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Foto di Maddie Meyer / Getty
NBA Dario Vismara 2 marzo 2017 8'

Le scelte difficili di Boston

La vittoria con Cleveland ha rilanciato le loro ambizioni, ma fino a dove possono arrivare i Celtics?

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La partita tra Boston Celtics e Cleveland Cavaliers a prima vista poteva sembrare solo una delle tante gare di regular season di cui ci saremo già dimenticati tra qualche settimana, quando finalmente inizieremo a fare sul serio. Eppure c’è qualcosa che rende questa gara un po’ più importante delle altre: vuoi per il momento opposto delle due squadre prima dell’incontro (eccellente per i Cavs, pessimo per i Celtics), vuoi per le diverse direzioni imboccate dalle dirigenze sul mercato (all-in per i campioni in carica, un discusso immobilismo per i bianco-verdi), vuoi perché si tratta pur sempre dello scontro tra la prima e la seconda forza della Eastern Conference. Insomma, questa gara rappresenta, nel suo piccolo, un momento di svolta della stagione.

 

I Celtics avevano bisogno di un’iniezione di fiducia dopo aver perso recentemente contro due dirette concorrenti come Toronto e Atlanta, con un record in stagione di 2 vittorie e 7 sconfitte contro Cavaliers, Wizards e Raptors e soprattutto perdente contro le squadre sopra il 50% di vittorie (13-16). Dati che avevano fatto scattare l’allarme sulle reali possibilità di essere contender per i ragazzi di Brad Stevens, specialmente dopo le indicazioni contrastanti arrivate dal mercato (su cui torneremo). Cleveland invece, dopo un gennaio terrificante (8 vittorie e 9 sconfitte, primo mese perdente per LeBron James in oltre 10 anni), ha ritrovato un po’ di tranquillità grazie alle aggiunte di Kyle Korver e Derrick Williams, oltre a un’ulteriore semplificazione delle coperture difensive che non hanno prodotto risultati concreti (la difesa ha comunque concesso quasi 110 punti su 100 possessi nell’ultimo mese) ma ha sbloccato l’attacco, il migliore in assoluto della lega sfiorando quota 120 di Offensive Rating.

 

 

Marcature incrociate

 

Complici le assenze di due titolari come Kevin Love (che aveva dominato le prime due gare stagionali tra Cavs e Celtics) e J.R. Smith, Cleveland nell’ultimo periodo ha dovuto affidarsi a Channing Frye e Iman Shumpert in quintetto. La presenza del secondo, in particolare, ha dato vita a uno dei temi della gara — e possibilmente di una serie di playoff tra le due squadre — con il cross matching tra le guardie: invece della canonica divisione point guard-contro-point guard e guardia tiratrice-contro-guardia tiratrice, coach Stevens e Lue hanno deciso di incrociare le marcature mandando Avery Bradley o Marcus Smart sulle tracce di Kyrie Irving e Iman Shumpert o Deron Williams su Isaiah Thomas. Un cambiamento necessario per “proteggere” le proprie stelle difensivamente, ma che comunque gli avversari hanno provato a sfruttare continuamente, con Smart a portare in post basso Irving ogni volta che gli era possibile e i Cavs a coinvolgere l’uomo marcato da Thomas nei pick and roll per attaccare i cambi.

 

 

Qui Irving fa anche finta di provarci, ma non ha chance contro Smart sotto canestro.

 

 

Stevens invece vuole evitare esattamente quello che è successo nell’ultimo minuto di gioco (PS. Da qualche parte Doctor J avrà apprezzato la cit. per i punti numero 27 e 28 di “Uncle Drew”).

 

Uno dei motivi per cui i Cavs sono usciti sconfitti dal TD Garden sta anche nel fatto che non sono riusciti ad attaccare bene i cambi difensivi dei Celtics, complici le mancanze offensive di Iman Shumpert (0/3 dall’arco), la pessima serata balistica di Kyle Korver (0/6 al tiro prima dell’unico canestro di serata a meno di un minuto dalla fine) e l’esordio mediocre di Deron Williams (2/8 al tiro, con l’errore finale sulla tripla che avrebbe dato il vantaggio a Cleveland a pochi secondi dalla fine). Di fatto, le loro tre brutte serate combinate hanno permesso ai Celtics di “nascondere” Thomas in difesa e non pagarlo così tanto, godendone invece l’ottima serata offensiva da 31 punti con 10/20 dal campo.

 

 

Tutto attorno ad Isaiah

 

Nei Celtics tutto ruota attorno a Thomas, tanto nella metà campo difensiva quanto in quella offensiva: le squadre avversarie lo puntano in maniera quasi ossessiva quando deve difendere, a volte snaturando il proprio sistema offensivo pur di sfruttarne le mancanze su tutti i cambi (con l’obiettivo di stancarlo anche nella metà campo d’attacco). Dall’altra parte, la Motion Offense di Boston si basa sulla sua capacità di penetrare in movimento e creare per sé e per gli altri, con la controindicazione di risultare stagnante non appena il pallone esce dalle sue mani e un tiro smarcato non è immediatamente disponibile.

 

 

Nell’ultimo quarto la difesa dei Cavs era talmente concentrata su contenere Isaiah da lasciare spazio sul perimetro, con i Celtics bravi a sfruttarlo tirando 6/8 da tre solo nell’ultimo parziale.

 

Per una mera questione di impatto, nel bene e nel male, ci sono pochissimi giocatori in questa stagione NBA che creano una “dipendenza” così grande sulla propria squadra come Isaiah Thomas. Sia chiaro: in questa annata il numero 4 ha più che giustificato la sua presenza in campo, cavando fuori dalle secche offensive un attacco che senza di lui stenta a creare vantaggi (il 100.7 punti su 100 possessi quando è seduto è il peggior dato di squadra, contro l’eccellente 113.1 di quando è in campo). Ma Thomas tanto dà quanto toglie dall’altra parte, visto che il rapporto su 100 possessi in difesa è esattamente invertito (il peggiore di squadra in difesa, che invece sarebbe la migliore della NBA senza di lui): su questo equilibrio delicato si gioca l’intera stagione dei Celtics.

 

Al di là di Thomas, ieri sera Boston ha sfruttato l’atmosfera da playoff del TD Garden per sfoderare una prestazione difensiva di ottimo livello specialmente nel finale, tenendo l’attacco dei Cavs sotto quota 100 punti con pessime percentuali (46% di eFG con il 30% dall’arco). In particolare, i bianco-verdi sono stati pressoché perfetti sui cambi difensivi, annullando i vantaggi dei Cavs e costringendoli a prendere tanti tiri dalla media distanza (solo 2/15 tra pitturato e linea da tre per gli ospiti).

 

 

Qui LeBron James cade in uno dei tranelli tesi da Stevens, che gli mette davanti un giocatore teoricamente lento contro cui si incaponisce nell’uno contro uno.

 

 

Sperimentazione spinta

 

Il nuovo acquisto in casa Cavs, Deron Williams, non giocava una partita intera da quasi due settimane ed era convinto di rimanere in campo per soli 10-12 minuti; al contrario ha finito per giocare praticamente tutto l’ultimo quarto cercando di imporre la superiore stazza fisica su Thomas in difesa, venendo però ripetutamente bucato come in occasione del fallo che ha portato Isaiah in lunetta per i tiri liberi decisivi. Coach Tyronn Lue già nello shootaround mattutino aveva annunciato che l’obiettivo per le ultime settimane di regular season sarà di sperimentare combinazioni in vista dei playoff e reintegrare J.R. Smith e Kevin Love gradualmente nelle rotazioni. Una sperimentazione che nel corso di febbraio ha portato i Cavs a scovare una second unit che funziona con Korver, Frye, Shumpert e Derrick Williams attorno a LeBron James — che, al di là della tripla doppia, renderebbe presentabile qualsiasi quintetto: ieri 115.6 di rating offensivo nei 40 minuti con lui in campo, addirittura 31.3 (!!!) negli otto minuti fuori. In certi momenti dell’ultimo quarto Lue ha provato la combinazione James-Williams-Richard Jefferson in un front-court senza lunghi tradizionali: praticamente avanguardismo, con LeBron a pattugliare la seconda linea come ai bei tempi di Miami (è andato molto peggio invece nei pigri close-out sui tiratori del finale di gara).

 

Anche una squadra come Cleveland però non può pensare di vincere sul campo della seconda forza nella Eastern Conference chiudendo la gara con due giocatori che letteralmente un mese fa non erano neanche in squadra, e alla fine i due Williams sono costati la partita tanto in difesa (con il già citato fallo su Thomas da parte di Deron e la mancata uscita di Derrick sulla tripla del vantaggio dello stesso Isaiah) quanto in attacco (con la tripla sbagliata da Deron e gli ancor peggiori due sfondamenti consecutivi commessi da Derrick).

 

 

La buona notizia per Cleveland è che ai playoff in quella situazione ci dovrebbe essere Kevin Love in angolo e non Williams.

 

Poco male: rimanere comunque in partita fino alla fine nonostante una pessima serata al tiro (16/40 nei tiri non contestati), e con l’assenza di due titolari sul campo teoricamente più difficile della conference, è tutto sommato una buona notizia per i campioni in carica. Tra poco Clevelando potrà accogliere anche Andrew Bogut e cercheranno di trovare le combinazioni giuste in un roster che, dopo gli sforzi sul mercato, potrebbe legittimamente schierare una rotazione da dodici giocatori nei playoff.

 

 

L’immobilismo sul mercato

 

Al di là della singola vittoria — che di sicuro è la statement win della stagione —, l’incontro con i Cavs mette i Celtics davanti a delle questioni rimaste irrisolte dopo la deadline del mercato. Presentatisi alla pausa per l’All-Star Game sulle ali del secondo posto a Est e con una collezione di asset spendibili sul mercato di assoluto valore — almeno cinque giocatori di rotazione, due contratti per far quadrare i conti di cui uno in scadenza, una manciata di giovani e soprattutto le preziosissime scelte dei Brooklyn Nets nei prossimi due anni — i Celtics per svariati motivi non sono riusciti a fare l’ultimo passo arrivando alla tanto agognata Stella, che in questa finestra di mercato rispondeva ai nomi di Paul George o di Jimmy Butler. Se c’era un momento ragionevole per fare uno sforzo e migliorare la squadra in vista dei playoff era questo — considerando sia le condizioni comunque incerte di Kevin Love e J.R. Smith ancora infortunati sia il fatto che i due giocatori più importanti del roster, Isaiah Thomas e Al Horford, sono vicini ai 30 anni. Eppure non lo hanno fatto, neanche per DeMarcus Cousins, andato via a due noccioline. Perché?

 

È pensiero abbastanza comune che Ainge abbia fatto bene a rimanere fermo, se ne facciamo una mera questione di valutazione del mercato: a giugno le condizioni per prendere quelle due stelle saranno simili se non migliori (ad esempio se la scelta di Brooklyn dovesse effettivamente trasformarsi nella numero 1, anche se l’attrattiva di quel pick potrebbe anche peggiorare) e i Celtics rimangono comunque la franchigia col maggior numero di asset e con le migliori possibilità di vincere per convincerli a restare. L’effetto collaterale però è non aver migliorato la squadra di quest’anno, che invece si è vista sostanzialmente dire implicitamente “non siete abbastanza forti per battere Cleveland al completo in una serie al meglio delle sette e per questo non ha senso sprecare degli asset”. E non tanto per non essere arrivati a George o Butler, ma quanto per non aver neanche provato a colmare un po’ delle mancanze di creazione perimetrale al di fuori di Thomas e soprattutto a rimbalzo difensivo di questo roster (solo i Knicks soffrono di più sotto il proprio tabellone).

 

Le recenti sconfitte contro Toronto (che al contrario si è mossa per colmare quelle lacune) e Atlanta hanno esposto proprio questi due palesi problemi: quando il “King in the Fourth” non riesce a fare le sue magie nell’ultimo quarto, i Celtics fanno enorme fatica a creare vantaggi in attacco ed espongono i loro limiti di talento nel mettere palla per terra; nella sconfitta in casa contro gli Hawks, poi, sono stati scherzati a rimbalzo (55-40) e in area (60 punti a 34), un difetto che si è notato anche contro i Cavs (Tristan Thompson ha ancora una volta mangiato in testa a Horford nell’azione del tiro sbagliato da Williams). Considerando che le prime scelte, anche al di là di quelle di Brooklyn, non mancano di certo, perché la dirigenza dei bianco-verdi non ha cercato di migliorare le chance ai playoff di questo gruppo?

 

Questo ci porta a un discorso più intrigato e complesso che rimanda alla situazione di Isaiah Thomas. I Celtics sono davvero sicuri che il contesto “tutto attacco-niente difesa” che la presenza di IT4 automaticamente crea sia quello giusto per vincere anche in primavera? E se sì, vale la pena investire tutti i soldi che un due (e probabilmente anche tre) volte All-Star richiederà nell’estate del 2018 quando sarà free agent? Sembra un tempo lontano visti gli imminenti playoff, eppure ai Celtics conviene non farsi trovare impreparati quando arriverà il momento di decidere cosa fare con questo gruppo di giocatori — se puntare forte sul mercato dei free agent quest’estate (quando avranno spazio per un massimo salariale) oppure se allungare la “finestra” di competitività della squadra (costruendo attorno alla prima scelta che arriverà a giugno).

 

Tante domande e poche risposte, per ora. Usando il gergo pokeristico, i Celtics hanno in mano una buona ma non eccellente coppia di carte: andranno all-in per vedere fino a dove li porta oppure la rimetteranno al centro del tavolo, aspettando un momento migliore per investire il loro tesoro di asset?

 

 

Tags : boston celticscleveland cavaliersisaiah thomas

Dario Vismara è caporedattore della sezione basket de l'Ultimo Uomo. Laureato in linguaggi dei media con una tesi sulla costruzione mediatica della carriera di LeBron James, ha lavorato come redattore a Rivista Ufficiale NBA e nel 2016 è passato a Sky Sport curando la sezione NBA del sito. Ha tradotto "Eleven Rings. L'anima del successo" (Libreria dello Sport) ed è il curatore della "Guida NBA 2017-18" (Baldini & Castoldi).

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