitic in finale di Champions League (anche se il gol di Rakitic entrerebbe probabilmente nella top 3 finale). Al tempo stesso, fa da bilanciamento al giudizio sommario del calcio come sport, in cui un gol è un gol, punto e basta.

 

La scelta è sempre soggettiva e a tal proposito sui social mi piacerebbe leggere commenti ai gol più personali, tipo: questo gol mi ricorda quando da piccolo mio nonno mi insegnava a tirare a giro con un Super Tele nel giardino della casa al mare, facendo la porta con i cuscini sul prato e levandosi le ciabatte; invece di discussioni sterili, e altrettanto vane, sulla responsabilità dei portieri sul primo palo, sul movimento goffo del difensore che ha aperto la strada all’attaccante o sulla fortuna della traiettoria presa dal pallone.

 

Questo di Pogba (vs. Napoli) è il gol più bello dello scorso anno. Mi ricordava la ballerina di un carillon, per questo ha vinto.

 

Nei Classificoni precedenti (qui, qui e qui) ho scelto il gol più bello cercando un messaggio nascosto che potesse essere di pubblica utilità: farò lo stesso in questo caso. Non sceglierò solo tra i primi arrivati negli altri Classificoni, perché, ad esempio, il primo quarto di stagione lo ha vinto il gol voluto/non voluto di Bonaventura, ma adesso preferisco Okaka lanciato come una macchina senza freni contro il Torino, che avevo premiato solo con il secondo posto. In questo clima paraculo di assoluta libertà potrei addirittura scegliere lo scorpione di Mch’edlidze in Coppa Italia dal secondo quarto di stagione.

 

I gol dell’ultimo quarto

Prima di svelare la mia scelta finale, però, devo spendere qualche parola per i gol di quest’ultima parte di stagione. A cominciare dall’ennesima rovesciata di Pinilla, contro il Cesena, interessante perché prende la palla molto in alto, con le dita del piede forse, e il mio cervello ricorda il dolore che ho provato quando anche io (da giovane, al mare, con l’acqua almeno fino ai polpacci) colpivo la palla così e mi alzavo zoppicando.

 

 

Paradossalmente, però, il fatto che questa sia l’ennesima rovesciata di Pinilla le fa perdere un po’ di punti, e brucia anche le possibilità di vittoria finale alla rovesciata (più bella) di qualche tempo fa. Pinilla è un coatto e quindi esagera, trasforma un evento eccezionale in qualcosa di vecchio, è come provare a rimorchiare una ragazza con i Baustelle.

 

A questo punto preferisco il classicismo di Luca Toni, la progressione sgraziata, di un uomo persino più vecchio di me, con gli stessi dolori alle articolazioni che hanno le persone alte come me, peggiorati da una vita passata a usurarle, capace ancora di partire a testa bassa e portare a spasso due avversari come si fa dalla notte dei tempi.

 

 

Vanno almeno citati i tiri a giro di queste ultime settimane. Il problema con i tiri a giro sul secondo palo è che guardandone troppi di seguito sembra il trucco di una versione passata di Fifa, l’angolo che i programmatori non sono riusciti a coprire. Come si chiamava quel gioco in cui bisognava andare all’incrocio della lunetta con la riga orizzontale dell’area di rigore e tirare dritto per dritto perché il portiere non ci arrivava mai?

 

D’altra parte le parabole a giro sono buone per tutte le occasioni, come quella di Ilicic, quella di Podolski o quella di Iago Falque (il secondo della doppietta segnata contro l’Atalanta, anche il primo è a giro sul secondo palo, ma meno bello: e comunque fare due gol a giro nella stessa partita la fa sembrare davvero una cosa scontata, un trucco): nessuno dirà mai che un gol a giro sul secondo palo è brutto e, anzi, Walter Sabatini ha costruito una carriera da DS sulla capacità di riconoscere giocatori che magari non saranno mai fenomeni, ma che un gol del genere lo possono segnare davvero in qualsiasi momento, tipo Lamela, che ha alzato la posta segnando a giro di rabona, o lo stesso Ilicic. Lo sloveno triste, però, ne ha segnato uno più bello recentemente:

 

 

Ilicic sembra uno che non è mai così tranquillo come nel momento in cui alza la testa e mira l’incrocio dei pali trenta metri più lontano. E deve essere una specie di condanna trovare la propria naturalezza in un gesto così inutile e raro, invece che in qualcosa che resti tipo un quadro, o una canzone. Tiri di questo tipo sono momenti così rari che quasi non hanno a che fare con il calcio, e, a meno che Ilicic non diventi un personaggio del prossimo film di Sorrentino, difficilmente troverà qualche consolazione nel palleggiare solo in un campo vuoto.

 

E dato che il calcio è un gioco competitivo, un tipo di gol che metto in una categoria a parte sono quelli in cui uno o più avversari fanno la figura degli imbecilli. Tipo il tunnel di Bertolacci al limite dell’area, o la finta di Brienza à la Messi. Non è l’umiliazione degli avversari che mi interessa, ma la loro sorpresa con cui empatizzo, provando sorpresa a mia volta. Quando Sturaro si gira con il sinistro e accelera con l’esterno destro contro il Napoli, con quello che sembra un movimento unico, mi metto nei panni del difensore e capisco cosa significa essere trasformati in statua dallo sguardo di Medusa.

 

Ancora meglio quando la sorpresa non ha niente di eccezionale, nessun movimento incredibile, nessuna genialità, nessuno strapotere fisico. Tipo la finta quasi invisibile di Doumbia su De Maio e Izzo, che di per sé non è un gesto tecnico eccezionale (basta spingere il tiro e il passaggio contemporaneamente): è solo un uomo che ne inganna due e poi prende contro tempo il terzo (il portiere). Doumbia fa tutto con la calma senile di chi sa qualcosa in più di chi ha di fronte, mi ha ricordato quando da piccolo mio nonno mi insegnava a tirare a giro con un Super Tele nel giardino della casa al mare, facendo la porta con i cuscini sul prato e levandosi le ciabatte.

 

 

Il gol dell’anno

Tutti i gol citati, ovviamente, non sono il gol dell’anno, non vi avrei mai rovinato la sorpresa finale. Il gol dell’anno ha un messaggio più universale di quello di mio nonno, ed è anche un gol tecnicamente più bello. Il mio gol dell’anno è quello di Mexès realizzato contro il Genoa.

 

Senza rendermene conto, giorni fa stavo glorificando un artista al punto che una persona a me cara mi ha detto che era impossibile parlare con me se prendevo così sul serio la faccenda. Mi sono reso conto che per me la naturalezza del talento è un valore più importante del duro lavoro, o del contesto che permette al talento di esprimersi. Il rischio, appunto, è quello di glorificare esseri umani come noi, pensare davvero che c’è un Dio che assegna destini. Sulla base di cosa poi? Di uomini di talento spregevoli ce ne sono quanti ne volete e alla fine, mi rendo conto, il talento è un concetto molto borghese, come la bellezza, la ricchezza, il successo.

 

 

Il gol di Mexès è un nonsense liberatorio. Qualche mese prima Mexès si era comportato da vero psicopatico con Mauri e nonostante i soldi non sembra in pace con sé stesso. Non si capisce neanche se è uno schema o se la palla gli arriva per caso, e se è uno schema è ancora più assurdo e immagino la faccia dello spogliatoio milanista quando Inzaghi ha spiegato che su calcio d’angolo si doveva cercare Mexès per il tiro da trenta metri. La traiettoria della palla, la velocità, la traversa che schiaccia la palla sulla rete e poi nella parte alta della rete: sono le uniche cose belle di questo gol. Non c’è nessun simbolismo, nessuna ideologia, non dice niente sulla carriera di Mexès, su Mexès come persona. È bello e basta e questo è il motivo per cui per me è il gol dell’anno.

 

La retorica del calcio come sogno dei bambini immagina finali di Coppa del Mondo o di Champions League. Nessun bambino sogna di diventare Mexès, di fare questo gol a trentatré anni, quando ormai qualsiasi velleità è abbandonata, quando per molti non sei neanche un giocatore di calcio. Nessun bambino sogna di fare cose belle e basta.

 
 

Tags :

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).