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David Breschi
Il ruolo del centro nel basket moderno
17 mar 2017
17 mar 2017
Dimenticatevi dei lunghi classici: le fortune delle squadre NBA passano dai “Playmaking 5”.
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David Breschi
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Quando parliamo di centri, con ogni probabilità la prima cosa che ci viene in mente sono dei perticoni che stanno a prendere (e dare) botte sotto canestro, retaggio di un basket antico in cui i giocatori più alti scandivano i ritmi del gioco, in attacco ed in difesa, dominando nei pressi del ferro.

 

Nel 1998 l’arrivo in NBA di tale Dirk Nowitzki è stato un cambiamento epocale: il tedesco dei Dallas Mavericks è stato il primo di una lunga serie di giocatori oltre i 210 centimetri in grado di tirare da tre punti, passare, andare al ferro in palleggio e, in generale, avere un impatto innovativo sul gioco, facendo cose che fino a quel momento erano di competenza solo delle guardie.

 

Da quel preciso momento per un lungo NBA (ma anche a livello mondiale) avere questa doppia dimensione interna/perimetrale ha significato cambiare completamente le geometrie, i tempi e gli spazi del gioco, sia offensivi che difensivi, contribuendo a creare i presupposti per il basket moderno che strizza l’occhio alla sabermetrica dei tiri ad alta percentuale e punta ad avere le aree sgombre.

 

La nuova generazione di lunghi, emuli inconsapevoli del tedesco da Würzburg, può spingere il gioco in nuove direzioni, abbinando alle doti balistiche (oramai semi-imprescindibili per un lungo) un trattamento di palla idoneo a renderli una minaccia costante da oltre l’arco anche in fase di costruzione del gioco.



Nikola Jokic è l’erede tecnico di due grandi specialisti del passaggio come Vlade Divac e Arvydas Sabonis: la sua ascesa ai Denver Nuggets è stata perentoria e oggi non c’è più da stupirsi delle sue triple doppie dirigendo il gioco dal suo scranno localizzato sul post alto.

 

La palla ormai passa così tanto dalle sue mani che Mike Malone, per metterlo a suo agio, è ricorso alla

che abbiamo già analizzato nel primo pezzo di X&O. Se i Celtics la utilizzano sostanzialmente per mettere dinamicamente la palla in mano a Thomas o per favorire il movimento di palla, i Nuggets di Malone giocano questa motion per muovere gli uomini ricorrendo ai principi cardine della Princeton Offense, ovvero i tagli verso la palla, ma soprattutto quelli backdoor.



 

 

 

Questo incessante movimento permette a Jokic di dare sfogo al suo QI cestistico, pescando il compagno libero con passaggi da “globetrotter” che, nella sostanza, sono la più banale forma di collaborazione offensiva: dei semplici dai-e-vai.

 

Le sue doti di passatore hanno permesso a Malone di dare una nuova dimensione all’attacco dei Nuggets sfruttando il talento serbo in una zona di campo che permette di liberare spazio in area portando lontano dal ferro un

.



 

 

Jokic blocca per il bloccante del pick & roll e da quel momento si entra nel vivo del gioco: l’obiettivo di tale movimento è quello di far compiere alla difesa una scelta netta, e in entrambi i casi è inseguire sul primo blocco e fare “show” sul secondo, liberando un quarto di campo per il taglio a canestro di Danilo Gallinari. Una situazione preventivata dai Nuggets, che subito usano Jokic come sponda per una sorta di alto/basso dinamico concluso con due alley-oop.



 

A Boston Stevens ama gli attacchi di movimento in cui tutti e cinque i giocatori sono coinvolti, come questa Motion basata sulla Flex Offense con partenza Horns, tipico di molte squadre NBA.



 

 

Palla ad uno dei due lunghi al gomito, blocco cieco del lungo senza palla, passaggio gomito-gomito e si entra nella Flex che prevede un blocco cieco orizzontale sul lato debole con il bloccante che subito dopo sfrutta un blocco verticale.



 

Nella prima delle due sequenze Horford pesca Crowder sul primo blocco, nel secondo caso i Celtics usano una variante con un doppio blocco cieco di Thomas - prima orizzontale, poi verticale - per Brown che viene servito in alley oop. Al Horford è un centro moderno tuttofare, in grado di fare blocchi, avvicinarsi a canestro, tirare da fuori e aiutare nella costruzione del gioco, senza la fantasia di un Jokic nel pescare il compagno libero, senza la scioltezza tecnica di un Marc Gasol o un DeMarcus Cousins, ma facendo le cose in modo concreto, senza fronzoli come dimostrano queste due letture basiche effettuate con due banali passaggi sopra la testa. Che alla fine valgono sempre due punti come un assist no-look.

 

Con la pletora di lunghi perimetrali, complementari e dotati di QI cestistico che si ritrovano i Celtics è facile creare situazioni di vantaggio seguendo il flusso del gioco, senza chiamare schemi, semplicemente giocando negli spazi che si creano leggendo la difesa e reagendo di conseguenza. In due parole: “Read & React”.



 

 

 

Pick & roll laterale tra Bradley e Horford, gli altri tre giocatori spaziati in angolo. Gli Hornets fanno “

” sul gioco a due, ovvero mandano il palleggiatore sul fondo per comprimere gli spazi dell’attacco ma Horford fa “pop”, ovvero si apre sul perimetro invece che tagliare a canestro. Questo innesca la rotazione difensiva dei calabroni che Olynyk legge per andare a rubare lo spazio lasciato libero in area. Quando Horford riceve, lontano dalla palla si presenta un 3 vs 2 con i giocatori di Boston perfettamente spaziati e l’alto/basso tra il centro da Florida e Olynyk produce un canestro facile.

 



I Pelicans appena dopo l’All Star Game disputato in casa, hanno piazzato il colpo più altisonante della trade deadline con

che assieme a Anthony Davis forma una coppia di lunghi moderni e versatili in grado di giocare indifferentemente dentro/fuori.

 

I due sono amici da tempo e hanno condiviso la stessa alma mater, ma per sviluppare l’intesa cestistica ci vorrà del tempo: John Schuhmann, il guru delle statistiche di NBA.com,

secondo cui i Pelicans rendono più quando Cousins è fuori che in qualsiasi altra combinazione. Se son rose fioriranno, ma nel frattempo Alvin Gentry per calare il nuovo arrivato negli schemi dei Pelicans lo sta utilizzando molto fronte a canestro come facilitatore dell’attacco.



 

 

Palla a Cousins al gomito alto della lunetta e movimento standard sul lato forte, con il play che scende a bloccare il giocatore in angolo. Ma quello che interessa a noi è ciò che accade sul lato debole, ovverosia l’indicazione che Gentry dà all’esterno che sfrutta il blocco di Davis: nelle due clip Solomon Hill sfila e gira a ricciolo sul blocco per dare modo a Davis di aprirsi verso la palla e duettare con l’amico, sfruttando gli spazi creati.





 

 

Doppio pick and roll alto sfruttato sul lato di Davis, che rolla a canestro sigillando dietro di sé il difensore sul cambio. Anziché andare subito a servire “The Brow” in una situazione di pessime spaziature con due difensori sul lato debole già “flottati” e pronti a intervenire, Holiday manda la palla in punta a Cousins che attira fuori dall’area il centro dei Mavs, rimasto a presidiare l’area. Solo in quel momento serve dentro il compagno di reparto che può giocare così un uno contro uno in situazione di vantaggio contro un difensore più basso.



 

Nonostante il passaggio da Dave Joerger a David Fizdale, i Memphis Grizzlies non hanno cambiato stile di gioco: sarebbe da folli rivoluzionare tatticamente una squadra che fa del gioco interno il proprio punto di forza ed ha in Gasol e Randolph una coppia affiatata. Ecco perché nel playbook dell’ex assistente dei Miami Heat sono privilegiate le situazioni di alto/basso. Qualunque gioco venga chiamato, uno degli obiettivi tattici dei Grizzlies è quello di ricreare le condizioni per un allineamento tra lunghi che permetta un gioco a due di questo tipo:



 

 

Passaggio in ala a un esterno a seguito di un blocco e Randolph che inizia subito lavorarsi il suo marcatore diretto per creare una linea di passaggio sicura che gli spiani la strada verso il canestro, ben sapendo che lo spagnolo occuperà il post alto e cercherà il passaggio sotto. Il lavoro di corpo e di piedi del numero 50 in maglia Grizzlies è un trattato di pallacanestro che induce il difensore in una posizione di svantaggio.



 

Restando a Memphis, Tony Allen è il giocatore che identifica e impersonifica lo stile

dei Grizzlies ed è un caso più unico che raro: è una guardia di 193 cm con un tiro da fuori pressoché inesistente che non dovrebbe aver diritto di cittadinanza in una lega in cui il tiro da tre punti è così importante. Eppure riesce a produrre circa 9 punti a partita tirando il 75% delle sue conclusioni al ferro, perchè è un tagliante a livello di élite NBA. Ma ogni grande tagliante ha bisogno di essere servito da un grande passatore.



 

 

Partenza Horns con Gasol al gomito, il secondo lungo in angolo sul lato del centro spagnolo, un tiratore all’altro gomito e Allen in angolo sul lato debole. Come la palla finisce nelle mani del catalano, Allen sprinta a portare un blocco in allontanamento per il tiratore, poi taglia backdoor a canestro per ricevere libero in area sfruttando il “bug” difensivo che questo tipo di giocata provoca nelle difese avversarie. Fidzale è conscio del fatto che gli avversari fanno riposare i loro peggiori difensori su Allen che quindi, oltre ad essere coinvolto nel gioco, espone il suo marcatore diretto al centro dei riflettori. Non vi sorprendete se da questo Gasol-to-Allen i Grizzlies riescono a rubare almeno un canestro a sera.



 

I San Antonio Spurs fanno del dialogo tecnico tra lunghi uno dei propri punti di forza da quando coach Popovich siede sulla panchina dei texani. Il doppio drag è un movimento nato per mettere un esterno razzente nelle condizioni di nuocere nei primi secondi nelle azioni. Non è altro che un doppio blocco sulla palla che indirizza il palleggiatore a canestro e provoca una serie di situazioni letali per la difesa: innanzitutto il difensore sulla palla deve difendere su più blocchi, poi necessariamente si devono innescare una serie di rotazioni difensive che hanno il fine di mostrare un punto debole da poter colpire.

 

Gli Spurs hanno “convertito” questo gioco per essere fonte proficua di alto/basso tra i due lunghi coinvolti nel doppio blocco sulla palla.



 

 

Nelle due sequenze della clip l’ordine di scuderia di coach Lue è inseguire sui blocchi il portatore di palla e sull’ultimo blocco fare contenimento. Lee, l’autore del primo blocco, rolla a canestro, mentre Aldridge dopo il secondo blocco fa pop e mette quanta più distanza possibile tra sé e il suo marcatore, creando il vantaggio decisivo per l’attacco: in pratica una situazione di doppio pick and roll è diventato un 2 vs 1 tra i due lunghi e LeBron James, che prima esce su Aldridge lasciando l’area sguarnita per il passaggio alto/basso, poi - memore del risultato precedente, resta a metà strada - ma rimane comunque tagliato fuori dal gioco senza palla di Lee su cui deve spendere un fallo.



 

Giocatori così completi che uniscono ai pregi dei lunghi, le caratteristiche proprie dei playmaker come la visione di gioco, la capacità di creare gioco ed innescare i compagni, sono una risorsa che apre orizzonti finora poco esplorati e ricchi di nuovi sentieri di tecnica e tattica da percorrere.

 

Il ruolo di playmaker 5 al momento è in mano ai vari Horford, Cousins, Gasol, in un futuro (

) sarà Jokic ad ereditare il testimone: i suoi lampi di talento sono accecanti, ma deve ancora toccare il

della propria carriera e completare il suo gioco.

 

Noi in questo pezzo abbiamo solo grattato la superficie di un ruolo, quello di centro, che in molti davano per morto, e semplicemente si è dovuto adattare ad un basket diverso a quello con cui siamo cresciuti. Su questo argomento torneremo in futuro, per parlare dei Joel Embiid, Karl Anthony Towns, Kristaps Porzingis e Myles Turner - aka gli Unicorni che spingeranno ancora più avanti l’evoluzione del ruolo.

 





 

Come di consueto, ecco la selezione degli X&O più interessanti di queste ultime settimane, tra cui ATO (After Time Out), EOG (End of Game) ed i set più particolari dalle squadre NBA.

 

 



 

Il playbook di Quin Snyder è infarcito di giochi che creano sovrannumero sul lato forte, una distrazione in grado di liberare spazio sul lato debole.



 

 

Partenza Horns un po’ atipica con i due gomiti alti riempiti da un piccolo e da un lungo. Il centro, Gobert è in post basso sul lato debole. Il gioco inizia con Hayward che si sposta in palleggio sul lato del piccolo, il quale si apre in punta, riceve e gioca un pick and roll d’infilata con Favors. Un set come se ne vedono a decine sui parquet NBA, ma la particolarità è quello che succede lontano dalla palla: Ingles, che è l’esterno sul lato forte, taglia sotto canestro e sfrutta il blocco di Gobert sul nuovo lato forte. Il suo movimento, oltre a dare una linea di passaggio alternativa a Hill che gioca il pick and roll, permette di liberare un lato di campo al taglio a canestro di Favors e tiene impegnata la difesa sull’altro.



 

Così facendo, nella prima sequenza della clip Hill coinvolge Hayward come sponda per dare palla dentro a Favors che nel frattempo gioca uno contro uno con il suo marcatore diretto in una posizione di vantaggio; nella seconda clip lo spazio è talmente dilatato che Favors riceve al ferro direttamente da Hill.

 

 



 

L’X&O dei Miami Heat è incentrato sulla filosofia “Read & React” - ovverosia: da una situazione iniziale si diramano una serie di varianti in grado di coinvolgere tutti e cinque i giocatori in campo - che tradotto tatticamente significa partire da una situazione standard, anche banale come una doppia uscita, e da lì iniziare a costruire il gioco usando le letture.



 

 

Questo schema - che si trova in quasi tutti i playbook delle squadre NBA e in quasi tutti quelli delle squadre Europee, dall’Eurolega alla Prima Divisione - sfrutta la “forza di gravità” prodotta dal movimento senza palla di Wayne Elligton, uno dei migliori tiratori in uscita dai blocchi dell’intera NBA, un altro dei miracolati della cura Spoesltra.



 

Gli Heat hanno utilizzato questo set per tre volte in un lasso di tempo di 3 minuti e la solita esecuzione ha portato a tre letture diverse per mandare a canestro tre giocatori diversi, e solo una per il terminale designato. Nella prima sequenza è Ellington a smarcarsi e segnare da tre punti (la 5° tripla della sua partita, tra l’altro); nella seconda il difensore sull’ultimo blocco, Cousins, esce ad ostacolare il tiratore ma lascia sguarnita l’area per il passaggio filtrante a Whiteside; infine nella terza tutti gli occhi della difesa sono per Ellington sul lato forte, Richardson sfrutta il pasticcio difensivo per uscire sull’altro lato e ha metri di spazio per prendersi il tiro.

 

 



 

L’8 gennaio scorso è andata in scena una battaglia all’ultimo tiro tra Pistons e Blazers risolta solo al secondo overtime con il blitz esterno di Drummond e soci. A decretare il primo supplementare ci ha pensato McCollum con questa tripla frutto di una BLOB (BaseLine Out of Bounds) ben congegnata da Stotts.



 

 

McCollum parte dalle tacche basse della lunetta e si apre in angolo, ma non riceve perché anticipato. Lillard blocca Aminu che sprinta a portare un blocco flare (in allontanamento) per McCollum. Sul cambio difensivo Jackson e Morris pasticciano lasciando libera la guardia dei Blazers, che ha tutto il tempo di mettere a posto la mira e impattare sul 106 pari



 

Nel secondo supplementare ecco una SLOB (SideLine Out of Bounds) con quattro giocatori dei Blazers in fila nelle tacche del tiro libero e Plumlee a rimettere, con il doppio beneficio di essere un buon passatore e togliere dall’area Drummond.



 

 

McCollum sfrutta il triplo blocco zipper (dalla linea di fondo verso il centro del campo, spalle a canestro) dei compagni e si muove in allontanamento: la strategia dei Pistons è inseguire sui blocchi e riempire l’area con il difensore dell’ultimo blocco per evitare il lob a canestro, ma McCollum ha ampio vantaggio per buttarsi in ala sul lato opposto, raccogliere il passaggio che taglia il campo di Plumlee e mandare a bersaglio il canestro del secondo overtime.



 

Secondo overtime che a 12 secondi dalla fine vedeva i Pistons palla in mano con la rimessa laterale, sotto di 2 sul 124-122 in favore dei padroni di casa.



 

 

Morris sfrutta il blocco zipper di Drummond, mentre sul lato debole Harris blocca cieco per Caldwell-Pope e poi ricciola in angolo sul secondo blocco di Drummond, che riesce a sortire l’effetto desiderato - ovverosia attirare l’attenzione dei due difensori Blazers, Plumlee e Harkless, sul lato forte - mentre Drummond porta un terzo blocco, stavolta per Caldwell-Pope, su cui il povero Crabbe è lasciato solo al suo destino. KCP riceve il passaggio da Jackson e lascia partire il tiro della vittoria da tre punti indisturbato.



 

 



 

Dal libro dei trucchi di Brad Stevens ecco una ATO che ci permette di ricollegarci un attimo alle qualità a tutto tondo di Horford, qui in veste di bloccante.



 

 

Thomas sfrutta il blocco verticale di Horford e finge di andare a bloccare sulla palla, Joseph e Lowry difettano di comunicazione e tocca a Valanciunas metterci una pezza, cambiando sul portatore di palla. Rozier potrebbe attaccare il mismatch favorevole, ma lo schema prevede un altro blocco di Horford, stavolta diagonale, per Thomas che dopo essersi allargato sprinta per riceve in punta, mette i piedi a posto e nel caos difensivo dei Raptors si alza e lascia partire il canestro del -3.



 

 



 

Il 9 marzo LeBron James ha piazzato una tripla doppia da 29+13+10, ma la particolarità della sua prestazione sono stati i 12 canestri dal campo tutti realizzati al ferro con la ciliegina sulla torta delle sette schiacciate affondate in faccia alla difesa dei Pistons, che ha pareggiato il proprio massimo in carriera risalente al 2009. Di queste sette

, 2 sono arrivate a degna conclusione di un pick and roll laterale che ha visto LeBron James utilizzato come bloccante - uno schema tanto semplice quanto letale, specialmente quando il Prescelto è in campo con il quintetto piccolo della second unit.



 

 

Deron Williams - uno che sotto l’egida di Jerry Sloan ai Jazz era abituato a questo genere di giocate - e LeBron vengono isolati in un quarto di campo, in una situazione alla Stockton-to-Malone con gli altri tre giocatori spaziati sul lato debole. Il pick and roll laterale con l’area sgombra nella prima sequenza permette a James di andare facilmente a canestro senza trovare nessuno sul suo cammino; nella seconda il cambio difensivo dei Pistons è più efficace, ma questo permette al Re un comodo mismatch concluso con il canestro e fallo.

 

 

Il Chin Floppy dei Pistons

 

Stan Van Gundy nel corso della sua carriera da allenatore ha creato e arricchito una sorta di Motion Offense personale che serve a spianare il campo al pick and roll centrale dopo aver creato una situazione di vantaggio sulla difesa, innescando così i centri atletici che ha allenato tra Orlando e Detroit e allo stesso tempo sfruttando le doti balistiche dei suoi piccoli.



 

 

 

Il gioco inizia con un blocco verticale sul lato debole, seguito da un blocco cieco tra il playmaker e il centro. La palla finisce in ala e il centro porta un altro blocco cieco, stavolta in allontanamento per la guardia, per poi uscire in punta e ricevere la palla. Con questo movimento di palla e uomini si crea una situazione di doppia uscita (in gergo Floppy Action) con cui la guardia che ha ricevuto il secondo blocco cieco sceglie un lato potendo sfruttare tre blocchi bassi e poi, in corsa e con un vantaggio acquisito sulla difesa che rincorre, andare a giocare un DHO (Dribble Hand Off, un pick and roll consegnato) centrale con Drummond da cui poi scaturiscono una serie di opzioni: nella prima sequenza il DHO produce un alley oop al ferro per Drummond; nella seconda uno scarico di Caldwell-Pope a Leuer che va a canestro; nell’ultima un comodo tiro piazzato per la guardia da Georgia con metri di spazio.

 

 

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