La storia di Jadon Sancho, Brahim Diaz e Phil Foden sembra una versione aggiornata dei Tre Porcellini, solo che anziché costruire la loro casa con materiale diverso per proteggersi dal lupo, i protagonisti hanno preso scelte diverse per indirizzare la propria giovane carriera. Il primo ha lasciato le giovanili del Manchester City per una squadra, sulla carta, meno prestigiosa come il Borussia Dortmund, dove ha giocato già 100 partite e la sua dimensione continua a svilupparsi. Il terzo, be’, è il giocatore “più di talento” mai allenato da Guardiola, che lo ha inserito ormai in pianta stabile in prima squadra ma che comunque non lo considera ancora come un titolare. Quello di mezzo, Brahim Diaz, ha lasciato il City per il Real Madrid, dove gli scettici si chiedevano se avrebbe trovato più spazio e infatti ha giocato molto poco. Adesso è in prestito al Milan, dove con poco più di 30 partite tra i professionisti, si giocarsi il posto sull’esterno destro con Castillejo ed eventualmente con il diciassettenne svedese Roback e Alexis Saelemaekers.
In realtà Diaz potrà giocare anche nelle altre posizioni dell’attacco, a sinistra o anche al centro, persino da punta centrale. Il suo primo gol in maglia rossonera, con il Vicenza in amichevole, mostra bene le sue qualità senza palla e in fase di finalizzazione, da attaccante vero. Oltretutto Diaz è praticamente ambidestro e ama venire dentro al campo e giocare sul breve con i compagni: non stiamo parlando, quindi, di un esterno a piede invertito da isolare nell’uno contro uno con il terzino avversario. Anche se Diaz ama dribblare, e anzi ogni volta che ha la palla tra i piedi e un avversario davanti cerca di superarlo. Il suo metro e settanta scarso gli complica la vita e non sempre riesce a compensare il dislivello fisico con la tecnica e la fantasia. Quando ci riesce vengono fuori numeri pazzeschi (tipo quello nel video qui sopra), quando non ci riesce perde palla (qui se volete trovate uno scouting più completo).
Forse la parte migliore del suo gioco sta proprio nel modo in cui si associa ai compagni, con e senza palla, muovendosi su più linee e in più direzioni, leggendo bene gli spazi e i movimenti degli altri attaccanti. La speranza, quindi, è che il contesto in cui si inserirà ne metta in valore le doti al di là della capacità di dribbling. In una squadra verticale in cui il solo a mettere “pausa” alla fase d’attacco è Ibra, Diaz potrebbe offrire un’opzione in più per costruire risalendo il campo ma anche per cercare la profondità negli ultimi metri. In ogni caso per lui è la stagione della verità: o trova il modo di prendersi un posto in squadra e portare a realizzazione almeno parte delle sue potenzialità, oppure dovrà ridimensionare le sue ambizioni.