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Una vittoria per tutti?
23 ago 2017
23 ago 2017
Per strano che possa sembrare, lo scambio tra Cleveland e Boston accontenta tutte le parti in causa.
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Prima di scendere nel dettaglio per analizzare lo scambio che nella notte ha cambiato i volti dei Cleveland Cavaliers e dei Boston Celtics, conviene fare un passo indietro e considerare quanto sia stata folle l’estate che abbiamo appena vissuto. Non solo abbiamo avuto un evento raro come uno scambio che coinvolge la scelta numero 1 al Draft, ma in rapida successione hanno cambiato maglia stelle del calibro di Jimmy Butler, Chris Paul, Paul George, Gordon Hayward e infine, dopo la clamorosa richiesta di trade di luglio, anche Kyrie Irving e Isaiah Thomas. Di fatto, quella che andremo a vivere il prossimo anno è una NBA profondamente diversa rispetto a quella che abbiamo lasciato — almeno lontano dalla baia felice dei Golden State Warriors.

Quello che non ci si poteva immaginare perfino in un’estate così peculiare è il fatto che le due principali candidate alla vittoria della Eastern Conference concordassero uno scambio come quello che ha portato Irving a Boston in cambio di Thomas, Jae Crowder, Ante Zizic e la prima scelta dei Brooklyn Nets (senza alcuna protezione) nel prossimo Draft. Una trade enorme e sorprendente, piena di ramificazioni tecniche, economiche ed emotive che da una parte sono palesi fin da subito, e dall’altra parte saranno comprensibili nella loro interezza solo negli anni a venire.

Per cercare di analizzarne il più possibile, proviamo a destrutturare lo scambio prendendo in considerazione ognuno dei cinque elementi che lo compongono.

Kyrie Irving

Il GM dei Cavs Koby Altman era, senza mezzi termini, in una situazione impossibile. Buttato nella mischia dopo l’incomprensibile addio a David Griffin, aveva il compito di soddisfare simultaneamente la voglia di vincere di LeBron James (e la sua possibile partenza tra un anno), le necessità economiche del suo proprietario Dan Gilbert (il quale, se possibile, avrebbe voluto vedere diminuire l’astronomico conto da pagare per la luxury tax), la necessità di migliorare il roster (sia per riprendersi il titolo perso contro i Golden State Warriors nell’immediato, ma anche per pensare al futuro), e — come se non fosse abbastanza — la richiesta di trade di Kyrie Irving.

Perdere uno come Kyrie, specialmente per la sua giovane età e il livello che riesce a raggiungere ai playoff, avrebbe potuto rappresentare un colpo mortale per l’intera franchigia, specialmente con James che potrebbe di nuovo fare le valigie tra dodici mesi. Per questo era cruciale ricevere un pacchetto che permettesse ai Cavs di competere sia nell’immediato (per massimizzare le chance di titolo nel possibile ultimo anno di LeBron in Ohio, ormai alla soglia dei 33 anni) che costruire per il futuro — con o senza di lui. Un risultato che Altman è riuscito a raggiungere ricevendo un pacchetto estremamente competitivo per gli standard del mercato attuale, in cui giocatori come Cousins, Butler e George si sono mossi per molto meno di quanto ricevuto dai Cavs. Certo, Irving rispetto agli altri ha un’età inferiore e un accordo contrattuale migliore (potrà diventare free agent solo nel 2019), oltre ad avere una marcia ai playoff che pochissimi hanno dimostrato di avere. Ed è comunque un rischio “tenerselo in casa” nella Eastern Conference, specialmente cedendolo alla squadra che più di ogni altra ha le carte in regola per sfidare l’egemonia ad est di James e soci — senza contare quanto potrà diventare complicata la situazione nel caso in cui LeBron se ne andasse ad Ovest tra un anno, lasciando i Cavs privi del miglior giocatore possibile per battagliare con una Boston decisamente più forte.

Eppure, per come erano messi a Cleveland, era difficile fare meglio di un secondo quintetto All-NBA come Thomas (per quanto circondato di dubbi, come vedremo poi), un 3&D con uno dei migliori contratti della lega come Crowder (nonché perfetto per stare in campo contro Golden State), un giovane centro che potrebbe far parte della rotazione come Zizic e una scelta, quella di Brooklyn, che permette ai Cavs di mettere un piede in una Lottery che si preannuncia estremamente interessante nelle prime cinque posizioni del prossimo Draft. Per di più risparmiando circa 30 milioni dalla luxury tax, aspetto che sicuramente farà piacere a Gilbert.

Per quanto riguarda Boston, invece, è finalmente arrivato il momento in cui Danny Ainge ha deciso di premere il grilletto e utilizzare una delle preziosissime scelte del suo tesoretto, fino ad ora tenuto gelosamente preservato senza inserirsi in nessuno degli scambi che hanno visto muoversi le stelle della lega. In Irving i Celtics fanno certamente un miglioramento rispetto a Thomas nel ruolo — non fosse altro per il gap di età che separa Kyrie da Isaiah e per le minori criticità difensive che la sua presenza comporta (anche se non di molto) —, dando a Brad Stevens un attaccante formidabile che potrebbe fare un ulteriore passo in avanti, specialmente in un sistema che ha già dimostrato di poter mettere nelle condizioni ideali un trattatore di palla creativo ed efficiente come Thomas. Se Irving si lascerà allenare e accetterà di non avere il pallone tra le mani ogni secondo, lavorando lontano dalla palla per poi riceverla in condizioni più favorevoli, potrebbe davvero trasformarsi in un giocatore offensivo persino migliore di quello che già è — un pensiero che fa quasi spavento.

Spalle al muro davanti alla miglior difesa della NBA, Irving è capace di queste cose

Irving (25 anni) si allinea perfettamente nella timeline del nuovo arrivato Gordon Hayward (27 anni) e può essere il fulcro dei prossimi Celtics insieme a Jayson Tatum e Jaylen Brown, senza considerare la presenza di Al Horford (il quale può sollevarlo dai compiti di playmaking che, notoriamente, non gli riescono così bene) e Marcus Smart (chiamato a coprirne le mancanze difensive e probabile uomo-barometro della squadra). Non va però sottovalutato che i Celtics saranno profondamente diversi rispetto allo scorso anno, visto che hanno perso cinque dei primi sette giocatori della rotazione per minutaggio e hanno solo quattro giocatori (Smart, Horford, Brown e Terry Rozier) rimasti rispetto alla scorsa stagione. Ci saranno equilibri da ritrovare sul parquet ma anche — se non soprattutto — all’interno dello spogliatoio, visto che Thomas, Crowder e Avery Bradley erano i tre leader emotivi della squadra, quelli che davano ai Boston Celtics la loro anima battagliera che tanto dava sui nervi ai loro avversari. Pensare che Irving, Hayward e Horford abbiano lo stesso stile di leadership appare al momento piuttosto improbabile.

Isaiah Thomas

Prima di altre considerazioni, una piccola parentesi: negli ultimi anni abbiamo parlato spesso della “mancanza di lealtà” dei giocatori nei confronti delle squadre, da Kevin Durant che se ne va da OKC in giù. Ecco: in questo caso non si può parlare di “mancanza di lealtà” dei Boston Celtics nei confronti di Isaiah Thomas? “IT” per loro non solo ha dato tutto quello che aveva (diventando persino il principale recruiter dei free agent), ma ha anche affrontato nella maniera più professionale possibile un evento tragico come la morte della sorella all’inizio dei playoff. I Celtics lo hanno ripagato scambiandolo praticamente alla prima occasione, di fatto facendo capire che non avrebbero voluto essere la squadra che gli darà il prossimo contratto — perché i suoi anni migliori sono probabilmente alle spalle e rimane comunque un playmaker 29enne che arriva a malapena all’1.70, per di più reduce da un grave infortunio all’anca negli scorsi playoff. Forse, più semplicemente, dovremmo renderci tutti conto che lo sport professionistico si tratta di un business, e in quanto tale parlare di sentimenti — nonché infarcirne il racconto di emozioni & passione tra datori di lavoro e dipendenti — è quantomeno ingenuo.

Se prendiamo in considerazione esclusivamente la regular season, Thomas è stato certamente un giocatore migliore rispetto a Irving: ha segnato di più e con maggiore efficienza, ha avuto maggior impatto sulle partite decidendole nel finale, ha messo i compagni in condizioni migliori e li ha trascinati a un primo posto nella conference impensabile a inizio stagione. La questione però cambia quando si parla di playoff, perché le sue limitazioni fisiche si fanno maggiormente preoccupanti (e sempre meno mascherabili) con l’avanzare nella post-season: nel caso in cui i Cavs riuscissero a tornare in Finale NBA, trovargli un giocatore da marcare con profitto contro i Golden State Warriors appare un’impresa improba, specialmente perché Cleveland non possiede i difensori perimetrali in grado di coprirlo come potevano fare i Celtics grazie a Bradley, Smart e Rozier. Se le condizioni dell’anca non fossero positive, poi, Thomas potrebbe ritrovarsi a “perdere un passo” dal punto di vista atletico, un colpo enorme per la sua efficienza offensiva che si basa sull’esplosività e la rapidità nel breve, riuscendo a battere sul tempo i diretti avversari grazie ad angoli di conclusione introvabili per altri giocatori più grossi. Adattarsi alla presenza di un giocatore come LeBron James, poi, è una sfida per chiunque, tanto che Kyrie Irving ha impiegato diverso tempo prima di capire come poter funzionare con il Re — prima di stancarsi e decidere di andare a fare la prima stella da un’altra parte. Come prenderà Thomas, notoriamente orgogliosissimo, il fatto di essere indiscutibilmente la spalla di un giocatore più forte di lui?

Oltretutto, Thomas si ritrova in scadenza di contratto — una situazione che ha aspetti positivi e negativi per i Cleveland Cavaliers specialmente alla luce di quanto farà James. Se il Re dovesse rimanere, sarebbe quasi obbligatorio rifirmare Thomas con un contratto consono — che con ogni probabilità non sarà il massimo salariale che si aspetta il nativo di Tacoma, ma comunque manderà i Cavs in territori inesplorati della luxury tax. Se James dovesse andarsene, invece, la dirigenza dovrà decidere se puntare su di lui come nuovo fulcro offensivo della squadra (rimanendo quindi almeno in grado di giocarsi i playoff) o se lasciarlo andare, ricostruendo da capo attorno alla scelta dei Nets e affidandosi al tanking per tenere le proprie del 2019 e 2020 (protette 1-10 per non finire nelle mani degli Atlanta Hawks).

Jae Crowder

Se Thomas può essere un upgrade per la regular season ma un problema per i playoff, l’aggiunta di Jae Crowder è precisamente ciò di cui Cleveland aveva bisogno per accoppiarsi meglio contro i Golden State Warriors. Sin dai tempi di Miami con Shane Battier, James ha avuto bisogno di un 3&D versatile nelle due posizioni di ala per rendere al meglio in quintetti piccoli, venendo scaricato delle incombenze difensive maggiori per poter giocare sulle linee di passaggio e concentrarsi sull’attaccare un campo aperto da tiratori. Un ruolo finora ricoperto dalla buonanima di Richard Jefferson, ormai ben oltre la soglia dei 37 anni, e in cui i Cavs avevano un disperato bisogno di un giocatore più affidabile rispetto a Jeff Green (sigh). Crowder è per certi versi un po’ sopravvalutato come profilo 3&D, perché le percentuali al tiro tendono ad essere incostanti (40% nella scorsa stagione ma 34.6% in carriera, così come il 35% ai playoff contro il 22% dell’anno prima) e difensivamente ha dato l’impressione di aver perso un passo nell’ultima stagione, facendosi bucare in penetrazione più spesso rispetto al passato.

Ciò non toglie che a quel prezzo (6.8 milioni il prossimo anno, 7.3 in quello successivo e 7.8 nel 2019-20, senza alcuna uscita) rimanga uno dei migliori contratti di tutta la NBA e dia una grossa mano alla profondità della squadra, visto che con ogni probabilità partirà dalla panchina e potrà permettere a James di riposare un po’ di più rispetto agli enormi quantitativi di minuti disputati nella scorsa stagione. Bisognerà poi considerare anche l’orgoglio di Crowder, abituato ormai a partire dal quintetto dove invece James, Kevin Love e Tristan Thompson sono inamovibili, ma c’è da scommettere che anche solo la voglia di farsi rimpiangere dai Celtics — per di più dopo aver perso il posto per mano dell’odiato Hayward — lo porterà ad adattarsi alla nuova situazione di Cleveland.

Ante Zizic

Perso nelle ramificazioni e nelle conseguenze ben più importanti di questo scambio, non deve essere sottovalutata l’inclusione del centro croato Zizic, 23^ scelta del Draft 2016. Prima del suo sbarco negli States si pensava addirittura che potesse essere lui il titolare al fianco di Al Horford nella prossima stagione, ma una catastrofica Summer League ne ha fatto precipitare le quotazioni sia agli occhi dei Celtics che del resto della lega. Zizic però, in uscita dalla panchina, può dare il suo contributo a questi Cavs se coach Tyronn Lue — il quale ha già un altro rookie europeo da svezzare nel turco Cedi Osman — avrà la pazienza necessaria per sfruttarne le qualità (la capacità di attaccare il ferro in movimento) mascherandone i difetti (il limitato atletismo) del pupillo di David Blatt (guarda un po’ i casi della vita). Per una squadra che ha giocato la scorsa stagione con un centro di riserva come Channing Frye, potrebbe rappresentare potenzialmente un buon prospetto su cui lavorare tanto ora quanto per il futuro.

La scelta di Brooklyn

Ciò che fa pendere la bilancia dello scambio dalla parte di Cleveland è però l’inclusione della preziosissima prima scelta dei Brooklyn Nets, una di quelle che Danny Ainge è stato così restio a includere nelle ultime sessioni di mercato. Come per ogni scelta che non dipende dalle proprie mani, le cose potrebbero sia andare benissimo per Cleveland (con i Nets che si confermano come la peggior squadra della lega come lo scorso anno, consegnando loro una scelta in top-4) che malissimo (con i Nets che, dopo l’aggiunta di D’Angelo Russell, Allen Crabbe e DeMarre Carroll, si rivelano più competitivi di quanto immaginato). Rimane comunque difficile pensare che Brooklyn possa arrivare ai playoff — le proiezioni di Kevin Pelton di ESPN dicono che sarà tra le cinque peggiori squadre della NBA —, cosa che permette comunque a Cleveland di mettere un piede in una Lottery che si preannuncia profonda, specialmente dopo la scelta di Marvin Bagley di anticipare di un anno il suo passaggio al college.

Di fatto, quella scelta — per di più senza protezioni, aspetto da non sottovalutare — è il primo mattone per la ricostruzione dei Cleveland Cavaliers senza LeBron James, nonché un asset invidiabile da spendere sul mercato nel caso in cui il Re decidesse di rimanere in Ohio per il resto della carriera. Si tratta di una specie di polizza assicurativa per il futuro, la base su cui costruire la speranza di un futuro migliore in caso di apocalisse tra dodici mesi: d’altronde, anche Kyrie Irving era arrivato a Cleveland grazie alla scelta ricevuta da un’altra squadra (quella volta furono i Clippers per liberarsi di Baron Davis), dando il via al roster che poi ha convinto James a tornare. Chissà che questo, ora definitivamente costruito, non lo convinca a restare.

Se dopo la richiesta di scambio di Irving il regno di Cleveland stava per crollare, ora i Cavs sono riusciti a puntellare il castello almeno per un altro anno e hanno messo le basi per costruirne un altro a fianco in caso di disastro. La stagione che comincerà tra una cinquantina di giorni — per di più con uno scontro proprio tra Boston Celtics e Cleveland Cavaliers, talking about hype — servirà per capire se gli equilibri della Eastern Conference sono stati ribaltati da questo scambio così improvviso e così complicato.

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