
I tornei per Nazionali rappresentano sempre una parentesi rispetto al calcio a cui siamo abituati per tutto il resto dell’anno. Con un gioco molto meno codificato rispetto a quello dei club, il caldo, i giocatori che arrivano stanchi alla fine della stagione, le maglie del calcio d’élite iper-professionalizzato si allargano e tra gli spazi vuoti periodicamente si infilano storie che normalmente non arriverebbero ai nostri occhi. Certo, questo Europeo è stato particolarmente generoso, e non solo perché ha fatto davvero molto caldo. Ci sono state poche ma molto significative squadre rivelazione, come la Danimarca e la Svizzera; non sono mancati i colpi di scena e giant killing, a partire dall’eliminazione agli ottavi di finale di quella Francia che tutti prima dell’inizio del torneo davano già in finale; ma soprattutto sono mancate le stelle a rubare la scena. Mbappé ha fatto un brutto torneo, coronato dal decisivo errore dal dischetto contro la Svizzera; Cristiano Ronaldo ha vinto la classifica dei marcatori ma è stato eliminato insieme al Portogallo già agli ottavi di finale; Lukaku ha avuto i suoi momenti di dominio ma, checché ne dica la Top XI della UEFA, è difficile sostenere che abbia avuto un Europeo migliore di Schick o Harry Kane.
Non che siano mancati del tutto i grandi campioni - da Donnarumma a Sterling, da Kane a Pogba - ma insomma non mancava lo spazio sul palco per storie inaspettate. Di seguito ne trovate sei che hanno reso questo Europeo degno di essere guardato e sicuramente più divertente.
Mikkel Damsgaard
Forse visto dall’Italia è stato meno sorprendente di quanto non sia apparso nel resto del mondo, ma il torneo di Damsgaard è stato comunque un’epifania. In questo momento tutti gli hipster del fantacalcio che la scorsa estate lo hanno preso a 1 staranno scuotendo la testa, ma Damsgaard rimane un giocatore di 21 anni, con appena una stagione in Serie A alle spalle e che prima di questi Europei aveva giocato solamente tre partite in Nazionale maggiore, esordendo nel novembre dello scorso anno. La sua elettricità è stata una parte indissolubile del gioco verticale e adrenalinico della Danimarca, a cui ha regalato due gol che è difficile dimenticare. Il primo a giro a pochi passi dalla lunetta dell’area di rigore contro la Russia, che non ha lasciato altra scelta a Safonov se non inchinarsi alla traiettoria che ha fatto infilare il pallone sotto il sette alla sua sinistra. Il secondo su punizione dalla trequarti, con un tiro di piatto potente quanto uno di collo che ha sorpreso Pickford nonostante non fosse così angolato.
Entrambi i gol hanno aperto le marcature e sono arrivati in momenti di grande pressione sulla Danimarca, a conferma di quanto il talento di Damsgaard spacchi letteralmente le partite. Il trequartista della Samp magari non sarà ancora continuo, ma di sicuro è uno di quelli che dentro una partita fa sempre accadere qualcosa.
Renato Sanches
Renato Sanches che tira le bombe da fuori area, che domina a centrocampo contro la Francia: che cos’è, il 2016? Quella di Renato Sanches più che una rivelazione è stato un déja vu dell’Europeo francese di cinque anni fa, quando le sue corse palla al piede, lo swag con cui proteggeva palla avevano fatto piovere una nuvola di glitter su ogni sua palla giocata. Anche se non è sembrato, però, in questi cinque anni molto è cambiato: il passaggio al Bayern Monaco e poi il successivo percorso di redenzione nel calcio minore europeo, prima allo Swansea e poi al Lille, dove nella stagione appena passata è stato uno dei protagonisti del campionato vinto, hanno reso Renato Sanches un giocatore più consapevole e maturo. Se cinque anni fa era il giovane talento che volava sulle ali dell’incoscienza per via dell’entusiasmo del sorprendente torneo del Portogallo, nell’Europeo appena concluso Renato Sanches è stato un punto di riferimento della squadra di Fernando Santos, in un torneo difficile in cui è apparsa stanca e senza troppi stimoli.
Entrato gradualmente nell’undici titolare - dopo essere entrato nel finale nell’esordio contro l’Ungheria e a inizio secondo tempo contro la Germania, non è stato più tolto dalla formazione titolare - Renato Sanches è sembrato immediatamente migliorare il Portogallo con la sua freschezza e il suo istinto verticale. Per esempio quando, contro la Germania con il risultato già sul 2-4, ha rischiato seriamente di bucare il pallone con un tiro di una violenza inaudita dalla trequarti che ha picchiato perfettamente l’angolo in alto alla destra di Neuer. O quando, nell’ottavo di finale poi perso contro il Belgio, dopo cinque minuti ha messo in porta Diogo Jota dopo aver lasciato Tielemans nella porta girevole della sua protezione palla.
Vista la sua ultima stagione a Lille non sarebbe correttissimo definirlo un giocatore da torneo estivo, ma è vero che Renato Sanches con la maglia del Portogallo sembra emanare una luce diversa. Speriamo che questo Europeo sarà un incipit meno ingannevole dell’ultimo perché vederlo giocare è un piacere unico.
Pedri
«Qualcuno ha notato l'Europeo fatto da un ragazzo di 18 anni di nome Pedri?», ha dichiarato estatico Luis Enrique subito dopo essere stato eliminato dall’Italia «Nemmeno Don Andrés Iniesta ha fatto cose del genere. Quello che ha fatto in questo Europeo, a 18 anni, non si è mai visto nella storia della competizione, ma anche in quella dei Mondiali o delle Olimpiadi. È qualcosa fuori da ogni logica». Dopo una grande stagione con il Barcellona, il giovanissimo centrocampista canarino ha disputato un Europeo da ricordare. Sempre titolare dall’inizio alla fine (l’unica partita in cui è stato sostituito è stata quella contro la Svizzera, al 119esimo), Pedri ha portato a un livello ancora più alto il suo controllo sotto pressione, i suoi dribbling nello stretto, la sua visione nel trovare l’uomo alle spalle delle linee di pressione avversarie. Secondo i dati di Statsbomb, tra i giocatori con almeno 400 minuti giocati, solo Pau Torres ha superato Pedri in quanto a xGBuildup, la statistica che calcola il contributo in termini di Expected Goals di tutti i giocatori coinvolti nel possesso palla, e non solo quindi chi serve l’assist o chi tira. Pedri è anche primo per passaggi riusciti nell’ultimo terzo di campo (29.03 per 90 minuti).
Certo, forse in Italia il suo Europeo passerà un po’ inosservato perché quella che è forse la sua più grande giocata in questo torneo ha coinciso con un nostro momento di sollievo. L’apice tecnico dell’Europeo di Pedri è infatti arrivato proprio contro la Nazionale di Mancini, quando all’11esimo del primo tempo, con un filtrante tagliente come un rasoio, ha fatto passare la palla tra Bonucci e Chiellini mettendo Oyarzabal nelle condizioni di tirare praticamente dal dischetto del rigore. Per fortuna per noi, il pallone è scivolato via dalla punta del sinistro di Oyarzabal, che non è riuscito a tirare tutto solo davanti a Donnarumma.
Per fortuna di tutti invece, la carriera di Pedri andrà ben oltre lo stop maldestro del suo compagno.
Patrick Schick
Diciamoci la verità: in quanti riponevano ancora delle speranze in Patrick Schick? Senza che nessuno se l’aspettasse il numero 10 ceco ha creato un buco spazio-temporale presentandosi a questo Europeo come il giocatore che aveva incantato a Genova. Il torneo di Schick è stato inaspettato e magico come una nevicata estiva. È stato QUEL gol da centrocampo, ovviamente, “un tiro colpito con l’interno che prima di rientrare verso la porta ha preso una strada lunghissima e incredibile” come ha scritto Emanuele Atturo. Ma non solo.
Forse la cosa più sorprendente dell’Europeo di Schick, infatti, non è stato tanto questo gol assurdo, quanto la somma di giocate utili, da giocatore solido, di momenti di carisma, di sofferenza, che lo ha allontanato dall’idea di inconsistenza a cui lo avevamo associato fino ad adesso. C’è il gol da attaccante vero, a svettare tra i due difensori scozzesi nella stessa partita, o quello di piatto a incrociare in area contro la Danimarca, che per quanto inutile rivela un senso del posizionamento in area da numero nove navigato che pensavamo non gli appartenesse. Ma anche la partita dura giocata col volto tumefatto contro la Croazia, a cui ha segnato su rigore. E poi tante ricezioni tra le linee, palla riciclate, movimenti in profondità, ricami sulla trequarti. Schick, con i suoi 5 gol, ha chiuso l’Europeo da capocannoniere insieme a Cristiano Ronaldo, forse il giocatore più lontano da lui esistente sul pianeta Terra al momento.
Steven Zuber
La Svizzera è stata una delle storie più belle di questo Europeo e, con l’eliminazione della Francia, l’autrice dell’upset più inaspettato. Il suo torneo è stato coronato dall’incredibile prestazione contro i “Bleus” di Granit Xhaka, a sua volta una grossa rivelazione vista l’aura da appestato che si portava dietro dall’Arsenal, ma ha contenuto tante altre piccole storie sorprendenti: da Akanji a Seferovic fino ad arrivare Steven Zuber.
Con il viso squadrato da statua dell’Isola di Pasqua e l’aura un po’ noir da spy movie in bianco e nero, Zuber a 29 anni veniva da una carriera passata soprattutto in Germania che pareva non avere più nulla da dire. Dopo aver iniziato l’Europeo in panchina, l’esterno dell’Eintracht Francoforte ha piano piano preso il posto di Rodriguez sull’out di sinistra entrando in quello stato di grazia unico che sembra impossessarsi magicamente di alcuni giocatori durante i tornei estivi senza alcuna logica apparente. Con un dominio atletico difficilmente spiegabile e un piede diventato dolcissimo, Zuber ha chiuso l’Europeo con il premio di miglior assistman. Al suo attivo 4 assist, di cui tre in un’unica partita, contro la Turchia: un record che prima di questo Europeo era stato raggiunto solo da Hamit Altintop nel 2008.
Zuber è sembrato quasi letteralmente prendere fuoco contro la Francia, in una partita in cui ha fatto assomigliare Benjamin Pavard un giovane della Primavera aggregato per la prima volta alla prima squadra. Zuber lo ha prima ipnotizzato con uno strano doppio passo meccanico, che ha preceduto un morbidissimo cross sulla testa di Serefovic, che di testa ha aperto le marcature. Poi, nel secondo tempo, se l’è lasciato alle spalle in uno contro uno, costringendolo a un intervento disperato in scivolata. Il fallo era netto, ma Zuber era talmente in fiducia di poter andare in porta che non ha nemmeno pensato di buttarsi e si è rialzato immediatamente puntando di nuovo il terzino del Bayern Monaco. Per fermarlo c’è voluto il VAR, che ha giustamente assegnato il calcio di rigore che farà esplodere la partita.
Alexander Isak
Ok, Isak non ha segnato nemmeno un gol, e questo non depone a favore di un attaccante in un pezzo sulle rivelazioni, ma la sua apparizione in una Nazionale incubo come la Svezia ha avuto sui nostri neuroni lo stesso effetto di un calice di vino bianco ghiacciato davanti a un tramonto in spiaggia dopo una giornata di sabbia e salsedine. Nonostante abbia ancora 21 anni, di Isak si attendeva l’affermazione già da qualche stagione. Il suo stile dinoccolato, il gioco estremamente tecnico, la visione raffinata sulla trequarti avevano convinto il Borussia Dortmund a prenderlo già all’inizio del 2017. Dopo un paio di stagioni poco convincenti, però, la squadra tedesca lo ha girato prima in prestito in Olanda e poi lo ha ceduto definitivamente in Spagna, alla Real Sociedad. Nei Paesi Baschi, in una squadra raffinata e naïf almeno quanto lui, l’attaccante svedese è rinato, arrivando all’Europeo con una stagione da 17 gol.
Pur senza segnare, Isak ha fatto un ulteriore salto di livello, dimostrando di poter mettere in crisi quasi da solo difese più atletiche, più esperte di lui. Non è un caso, insomma, che l’attaccante svedese primeggi in alcune importante statistiche offensive, come i dribbling riusciti (3.22 dribbling riusciti per 90 minuti, l’80% dei tentati; Sterling si è fermato a 2.91, Mbappé a 2.52) e gli Expected Assists (0.41 per 90 minuti, peggio solo di Malinovskiy). Se il suo Europeo alla fine non ha fatto così rumore è solo per un po’ di sfortuna e per alcuni compagni che non lo hanno proprio aiutato. Sì, Berg, sto parlando di te.
L’Ungheria
L’Ungheria non ha esattamente rappresentato l’Europa che vorremmo, ma in campo forse è stata la sorpresa più grande. Spinta dall’unico stadio completamente pieno, la squadra di Marco Rossi ha messo in mostra un’intensità fuori scala che ha messo in difficoltà alcuni dei migliori giocatori al mondo. Dopo una finale di Champions vinta da protagonista, mai avremmo pensato di poter vedere N’Golo Kanté in affanno nelle corse all’indietro e soprattutto mai avremmo pensato che a farlo sarebbe stato un giocatore di 27 anni dell’Osijek chiamato Laszlo Kleinheisler.
Oltre a lui, sono stati in diversi a mettersi in mostra: il redivivo Adam Nagy, l’ancora più redivivo Loic Nego, la coppia d’attacco quasi omonima Sallai-Szalai. Portogallo, Francia e Germania hanno tutte sofferto oltre ogni immaginazione contro l’Ungheria, fino ad arrivare alla surreale partita dell’Allianz Arena in cui la Nazionale di Low è stata sotto nel punteggio e fuori dall’Europeo fino all’84esimo del secondo tempo. Marco Rossi aveva iniziato il torneo nel peggiore dei modi, vedendosi costretto a rinunciare all’unico giocatore che si pensava potesse salvarlo dal girone di ferro in cui si era ritrovato, e cioè Dominik Szoboszlai, e lo ha finito a un passo dall’eliminare una tra la squadra campione d’Europa in carica, quella campione del Mondo in carica e la Germania. Anche se il suo Europeo si è fermato sul cuore mostrato da Goretzka ai suoi tifosi, l’Ungheria sarà una delle cose che ricorderemo più a lungo.