• Per abbonati
Emanuele Mongiardo

Chi sarebbe il miglior allenatore per il Milan

Per il dopo Pioli si iniziano a fare già moltissimi nomi.

Dopo la sconfitta in Europa League contro la Roma e il derby perso contro l’Inter il destino di Stefano Pioli sembra segnato: la sua strada e quella del Milan con ogni probabilità si separeranno in vista della stagione 2024/25. Fabrizio Romano lo ha annunciato addirittura con assoluta certezza in un tweet.

 

A un anno dal calciomercato che ha rinnovato la rosa, la dirigenza del Milan si trova di fronte ad un passo cruciale come la scelta del nuovo tecnico e non è ancora chiaro chi siano i favoriti. Il problema principale sembra l’impossibilità di arrivare a profili d’élite. Tuchel e Conte sembrano fuori budget, e rimangono solo allenatori poco testati ai massimi livelli.

 

Abbiamo cercato di valutare i possibili nomi, suddividendoli in diverse categorie in base alla probabilità che possano finire sulla panchina rossonera, ma anche ad altri fattori, come la conoscenza della Serie A, l’esperienza e la coerenza rispetto al progetto tecnico che sembra voler seguire la società di Gerry Cardinale.

 

___STEADY_PAYWALL___

 

Allenatori che, secondo le voci di mercato, sembrano più vicini alla panchina rossonera: Julen Lopetegui, Paulo Fonseca

Julen Lopetegui è il tecnico che da mesi viene accostato con più insistenza al Milan. Pare vi siano stati diversi incontri tra la società e il tecnico basco, ma che i rossoneri abbiano preso tempo. A complicare ulteriormente la situazione vi è l’interesse del West Ham nei suoi confronti, che nelle ultime ore, però, pare interessato anche ad Amorim come erede di David Moyes. Lo sappiamo: le vie del calciomercato sono infinite e tutte legate tra di loro.

 

La sua ultima esperienza risale allo scorso anno. Chiamato a dicembre 2022 dal Wolverhampton ultimo in classifica, l’ex allenatore del Siviglia è riuscito a guidare i “Wolves” al tredicesimo posto, raggiungendo la salvezza con tre giornate d’anticipo.

 

Lopetegui è il nome che scalda meno il cuore dei tifosi. Deve essere rimasto vivo, nel pubblico, il ricordo della sua disastrosa esperienza al Real Madrid. All’epoca venne annunciato come nuovo allenatore dei “blancos” alla vigilia dei Mondiali in Russia, scatenando un polverone che lo costrinse a rassegnare le dimissioni come CT della Spagna. Chiamato a gestire il primo Real Madrid senza Cristiano Ronaldo, naufragò dopo pochi mesi.

 

Eppure, Lopetegui ha saputo ricostruire la sua credibilità. Anzi, tra le ipotesi circolate negli ultimi tempi, la sua è quella che garantisce il curriculum di maggior prestigio. Il basco, infatti, ha vinto l’Europa League col Siviglia e per la prima volta nella storia del club ha garantito agli andalusi la qualificazione in Champions per ben tre anni di fila: un risultato ragguardevole, visto che in Liga, alle spalle di Madrid, Barcellona e Atlético, le gerarchie cambiano in continuazione.

 

L’esperienza e le vittorie in Europa giocano a favore della sua candidatura, così come gli anni da CT della Spagna Under-21: l’abitudine a lavorare con i giovani non gli manca.

 

Anche a livello tattico alcuni dei suoi principi sembrano sposarsi bene con le caratteristiche del Milan. Certo, la fase di possesso diventerebbe più cadenzata di quella attuale, ma alla base del gioco di Lopetegui vi è un utilizzo costante delle catene laterali, attivate tramite i cambi gioco. Portato il pallone sulla fascia, diventa fondamentale la profondità garantita dai terzini, con Theo che potrebbe tornare a spingere come nei giorni migliori senza rimanere bloccato o al centro. Leão, poi, potrebbe vivere una maturazione simile a quella che ebbe Ocampos a Siviglia. Lopetegui usava i centimetri e le spalle larghe dell’argentino per attaccare la porta: così Ocampos, che non era mai stato un grande realizzatore, era arrivato a segnare 14 gol in una sola stagione di Liga. Chissà, magari riuscirebbe ad ampliare il repertorio di Leão, migliorandolo anche nei movimenti senza palla, invece di trattarlo come una semplice macchina da isolamenti.

 

Prima di ingaggiare Lopetegui, però, la dirigenza dovrà pensarci bene, perché le criticità non mancano. Lo spagnolo non conosce la Serie A, con tutto ciò che ne consegue per quanto riguarda la ricezione da parte di giornalisti e tifosi. Il problema vero, però, è il suo carattere. Per dirla in maniera semplice, Lopetegui tende ad andare in autocombustione. Come dimostrano le esperienze con la Spagna e il Real Madrid, fatica a nascondere lo stress e a mantenere la calma. In più, secondo quanto riporta The Athletic riguardo la sua esperienza in Inghilterra, nonostante sappia empatizzare coi giocatori pare che, insieme ai suoi collaboratori, sia solito creare netta separazione col resto della società. La fine della sua storia al Wolverhampton deriva proprio dalla sua scarsa abitudine al compromesso: pare che la presidenza, per via di alcune ristrettezze, non avesse potuto mantenere le promesse in sede di mercato e così Lopetegui a pochi giorni dall’inizio della Premier League abbia deciso di rassegnare le dimissioni.

 

Meno spigoloso sembra Paulo Fonseca, l’altro nome caldo secondo i giornali. Fonseca ha il pregio di conoscere la Serie A – un valore soprattutto per il modo in cui i media tendono a trattare figure esterne al nostro sistema in Italia. Dopo l’esperienza alla Roma, il tecnico portoghese ha saputo risollevare le sorti del Lille in Francia, oggi in piena lotta per la qualificazione in Champions League e capace di competere fino ai rigori contro l’Aston Villa di Unai Emery.

 

Il fatto di aver reso in Ligue 1 è un altro punto a favore di Fonseca: quello francese, infatti, è uno dei mercati preferiti dalla dirigenza del Milan (che ha una stretta collaborazione ai piani alti con quella del Lille) e Fonseca ha dimostrato di saper lavorare con i giocatori di quel campionato. Se non bastasse, è connazionale di Leão e ha trasformato Jonathan David, obiettivo di mercato dei rossoneri, in una punta capace di agire da centravanti unico (48 gol in 79 presenze totali con il portoghese in panchina) dopo una vita passata a giocare in coppie d’attacco. Fonseca offrirebbe una fase offensiva completa e ariosa ai giocatori più tecnici del Milan.

 

Di contro, però, andrebbe testata la sua capacità di competere per la vittoria. Quella del Milan, infatti, è una situazione difficile da leggere, perché se da una parte si fatica a misurare le reali ambizioni della dirigenza, dall’altra i tifosi sono certamente stanchi di doversi accontentare del piazzamento Champions: se Fonseca non riuscisse a lottare per il titolo, la sua presenza verrebbe letta dalla piazza come segno di una società con scarse ambizioni.

 

Allenatori sponsorizzati da Ibrahimović: Mark van Bommel

A ottobre 2010 Olanda e Svezia si affrontano ad Amsterdam in una gara di qualificazione per Euro 2012. La partita termina 4-1 per gli “oranje”. Zlatan Ibrahimović non digerisce la sconfitta e prima di rientrare negli spogliatoi, dopo avergli scagliato il pallone addosso, si dirige con fare minaccioso verso Mark van Bommel, capitano dell’Olanda. Ibrahimović gli punta il dito e gli dice qualcosa convinto di intimidirlo. Van Bommel, che è duro tanto quanto lui ma non ama comportarsi in maniera teatrale, prosegue dritto e si limita a tirargli una spallata per fargli capire di smettere. Ibrahimović continua a parlare, van Bommel non lo degna di uno sguardo. Intervistato nel post partita, l’attaccante svedese parla con disprezzo del centrocampista allora in forza al Bayern Monaco: «van Bommel entra sempre duro e poi rimane a terra per ogni piccolo fallo che subisce».

 

 

Ibrahimović, si sa, ha un codice d’onore tutto suo, o almeno è questo quello che vuole farci credere. In quel momento deve aver annusato il temperamento di van Bommel e deve averlo apprezzato, al di là di quanto potesse mal sopportarlo. Qualche mese dopo, infatti, quando Adriano Galliani gli chiede un parere su un eventuale acquisto dell’olandese, Ibrahimović non ha dubbi: «Compralo, è ottimo per noi ed è un calciatore scomodo per le nostre avversarie. Preferisco giocarci insieme che contro».

 

L’opinione di Ibrahimović, quindi, ha avuto un certo peso nell’arrivo di van Bommel al Milan da calciatore. Tredici anni dopo, potrebbe averne ancora di più nella scelta dell’olandese come nuovo allenatore dei rossoneri. Pare, infatti, che il nome proposto da Ibrahimović per la successione di Pioli sia proprio quello di van Bommel.

 

Ibra è cresciuto osservando dirigenti vecchio stampo come Galliani e Moggi, figure per le quali nella direzione sportiva contavano tanto, se non soprattutto, i rapporti personali. Non sarebbe strano se lo svedese avesse rubato loro qualcosa e provasse ad utilizzare lo stesso modus operandi. Così si spiegherebbe la mozione van Bommel, uno dei nomi dal curriculum meno brillante tra quelli accostati al Milan.

 

Valutare la carriera da allenatore di van Bommel è difficile. Lo scorso anno ha vinto la Pro League belga alla guida dell’Anversa, che non trionfava in campionato dalla stagione 1956/57. Classificatosi terzo alla fine della stagione regolare, l’Anversa era stato in grado di vincere il mini torneo della post-season.

 

È stato il primo successo della carriera di van Bommel, zoppicante fino a quel momento. Chiamato ad allenare la prima squadra del PSV per la stagione 2018/19, era riuscito a competere fino all’ultimo per la vittoria dell’Eredivisie, arrivando secondo a soli tre punti dall’Ajax di Ten Hag, de Jong e de Ligt. Nella stagione successiva, una serie di cattivi risultati gli sarebbe costata l’esonero a dicembre. Van Bommel era riuscito a trovare un’altra panchina prestigiosa per la stagione 2021/22, quando il Wolfsburg lo aveva scelto come erede di Oliver Glasner. La sua esperienza in Germania, però, sarebbe durata davvero poco: dopo quattro vittorie nelle prime quattro giornate di Bundesliga, era arrivata una serie da cinque sconfitte e tre pareggi in otto gare tra campionato e Champions League, così l’esonero era scattato già a ottobre, ad appena tre mesi dall’inizio della stagione.

 

Anversa ha rappresentato un riscatto per van Bommel. Certo, la rosa a disposizione era di livello davvero alto per il campionato belga. Overmars, arrivato come DS nella città dei diamanti dopo il licenziamento dall’Ajax, era riuscito ad acquistare giocatori come Toby Alderweireld, Calvin Stengs, Vincent Janssen e Jurgen Ekkelenkamp. Van Bommel ci ha messo del suo massimizzandone il rendimento.

 

Il 4-3-3/4-2-3-1 di partenza in impostazione può diventare un 3-1-4-2, con i due centrali e due centrocampisti a formare un rombo in costruzione, o più semplicemente 4-2-4. In Belgio, l’Anversa è una squadra dominante ma non troppo elaborata in fase di possesso. Una volta consolidata la circolazione tra i giocatori più bassi, si ricerca il lancio in profondità per le ali o per le punte. In fase difensiva è stato interessante l’atteggiamento adottato in Champions quest’anno, dove, al cospetto di avversari più forti come Barcellona, Shakhtar e Porto, in casa l’Anversa è partito imponendo il pressing alto nei primissimi minuti, per poi abbassare il blocco. Un pressing orientato sul pallone e poi sull’uomo nella zona, diverso quindi dalle marcature rigide del Milan attuale.

 

Diverso, invece, l’atteggiamento del suo PSV, dove in fase offensiva cercava di far avvicinare i migliori talenti (Bergwijn, Lozano, Pereiro, Ihattaren, Gakpo, Malen) per associarsi in maniera naturale.

 

Al di là dei principi di gioco e della vittoria in Belgio, il grande pregio di van Bommel, soprattutto dal punto di vista del Milan, è il coraggio nel lanciare giovani talenti, un requisito che sembra fondamentale per la dirigenza rossonera: Ihattaren a 17 anni, e Gakpo e Malen a 20 ai tempi del PSV, Vermeeren a 17 anni la passata stagione all’Anversa e quest’anno l’attaccante nigeriano George Ilenikhena, nato ad agosto 2006 e già autore di 8 gol in campionato.

 

L’altro aspetto positivo, in ottica Milan, è la sua conoscenza dell’ambiente, oltre al fatto che gli ex giocatori, specie quelli con un carattere come il suo, riescono ad accontentare, almeno inizialmente, i tifosi, che tendono ad avere maggior pazienza nei confronti dei vecchi beniamini. L’aspetto negativo è che van Bommel a un livello del genere è tutto da testare e i precedenti in campionati più competitivi rispetto a quello belga non sono del tutto confortanti. Un successo dell’olandese lancerebbe la carriera di Ibrahimović da dirigente, un fallimento rischierebbe di bruciarla.

 

 

Allenatori provenienti dalla Serie A: Vincenzo Italiano, Raffaele Palladino

Forse l’ipotesi meno attraente per i tifosi del Milan è quella di dare una chance ad allenatori italiani in rampa di lancio, provenienti da squadre della classe media della Serie A. I nomi, in questo senso, potrebbero essere quelli di Vincenzo Italiano o Raffaele Palladino, anche se i media non sembrano caldeggiare nessuna delle due ipotesi.

 

Con Vincenzo Italiano i tifosi milanisti che speravano di abbandonare il pressing alto con le marcature a uomo resterebbero delusi. Rispetto a Pioli, però, il tecnico della Fiorentina sembra essere più efficace nel recupero immediato del pallone, mentre il Milan da mesi, ormai, è costretto a correre all’indietro nonostante i tentativi di pressare in maniera aggressiva. Con una rosa di livello più alto il pubblico potrà finalmente valutare quanto i limiti della Fiorentina siano demerito di Italiano e quanto di una rosa di livello più basso di quanto la classifica non dica. I tifosi del Milan, invece, dovranno sperare che non decida di portare ancora una volta con sé Nzola (scherzo). Il Milan sarebbe un banco di prova importante per Italiano, un allenatore che sembra sempre a metà tra un futuro radioso e l’autodistruzione.

 

Il contrario dell’aplomb di Raffaele Palladino, una figura perfettamente berlusconiana per abbronzatura, levigatura della pelle, stile nel vestiario e volontà di dominare il giuoco. Oltre al fatto di essere stato davvero, in un certo senso, l’ultima creatura di Berlusconi e Galliani. Il Monza ha idee brillanti e ha saputo dimostrarsi spesso competitivo contro le big. Nel suo 3-4-2-1 o 3-4-1-2, però, Leão dovrebbe muoversi in zone più interne e fare da raccordo. Il riferimento principale in fase di non possesso rimarrebbe l’uomo, ma la difesa andrebbe rinforzata notevolmente viste le lacune sia numeriche che di qualità mostrate dalla retroguardia rossonera quest’anno. Anche in questo caso bisognerebbe vedere come Palladino si adatterebbe a una rosa di alto livello, e a un livello di pressione completamente diverso.

 

Allenatori con probabilità minime di poter essere ingaggiati: Antonio Conte, Sergio Conceiçao, Thiago Motta, Roberto De Zerbi, Massimiliano Allegri, Maurizio Sarri

A questa categoria appartengono i nomi con maggior esperienza e con il pedrigree migliore. Vista la sua capacità di raddrizzare le sorti di squadre allo sbando, Antonio Conte sarebbe stato il sogno di molti tifosi rossoneri, o almeno di quelli disposti a soprassedere sui suoi trascorsi juventini e interisti. Ma siamo sicuri che Conte sia il nome più adatto alla rosa attuale? Mentre in Premier, grazie al livello delle avversarie, il tecnico salentino aveva potuto costruire squadre di transizione, adattandosi in questo modo a giocatori estrosi come Hazard, Son e Kane, in Italia Conte è abituato a dominare le partite e ad affidarsi alle soluzioni a volte un po’ rigide del suo 3-5-2: come si comporterebbe Leão costretto a muoversi in spazi più limitati e con scelte imposte dal sistema? Reijnders potrebbe garantire i tagli interno-esterno tipici delle mezzali di Conte? Difficile dirlo, visto che il suo ingaggio, anche per questioni di budget, sembra impossibile.

 

L’estensione del contratto di Conceiçao col Porto, invece, dipende dalle prossime elezioni presidenziali dei “dragões”, stando a quanto afferma Pinto da Costa. Conceiçao non sembra un nome caldo, ma sarebbe in grado di costruire da subito un Milan competitivo in Europa. Il suo Porto in questi anni è stato duro e reattivo in Champions League e più propositivo in Primeira Liga, vinta per tre volte. Il suo profilo accontenterebbe quei tifosi che pensano che il Milan, per tradizione, debba pensare prima all’Europa che al campionato.

 

Per Thiago Motta e Roberto De Zerbi, invece, sembra esserci il problema della concorrenza, in particolare della Juve per il primo – alcuni bookmaker danno a 1,30 il suo passaggio in bianconero – e delle grandi della Premier per il secondo, che starebbe aspettando un contatto con una delle big six. Certo, a giudicare dai cori riservatigli a San Siro, Thiago Motta non è persona gradita per molti tifosi del Milan, mentre De Zerbi con il suo passato nelle giovanili rossonere accontenterebbe anche i più tradizionalisti.

 

Ancora più remota, infine, l’ipotesi di uno scatto di nostalgia che porti ad Allegri o ad un vecchio obiettivo come Sarri. Visti i recenti risultati con la Juventus, è difficile che il pubblico possa accogliere con favore l’arrivo del tecnico di Livorno. Oltretutto, non avrebbe senso ingaggiare un allenatore che ha dimostrato di preferire gli acquisti di nomi affermati. Per quanto riguarda il campo, Leão e Theo sono animali da transizione, ma Allegri saprebbe riordinare le idee per metterli in grado di ripartire? Sarri invece era stato vicino al Milan nell’estate 2015. Galliani era pronto a puntare su di lui, ma pare che una dichiarazione a sfondo politico – «Renzi è addirittura peggio di Berlusconi», avrebbe detto il tecnico toscano – lo abbia invitato a cambiare idea. Sarri arriverebbe in un luogo sacro del sacchismo, con una rosa che però sembra distante dalle sue idee per la presenza di difensori a cui piace cercare il duello e di giocatori offensivi che preferiscono correre col pallone piuttosto che scambiarlo nello stretto.

 

Allenatori giovani che potrebbero accontentare il modello societario: Francesco Farioli, Gary O’ Neil, Jakob Neestrup, Will Still

Profili del genere si adeguerebbero più facilmente alle scelte di mercato della società. Farioli ha fatto parte dello staff di De Zerbi al Benevento e al Sassuolo. Quest’anno per la prima volta ha allenato in uno dei cinque principali campionato Europei. Il suo Nizza aveva iniziato alla grande in Ligue 1, poi una certa sterilità offensiva ne ha pregiudicato il rendimento. Oggi la squadra della Costa Azzurra si trova al quinto posto, a sei punti dalla zona Champions. I rossoneri sono la miglior difesa del torneo con soli 22 gol subiti: segno che Farioli è di sicuro un esponente della scuola di De Zerbi per il modo in cui cerca di giocare alle spalle delle linee di pressione avversarie, ma che è molto attento alla fase difensiva, dove cerca di adottare un atteggiamento accorto (decimo per PPDA in Ligue 1 con 10,55) senza rinunciare ad un recupero attivo del pallone (sesta maggior distanza dalla propria porta per azioni difensive, 46,28 metri). Insomma, rappresenterebbe un netto cambio di paradigma sia in fase di possesso (passaggio al gioco di posizione, con tanti giocatori della rosa attuale che sembrano essergli estranei), sia in quella di non possesso (riduzione del pressing alto a cui ci ha abituato il Milan in questi anni).

 

Di Gary O’ Neil, classe ’83, ne ha parlato questa settimana un articolo di Repubblica. Erede di Lopetegui al Wolverhampton, a inizio aprile anche lui, come il tecnico basco, si era lamentato dell’immobilismo della dirigenza sul mercato e si pensava che ciò fosse il preludio di un suo addio. Invece O’ Neil ha fatto rientrare qualsiasi voce, dicendosi disposto a rimanere ai “wolves” fino al giorno in cui la società avrà deciso di licenziarlo. O’ Neil, in effetti, è una delle rivelazioni del calcio inglese. Arrivato lo scorso anno a stagione in corso sulla panchina del Bournemouth per sostituire Scott Parker, di cui era assistente, è riuscito a salvare le “cherries”, che poi in estate gli hanno preferito Iraola. Poco male, visto che dopo l’esonero di Lopetegui è arrivato l’ingaggio da parte del Wolverhampton. O’ Neil ha saputo mantenere i suoi in acque tranquille per tutta la stagione e oggi occupa l’undicesimo posto. Rispetto agli altri nomi di questo paragrafo, è quello meno affine al Milan attuale per stile di gioco. Il suo Wolverhampton, infatti, è una squadra di difesa a cinque, blocco basso e transizioni lunghe – non a caso è la squadra col maggior numer di dribbling riusciti in Premier League, 10,12 per 90 minuti.

 

A differenza di Farioli e O’ Neil, Jacop Neestrup e Will Still non sono stati accostati al Milan, almeno per ora, ma visto che sono stati fatti nomi di allenatori giovani anche loro potrebbero fare al caso dei rossoneri. Il primo, classe ‘88 ha vinto il campionato danese alla sua prima stagione sulla panchina del Copenaghen nel 2022/23. Quest’anno è arrivato secondo in un difficile girone di Champions, superando la concorrenza di Manchester United e Galatasaray, e bloccando sullo 0-0 il Bayern Monaco all’Allianz Arena. Agli ottavi di finale contro il Manchester City non ha sfigurato. Il Copenaghen è una squadra intensissima, con un atteggiamento sacchiano in fase difensiva, con un 4-3-3 che pressa altissimo e poi si ricompatta su due linee strette in un 4-5-1 che scivola da un lato all’altro del campo. Con la sua volontà di giocare a ritmi alti sarebbe perfetto per valorizzare i migliori singoli del Milan.

 

Will Still, invece, è addirittura un classe ’92. Figlio di una famiglia di origini inglesi, aveva iniziato come collaboratore tecnico nella seconda divisione belga, il Paese in cui è nato e cresciuto. Da lì si è guadagnato la chiamata della dirigenza del Reims per entrare nello staff del tecnico spagnolo Óscar García. Da ottobre 2022 è capo allenatore del Reims, condotto a una salvezza tranquilla e stabilizzatosi a metà classifica. Il suo è un gioco verticale, connotato da grande aggressività senza palla: il Reims è quarto per PPDA in Ligue 1 (9,13) e sesto per palloni riconquistati in riaggressione nella metà campo avversaria (24,23). Se è vero che il Milan è una delle squadre che in Italia danno maggior valore alle statistiche in sede di mercato, un ragazzo che è diventato allenatore per via della sua passione per Football Manager potrebbe essere il profilo adatto.

 

Tags :

Emanuele Mongiardo nasce a Catanzaro nel 1997. Scrive di calcio su "Fuori dagli schemi" e di rap su "Four Domino".