• NBA
Niccolò Scarpelli

La grandezza della coppia LeBron James-Anthony Davis

In una lega dominata dalle coppie di stelle, LeBron e AD vogliono dimostrare di essere…

Qualche minuto dopo aver ricevuto la conferma definitiva che la stagione NBA 2019-20 sarebbe ripartita, tutti i bookmakers del mondo hanno aggiornato le proprie quote per le 22 squadre che torneranno in campo a partire dal 31 luglio. Nonostante il format unico e (si spera) irripetibile con cui la lega chiuderà la propria stagione, praticamente tutti sembrano concordare sul fatto che i Los Angeles Lakers siano la squadra favorita. Non una notizia sconvolgente: prima della sosta i Lakers sembravano la squadra più in forma, forse anche la più forte tout-court, dimostrando una crescita costante di rendimento e una coesione mentale impressionante, con la tragica scomparsa di Kobe Bryant che aveva spinto giocatori e ambiente a unirsi ancora di più. Soprattutto, i Lakers avevano messo in mostra tutti i benefici ricavati dall’avere una coppia di stelle del calibro di LeBron James e Anthony Davis.

 

LeBron e AD non vedevano l’ora di giocare insieme. Il loro era un amore cestistico preannunciato, uno di quelli che non si possono nascondere anche se non si possono dichiarare – o quasi –, di quelli che sai benissimo che, qualora dovessero concretizzarsi, sarebbero in grado di produrre da subito grandissimi risultati. E infatti i due ci hanno messo pochissimo a trovare il modo di sfruttare il loro enorme potenziale. Nei 1.317 minuti in cui hanno condiviso il campo insieme finora, nella loro prima stagione da compagni di squadra, i Lakers hanno sovrastato gli avversari di oltre 10 punti su cento possessi, e cosa ancora più importante, sono tornati ad essere realmente competitivi: quarto miglior attacco, terza miglior difesa e secondo miglior Net Rating dietro solo ai Milwaukee Bucks, gli unici anche ad aver vinto più partite di loro.

 

L’arrivo di Davis ha avuto effetti benefici su tutta l’organizzazione ma in particolar modo sembra aver rivitalizzato LeBron James, il quale, voglioso di riscattare una stagione controversa nella quale sembrava aver mostrato i primi segnali di “umanità”, si è presentato ai nastri di partenza della stagione con una condizione atletica e una presenza mentale impressionante.

 

 

Nikola Jokic non è proprio l’esempio perfetto per una “misurazione atletica”, d’accordo, ma la cattiveria con cui LeBron James recupera il pallone e sprinta in transizione è un chiaro messaggio per tutta la lega: dovete ancora fare i conti con me

 

Quando si parla di LeBron sembra sempre triviale sottolineare la sua grandezza, il suo essere unico anche in una lega di super-uomini. Ma non lo è. Prima di questa stagione James era già al 15° posto ogni epoca per minuti giocati in regular season (46.235) e soltanto la sospensione del 12 marzo dovrebbe impedirgli di superare Kobe Bryant (avrebbe bisogno di giocare 38,6 minuti di media nelle 8 partite che i Lakers giocheranno prima dei playoff, una cosa non impossibile ma quantomeno improbabile). LeBron ha comunque superato lo stesso Bryant nella classifica marcatori, diventando il terzo all-time, salendo nel frattempo al settimo posto assoluto per minutaggio. Il chilometraggio adesso segna 48.329 minuti – ai quali vanno aggiunti i 10.049 di post-season (stra-primo) – il che significa che su diciassette stagioni da professionista LeBron è stato in campo 38.4 minuti di media. Volendo fornire un po’ di contesto, nelle ultime sei stagioni nessuno eccetto Jimmy Butler nel 2014-15 ha mai chiuso una singola stagione sopra i 38 minuti di media. Una stagione. Una sola. Nessuno.

 

LeBron è l’unico giocatore della storia NBA con almeno 34.000 punti, 9.000 rimbalzi e 9.000 assist, l’unico ad essere stato selezionato almeno 12 volte nel primo quintetto All-NBA, l’unico ad aver chiuso 16 stagioni consecutive con almeno 25 punti di media a partita. Si potrebbe andare avanti ancora, ma il punto credo sia chiaro: sera dopo sera, che sia contro gli Charlotte Bobcats o in una Gara-7 di playoff, LeBron James ha fatto vedere cose che nessun altro è in grado neanche di provare.

 

 

Quanti altri giocatori sono stati in grado, alla loro 17^ stagione, con quel corpo e quel chilometraggio, di fare una cosa così?

 

Coppia d’assi 

Nelle sessanta partite giocate finora in stagione regolare LeBron viaggia a 26.7 punti, 8.1 rimbalzi e 10.9 assist per 36 minuti. James dovrebbe distribuire altri 112 assist nelle 8 partite che i Lakers giocheranno prima di iniziare i playoff per battere il proprio record personale su una singola stagione; ciò nonostante, è molto probabile che i 636 assist (and counting) gli faranno vincere per la prima volta il primato in questa categoria per la regular season. Un record tutt’altro che casuale, che dimostra come LeBron sia tornato a divertirsi più in campo che fuori – cosa non da poco dopo l’anno scorso – e che soprattutto certifica l’impatto di Anthony Davis.

 

Oltre ai 28 punti, 9.9 rimbalzi e 3.3 assist per 36 minuti, la combinazione di atletismo, esplosività e verticalità aggiunta dalla presenza di Davis ha dotato l’arco delle soluzioni di James di una freccia avvelenata da scagliare costantemente al cuore delle difese avversarie. L’ex Pelicans è uno dei migliori giocatori della lega nel giocare nei pressi del ferro, forse addirittura meglio di LeBron (quantomeno nei numeri), ed è proprio in quella porzione di campo che il duo ha esercitato la maggiore pressione. Solo gli assist di Lou Williams per Montrezl Harrell hanno prodotto più punti al ferro della soluzione offensiva della combinazione LeBron-to-Davis, che con 172 assist totali è stata per distacco la più prolifica della stagione – sempre per contesto, la seconda è Lillard per Whiteside con 129 canestri.

 

LeBron ha assistito il 33% dei canestri di Davis; viceversa, il 38% degli assist totali di James ha il nome AD scritto sopra. Con buona pace del Dwyane Wade versione 2010-11 o la stagione da titolo di Kyrie Irving, Davis è nettamente il miglior giocatore col quale LeBron abbia mai giocato, un 6-piedi-e-10 capace di mettere palla per terra e una tecnica degna di una guardia che rende tutte quelle qualità (già uniche) del gioco di LeBron ancora più difficili da contenere o anche solo prevedere. 

 

 

I loro giochi a due ricordano una sessione di balletto. Guardate come Davis detti il tempo d’entrata, con quella sorta di “blocchetto” nella schiena del difensore per prendere il ritmo, come James conduca senza intralciare i passi dell’altro, quanto sia armoniosa la gestione degli spazi. 

 

Negli ultimi sei anni LeBron non è mai sceso sotto l’80° percentile in situazioni di pick and roll giocati da palleggiatore, con la sua capacità di trovare ogni contromossa per ogni aggiustamento difensivo e di leggere in anticipo lo scacchiere avversario per manipolarlo a proprio vantaggio – qualità che lo rendono un maestro d’orchestra unico nel suo genere. Sotto molti aspetti, LeBron potrebbe essere il miglior passatore di tutti i tempi: una macchina dotata equipaggiata con l’intelligenza per scannerizzare quello che succede in tempo reale, una struttura fisica che gli permette di vedere il campo in tutta la sua ampiezza, da qualsiasi angolazione, e una impareggiabile combinazioni di forza totale ed equilibrio estetico che lo rendono inarrestabile una volta che ha preso velocità. 

 

Dopo una stagione confusionaria sotto l’aspetto organico-tattico, il front office dei Lakers ha capito che il miglior modo di valorizzare James era tagliare ogni fonte di gioco secondaria e imbottire la squadra di giocatori intelligenti, capaci di muoversi e spaziare il campo, lasciando al 23 il compito di gestire ritmi e soluzioni. Questo ha permesso a LeBron di moltiplicare il suo impatto sui compagni, tanto che, oltre alla connessione con Davis, LeBron è anche l’unico (insieme a Russell Westbrook) ad aver assistito almeno 15 triple dall’angolo per tre compagni diversi (Kyle Kuzma, Avery Bradley e Danny Green). James è anche uno dei cinque giocatori in stagione ad aver regalato almeno 50 assist che hanno prodotto una tripla per lo stesso compagno (Danny Green con 52).

 

 

Infoltire il roster di tiratori ha reso ancora più difficile poter gestire il pick and roll tra le due stelle della squadra. Questa azione, tratta dall’ultima partita prima della sospensione, con Davis a pareggiare la partita con una tripla, è un antipasto di quello che potremmo vedere qualora venissero giocati i playoff.

 

Le tante facce dei Lakers

Sebbene Davis preferisca giocare il meno possibile da centro nel corso della regular season, è evidente che quando le partite conteranno lo schieramento tattico sarà simile a quello nella clip. Sia l’ex Pelicans che LeBron sono in grado di difendere in maniera eccellente il proprio ferro, non hanno problemi a cambiare contro diverse tipologie di attaccanti e nella metà campo offensiva costringono gli avversari a scelte complesse. Per quanto riguarda la difesa, poi, la presenza di un veterano come Green, abituato da anni a marcare giocatori più “grossi” di lui, permette ai Lakers di abbassare ulteriormente il quintetto senza contraccolpi, potendo schierare altri due esterni come Bradley, Alex Caruso o Kentavious Caldwell-Pope sul perimetro – una strutturazione estremamente competitiva quantomeno nella metà campo difensiva.

 

Green ricopre un ruolo fondamentale anche in attacco, fungendo sia da decoy iniziale (con LeBron a rifinire) che da polo magnetico sul perimetro, esercitando quella pressione necessaria per non ingolfare le spaziature nei quintetti con due lunghi di ruolo. La sua capacità di essere sempre pericoloso senza avere il benché minimo bisogno di toccare il pallone è sempre stata un’arma preziosa per le sue squadre, e anche i Lakers hanno saputo sfruttarla correttamente, mettendolo spesso sullo stesso lato del campo di Davis di modo da creare scelte ancora più complesse da leggere.

 

 

Tre situazioni di gioco diverse del triangolo James-Green-Davis, tutte e tre giocate con il primo da portatore di palla primaria e con l’ultimo a rifinire. 

 

Allenare la squadra più patinata e scrutinata della lega non è mai compito facile, ma Frank Vogel in questa stagione ha svolto un lavoro eccellente. Stimolando valori semplici e lavorando sulla compattezza di un gruppo di giocatori che – fatta eccezione per pochissimi – avevano bisogno di rilanciare la propria immagine (e la rispettiva carriera), Vogel ha costruito un nucleo tosto e coeso, capace di giocare con grande intensità e applicazione (soprattutto nella metà campo difensiva) già dalla partita inaugurale. I Lakers di Vogel hanno un’idea precisa del proprio potenziale e di come convertirlo sul terreno di gioco.

 

La bravura di Vogel si vede anche dalle piccole cose, come per esempio utilizzare Davis da perno centrale per battere una difesa a zona, farlo partire distante dall’area per permettergli di prendere ancora più slancio per i suoi terzi tempi, oppure l’aver adottato dei piccoli aggiustamenti agli schieramenti che lo vedono accoppiato con un altro lungo.

 

Difendendo spesso contro gli esterni, nel momento in cui gli avversari prendono il proprio tiro l’ex Pelicans si trova spesso sul perimetro, o addirittura già al di fuori, pronto per sprintare in campo aperto. Una condizione che LeBron e i Lakers sono estremamente bravi a sfruttare a proprio vantaggio, alzando sistematicamente il ritmo per premiarlo contro avversari che spesso sono sbilanciati. In alcuni momenti delle partite i Lakers sembrano una grande staffetta di quattrocentisti che si mangia il campo, con LeBron che agisce da quarterback e il compagno che si smarca come un wide receiver per raggiungere la endzone.

 

 

 

Una collezione di lanci chirurgici di LeBron per Davis, che in questa stagione produce qualcosa come 1.35 punti per possesso in transizione.

 

Com’è logico che sia in una squadra guidata da un giocatore di 35 primavere sulle spalle, i Lakers non amano correre quando non è necessario – il che rende le giocate “sul lungo” ancora più efficaci e imprevedibili –, bensì preferiscono sfruttare l’unicità di Davis.

 

Il suo skillset tecnico e fisico gli permette di essere troppo agile ed esplosivo per i centri e troppo grosso e lungo per gli esterni. Davis produce 1.27 in situazioni di roll verso canestro, 1.51 per ogni taglio – ottavo tra i giocatori a giocare almeno un possesso a partita del genere –, tira col 72.9% al ferro (uguale ad Antetokounmpo, anche se con tre tiri e mezzo in meno a partita) e soprattutto, per la seconda volta in carriera, ha superato il 70° percentile in situazioni di spot-up, contribuendo attivamente al funzionamento degli efficacissimi movimenti verso il ferro di JaVale McGee e Dwight Howard.

 

 

 

Steven Adams, Ivica Zubac, Andre Drummond, Daniel Theis, Jonas Valanciunas: accoppiare Davis al proprio centro non è mai una buona idea.

 

(Ri)mettere Los Angeles al centro 

Anche la stagione difensiva di Davis è stata di livello assoluto, probabilmente la migliore della carriera. Sia lui per il premio di difensore dell’anno che LeBron per quello di MVP appaiono l’unica alternativa credibile alla doppietta di Giannis Antetokounmpo. L’ex Pelicans ha confermato di saper proteggere il ferro come pochissimi altri nella lega, e la padronanza con la quale è sembrato a suo agio nel muoversi lontano dal pitturato lo hanno reso ancora più pericoloso (soprattutto in caso di errore, come visto in precedenza). 

 

Se proprio si vuol trovare un difetto alla sua stagione, la produzione in post basso è pericolosamente precipitata (48° percentile) nonostante sia stato il terzo giocatore della lega a sfruttare di più questa situazione di gioco. Le peggiori partite offensive dei Lakers sono coincise con quelle dove la squadra di Vogel si è “accontentata” di esplorare i mismatch della propria coppia di stelle in post, facendo ristagnare un attacco che invece ama trovare la propria sinfonia nel movimento e nella dinamicità creata dai giochi a due delle stelle. 

 

Ovviamente Davis resta un giocatore molto pericoloso in queste situazioni, sul quale è difficile prendere soluzioni nette sul come far ruotare la propria difesa – e soprattutto capace di premiare i tagli verso canestro di LeBron, che quando lanciato resta tuttora il giocatore più difficile da arginare in NBA. Eppure, se c’è un modo per mettere dei granelli di sabbia negli ingranaggi dei Lakers, appare proprio quello.

 

Tuttavia, come dimostra anche la striscia di vittorie (11-2) prima della sosta forzata – con vittorie importanti contro Denver, Boston, Philadelphia, Milwaukee e i cugini dei Clippers – la squadra di Vogel ha sempre dato l’impressione di essere forte e matura abbastanza da superare piccole crisi o momenti di stagnazione creativa. In una lega che in questa stagione sembra aver formato le coppie, LeBron e AD si sono messi fin da subito l’obiettivo di essere la migliore della lega, perfettamente consapevoli del fatto che per rimettere Los Angeles al centro del mondo NBA – in una stagione dove l’altra metà della città costruiva l’organico più importante della loro storia – occorreva trovare il modo di massimizzare l’uno i pregi dell’altro.

 

Attraverso la loro leadership tecnica, la loro volontà di competere ogni sera – LeBron ha saltato appena tre partite, Davis otto – e la loro totale complicità tecnica ed emotiva, la coppia di stelle dei Lakers ha riportato la franchigia più glamour della lega nel proprio habitat naturale. Capire quali saranno gli equilibri di forza quando la stagione riprenderà non è così facile come possa sembrare: i Lakers sono considerati i favoriti, ma capire come risponderanno i giocatori alla lunghissima sosta è pressoché impossibile. Saranno davvero avvantaggiati i giocatori più giovani? Quanto peserà il contesto quasi surreale dove verranno giocate tutte le partite? Forse zero, forse molto: sarà interessante scoprirlo.

 

Uno dei motivi per cui la NBA ha voluto spalmare le partite su una timeline così ampia (un’ipotetica gara-7 delle Finals si giocherebbe il 12 ottobre, venti giorni prima dell’inizio dei training camp per la stagione successiva) potrebbe essere quello di garantire quanta più “normalità” possibile a tutte quelle squadre che comunque, sosta o non sosta, pandemia o non pandemia, avrebbero dovuto giocarsi questo titolo. L’incertezza è diventata il pane quotidiano. Una cosa è certa però: chiunque voglia salire sul trono della NBA, in questa stagione come nel prossimo futuro, deve fare i conti con i Lakers di LeBron James e Anthony Davis. Potrebbe sembrare triviale sottolinearlo, ma la grandezza non lo è mai.   

 

Tags :

Nasce a Firenze nel 1990, si è fatto adottare dagli sport americani ancora in fasce. Scrive e parla di NBA con la speranza di ritrovare se stesso.