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Terremoto Chris Paul
29 giu 2017
29 giu 2017
Il passaggio di CP3 a Houston per giocare con James Harden cambia i rapporti di forza nella NBA. Ma può funzionare?
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La free agency NBA non ha nemmeno avuto il tempo di iniziare che ha già visto alcuni dei suoi pezzi più ambiti trovare nuove destinazioni. Dopo lo scambio che ha portato Jimmy Butler a Minnesota, gli Houston Rockets hanno acquisito Chris Paul dagli L.A. Clippers in cambio di Patrick Beverley, Sam Dekker, Montrezl Harrell, Lou Williams, una prima scelta 2018 e contratti non garantiti raccattati in giro per la lega per far quadrare i conti. Una mossa che, a tutti gli effetti, cambia l’intero panorama della NBA. Sulla trade e sul perché abbia funzionato Mettiamo in chiaro una cosa: da quando i Clippers hanno ottenuto Chris Paul dagli allora New Orleans Hornets non hanno fatto una singola mossa che sia risultata vincente per la squadra. Hanno acquisito J.J. Redick pagandolo due seconde scelte quando non c’era bisogno di pagarle (essendo un free agent); hanno preso Jared Dudley dai Suns in cambio di Eric Bledsoe e, dopo un anno da infortunato, hanno pagato una prima scelta a Milwaukee perché se lo prendesse; hanno usato negli anni le loro MLE per prendere Spencer Hawes e Wes Johnson; hanno sacrificato scelte per prendersi il figlio dell’allenatore e offrirgli un contratto fuori mercato; hanno dato minuti e contratti a giocatori che Doc Rivers conosceva quando allenava i Celtics (saluti tra gli altri a Glen Davis, Jeff Green e Paul Pierce); l’unica acquisizione che è stata vagamente positiva con lo spazio a disposizione è stata quella di Luc Richard Mbah a Moute, sebbene giocasse esclusivamente una sola metà campo. Considerando anche le tantissime delusioni di questi anni ai playoff, un po’ tutti si aspettavano che Chris Paul potesse uscire dall’ultimo anno del suo attuale contratto per sondare la free agency e andare altrove. Oppure, in alternativa, restare ai Clippers firmando un contratto pari al 35% del cap della durata di 5 anni arrivando alla soglia dei 38 anni, un’estensione che lo stesso Chris Paul ha contribuito a far nascere da presidente dell’associazione giocatori (il limite per i max era a 36 anni). Invece, con una mossa inaspettata, il GM di Houston Daryl Morey ha convinto Chris Paul a comunicare ai Clippers che sarebbe voluto andare ai Rockets o uscire dal contratto, concordando poi di restare nell’ultimo anno di contratto con la promessa futura - probabilmente - del quinquennale al massimo tra dodici mesi. In questo modo è una situazione di win-win per tutte le parti coinvolte: i Rockets riescono a mettere le mani sul miglior free agent in circolazione pur non avendo tecnicamente lo spazio salariale per prenderlo; i Clippers ottengono comunque dei giocatori di rotazione con contratti vantaggiosi e una scelta per un giocatore che avrebbero perso a zero; Chris Paul può andare nella squadra di suo gradimento e, grazie ai Bird Rights che i Rockets adesso posseggono avendolo scambiato via trade, firmare in futuro l’ultimo super contratto della carriera che desiderava. La trade quindi sembra vantaggiosa per tutte le parti (sempre che ci possano essere dei lati positivi nel perdere uno come Chris Paul), ma la sensazione è che la firma su una trade del genere sia di Jerry West. “Mr. Logo” è arrivato ai Clippers da poche settimane, e una figura del suo calibro è in grado di dare coraggio ad una franchigia per fare mosse apparentemente azzardate. Senza la sua presenza, che farebbe sentire chiunque al sicuro e che qualcosa di buono potrà sempre nascere, probabilmente i Clippers si sarebbero ostinati ad andare avanti con la squadra di sempre, e avrebbero fallito ancora e ancora e ancora. Sui Rockets e su cosa succede adesso Se una squadra ha l’opportunità di prendere Chris Paul, prima lo fa e poi pensa a tutto il resto, a partire da come sistemarsi tatticamente. Stiamo parlando della Point God, uno dei migliori playmaker della storia del gioco e il migliore della sua generazione. In ogni caso, a seguito della notizia è cominciato a dilagare uno scetticismo al grido di “C’è un solo pallone!”, il più classico dei mantra per screditare scelte come questa - ignorando il fatto che sia la stessa frase ripetuta per praticamente tutte le squadre che hanno vinto un anello, non ultimi gli Warriors che lo hanno fatto nemmeno un mese fa. In ogni caso sono stati Chris Paul e James Harden a volere questa partnership, e credo che nessuno meglio di loro si renda conto che dovranno adattarsi alla presenza dell’altro. Il fit non risulta in alcun modo ottimale, almeno sulla carta: si parla di due giocatori che hanno passato le ultime stagioni ad avere sempre la palla in mano (entrambi nella top-7 della lega per minuti di possesso) e dettare i ritmi dell’attacco. E se almeno Harden ha una comprovata esperienza da giocatore off the ball nei suoi anni a Oklahoma City, Chris Paul non ha mai avuto un compagno di reparto del livello del Barba - né a Wake Forest, né agli Hornets e né tantomeno ai Clippers. In ogni caso, mettere assieme due PG nella NBA moderna, e a maggior ragione due che sono in grado di spaziare il campo e tirare sugli scarichi, è un compito molto meno arduo che far coesistere due centri come stanno provando a fare i Pelicans. Ci sarà bisogno di adattabilità e compromessi da entrambe le parti, ma si tratta comunque del potenziale miglior backcourt della lega. Quando uno dei due è senza palla l’altro può spaziare il campo attirando su di sé un difensore fisso e muoversi lontano dalla stessa, ricevendo e attaccando una difesa già mossa. Chris Paul ha tirato il 50% da 3 punti da catch & shoot nella scorsa stagione e Harden ha sfiorato il 40%: numeri fenomenali che costringeranno tutti gli avversari a sprecare risorse difensive, considerando che nelle altre due posizioni ci saranno altri cecchini (Ariza, Anderson e Gordon in attesa di altre mosse) e in mezzo una “minaccia di lob” come Clint Capela. Inoltre i Rockets possono pensare di distribuire con criterio i loro minuti in campo, massimizzando quelli in cui i due non condividono il parquet: nessuna squadra nella storia ha mai avuto uno dei migliori playmaker della lega sempre in campo ad ogni secondo della partita. Ci sono stati dei casi precedenti di squadre che hanno fatto coesistere due PG assieme - come i Suns di Eric Bledsoe e Goran Dragic o, estremizzando il concetto, LeBron James e Kyrie Irving a Cleveland - facendogli dividersi i possessi da portatore di palla. I Rockets possono anche provare a dividere i possessi dei due sulla base del tipo di situazione: Harden dovrebbe gestire le transizioni con la sua capacità di sparare fucilate nelle braccia dei tiratori sulle corsie esterne o con il suo Euro-Step capace di attirare a sé innumerevoli falli. Harden l’anno scorso ha guidato quasi 600 transizioni offensive, smazzando 243 assist che nel 40% dei casi erano per tiri da tre punti, generando 1.52 punti per possesso contando i tiri e gli assist assieme. E i numeri di Paul sono addirittura migliori, pur giocando meno di un terzo delle transizioni ed avendo a disposizione due rim-runner di livello assoluto su cui Harden non poteva contare. Paul, al contrario, può essere il portatore di palla designato per i possessi a metà campo, facendo disporre al millimetro i compagni in campo e attaccando a difese schierate e ritmi più bassi, dove è nel 99esimo percentile.

CP3 ha il miglior gioco dalla media distanza del pianeta, riuscendo a muoversi tra molteplici blocchi o creare separazione dal palleggio per poi tirare dal palleggio con estrema efficienza.

Paul inoltre è nel 94esimo percentile in isolamento e nel 96esimo in post-up (con Harden che può muoversi senza palla, dove è nel 98esimo percentile in situazioni di taglio). Se Paul riposa, Harden può gestire i possessi a metà campo con il suo pick & roll, in cui è nel 96esimo percentile; se Harden riposa, Paul può guidare le transizioni in prima persona in cui è comunque nel 97esimo percentile.

Non esiste difesa che possa permettersi di perdere il contatto visivo con Harden, anche a costo di non dover mai portare un raddoppio con gli esterni a CP3.

I due sono la più alta espressione dell’efficienza in un campo da basket e possono generare canestri tirando fuori dal cilindro qualcosa in qualunque momento della partita. L’attacco dei Rockets è stato devastante nella passata stagione, e in questa se tutti i tasselli si incastrano a dovere, verosimilmente toccherà dei livelli difficilmente immaginabili. Questo è il sogno bagnato di Mike D’Antoni, che resta comunque una delle migliori menti pensanti pallacanestro offensiva del pianeta, e che può spingere i limiti del gioco ancora oltre a dove li aveva già portati. Sarà interessante però vedere due filosofie di attacco opposte provare a convivere: Paul è un famigerato attaccante che preferisce mungere il cronometro fino al momento giusto e creare separazione dalla media distanza in cui è un maestro; la Moreyball unita al sistema di D’Antoni spinge per attaccare una difesa non schierata e prediligere solo i tiri ad altissima efficienza (tiri liberi, al ferro e triple). La soluzione più probabile sarà vedere un adattamento tra le due parti che può portare solo benefici: i Rockets sono stati disinnescati ai playoff quando gli Spurs si sono accorti che mettendo un sette piedi fisso sotto al ferro e restando incollati ai tiratori, concedendo sistematicamente i jumper dalla media, l’attacco dei Rockets andava improvvisamente in corto circuito. Chris Paul può finalmente, a 32 anni di età, vivere in un attacco che può essere produttivo anche senza il suo perenne contributo, in cui può prendersi dei possessi di riposo e in cui, finalmente, non è costretto a gestire TUTTI i possessi nei finali di gara, che non è un carico di lavoro semplicissimo per una guardia di 1.80. Houston ha ancora le sue eccezioni salariali per aggiungere pezzi a roster e, nel caso voglia provare a muovere il contratto di Ryan Anderson, potrebbe aggiungere altri giocatori di un certo livello. In ogni caso ci dovrebbe essere la fila di tiratori che vogliono migliorare la propria carriera e i propri guadagni nel sistema di D’Antoni, a maggior ragione ora avendo al fianco sempre uno tra Harden e Paul. Per certi versi, il resto del roster può permettersi di non palleggiare mai più quando in campo ci sono quei due. Patrick Beverley era uno specialista difensivo, ma CP3 non è lontano dal suo livello; Lou Williams era un party crasher fenomenale, ma hanno pur sempre Eric Gordon dalla panchina che si completa benissimo con entrambi. La distanza che li separa da Golden State è ancora elevata, ma se hai tra le mani James Harden hai il dovere di fare di tutto per provare a colmare questa distanza. I Rockets dell’anno scorso sembravano una squadra che era andata molto vicina (o forse oltre?) al suo massimo risultato possibile: questa versione sembra avere un ceiling ben più alto e ancora inesplorato. Sui Clippers e su dove andranno da ora in poi La presenza di CP3 ai Clippers ha significato molto di più di quanto una mancata apparizione alle finali di conference possa significare. I Clippers erano la peggior cultura sportiva di tutti gli States in tutti gli sport, ma da quando è arrivato Paul non hanno mai saltato i playoff in una Western Conference ultra competitiva, sono sempre finiti davanti ai Lakers (una cosa impensabile in passato anche per una singola stagione) e sono diventati la squadra di riferimento di Los Angeles. Qualcosa però inevitabilmente si è rotto: il malumore dilagava ogni anno di più e dallo spogliatoio arrivavano segnali preoccupanti, tra i quali Blake Griffin che si spacca la mano per aprire la faccia ad un magazziniere o J.J. Redick che comunica ai media che non sa cosa sia questa squadra. Come avevamo scritto, confermare questa squadra in blocco significava ripercorrere le solite stagioni e restare delusi quando una squadra più forte o più in forma li avrebbe superati nuovamente. Inoltre, pagare oltre 40 milioni al futuro 37enne Chris Paul non sembrava la scelta più lungimirante del mondo. Lob City no more. Da adesso in poi i piani dei Clippers cambiano radicalmente: Jerry West dovrebbe offrire (o suggerire a Doc Rivers di offrire, le dinamiche non sono chiarissime) il massimo salariale a Blake Griffin per ancorarlo alla città e iniziare una nuova fase in cui si possano sfruttare a pieno le sue doti di playmaking, che sono state giocoforza oscurate dalla presenza di Paul.

Tra i suoi 5 assist a partita non figurano solo passaggi consegnati o scarichi dal post, ma anche lob dalla punta, bounce-pass verso l’interno, sottomano per premiare tagli e dei penetra e scarica da vera e propria lead guard.

Nel caso in cui Griffin rifirmi non diventa scontata la presenza di DeAndre Jordan, la cui compresenza con Blake è rimasta in qualche modo problematica e che, con due anni pieni di contratto e la sua capacità di difendere il ferro, può avere mercato. Se Blake decidesse di partire pure lui, i velieri proveranno a rientrare nella protezione della scelta data ai Celtics (ovvero finire in Lotteria nella stagione 2018-19) e ricostruire con molta calma. I Clippers, in ogni caso, ripartono da alcune cose che non hanno mai avuto in questi anni: giovani dinamici e mobili, spazio salariale e scelte. La longa manu di Jerry West e la sua capacità impareggiabile di riconoscere il talento sono la miglior ancora di salvezza possibile in un giorno che, altrimenti, sarebbe stato il più buio della cultura sportiva più perdente di sempre.

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