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L'autodistruzione di Lopetegui
02 nov 2018
02 nov 2018
Quante cose sbagliate nella carriera di Julen Lopetegui...
(articolo)
16 min
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Nell’Indian Lake Resort di Bloomingdale, Illinois, i tre portieri della Nazionale spagnola stanno giocando alla Tercerilla, usando il mazzo di carte della baraja spagnola. È il 15 giugno del 1994, mancano solo due giorni all’esordio della Spagna nel Mondiale americano, e i tre provano a distrarsi nonostante uno strano clima di tensione, originatosi molti mesi prima. Andoni Zubizarreta, Santiago Cañizares, Julen Lopetegui: le gerarchie sembrano decise, ma le traiettorie diverse. Il capitano è in declino, e le due riserve vengono da grandi stagioni. In quel momento, nessuno sa davvero chi giocherà la prima partita del Mondiale. L’unica certezza è che non toccherà a Zubi: il rampante Julen Lopetegui, spettacolare portiere basco, primo convocato in Nazionale nella storia del piccolo Logroñés, ha delle reali speranze di giocare.

Subir

Nell’ultima partita di qualificazione, a novembre del ‘93, Zubizarreta era stato espulso dopo appena 10 minuti: al suo posto sarebbe dovuto entrare Lopetegui, portiere del Logroñés, ma non fu così. A causa di un improvviso dolore alla schiena, il Ct Clemente fu costretto a convocare pochi giorni prima della partita il giovane portiere del Celta Vigo, Santiago Cañizares: fu lui quindi a sostituire Zubi in quella sfida decisiva.

La Spagna riuscì a sconfiggere i campioni d’Europa, qualificandosi a USA 94, grazie a una splendida prestazione dell’esordiente portiere. Per i regolamenti dell’epoca, Zubizarreta avrebbe dovuto quindi saltare la partita d’esordio del Mondiale: vista la sua stagione non proprio eccezionale al Barcellona, si sospettava potesse rimanere in panchina per tutto il Mondiale.

Lopetegui era entusiasta e fiducioso anche perché era appena stato acquistato dal Barcellona di Cruyff proprio come erede di Zubizarreta, ceduto al Valencia. Nato calcisticamente nella Real Sociedad, culla di grandi storici portieri baschi (tra i quali anche il famoso scultore Eduardo Chillida), Julen non era riuscito a trovare il suo percorso di crescita: aveva debuttato nella squadra B, in terza divisione, ma senza mai esordire in prima squadra. A 19 anni era stato scelto dal Real Madrid, ma anche in questo caso per la seconda squadra, il Castilla: altri tre anni di purgatorio, prima di un intermezzo a Las Palmas in Segunda, per poi arrivare finalmente nella prima squadra merengue, nel 1989.

Terzo portiere per due stagioni, in un’epoca - ormai incredibilmente lontana - in cui la maturazione dei portieri era considerata un processo lentissimo. L’esordio con la Casa Blanca, e quindi anche nella Liga, avviene addirittura in un derby di fine stagione: 3-3 contro l’Atletico Madrid, l’unica partita disputata da Lopetegui con il Real. Non c’è spazio neppure lì: la seconda porta in faccia da parte del calcio che conta, dopo quella della Real Sociedad. Julen decide di ripartire da Logroño, capoluogo della Rioja, in un piccolo club che solo pochi anni prima aveva fatto la sua prima apparizione nella Liga.

A 25 anni Lopetegui è finalmente titolare in un club della Liga, e sfrutta alla grande l’occasione: approfitta del modesto livello della squadra per mettere in mostra le sue caratteristiche. Molto rapido nel cadere a terra, e con una notevole esplosività muscolare, il basco diventa finalmente protagonista, fino ad attirare le attenzioni del Barça. Tra lui e Cañizares (che però era già legato al Real Madrid), alla fine i catalani si buttano proprio sul basco del piccolo Logroñés: al ritorno dagli Stati Uniti, Julen Lopetegui sarà il nuovo portiere titolare dei catalani, l’erede del totem Zubizarreta, in una squadra che ha appena vinto la Liga ma perso rovinosamente la finale di Champions contro il Milan di Capello.

I migliori 3 anni della carriera calcistica di Lopetegui: un portiere molto spettacolare, in una piccola squadra che subiva tiri in continuazione.

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Sul campo principale della Krasnodar Academy, Russia, maestoso centro sportivo di proprietà del FC Krasnodar, Lopetegui osserva i giocatori che svolgono gli esercizi fisici di riscaldamento. Mancano 4 giorni all’esordio della Nazionale spagnola nel mondiale, e lui sente di essere in un momento decisivo della carriera: ha appena firmato per il Real Madrid, anche se nessuno ancora lo sa - gli hanno promesso di annunciarlo a fine competizione.

Si trova quindi sulle spalle con due macigni da sopportare: riportare La Roja alla vittoria di un Mondiale, e poi proseguire il ciclo più pazzo del calcio contemporaneo - quello delle tre Champions consecutive di Zidane. Forse i due lavori calcistici più difficili al Mondo, sicuramente i due più importanti di Spagna: e Lopetegui è felice perché ricorda bene come tutto è iniziato. La prima esperienza da allenatore al Rayo Vallecano nel 2003, terminata con l’esonero dopo pochi disastrosi mesi, il lungo periodo in cui pensava proprio che l’allenatore non fosse il suo mestiere, e il ritorno in panchina con la seconda squadra del Real Madrid. Lentamente aveva preso coscienza della sua bravura nell’insegnare calcio ai ragazzi, e così era passato dall’Under 19 spagnola e poi all’Under 21, vincendo il titolo europeo in entrambi i casi (addirittura due con l’Under 19).

A quel punto si era sentito di nuovo un allenatore vero e su suggerimento e spinta del suo rappresentante, Jorge Mendes, era finito sulla panchina del Porto: a 48 anni era ancora in tempo per rilanciare la sua carriera ai massimi livelli. Dopo una stagione soddisfacente, ma terminata senza titoli, con il secondo posto dietro il Benfica e l’eliminazione ai quarti di Champions con un devastante 6-1 inflitto dal Bayern di Guardiola, Lopetegui non ha retto la pressione di dover vincere: esonerato a gennaio 2016, con la squadra solo terza in campionato ed eliminata nei gruppi di Champions. E insomma a quel punto aveva proprio pensato di non farcela, di non essere adatto a un grande club: ma pochi mesi dopo era arrivata un’offerta irrinunciabile, quella della Federazione spagnola, per il ruolo più importante, allenatore della Nazionale maggiore. Un’idea giusta, un progetto ben valutato: Lopetegui poteva così continuare ad allenare quei giovani che aveva plasmato nelle Nazionali giovanili, e che ormai erano diventati grandi: De Gea, Carvajal, Nacho, Thiago, Koke, Isco, Morata, Rodrigo.

A quattro giorni dall’esordio, la sua Spagna è una delle favorite per la vittoria finale: sotto la gestione Lopetegui, mai nessuna sconfitta, bensì 14 vittorie e 6 pareggi, la miglior striscia di risultati tra tutte le squadre presenti al Mondiale, e la seconda migliore nella storia delle Furie Rosse (dietro a quella di Aragonés); una media di ben 3 gol segnati a partita. Dopo quella firma con il Real Madrid, in effetti Lopetegui era un po’ preoccupato, ma si sentiva diverso: si sentiva davvero, e finalmente, un grande allenatore - colui che avrebbe portato la Casa Blanca sul sentiero del gioco di posizione.

Intermezzo

Per gli ex calciatori è sempre molto difficile capire cosa fare delle loro vite. Molti non vogliono rimanere nel mondo del calcio, altri invece sì: ma come far fruttare l’esperienza di una carriera in un altro ruolo? Quando Lopetegui pensava di non poter più essere un allenatore, era entrato nello scouting del Real Madrid, ma soprattutto si era dato alla tv: opinionista per l’emittente La Sexta, per il Mondiale del 2006. Parlare in tv, davanti a milioni di spettatori invisibili, può essere più difficile che parare davanti a 90.000 tifosi inferociti: Julen lo ha imparato sulla propria pelle.

Il 5 giugno del 2006 Lopetegui è negli studi di La Sexta, pronto a partecipare a Sport Center Mundial: mancano quattro giorni all’inizio del Mondiale tedesco, e lui è uno degli opinionisti principali del programma. Ha una bella presenza, un eloquio abbastanza fluido, può essere una buona opzione per il suo futuro. In quel momento si avvicina a un monitor in cui appare una formazione: non fa in tempo a dire che è una macchina rivoluzionaria (era il 2006, bastava un briciolo di tecnologia), e incomincia a perdere il filo e a non concludere le frasi. In modo quasi commovente, le sue ultime parole sono «España está por encima...de tod…» e poi sviene, in diretta, cadendo all’indietro.

L’impatto nell’immaginario televisivo spagnolo sarà così grande che il Banco Gallego creerà pochi mesi dopo il primo prodotto finanziario nella storia ad essere denominato come un (ex) calciatore: il Deposito Lopetegui. Con una geniale campagna pubblicitaria, la banca lancia una pagina web dal nome “perché è svenuto Lopetegui?” (per i tassi di interesse alti, la risposta della banca) e lancia uno spot in cui riprende lo svenimento e dei finti cameramen commentano «si è buttato, come al solito! - Ma se è un portiere, perché si dovrebbe buttare, i portieri non si buttano (non simulano)».

Di quello svenimento Lopetegui poi dirà: «nello studio faceva molto caldo, non funzionava l’aria condizionata e la mattina avevo fatto sport senza poi pranzare. Ho cominciato a vedere tutto nero e sono caduto. [...] Ho sempre avuto la pressione molto bassa e già mi era capitato due-tre volte di svenire». Con i proventi di quella campagna pubblicitaria Lopetegui ha realizzato una residenza in Bolivia per bambini di un piccolo paesino isolato.

Bajar

USA 94 si è rivelata un’esperienza entusiasmante ma amara, un po’ per tutti: è stato bello esserci, ma alla fine Lopetegui non ha giocato neppure un minuto. All’esordio è toccata a Cañizares, a dimostrazione che quella partita contro la Danimarca dell’anno prima era stata decisiva, e per Lopetegui quella lombalgia forse decisiva per la sua intera carriera. Il deludente 2-2 contro la Corea del Sud aveva poi spinto il Ct Clemente a riproporre Zubizarreta dopo la squalifica scontata; e poi Roberto Baggio aveva mandato tutti a casa, lasciando nell’immaginario dei tifosi spagnoli solo il famoso “codazo” di Tassotti a Luis Enrique.

Quell’esperienza al Mondiale, anche se da terzo portiere, rimarrà probabilmente il punto più alto della carriera del portiere basco. Il suo arrivo al Barça, infatti, assume subito i contorni dell’incubo. Era arrivato dicendo «non mi preoccupa la sfida di dover sostituire Zubizarreta», ma all’esordio con la nuova squadra, nel tradizionale trofeo estivo Joan Gamper, subisce 4 gol proprio dal Valencia di Zubi. Una settimana dopo, la sua prima partita ufficiale con la maglia blaugrana è una sorta di sentenza, quasi illogica nella sua durezza, ma che conferma l’enorme pressione che i portieri devono sopportare, e la loro maggiore aleatorietà rispetto ai giocatori di campo.

Supercoppa di Spagna, partita di ritorno tra Barcellona e Saragozza: all’andata i catalani hanno vinto in trasferta per 2-0, sembra una partita comoda. Al Camp Nou invece ne succedono di tutti i colori, e il protagonista principale è Julen Lopetegui: tra uscite a casaccio (non era abituato a giocare in una squadra dalla linea difensiva così alta) ed errori di posizionamento, concede al Saragozza ben 4 gol. Per fortuna Stoichkov e Begiristain riaggiustano la partita, in cui il Barça deve sempre rincorrere, e arrivano al 4-4 a tre minuti dalla fine: la Supercoppa ormai non può più sfuggire, gli avversari hanno anche un uomo in meno.

L’immagine è di bassa qualità, ma con un po’ di pazienza si vede tutto, e forse si capisce tutto: il terrore negli occhi di Lopetegui prima della battuta, lo sbuffo enorme al momento di lanciarsi, come se stesse salvando il mondo da un asteroide, e poi il disastro totale, con il corpo assurdamente in avanti rispetto al pallone, che va comunque lento e gli passa proprio in mezzo alle mani.

Due minuti più tardi, l’evento che distruggerà completamente la carriera di Lopetegui da portiere: calcio di punizione per il Saragozza, palla lentissima che Lopetegui incredibilmente non solo non blocca ma si fa sfuggire via dalle mani. 4-5 e ammonizione per Lopetegui che prova a impedire agli avversari di prendere il pallone. Perde completamente la testa e si fa ammonire di nuovo: espulsione, entra Carles Busquets (il padre di Sergio) e carriera finita al Barcellona (che riesce a tenere il risultato e vincere la Supercoppa).

La sua reazione fu principalmente di vittimismo: dichiarò di non aver potuto dormire e che quell’errore su punizione capita una volta ogni 5 anni, e a lui era capitato proprio all’esordio nel Barça - ma era comunque convinto che avrebbe trionfato nel Barcellona.

E invece per giocare un’altra partita il povero Julen, arrivato come erede di Zubi, dovette aspettare addirittura febbraio: andata degli ottavi di finale di Coppa del Re, Barça-Atletico. I catalani vanno subito in vantaggio con un gol di Abelardo, ma pochi minuti dopo Lopetegui quasi regala un gol agli avversari con un passaggio sbagliato. La sua partita, in ogni caso, finisce poco dopo: al 12’ viene espulso per fallo in area. Rigore, gol di Simeone, il Barça perde 4-1 in casa. Esce dal campo affranto, con la faccia di chi vede crollare tutto. A fine partita infatti dirà: «Mi dispiace aver lasciato la squadra in 10, ma mi dispiace anche per la mia famiglia e gli amici», con una commistione tra personale e professionale quasi tragica. Al ritorno, mistero dei regolamenti spagnoli, gioca di nuovo lui: ancora una volta il Barça passa subito in vantaggio, ma a fine primo tempo Lopetegui esce male su un pallone ai limiti dell’area di rigore, e regala il pareggio a Caminero.

I due rigori che parerà nel corso della partita (incredibile ma vero) non serviranno a nulla: il Barca vince 3-1 ma viene eliminato, e Cruyff impone una damnatio memoriae su Lopetegui. Finisce direttamente in tribuna, anche per un infortunio al polso, e al suo posto in panchina ci va un altro portiere, Angoy, il genero di Cruyff (uno che appena l’anno dopo avrebbe abbandonato il calcio per giocare da kicker nella NFL Europe). Solo per gli infortuni dei suo compagni riesce a giocare tre partite di fila in campionato, due sconfitte e un pareggio, ma finisce lì. Le speranza di un nuovo inizio per Lopetegui finiscono quasi subito anche nella stagione successiva: subisce tre gol dall’Utrecht in amichevole, e Cruyff decide di non convocarlo neppure per un triangolare a Firenze. Julen comincia a diventare più aggressivo, usa la stampa per attaccare l’allenatore: quando il titolare Busquets si ustiona una mano per agguantare un ferro da stiro che stava cadendo su suo figlio Sergio (salvando in qualche modo, oltre probabilmente alla vita del figlio, anche il futuro del Barça), a giocare titolare è Angoy, e Lopetegui sbotta dicendo di non essere più un ragazzino.

Anche con Robson è sempre la stessa storia: Lopetegui umiliato. Foto via Marca.

Per tornare in campo deve aspettare un nuovo infortunio del titolare Busquets: a dicembre gioca tre partite di fila, ma alla terza si infortuna. Finisce definitivamente la sua storia con Cruyff, senza più tornare in campo e con l’addio dell’olandese. Lopetegui cerca di tornare al Logroñés, ma il Barça lo dichiara assurdamente incedibile: con il nuovo allenatore Robson potrebbero esserci delle speranze, ma l’arrivo di Vitor Baia chiude ogni possibilità.

L’ultima partita di Lopetegui nel Barça è come la prima: di nuovo la finale di ritorno della Supercoppa di Spagna, di nuovo una partita facile (dopo la vittoria dell’andata) messa a repentaglio da una sua uscita stramba e un gol su punizione sul suo palo. Non giocherà mai più, e se ne andrà a fine stagione al Rayo Vallecano, in Segunda, dopo aver disputato appena 10 partite in 3 stagioni: subendo ben 19 gol, perdendo 6 partite, ma soprattutto perdendo il momento migliore della sua carriera.

***

Partecipare al Mondiale è un sogno da bambini, diceva Lopetegui appena prima del Mondiale di Russia. Un sogno che si è fatto portare via forse dalla sua ambizione da adulto, o forse dalla cupidigia di potere e denaro del suo rappresentante. Il 13 giugno 2018, appena un giorno prima dell’apertura ufficiale del torneo, e due giorni prima dell’esordio della Nazionale spagnola, il presidente della Federcalcio spagnola Rubiales decide di esonerare Lopetegui per l’accordo con il Real Madrid. Nessuno aveva avvertito la Federazione della trattativa, se non appena prima del comunicato: alla richiesta di posticipare l’ufficialità della notizia, il Real aveva risposto con la pubblicazione del comunicato ufficiale - con grande sbigottimento dei calciatori. “Il giorno più triste della mia vita, dopo quello della morte di mia madre” aveva detto Lopetegui nella conferenza stampa di presentazione a Madrid, riferendosi all’esonero dalla Nazionale.

Il Ct aveva rinnovato il suo contratto fino al 2020 appena tre settimane prima, ma poi le dimissioni di Zidane avevano spinto il Real Madrid a puntare tutto sull’allenatore basco. In particolar modo, era stato Jorge Mendes a convincere un incerto Lopetegui, che non sentiva di essere pronto per un’esperienza del genere - secondo El Pais con queste parole: «non sembrava allo stesso modo impossibile che un allenatore senza esperienza in un campionato maggiore potesse diventare l’allenatore del Porto in Champions?». È così che si perde un Mondiale, per una scelta sbagliata, e per i tempi sbagliati: Julen Lopetegui, due Mondiali, nessun esordio ufficiale - un record triste.

Triste come il suo percorso al Real Madrid: mentre lo spingeva verso la Casa Blanca, Mendes nascondeva a Lopetegui che Cristiano Ronaldo sarebbe andato via. L’ambizione di Lopetegui è di trasformare il Real in una grande squadra corale, ma è troppo difficile: la squadra si inceppa presto, comincia a non segnare più - quasi sfiorando un record storico con ben 8 ore e 1 minuto senza gol - e lui non riesce più a sistemarla.

La sua storia merengue finisce in disonore, con la manita subita dal Barça, in una strana intersezione tra la sua vita da calciatore e quella da allenatore: finisce con il Real Madrid in nona posizione, la differenza reti (14 gol segnati, 14 subiti) per la prima volta non positiva dal 1947, con 6 sconfitte in 14 partite e una finale di Supercoppa europea persa nel derby contro l’Atleti. L’epitaffio sulla sua brevissima stagione madridista è nel comunicato stampa derisorio della Casa Blanca, che evidenzia una grande sproporzione tra la qualità della rosa, con addirittura 8 candidati al Pallone d’oro, un fatto senza precedenti nella storia del Real, e i risultati ottenuti finora.

Nella storia di Lopetegui i tempi sono sempre sbagliati, come nelle sue uscite a farfalle con la maglia del Barcellona: c’è sempre un infortunio al momento sbagliato, una decisione inopportuna, un annuncio irragionevole. In tre anni ha rovinato la sua carriera da portiere, in 139 giorni ha distrutto quella da allenatore, perdendo le due panchine più importanti di Spagna: come ha scritto El Mundo, un’autodistruzione che ci impedirà probabilmente per sempre di capire se Lopetegui sia o meno un grande allenatore.

Oltre alla gestione del tempo, un altro filo comune nella sua duplice carriera è la difficoltà nella gestione delle pressioni. Per lui tutto è pesante come un macigno: ogni punizione, ogni scelta. Figlio di José Antonio Lopetegui Aranguren, soprannominato Aguerre II, uno dei più famosi sollevatori baschi di pietre (come il nonno e lo zio) - esiste uno sport nei Paesi Baschi, l’Harri-jasotze, che consiste nel sollevamento di pietre di almeno 100 kg - anche il piccolo Julen avrebbe voluto proseguire la tradizione familiare (ma fu proprio il padre a sconsigliarlo). Il tempo forse gli ha insegnato che ci sono cose ben più pesanti da sollevare: le pressioni, le delusioni, gli errori. Sia da portiere che da allenatore, la storia di Lopetegui invece che a quella del padre somiglia più al mito di Sisifo, con la carriera nei panni della pietra: appena raggiunta la vetta del monte, cominciava a rotolare sempre più giù. Julen Lopetegui, l’uomo più sfortunato di Spagna, dovrà di nuovo ricominciare a salire.

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